N. 143 ORDINANZA 9 - 24 aprile 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Impiego    pubblico   -   Condotta   antisindacale   della   pubblica
  amministrazione   -   Controversie  promosse  dalle  organizzazioni
  sindacali  -  Giurisdizione  del  giudice  ordinario,  ancorche' si
  tratti di comportamenti lesivi di situazioni soggettive inerenti al
  rapporto  di  impiego,  come  tali  ricadenti  nella  giurisdizione
  esclusiva     del     giudice    amministrativo    -    Prospettata
  irragionevolezza,  con  lesione  del diritto di difesa del pubblico
  dipendente  e  del  principio  del  giudice  naturale  -  Questione
  risolventesi   in   un  problema  di  interpretazione  della  norma
  denunciata Manifesta infondatezza.
- D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 63, comma 3.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 25.
(GU n.17 del 30-4-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Guido  NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco
BILE,  Giovanni  Maria FLICK, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 63, comma 3,
del   decreto  legislativo  30 marzo  2001,  n. 165  (Norme  generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),   promosso   con  ordinanza  del  20 settembre  2002  dal
Tribunale  di  Genova  nel  procedimento  civile  vertente  tra Fusco
Antonio,  con  altri, e il Ministero dell'interno, iscritta al n. 532
del  registro  ordinanze  2002  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 48, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 12 marzo 2003 il giudice
relatore Romano Vaccarella.
    Ritenuto  che,  a seguito del ricorso ai sensi dell'art. 28 della
legge  20 maggio  1970,  n. 300  (Norme sulla tutela della liberta' e
dignita'  dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita'
sindacale  nei  luoghi  di lavoro e norme sul collocamento), proposto
dal  Sindacato italiano appartenenti alla polizia (SIAP), nonche' dai
dipendenti  del  Ministero  dell'interno  Antonio Fusco, ispettore di
polizia,  e  Giampaolo Pavanello, vice ispettore di polizia, entrambi
in  servizio  presso  il  VI  reparto mobile di Genova, nei confronti
dello   stesso   Ministero   dell'interno,   per   denunciare   quali
comportamenti  antisindacali  i provvedimenti con i quali il Fusco e'
stato  trasferito  alla Polfer di Genova (provvedimento comunicato il
17 aprile  2002) ed il Pavanello e' stato trasferito alla Questura di
Genova  (provvedimento  comunicato  il  23 aprile  2002),  il giudice
dell'adito  Tribunale di Genova, con ordinanza del 20 settembre 2002,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli  articoli 3,  24 e 25 della Costituzione, dell'art. 63, comma 3,
del   decreto  legislativo  30 marzo  2001,  n. 165  (Norme  generali
sull'ordinamento  del  lavoro  alle  dipendenze delle amministrazioni
pubbliche),  nella  parte  in  cui  devolve  al giudice ordinario, in
funzione  di  giudice del lavoro, anziche' al giudice amministrativo,
le   controversie   relative   a  comportamenti  antisindacali  delle
pubbliche   amministrazioni,   ai   sensi  dell'art. 28  della  legge
20 maggio  1970,  n. 300,  e successive modificazioni e integrazioni,
pur  quando  si  tratti  di  comportamenti lesivi anche di situazioni
soggettive inerenti ai rapporti di impiego del personale in regime di
diritto   pubblico,   previsti   dall'art. 3   del  medesimo  decreto
legislativo n. 165 del 2001;
        che,  in  punto  di  fatto,  riferisce  il  rimettente  che i
ricorrenti   hanno   dedotto   che   i  denunciati  provvedimenti  di
trasferimento a carico dei predetti dipendenti, i quali ricoprono nel
reparto  di  provenienza,  rispettivamente,  le cariche (il Fusco) di
responsabile  ed (il Ravanello) di segretario del SIAP, sommariamente
motivati  con  il  generico  richiamo  a  «pressanti  e  inderogabili
esigenze di servizio», sono illegittimi, perche' affetti dai seguenti
vizi:
            a) mancata  previa  consultazione  del sindacato SIAP, in
violazione  dell'art. 88,  quarto  comma, della legge 1° aprile 1981,
n. 121   (Nuovo   ordinamento   dell'Amministrazione  della  pubblica
sicurezza),  a  norma  del  quale  «i  trasferimenti ad altre sedi di
appartenenti  alla  Polizia  di Stato che ricoprono cariche sindacali
possono  essere  effettuati  sentita  l'organizzazione  sindacale  di
appartenenza»;
            b) difetto  di  motivazione,  in  violazione  dell'art. 3
della  legge  7 agosto  1990,  n. 241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento  amministrativo  e  di  diritto  di accesso ai documenti
amministrativi);
            c) inosservanza   dei   criteri   di  economicita'  e  di
efficacia, in violazione dell'art. 1 della legge n. 241 del 1990;
            d) eccesso  di  potere,  in  quanto  il  vero  scopo  dei
trasferimenti  in  questione  e'  l'allontanamento  del  Fusco  e del
Pavanello  dal  VI  reparto  mobile  per  impedire  loro di svolgervi
attivita' sindacale nell'espletamento delle rispettive cariche;
            e) eccesso di potere per carenza di istruttoria;
            f) eccesso  di  potere  per contraddizione con precedenti
manifestazioni di volonta';
            g) violazione del principio del buon andamento;
        che,  rileva  il rimettente, i rapporti di lavoro del Fusco e
del  Pavanello,  quali  appartenenti alla Polizia di Stato, rientrano
fra  i  rapporti  di  lavoro non «privatizzati», rimasti in regime di
diritto  pubblico,  a  norma  dell'art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001,
riguardo   ai   quali   l'art. 63,   comma 4,  del  medesimo  decreto
legislativo  stabilisce che le controversie relative restano devolute
alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo;
        che,   in   base   alla   prospettazione  dei  ricorrenti,  i
provvedimenti  denunciati  risultano,  oltreche'  pregiudizievoli per
l'organizzazione  sindacale,  lesivi  delle situazioni soggettive dei
predetti   dipendenti,  laddove  dei  vizi  dedotti  solo  alcuni,  e
precisamente   quelli   sub   a)   e   d),  attengono  a  profili  di
antisindacalita'; sicche' solo in relazione a tali vizi sussisterebbe
la  giurisdizione  del  giudice  ordinario,  in  forza  dell'art. 63,
comma 3,  del  d.lgs.  n. 165  del  2001,  a  tenore  del quale «sono
devolute  al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le
controversie  relative  a comportamenti antisindacali delle pubbliche
amministrazioni  ai  sensi  dell'art. 28  della legge 20 maggio 1970,
n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni»;
        che,   viceversa,   in   ordine   agli  altri  vizi  dedotti,
concernenti  esclusivamente  le  posizioni soggettive del Fusco e del
Pavanello, la giurisdizione spetterebbe al giudice amministrativo, in
virtu' del comma 4 del medesimo articolo, sicche' andrebbe dichiarato
-  solo  quanto  alla  controversia  afferente  ai predetti vizi - il
difetto di giurisdizione del giudice ordinario;
        che  il  rimettente  dubita della legittimita' costituzionale
del  richiamato  art. 63,  comma 3,  del  d.lgs.  n. 165 del 2001, in
quanto gli impone di conoscere del comportamento dell'amministrazione
convenuta  limitatamente  alle  censure  di antisindacalita' mosse ai
provvedimenti   de   quibus,  pur  essendo  questi  lesivi  anche  di
situazioni  soggettive inerenti a rapporti di impiego, che sotto ogni
altro  profilo  ricadono  nella  giurisdizione  esclusiva del giudice
amministrativo;
        che,  quanto alla non manifesta infondatezza della questione,
il   rimettente   sostiene   che,   a   seguito   dell'abrogazione  -
espressamente  disposta dall'art. 4 della legge 11 aprile 2000, n. 83
(Modifiche  e  integrazioni  della  legge  12 giugno 1990, n. 146, in
materia  di  esercizio  del  diritto di sciopero nei servizi pubblici
essenziali    e   di   salvaguardia   dei   diritti   della   persona
costituzionalmente  tutelati)  -  del  sesto comma dell'art. 28 della
legge  n. 300  del  1970,  gia' introdotto dall'art. 6 della legge 12
giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei
servizi  pubblici  essenziali  e sulla salvaguardia dei diritti della
persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della Commissione di
garanzia  dell'attuazione  della  legge)  -  il  quale disponeva che,
qualora  il  comportamento  antisindacale,  posto  in  essere  da una
amministrazione  statale o da altro ente pubblico non economico, «sia
lesivo  anche  di  situazioni  soggettive  inerenti  al  rapporto  di
impiego»,  le  organizzazioni  sindacali  legittimate, «ove intendano
ottenere  anche  la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette
situazioni,  propongono  ricorso  davanti al tribunale amministrativo
regionale  competente  per  territorio»  -,  la  norma  denunciata  -
peraltro  meramente  riproduttiva  dell'art. 68, comma 3, del decreto
legislativo     3 febbraio     1993,     n. 29     (Razionalizzazione
dell'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della
disciplina  in materia di pubblico impiego, a norma dell'art. 2 della
legge  23 ottobre  1992,  n. 421),  come  sostituito dall'art. 29 del
decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 80  (Nuove  disposizioni in
materia   di   organizzazione   e   di   rapporti   di  lavoro  nelle
amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  nelle controversie di
lavoro  e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in attuazione
dell'art. 11,  comma 4,  della  legge 15 marzo 1997, n. 59) - ingloba
nella  giurisdizione  del  giudice  ordinario  anche  le controversie
relative a comportamenti antisindacali «plurioffensivi», pure laddove
si  tratti  di  rapporti  di lavoro non «privatizzati», ma rimasti in
regime  di  diritto  pubblico  e,  pertanto,  comporta che, dovendosi
riconoscere al singolo dipendente leso autonoma azione a tutela delle
proprie  posizioni  individuali  dinanzi  al  giudice amministrativo,
possono  insorgere «due controversie aventi il medesimo oggetto, vale
a  dire  l'accertamento  in via principale della illegittimita' dello
stesso comportamento e per lo stesso vizio denunciato», le quali sono
demandate a differenti giurisdizioni, cosi' determinandosi situazioni
di  possibile  contrasto  di  giudicati,  senza  che  siano  previsti
strumenti per prevenire siffatto grave inconveniente;
        che  la  irragionevolezza  della  disciplina comporterebbe la
violazione dell'art. 3 della Costituzione;
        che  la  norma,  inoltre,  sarebbe in contrasto con l'art. 24
Cost.,  per  il fatto che il dipendente (appartenente al personale in
regime  di  diritto  pubblico)  sarebbe  leso  nel proprio diritto di
difesa, essendogli precluso di interloquire nel procedimento promosso
dall'organizzazione sindacale dinanzi al giudice ordinario ex art. 28
della  legge  n. 300 del 1970 e «diretto a decidere in via principale
anche  su di una posizione soggettiva del dipendente stesso», essendo
un  suo intervento in detto procedimento inammissibile, perche' volto
a  far  valere  una  situazione soggettiva deducibile solo davanti al
giudice amministrativo;
        che,   infine,  sarebbe  violato  il  principio  del  giudice
naturale,  inteso  quale giudice precostituito per legge, ex art. 25,
primo comma, Cost., «poiche' la medesima controversia viene demandata
a due differenti giurisdizioni a seconda del soggetto da cui e' presa
l'iniziativa giudiziaria»;
        che,  quanto  alla  rilevanza  della questione, il rimettente
osserva  che,  ai  sensi  del  combinato  disposto  dei  commi 3  e 4
dell'art. 63  del  d.lgs.  n. 165 del 2001, egli dovrebbe ritenere la
propria    giurisdizione    in    ordine    alla   domanda   proposta
dall'organizzazione  sindacale ricorrente (limitatamente ai motivi di
censura  indicati  sub  a) e d) del ricorso introduttivo), e dovrebbe
dichiarare il proprio difetto di giurisdizione in ordine alle domande
proposte  dal  Fusco  e  dal  Ravanello, laddove l'accoglimento della
prospettata  questione  di  legittimita'  costituzionale  avrebbe per
conseguenza  la dichiarazione di difetto di giurisdizione in ordine a
tutte le domande;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  concluso  per la dichiarazione di infondatezza della questione di
legittimita'  costituzionale,  osservando che oggetto del giudizio ex
art. 28  della  legge  n. 300  del  1970  e'  una posizione giuridica
soggettiva  che  appartiene  esclusivamente  al  sindacato e non puo'
confondersi   con   la  posizione  del  singolo  lavoratore,  sicche'
«l'eventuale estensione degli effetti della pronuncia del giudice del
lavoro,  a  favore  o  contro  i  lavoratori offesi dal comportamento
antisindacale,  costituisce profilo afferente ai normali rapporti tra
pronunce  di  giurisdizioni  diverse», e che, peraltro, «l'intervento
del  lavoratore  danneggiato  dalla condotta antisindacale e' rimedio
noto  alla  prassi  giudiziaria  e  sembra idoneo a risolvere tutti i
problemi  di  effettivita' della tutela e di coerenza nelle decisioni
giurisdizionali in materia».
    Considerato  che il Tribunale di Genova dubita della legittimita'
costituzionale  dell'art. 63,  comma 3,  del  d.lgs.  30 marzo  2001,
n. 165,  nella  parte  in cui non demanda alla cognizione del giudice
amministrativo   le   controversie   promosse   dalle  organizzazioni
sindacali ai sensi dell'art. 28 della legge n. 300 del 1970 («Statuto
dei  lavoratori»), qualora il comportamento antisindacale dedotto sia
lesivo anche di situazioni soggettive inerenti ai rapporti di impiego
del personale in regime di diritto pubblico, previsti dall'art. 3 del
medesimo  d.lgs. n. 165 del 2001, e cio' in riferimento agli artt. 3,
24 e 25 Cost.;
        che,   se   e'   vero   che  il  criterio  di  riparto  della
giurisdizione,  introdotto dall'art. 6 della legge n. 146 del 1990 in
epoca  in  cui  sussisteva  la  giurisdizione  esclusiva  del giudice
amministrativo  (criterio  per  il quale la giurisdizione spettava al
giudice  amministrativo  ovvero  al giudice ordinario secondo che con
l'azione  ex  art. 28 della legge n. 300 del 1970 il sindacato avesse
chiesto,  o  non,  la  rimozione degli effetti incidenti sul pubblico
dipendente), era idoneo a razionalmente operare anche a seguito della
c.d.  privatizzazione  del  pubblico  impiego, dal momento che a tale
«privatizzazione»  erano  sottratti  i  rapporti  di  cui all'art. 2,
comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1998 (oggi art. 3 del d.lgs. n. 165 del
2001),   e'   anche  vero  che  l'espressa  abrogazione  -  ad  opera
dell'art. 4  della  legge n. 83 del 2000 - del comma primo del citato
art. 6   della  legge  n. 146  del  1990  (che  quel  criterio  aveva
codificato)  non fa sorgere questioni di legittimita' costituzionale,
bensi'  esclusivamente  di  interpretazione  sistematica  della norma
denunciata;
        che,  infatti, e' possibile sia a) un'interpretazione secondo
la  quale  l'art. 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, varrebbe a
devolvere  tuttora  al  giudice amministrativo tutte «le controversie
relative  ai  rapporti di lavoro di cui all'art. 3», e, quindi, anche
l'azione  ex art. 28 Stat. lav. che quei rapporti di lavoro coinvolga
(sicche'  l'abrogazione  dell'art. 6, comma primo, della legge n. 146
del  1990,  renderebbe  esplicita l'abrogazione tacita prodotta dalla
norma   citata);   sia   b)   un'interpretazione   secondo  la  quale
l'abrogazione  del citato art. 6, comma primo, della legge n. 146 del
1990,  comporterebbe in ogni caso la devoluzione al giudice ordinario
dell'azione   ex  art. 28  Stat.  lav.  promossa  dall'organizzazione
sindacale, anche se tale azione incidesse, attraverso la richiesta di
rimozione  degli effetti del comportamento antisindacale, su rapporti
di  lavoro non «privatizzati», mentre il pubblico dipendente potrebbe
far  valere  la  sua  situazione  soggettiva  individuale  davanti al
giudice amministrativo ex art. 63, comma 4, citato;
        che  entrambe  tali  interpretazioni valgono a risolvere alla
radice  i  problemi  che  il  rimettente  solleva  quali questioni di
legittimita'  costituzionale,  in  quanto  quella  sub a) comporta il
persistere  della  situazione preesistente alla legge n. 83 del 2000,
ed  in  quanto  quella  sub  b), alla quale il rimettente dichiara di
aderire,  implica  o  b1)  una prevenzione del paventato conflitto di
giudicati,  attraverso  il  coordinamento,  ex art. 295 del codice di
procedura  civile,  dell'azione  individuale  con quella promossa dal
sindacato,  ovvero  b2) la radicale negazione di ogni possibilita' di
conflitto  pratico  di  giudicati,  riconoscendo  la totale autonomia
delle  due  azioni  in  quanto  volte  a tutelare distinte situazioni
sostanziali;
        che,  pertanto,  del  tutto  insussistente  e'  la violazione
dell'art. 25   Cost.,   cosi'  come  insussistente  e'  la  lamentata
irragionevolezza  della disciplina (ex art. 3 Cost.) e la conseguente
violazione  del  diritto di difesa del pubblico dipendente, in nessun
caso  distolto  dal suo giudice naturale ed abilitato a far valere la
sua situazione soggettiva davanti ad esso, o a) congiuntamente con il
sindacato,   o   b1)   giovandosi   dell'accertamento  favorevole  da
quest'ultimo  ottenuto  davanti  all'autorita' giudiziaria ordinaria,
ovvero,   e   comunque,   prospettando   (nel  caso  di  accertamento
sfavorevole  al  sindacato e nel caso di cui sub b2) sotto il profilo
dell'eccesso di potere l'illegittimita' dell'atto asseritamene lesivo
per la sua antisindacalita';
        che,   conseguentemente,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  sollevata  dal  rimettente  -  sulla premessa che una
dis»ciplina  irragionevolmente inidonea a prevenire conflitti pratici
di  giudicati si risolva in una compressione del diritto di difesa ed
in un'arbitraria individuazione del giudice munito di giurisdizione -
e' manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 63,  comma 3,  del  decreto
legislativo  30 marzo  2001,  n. 165 (Norme generali sull'ordinamento
del   lavoro   alle   dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),
sollevata,   in   riferimento   agli   articoli 3,   24  e  25  della
Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 aprile 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Vaccarella
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 24 aprile 2003.
                      Il cancelliere:Fruscella
03C0448