N. 246 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 gennaio 2003

Ordinanza emessa il 30 gennaio 2003 dal Magistrato di sorveglianza di
Vercelli sull'istanza proposta da Carugo Gianfranco

Ordinamento  penitenziario  - Liberazione anticipata - Istanza per la
  concessione  del  beneficio  -  Procedimento  Decisione adottata in
  camera  di  consiglio  senza la presenza delle parti - Applicazione
  degli  artt. 666  e  678  cod.  proc.  pen. -  Mancata previsione -
  Lesione del diritto di difesa.
- Legge  26  luglio 1975, n. 354, art. 69-bis, introdotto dalla legge
  19 dicembre 2002, n. 277.
- Costituzione art. 24, comma secondo.
(GU n.19 del 14-5-2003 )
                    IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA

    Visti  gli  atti  relativi  al procedimento per concessione della
liberazione   anticipata   ai   sensi  dell'art. 69-bis  della  legge
26 luglio   1975,   n. 354  (Ordinamento  penitenziario),  introdotto
dall'art. 1  della  legge  19 dicembre 2002, n. 277, nei confronti di
Carugo  Gianfranco, nato a Cerro maggiore (Milano) il 29 maggio 1949,
in  atto  detenuto  presso  la  casa  circondariale  di  Vercelli, in
espiazione  della  pena  di cui a provv. Cumulo PG Genova n. 327/1998
Res. dd. 4.5.00;
    1.  -  Carugo  Gianfranco ha formulato istanza per la concessione
della  riduzione  di  pena  a  titolo  di  liberazione  anticipata in
relazione  ai  semestri  di  pena  espiata  dal  al 15 agosto 2001 al
15 gennaio 2003.
    Il procedimento, incardinato presso il magistrato di sorveglianza
ai  sensi  della  nuova disciplina introdotta dalla legge 19 dicembre
2002,  n. 277,  deve  essere  deciso  secondo  la  procedura regolata
dall'art. 69-bis  della  legge  26 luglio  1975,  n. 354 (Ordinamento
penitenziario).
    Il  primo  comma  della norma citata prevede, in particolare, che
«sull'istanza   di   concessione  della  liberazione  anticipata,  il
magistrato di sorveglianza provvede con ordinanza, adottata in camera
di  consiglio  senza  la  presenza  delle  parti, che e' comunicata o
notificata  senza  ritardo  ai  soggetti  indicati  nell'art. 127 del
codice di procedura penale».
    Nell'applicazione  di  tale  norma procedurale sorge il dubbio di
legittimita'  costituzionale  sotto  il  seguente  profilo  e  per  i
seguenti motivi.
    2.  - Il parametro costituzionale che si assume violato e' quello
dell'art. 24, comma 2, Cost., nel senso qui di seguito illustrato.
    3.  -  L'art. 24, comma 2, Cost., stabilisce che «la difesa e' un
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento».
    Il   precetto  costituzionale  pone  un  principio  di  carattere
assoluto,   imponendo  infatti  che  la  garanzia  della  difesa  sia
garantita  tanto  all'interno di ciascun procedimento giurisdizionale
quanto, quanto in seno alle articolazioni di questo nei vari gradi di
giudizio previsti dall'ordinamento.
    Il  contrasto  con  la  nuova  disciplina della concessione della
liberazione  anticipata  introdotta  con  l'art. 69-bis  O.P.  sembra
emergere con tutta evidenza dall'esame della citata disposizione.
    Il  legislatore  ha  modellato, infatti, un procedimento camerale
dalla  peculiare disciplina, caratterizzato dall'assenza di effettivo
contraddittorio tra le parti e dalla pronuncia resa dal magistrato di
sorveglianza  con  un  provvedimento  (che viene qualificato sotto il
nomen iuris di ordinanza, pur essendo adottato inaudita parte) che e'
«comunicato   o   notificato   senza  ritardo  ai  soggetti  indicati
nell'art. 127  del codice di procedura penale» ai fini dell'eventuale
successiva   impugnazione   (nelle  forme  del  reclamo)  all'istanza
sovraordinata (tribunale di sorveglianza).
    Il  contraddittorio  nella  procedura  descritta dall'art. 69-bis
O.P.  e'  dunque  sostanzialmente  assente di fronte al magistrato di
sorveglianza:  la  norma si premura, infatti, di inserire il richiamo
alle  norme sul procedimento di sorveglianza soltanto con riferimento
all'eventuale procedimento di reclamo, che viene celebrato davanti al
tribunale di sorveglianza.
    Cio' premesso, la contrarieta' del procedimento ex art. 69-bis in
se'  considerato,  rispetto al principio stabilito dall'art. 24 Cost.
appare scontata.
    Maggiormente  problematica  e'  l'indagine  volta a verificare se
tale     impressione     possa    essere    contrastata    attraverso
un'interpretazione  «costituzionalmente  orientata»  della  norma che
riconduca   il  procedimento  in  esame  nell'alveo  delle  procedure
garantite  dal  contraddittorio  (pure  nella forma minimale chiarita
dalla  Consulta,  quale previa audizione dell'interessato); ovvero in
esito  alla  valutazione  complessiva  del  procedimento  (o  meglio:
dell'istituto) della concessione della riduzione di pena, che conduca
a  ritenerne  la  conformita' costituzionale - sotto il parametro che
qui  si  assume  violato  - tenuto conto della disciplina processuale
richiamata  dalla  disposizione  dell'art. 69-bis, comma 4, O.P., che
richiama,   con  riferimento  al  reclamo  davanti  al  tribunale  di
sorveglianza, il disposto dell'art. 678 c.p.p.
    4.  -  Non  pare,  anzitutto, consentita un'interpretazione della
norma    censurata   nel   senso,   «costituzionalmente   orientato»,
dell'ammissibilita'  di una difesa tecnica nel procedimento avanti al
magistrato  di  sorveglianza, ne' che, in detta sede, sia ammissibile
la produzione di istanze difensive.
    Sotto quest'ultimo profilo considerato, e' pur vero, infatti, che
la   disposizione   di   nuova   introduzione   non   vieta  comunque
espressamente  alle  parti  la  produzione  di  memorie,  di  tal che
potrebbe  inferirsi  la  possibilita'  di interloquire - quantomeno a
livello   documentale   -  con  l'organo  giudiziario  deputato  alla
decisione.
    Peraltro,  una  lettura  sistematica  della normativa induce seri
dubbi sulla riferita possibilita'.
    La  facolta'  per  le parti del procedimento camerale di produrre
memorie e', invero, prevista dall'art. 666, comma 3, c.p.p.
    Tale   norma   procedurale   e'   richiamata  dal  testo  vigente
dell'art. 678  c.p.p.,  che  estende  l'applicazione  della procedura
camerale  sopra  indicata ai procedimenti di competenza del tribunale
di  sorveglianza nonche' ad un'articolata serie di materie attribuite
alla  cognizione  del  magistrato  di  sorveglianza, tra le quali non
figura, tuttavia, la liberazione anticipata.
    Dunque,  puo'  legittimamente  revocarsi  in  dubbio che le parti
possano   depositare   presso   la   cancelleria  del  magistrato  di
sorveglianza memorie o note difensive, non essendovi alcuna norma che
lo   consenta   ed   essendo   difficilmente  praticabile  la  strada
dell'estensione  in via interpretativa della disciplina dell'art. 666
c.p.p.  al  procedimento  introdotto  dall'art. 69-bis O.P.: infatti,
dove il legislatore della riforma ha voluto mantenere la procedura di
cui  alle  norme  del  codice  di procedura penale, si e' pronunciato
espressamente (cfr. art. 69-bis comma 4, citato).
    Pertanto,  l'omissione  di una previsione analoga con riferimento
al  giudizio  di fronte al magistrato di sorveglianza non puo' essere
integrata  in  via interpretativa, perche' una tale operazione sembra
contraria alla ratio legis.
    Sono  evidenti  le  conseguenze di quanto sopra detto: il mancato
raccordo  della riforma della liberazione anticipata con le norme del
rito  processuale  penale non consente alle parti di avere conoscenza
dei  tempi  della  procedura, e tale profilo aggrava ulteriormente il
ravvisato vulnus defensionale.
    Ne  consegue  che,  anche  a  ritenere  ammissibile  che le parti
abbiano  la  facolta'  di  presentare  al  giudice  memorie o scritti
difensivi,  in realta' esse non saranno mai messe nelle condizioni di
interloquire  efficacemente,  nemmeno  con  il  mezzo scritto, per il
motivo  che  non avranno contezza del procedimento se non nel momento
in   cui  questo  sara'  definito  con  la  pronuncia  dell'ordinanza
magistratuale.
    La  lacuna,  in  termini  di garanzie difensive, sotto il duplice
profilo sopra rilevato, e' grave ed evidente.
    Analoghe considerazioni valgono in relazione alla prima questione
considerata,  della  possibilita'  cioe'  di  una  difesa tecnica nel
procedimento.
    Non  pare,  possibile,  infatti,  dedurre  la possibilita' di una
difesa tecnica nel procedimento davanti al magistrato di sorveglianza
dall'inciso   della   norma  dell'art. 69-bis  O.P.  che  prevede  la
comunicazione   o   notifica  del  provvedimento  del  magistrato  di
sorveglianza  «ai  soggetti  indicati  nell'art. 127  del  codice  di
procedura penale».
    Tale  disposizione ha, invero, l'evidente finalita' di costituire
il   presupposto   per   consentire   alle   parti   la  proposizione
dell'eventuale reclamo al tribunale di sorveglianza (sede nella quale
e'  invero prevista la difesa tecnica, ai sensi degli artt. 666 e 678
c.p.p.).
    A  tutto  concedere,  dal tenore della norma potrebbe - al piu' -
ricavarsi l'obbligo in capo al magistrato di sorveglianza di nominare
all'interessato,  che  ne  sia privo, un difensore di ufficio ai fini
della notifica del provvedimento e dell'eventuale impugnativa.
    Non  si intravede, al contrario, via ermeneutica per ricavarne la
regola   della   facolta'  o  ancor  meno  dell'obbligatorieta'  (con
conseguente    eventuale    nomina    di   un   difensore   d'ufficio
all'interessato  che  sia  privo  di  difesa fiduciaria) della difesa
tecnica in seno al procedimento in esame.
    Ulteriore  considerazione,  che rafforza la tesi della carenza di
tutela defensionale della procedura di cui all'art. 69-bis O.P., pare
quella  secondo  cui  il  mancato coordinamento normativo della nuova
disciplina  della  liberazione  anticipata  con  le norme procedurali
(artt. 666 e 678 c.p.p.) precluda la possibilita' per il difensore di
proporre  l'istanza  di riduzione di pena ai sensi dell'art. 54 O.P.:
non   essendo  tale  possibilita'  contemplata  dalla  norma  di  cui
all'art. 57  O.P.  (che  dispone  in  ordine alla legittimazione alla
richiesta  di  benefici)  e  non  essendo  (piu) possibile richiamare
all'uopo   la  disposizione  processuale  dell'art. 678  c.p.p.  (che
ammette  la  legittimazione del difensore ad attivare il procedimento
in   rapporto   alle   materie   di   competenza   del  tribunale  di
sorveglianza).
    5.  -  Allargando l'orizzonte di indagine ai profili sistematici,
non  pare  del resto che vi sia possibilita' ermeneutica di estendere
al   procedimento   introdotto   dall'art. 69-bis  O.P.  le  garanzie
difensive del procedimento di sorveglianza (artt. 666, 678, c.p. p.).
    Dal  tenore stesso della formulazione letterale dell'art. 69 O.P.
sembra,  infatti,  da  escludersi  la possibilita' di interpretare la
norma   nel   senso   dell'applicabilita',  ai  procedimenti  di  cui
all'art. 69-bis,  della procedura camerale di cui agli artt. 666, 678
c.p.p.  ovvero di quello disciplinato dall'art. 14-ter O.P., cosi' da
salvare  -  sotto il rilevato profilo - la conformita' costituzionale
della norma in esame.
    La  seconda  possibilita'  e',  infatti,  esclusa in radice dallo
stesso  legislatore  che  ubi  voluit,  dixit,  e  che,  al  comma 6,
dell'art. 69  O.P.  elenca  i  procedimenti  in relazione ai quali il
magistrato  di  sorveglianza  decide  osservando  la procedura di cui
all'art. 14-ter (si tratta, com'e' noto, dei procedimenti conseguenti
a reclamo nei confronti delle decisioni della direzione dell'istituto
penitenziario  concernenti  il  lavoro  intramurario e alcuni aspetti
dell'esercizio del potere disciplinare).
    Ma anche la prima possibilita' appare preclusa dalla volonta' del
legislatore,  che  ha  omesso  di  modificare  nel senso indicato gli
artt. 666 e 678 c.p.p., inserendo tra le materie oggetto di decisione
con  il  rito  processuale  camerale  anche  i  procedimenti  di  cui
all'art. 69-bis O.P.
    Peraltro, anche diversamente opinando, l'interprete si troverebbe
nell'evidente   imbarazzo   nella   scelta   del   rito   processuale
applicabile, stante la varieta' dei moduli procedurali applicabili in
materia  dalla  magistratura  di  sorveglianza,  cio' che comporta la
conseguenza  che  non  possa  rinvenirsi  un  modello  processuale di
validita' generale (cfr. Corte cost. 99/26).
    In  altri  termini,  non  pare  potersi  ricavare  aliunde in via
interpretativa  quella  regola  procedurale,  conforme  al  principio
costituzionale  di  garanzia  del contraddittorio, che appare carente
nella procedura di cui all'art. 69-bis O.P.
    6.  -  A  salvare  la  compatibilita'  della norma in esame con i
richiamato  parametro  costituzionale  dell'art. 24,  comma 2, Cost.,
potrebbe essere portato, allora, il tradizionale argomento che poggia
sull'interpretazione   consolidata   della   portata   del  principio
costituzionale citato.
    Secondo  tale  consolidata  linea ermeneutica, il principio della
garanzia  del  contraddittorio  non  impone  affatto che in ogni fase
della procedura sia assicurato il diritto di difesa; bensi' prescrive
che,  in  un  procedimento  scandito  per fasi, sia garantita nel suo
complesso  la  piena  possibilita'  di  dispiegare le proprie difese,
sempre che - beninteso - l'esercizio del diritto di difesa non sia in
tal  modo  reso  eccessivamente  difficile o subordinato a condizioni
eccessivamente penalizzanti per l'interessato.
    Con    specifico    riferimento    alla   rilevata   assenza   di
contraddittorio   nella   sequenza  procedimentale  che  esita  nella
decisione del magistrato di sorveglianza, potrebbe allora richiamarsi
la  tesi  del  mero  differimento  della garanzia del contraddittorio
pieno  alla  fase  successiva  rispetto  al  procedimento incardinato
presso  il  magistrato  monocratico:  che verrebbe - quest'ultimo - a
costituire   una  sorta  di  «fase  cautelare»  o  sub-procedimentale
rispetto   al   procedimento  di  sorveglianza  celebrato  avanti  al
tribunale    di    sorveglianza    successivamente   all'impugnazione
dell'interessato o del p.m.
    Si  potrebbe,  in  altri  termini,  ritenere  che,  rispetto alla
disciplina  previgente,  nessun  sacrificio  del diritto di difesa si
verifichi:  l'interessato  conserva intatte le possibilita' di difesa
davanti  al  tribunale  di  sorveglianza  in  sede  di  reclamo  e si
avvantaggia   della  possibilita'  di  ottenere  la  concessione  del
beneficio  de  plano,  e dunque, verosimilmente, con tempi abbreviati
rispetto alla procedura antevigente.
    In  altri  termini,  la procedura a contraddittorio pieno sarebbe
attivata   solo   in   caso   di  pronuncia  sfavorevole,  con  piena
salvaguardia del doppio grado di giudizio.
    A  sostegno di tale opzione interpretativa potrebbero richiamarsi
le  numerose  fattispecie  di  procedimenti,  o  sub-procedimenti  (e
provvedimenti)  cautelari  incardinati  e pronunciati inaudita altera
parte  (a  es.  art. 684  c.p.p., art. 47 comma 4, legge n. 354/1975,
soltanto per rimanere nell'alveo del diritto penitenziario).
    Tale  impostazione,  per  quanto  suggestiva,  non  pare tuttavia
applicabile  alla  fattispecie  dell'art. 69-bis  O.P.  in esame, per
almeno due motivi.
    In  primo luogo, la compatibilita' del procedimento nel quale non
sia  garantito  il  diritto  di  difesa (anche nel senso minimale del
diritto  ad  essere ascoltati) con il principio costituzionale di cui
all'art. 24,   comma   2,  Cost.,  regge  soltanto  nel  caso:  o  di
sub-procedimenti previsti nell'ambito di una scansione procedimentale
piu'  ampia (nella quale il contraddittorio e' pienamente garantito);
ovvero   di   fattispecie   a  carattere  cautelare,  in  rapporto  a
procedimenti espressamente preordinati a tale finalita'.
    Nel  primo  caso,  l'ordinamento  assicura il diritto di cui alla
norma   costituzionale  citata  nelle  fasi  topiche  e  - diremmo  -
«decisive»  della  sequenza procedimentale, laddove, cioe', si decide
concretamente del diritto azionato.
    Per tali casi, il diritto di difesa e' assicurato, in armonia con
il   dettato   costituzionale,   con   riferimento   al  procedimento
riguardato, appunto, nel suo complesso.
    Non   pare   tuttavia   che  il  peculiare  procedimento  di  cui
all'art. 69-bis O.P. possa essere ricondotto a tale fattispecie.
    Il   momento   processuale   imperniato  sull'udienza  avanti  al
tribunale di sorveglianza, e' prefigurato dalla legge quale scansione
meramente  eventuale  rispetto  al  primo  procedimento:  essa  viene
attivata,  infatti,  soltanto in seguito a reclamo contro l'ordinanza
del magistrato di sorveglianza.
    Non  vi  e',  peraltro,  nemmeno  alcun  rapporto  di  necessaria
interdipendenza tra le due fasi procedimentali, bensi' una semplice -
e  soltanto  possibile  -  propedeuticita'  cronologica  dell'uno nei
confronti dell'altro.
    Il  procedimento  di  cui all'art. 69-bis O.P. non puo', in altri
termini,   essere   giuridicamente  inquadrato  quale  fattispecie  a
formazione  progressiva,  dove  il  pronunciamento  del magistrato si
colloca  quale  dato  presupposto  in  relazione  al  successivo  - e
necessario  -  completamento  della  sequenza procedimentale da parte
dell'organo  collegiale,  come avviene, ad esempio, nelle fattispecie
previste in tema di concessione della sospensione della pena da parte
del  magistrato  di  sorveglianza (art. 47 comma 4 legge n. 354/1975)
ovvero   dell'applicazione   del  differimento  dell'esecuzione  pena
(art. 684  c.p.p.)  o della detenzione domiciliare (art. 47-ter comma
1-quater O.P.).
    Ad   ogni  effetto,  infatti,  la  decisione  del  magistrato  di
sorveglianza  in  tema  di  concessione  (o  meno)  della liberazione
anticipata   si  perfeziona  ipso  iure  scaduti  i  termini  per  la
proposizione   dell'impugnazione,  senza  che  sia  necessario  alcun
ulteriore  intervento  dell'istanza  giurisdizionale  sovraordinata a
perfezionare la validita' ed efficacia dell'atto decisorio in esame.
    Con altre parole, insomma, pare di poter dire che il procedimento
di  cui  all'art. 69-bis  O.P.  e'  esso  stesso il momento o la fase
processuale  «decisiva»,  in cui si decide cioe' del diritto azionato
dall'interessato a vedersi riconosciuta la riduzione di pena a titolo
di liberazione anticipata.
    E  tale  fase non e' assistita dalla tutela defensionale prevista
dalla norma costituzionale.
    Nel  secondo caso richiamato, l'ordinamento ammette la carenza di
tutela  defensionale  in quelle fasi procedimentali in cui prevale il
carattere  cautelare  dell'intervento giurisdizionale, che si esplica
verosimilmente pro reo.
    Per  quanto  attiene  all'ambito  del  diritto  puo'  richiamare,
esemplificativamente  gli  istituti  di  cui  agli artt. 47, comma 4,
51-bis e 51-ter O.P., art. 684 c.p.p.).
    Elemento  comune  a  dette  fattispecie e' il carattere cautelare
rivestito,  vale  a  dire  la funzione di intervenire, nelle more del
pronunciamento  dell'organo  competente alla decisione conclusiva del
procedimento, per salvaguardare il diritto azionato e suscettibile di
riconoscimento  giurisdizionale  dal pregiudizio grave e irreparabile
che  il  decorso  del  tempo  necessario  alla  decisione  definitiva
potrebbe  determinare  (art. 47,  comma  4,  O.P.;  art. 684 c.p.p.);
ovvero  con  finalita' di assicurare provvisoriamente la legalita' di
una situazione giuridica e fattuale venutasi improvvisamente a creare
(artt. 51-bis e 51-ter O.P.).
    Cio'  premesso,  sembra  pero'  che  il carattere cautelare della
procedura di cui all'art. 69-bis sia da escludersi.
    A tale conclusione conducono una serie di considerazioni.
    Anzitutto,  la  ratio legis: certamente indirizzata all'obiettivo
principale  di  deflazionare il carico dei tribunali di sorveglianza,
attribuendo   alla   competenza  monocratica  quei  procedimenti  (la
liberazione  anticipata,  appunto)  che  ordinariamente  hanno  esito
favorevole per l'interessato.
    La  contrazione  dei tempi di decisione delle istanze - probabile
ma  non  automaticamente  conseguenziale  alla nuova disciplina - non
conferisce  a  quest'ultima  finalita'  cautelari di salvaguardia del
diritto in questione.
    Cio'  offre  una  convincente giustificazione della ratio sottesa
alla   previsione   dell'intervento  del  tribunale  di  sorveglianza
soltanto in sede di reclamo, ma vale altrettanto bene a confermare il
carattere  di  strumento  ordinario  -  e  non  gia'  straordinario o
cautelare  -  del procedimento di cui all'art. 69-bis O.P. che e', in
definitiva,  la  sede  primaria  individuata  dal  legislatore per la
decisione sulla riduzione di pena domandata dall'interessato.
    In   secondo   luogo:   l'intervento  cautelare  del  giudice  si
giustificherebbe  in  rapporto  ad  una situazione di pericolo per il
diritto  azionato, normativamente prevista e dettagliata, e non cosi'
stabilisce la norma dell'art. 69-bis (si consideri, invece, il tenore
ben diverso dei presupposti per l'intervento cautelare del magistrato
di  sorveglianza  contenuti nell'art. 47 comma 4 O.P. o quella di cui
all'art. 684 c.p.p.).
    Per aderire alla tesi del carattere cautelare del procedimento in
esame   dovremmo   infine  ammettere  che  tutti  i  procedimenti  di
liberazione anticipata rivestono detto profilo: il che ovviamente non
e'.
    Se  le  considerazioni  sopra  esposte  sono  fondate, se ne deve
dedurre che non vi e', nella fattispecie di cui all'art. 69-bis O.P.,
quella  peculiare natura cautelare - nel duplice senso sopra indicato
-  tale  da  consentirne la comparazione sistematica con gli istituti
propriamente  cautelari  previsti  dall'ordinamento,  in  rapporto ai
quali  si  giustifica  -  per  i motivi sopra detti - il differimento
delle  garanzie  difensive  costituzionalmente  tutelate  ad una fase
procedimentale  successiva  rispetto  a  quella  in cui il giudice di
prima istanza decide sul provvisorio assetto del diritto azionato.
    7.  -  Pare,  infine,  appena il caso di precisare come non possa
fondatamente  sostenersi la natura amministrativa del procedimento ex
art. 69-bis O.P., cio' che giustificherebbe - forse - la compressione
delle  garanzie  in  termini  di  contraddittorio  (a somiglianza, ad
esempio,   di  quanto  avviene  nel  caso  dei  procedimenti  per  la
concessione  dei  permessi  ai  detenuti,  in  rapporto  ai  quali la
garanzia  del  procedimento  di  sorveglianza  ai sensi dell'art. 678
c.p.p.  e'  assicurata  soltanto nella fase - eventuale - del reclamo
avanti al tribunale di sorveglianza ai sensi degli artt. 30-bis e ter
O.P.).
    Infatti, la concessione della liberazione anticipata non soltanto
e' estranea alla gestione del detenuto sotto l'aspetto amministrativo
o    meramente   trattamentale   (peraltro,   la   previsione   della
concedibilita'  del beneficio agli affidati al servizio sociale ne e'
la  piu' evidente conferma), ma incide direttamente sulla vicenda del
rapporto esecutivo penale, e dunque, sulla liberta' personale.
    La  natura  giurisdizionale  del  procedimento di concessione del
beneficio e' dunque conseguenziale a quanto sopra rilevato, oltre che
avvalorato  dall'argomento  storico, costituito dal previgente tenore
della norma di cui all'art. 70 O.P., che attribuiva i procedimenti ex
art. 54  O.P.  alla  cognizione  del  tribunale  di  sorveglianza che
decideva seguendo le regole del rito processuale (art. 678 c.p.p.).
    8.  -  Peraltro, sia pure - ovviamente - in rapporto a tutt'altra
fattispecie  e  incidenter,  la  Corte  costituzionale  ha di recente
richiamato   il   principio   secondo   il   quale   «la  regola  del
contraddittorio, nella sua accezione di previa audizione del soggetto
interessato, ... nel nostro Stato democratico si eleva a principio di
tendenziale  osservanza  in  tutti i casi in cui il provvedimento sia
suscettibile  di  incidere  su  situazioni  soggettive» (Corte cost.,
sent. n. 457 del 15 novembre 2002).
    La  ravvisata  dissonanza del procedimento di cui all'art. 69-bis
O.P.  rispetto  al  principio  costituzionale  dell'art. 24, comma 2,
Cost.,  emerge  in  tutta la sua evidenza qualora si ponga attenzione
non   soltanto   al   carattere  giurisdizionale  dell'attivita'  del
magistrato   di   sorveglianza   nel   momento  in  cui  conosce  dei
procedimenti di cui all'art. 69-bis O.P., ma altresi' alla natura del
beneficio penitenziario nella specie concesso o rifiutato.
    L'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale dell'istituto della
liberazione  anticipata  attribuisce  a quest'ultima natura di vero e
proprio  diritto  del  condannato  una volta che siano giudizialmente
accertati i presupposti di legge.
    Peraltro,   il   beneficio   in  questione  se  concesso,  incide
immediatamente  sulla  pena  in  espiazione e, dunque, sulla liberta'
personale del soggetto.
    9.  -  Se  ne deve forzatamente concludere l'incompatibilita' del
procedimento,  cosi'  come  disegnato  dall'art. 69-bis, comma primo,
O.P., rispetto al principio della garanzia del diritto difesa sancito
dall'art. 24,  comma  2,  Cost.,  nella  parte  in cui non stabilisce
l'applicazione  al procedimento di liberazione anticipata delle norme
processuali di cui agli artt. 666, 678 c.p.p.
    Poiche'  si  tratta  di  norma  sulla  cui  applicazione verte il
presente  procedimento la questione e' rilevante ai fini del presente
giudizio,   non   potendo   essere   questo   definito   se  non  con
l'applicazione della norma procedurale che lo disciplina.
    Il  procedimento  deve  pertanto  sospendersi  e  gli atti essere
inviati alla Corte costituzionale.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  articoli  23  e  seguenti legge 11 marzo 1953, n. 87,
69-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 cosi' come introdotto dalla
legge 19 dicembre 2002, n. 277;
    Dispone la trasmissione degli atti del presente procedimento alla
Corte costituzionale;
    Dispone  la sospensione del presente procedimento in attesa della
decisione della Corte medesima.
    Manda  alla  cancelleria  per  le  comunicazioni  di  legge e, in
particolare,  la  notifica all'interessato, al pubblico ministero, al
Presidente  del  Consiglio  dei ministri, nonche' la comunicazione ai
Presidenti delle Camere.
        Vercelli, cosi' deciso il 29 gennaio 2003.
              Il magistrato di sorveglianza: Fiorentini
03C0453