N. 273 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 febbraio 2003

Ordinanza  emessa  il  14  febbraio 2003 dal tribunale di Bologna nel
procedimento penale a carico di Kalifa Wisam

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio in flagranza - Irragionevole disparita' di trattamento
  rispetto ad ipotesi di reato piu' gravi.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.20 del 21-5-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Sulla richiesta del p.m.di convalida dell'arresto di Kalifa Wisam
nato il 23 dicembre 1981 a Tripoli (Libia), arrestato a Bologna il 13
febbraio   2003  ai  sensi  dell'art. 14,  comma  5-quinquies  d.lgs.
n. 286/1998  -  come  modificato  dalla  legge  n. 189/2002,  per  la
contravvenzione  prevista  e  punita dall'art. 14, comma 5-ter stessa
legge;
    premesso  che  l'arrestato  e'  stato colpito da provvedimento di
espulsione del Prefetto di Bologna in data 10 dicembre 2002 e in pari
data  il  questore  di  Bologna  gli  ha ordinato di allontanarsi dal
territorio  dello  Stato entro 5 giorni, ai sensi dell'art. 14, comma
5-bis d.lgs. n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/02;
    dato   atto   che   l'arrestato   e'   privo   di   documenti  di
identificazione   validi   ed   e'   stato   sottoposto   a   rilievi
dattiloscopici  per  la  sua  identificazione, in base ai quali si e'
accertato che lo stesso e' stato denunciato dalla questura di Bologna
il  2  settembre 2002 per furto aggravato e l'arrestato ha ammesso il
fatto,  dichiarando  che  si era trattato del furto di un panino alla
Coop   (non  ci  sono  emergenze  processuali  che  smentiscano  tale
affermazione);
    osservato che:
      il decreto legislativo n. 286/1998 come recentemente modificato
dalla  legge n. 189/2002 prevede l'espulsione dello straniero che sia
entrato  nel  territorio  dello  stato  sottraendosi  ai controlli di
frontiera  o  vi si sia trattenuto senza permesso di soggiorno valido
(art. 13, comma 2, lett. A-B);
      l'espulsione e' disposta dal prefetto ed e' sempre eseguita dal
questore  con  accompagnamento  alla  frontiera  a  mezzo della forza
pubblica  (art. 13, comma 4), salvo nei casi concernenti lo straniero
il cui permesso di soggiorno sia scaduto da piu' di sessanta giorni e
non  ne  sia  stato  chiesto  il  rinnovo,  per il quale l'espulsione
eseguita  mediante  accompagnamento  alla  frontiera viene sostituita
dall'intimazione a lasciare il territorio dello stato entro 15 giorni
(art. 13, comma 5);
      la  regola  fissata  dal  comma  4,  dell'art. 13  puo'  essere
derogata   quando   non   e'   possibile  eseguire  con  immediatezza
l'espulsione   mediante  accompagnamento  alla  frontiera  ovvero  il
respingimento, perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
accertamenti   supplementari   in   ordine   alla   sua  identita'  o
nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di documenti per il viaggio,
ovvero  per  l'indisponibilita' di vettore o altro mezzo di trasporto
idoneo (art. 14, comma 1);
      in tal caso il questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per  il  tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza
temporanea e assistenza piu' vicino;
      come  rimedio  ulteriore  ed  estremo,  qualora  non  sia stato
possibile   trattenere   lo   straniero  nel  centro,  o  trattenerlo
ulteriormente  (essendo decorso il termine massimo di giorni 30+30 di
cui  al  comma  5 dell'art. 14), il questore ordina allo straniero di
lasciare  il  territorio  dello  stato entro 5 giorni (art. 14, comma
5-bis);
      orbene, implicitamente confermando che la clandestinita' in se'
non  e'  reato  ma solo l'inottemperanza al relativo provvedimento di
espulsione,   il   legislatore   ha   contemplato   diverse   ipotesi
sanzionatorie per l'inosservanza dei diversi tipi di espulsione;
      la disobbedienza che si realizzi per la prima volta, di regola,
e'  un  illecito  contravvenzionale  (l'eccezione e' costituita dalla
trasgressione   all'espulsione  disposta  dal  giudice  a  titolo  di
sanzione  sostitutiva o alternativa alla detenzione; art. 16, commi 1
e  5);  le  condotte  sanzionate sono il rientro nel territorio dello
stato   senza  speciale  autorizzazione  del  ministero  dell'interno
(art. 13,  comma 13) e il trattenimento ingiustificato nel territorio
dello stato in violazione dell'ordine impartita dal questore ai sensi
dell'art. 14  comma  5-bis;  per  entrambe le contravvenzioni la pena
prevista  e'  l'arresto  da sei mesi ad un anno ed e' previsto che si
proceda   a  nuova  espulsione  con  accompagnamento  alla  frontiera
(art. 13, comma 13 in fine e art. 14 comma 5-ter in fine);
      la  reiterazione  della  condotta  disobbediente  (ovverosia il
rientro   dello  straniero  gia'  denunciato  per  il  reato  di  cui
all'art. 13,  comma  13  o il rinvenimento nel territorio dello Stato
dello  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma 5-ter) realizza
un  delitto,  punito  con la reclusione da 1 a 4 anni (art. 13, comma
13-bis, in fine e art. 14, comma 5-quater);
      quanto agli aspetti processuali, gli art. 13 e 14 prevedono per
i  reati  in  ciascuno  di essi contemplati rispettivamente l'arresto
facoltativo  in  flagranza  (art. 13  comma 13-ter; per le violazione
dell'art. 13-bis  e'  consentito  anche  il  fermo  fuori dei casi di
flagranza)  e  l'arresto  obbligatorio  (art. 14 comma 5-quinquies) e
sempre il rito direttissimo;
    ritenuto che:
      la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14 comma
5-quinquies  nella  parte  in cui prevede come obbligatorio l'arresto
per  il  reato  di  cui  al  comma  5-ter  appare  non manifestamente
infondata  e  rilevante  e  va sollevata d'ufficio per le ragioni che
seguono,   con   riferimento   ai  parametri  costituzionali  di  cui
all'art. 3  Cost.; i reati contravvenzionali previsti dagli art. 13 e
14  rivestono  quanto meno pari gravita'; infatti sono sanzionati con
la  medesima pena edittale, prevedono identiche conseguenze sul piano
amministrativo  (nuova espulsione con accompagnamento alla frontiera)
e  penale  (lo  straniero  che,  dopo  essere stato denunciato per la
contravvenzione,  viene  nuovamente  colto nel territorio dello Stato
commette  un  delitto punito con la reclusione da 1 a 4 anni) in caso
di reiterazione della condotta;
      in  realta',  a  ben vedere, la condotta descritta all'art. 14,
comma  5-ter appare meno grave di quella di cui all'art. 13 comma 13;
in quest'ultimo caso lo straniero che, dopo essere stato accompagnato
coattivamente   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica  e
fisicamente  espulso  dal territorio dello Stato, vi rientra, pone in
essere  una  condotta  attiva  di trasgressione non solo ad un ordine
legalmente  dato  ma  anche ad attivita' che hanno impegnato lo Stato
con  risorse umane e materiali, e ha quindi mostrato un atteggiamento
volitivo  particolarmente  forte; la condotta di cui all'ari 14 comma
5ter  e'  invece  meramente  omissiva,  nel  senso  che  lo straniero
«intimato»  si  limita  a  non adempiere l'ordine e a non presentarsi
alla frontiera nel termine indicato, atteggiamento che e' compatibile
anche con la semplice colpa;
      se  e'  dunque  corretto ritenere che la contravvenzione di cui
all'art.  14  comma  5-ter  e'  di gravita' pari o addirittura minore
rispetto  a  quella  di  cui  all'art.  13  comma 13 non vi e' alcuna
ragione  che giustifichi la previsione di un arresto obbligatorio nel
primo  caso  e  facoltativo  nel  secondo; ma v'e' di piu', l'art. 13
comma  13-ter  prevede  come  facoltativo  l'arresto anche in caso di
commissione  di uno dei delitti previsti dal precedente comma 13-bis;
e  fra  essi, oltre a quello dello straniero che, gia' denunciato per
la  contravvenzione di cui al comma 13 e nuovamente espulso con nuovo
accompagnamento  alla  frontiera,  sia rientrato nel territorio dello
Stato,  vi e' anche quello di violazione dell'espulsione disposta dal
giudice;  orbene,  tale  espulsione ai sensi dell'art. 16 del decreto
puo'  essere  disposta  con la sentenza, come sanzione sostitutiva di
condanna  per reato non colposo ad una pena detentiva entro il limite
di  due  anni,  e  quindi  anche  in  relazione  a soggetti che hanno
dimostrato  gia',  in  concreto,  di  essere pericolosi, tenuto conto
dell'entita' della condanna loro inflitta; non vi e' alcun dubbio che
tali  soggetti  debbano  essere  ritenuti  piu'  pericolosi e il loro
reingresso  nel  territorio  dello Stato piu' allarmante del semplice
permanere  di  uno  straniero la cui unica «colpa» e' quella di avere
trasgredito  ad  un  ordine  del  questore che gli intimava di uscire
dallo Stato entro 5 giorni;
      sembra  pertanto  indiscutibile che nel sistema degli art. 13 e
14  il  legislatore  abbia  trattato  in  maniera difforme situazioni
quanto   meno   uguali  (prevedendo  l'arresto  obbligatorio  per  la
contravvenzione  di cui all'art. 14, comma 5-ter e quello facoltativo
per  la  contravvenzione  di cui all'art. 13, comma 13 e maniera piu'
grave  reati  di  minore gravita' (la contravvenzione di cui all'art.
14, comma 5-ter rispetto ai delitti di cui all'art. 13 comma 13-bis);
      peraltro   l'arresto   obbligatorio   e'   istituto  riservato,
nell'attuale  ordinamento,  solo  ai  delitti  e  fra  essi  a quelli
particolarmente   gravi   indicati   nell'art. 380   c.p.p.;  nessuna
contravvenzione  prevede  l'arresto  obbligatorio  e solo una (art. 6
decreto  legislativo  n. 122/1993 convertito in legge n. 205/1993) lo
consente  come  facolta';  anche  in tale ultima ipotesi, inoltre, la
condotta  che viene sanzionata in via preprocessuale con l'arresto in
flagranza  appare  di  notevole  pericolosita'  sociale  (porto nelle
pubbliche  riunioni  di armi o strumenti atti ad offendere e porto di
armi  o  strumenti  atti  ad  offendere per ragioni di odio razziale,
etnico,   ecc.)  in  confronto  alla  condotta  di  chi  contravviene
all'obbligo  del questore di lasciare il territorio dello Stato entro
5 giorni;
      ne'   la   disparita'  di  trattamento  sembra  trovare  alcuna
giustificazione di natura processuale o di politica criminale;
      infatti   da   un  lato,  poiche'  nel  nostro  ordinamento  e'
consentito  procedere  nella  contumacia  dell'imputato,  non  appare
necessario  garantirne  fisicamente la presenza di fronte al giudice,
ne'  l'obbligatorieta'  dell'arresto  e' necessariamente collegata al
rito  processuale  adottabile (rito direttissimo), giacche' lo stesso
decreto   legislativo   n. 286/1998   prevede  il  rito  direttissimo
obbligatorio  anche  per  i  reati  di cui all'art. 13 commi 13-bis e
13-ter,  per  i quali - come detto - l'arresto e' facoltativo, in tal
modo  introducendo  una  deroga  al  generale  principio  secondo cui
l'adozione   del   rito   direttissimo   e'   generalmente  collegata
all'arresto (peraltro gia' il comma 5 dell'art. 449 c.p.p prevede una
ipotesi  diversa  di  rito  direttissimo,  collegato alla confessione
dell'imputato  e non all'avvenuto arresto; analogamente l'art. 12-bis
decreto-legge   n. 816/1992   n. 302   stabilisce  che  per  i  reati
concernenti  le armi e gli esplosivi il pubblico ministero procede al
giudizio  direttissimo anche fuori dei casi previsti dagli art. 449 e
558 c.p.p.);
      per  quanto concerne le eventuali ragioni di politica criminale
perseguite  dal  legislatore,  va rammentato che la ratio della norma
incriminatrice  e'  quella  di  sanzionare  un  soggetto  che  si  e'
sottratto  all'esecuzione  volontaria  di  un  ordine dell'autorita',
ordine  che  e'  stato  emanato  perche'  egli si trova bensi' in una
condizione soggettiva particolare (senza documenti di identificazione
e  dunque  non  passibile  di  espulsione coatta verso un determinato
stato) ma in se' non illecita, non integrando alcuna ipotesi di reato
l'essere clandestino e non identificato; inoltre, scegliendo il reato
di   natura  contravvenzionale  (del  resto  conformemente  ad  altre
fattispecie  analoghe;  v. art. 650 c.p. e art. 2 legge n. 1423/1956)
lo stesso legislatore ha qualificato la condotta in termini di minore
gravita',  rendendo  anche impossibile l'adozione di qualunque misura
cautelare;  e'  ben  vero  che  nella  sfera  della  discrezionalita'
legislativa  rientrano  le  scelte  sulla  qualita' e quantita' delle
sanzioni e sui presupposti di applicabilita' delle misure cautelari e
precautelari, ma e' altrettanto vero che l'uso della discrezionalita'
legislativa puo' essere censurato sotto il profilo della legittimita'
costituzionale  nei  casi  in  cui non sia stato rispettato il limite
della   ragionevolezza   (cfr.   Sentenze  Corte  cost.  nn. 26/1979,
103/1982,  409/1989, 341/1994; secondo Corte cost. n. 53/1958 «non si
compiono  valutazioni di natura politica e nemmeno si controlla l'uso
del  potere  discrezionale  del  legislatore  se  si  dichiara che il
principio   dell'uguaglianza   e'   violato   quando  il  legislatore
assoggetta  ad  una  indiscriminata  disciplina  situazioni  che esso
stesso considera e dichiara diverse»);
      ne'  puo' dubitarsi che il principio di uguaglianza, nonostante
il  riferimento  letterale  dell'art. 3  cost.  ai «cittadini», debba
ritenersi  esteso  anche  agli  stranieri,  allorche' si tratti della
tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (corte cost. 104/1969);
      nella  fattispecie  concreta  la  questione e' anche rilevante;
infatti  Kalifa  Wisam  e'  stato  privato della liberta' personale a
seguito   di   arresto   obbligatorio,  a  prescindere  da  qualunque
valutazione  di  pericolosita'  personale  (che nella fattispecie non
sussisteva, trattandosi di soggetto privo di pregiudizi rilevanti per
la  violazione  dell'art. 14 comma 5-ter e condotto avanti al giudice
per  la  convalida  dell'arresto  e il giudizio direttissimo ai sensi
dell'art. 558 c.p.p.;
      la  circostanza  che  la  mancata  convalida  dell'arresto  del
prevenuto  nel  termine  previsto  dagli  art. 558 e 391 u.co. c.p.p.
determinera'  la  caducazione  della  misura, non puo' influire sulla
rilevanza   della   questione   di  legittimita',  come  puntualmente
osservato  dalla  Corte  cost. con sentenza n. 54/1993 nella quale si
legge  «il  provvedimento  di  liberazione dell'arrestato era imposto
dalla  disposizione  dell'art. 391  settimo  comma  ultima  parte del
codice  di  rito ...poiche' tale disposizione ricollega la perdita di
efficacia  dell'arresto  alla  carenza,  per qualsiasi ragione, di un
provvedimento  positivo  di  convalida nello stesso termine, e' ovvio
che  1'impossibilita' di rispettarlo conseguente all'elevazione della
questione  comportava  (o  avrebbe  di  li'  a  poco  ineludibilmente
comportato)  l'intervento di tale autonoma causa di carenza di valido
titolo di detenzione, a prescindere dall'esaurimento del procedimento
di   convalida,   che...  era  stato  contestualmente  sospeso.  Tale
procedimento  non  puo'  percio'  ritenersi  esaurito,  ne' di esso i
giudici  si  sono  spogliati:  e  la  sua  persistenza  nonostante la
liberazione  trova  ragione  nell'interesse generale ad una pronuncia
sulla  legittimita'  dell'arresto,  che ha pur sempre determinato una
privazione  della  liberta'.  La  rilevanza  della questione, dunque,
permane,  trattandosi  di  stabilire se la liberazione dell'arrestato
debba considerarsi conseguente all'applicazione dell'art. 391 settimo
comma,  ovvero,  piu'  radicalmente,  alla  caducazione  con  effetto
retroattivo  della disposizione in base alla quale gli arresti furono
eseguiti».
    Sulla  base  delle  considerazioni fin qui svolte la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998  come  modificato dalla legge n. 189/2002, nella parte in
cui  prevede  come  obbligatorio  l'arresto per il reato previsto dal
comma  5-ter,  in  relazione all'art. 3 della costituzione appare non
manifestamente infondata e rilevante.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953:
    Dichiara  non  manifestamente  infondata e rilevante nel presente
giudizio  la  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 14
comma  5-quinquies  d.lgs.  n. 286/1998  come  modificato dalla legge
n. 189/2002 per contrasto con l'art. 3 Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata  al  Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai
Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Bologna, addi' 14 febbraio 2003
                         Il giudice: Zavatti
03C0481