N. 149 SENTENZA 5 - 9 maggio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Rilevanza  della  questione  -  Valutazione del rimettente - Ritenuta
  omissione - Eccezione di inammissibilita' - Rigetto.
- Processo  penale  -  Processo  a  carico  di  imputati  minorenni -
  Sentenza   di   proscioglimento   per   irrilevanza   del  fatto  -
  Possibilita'   di  pronuncia  solo  nell'udienza  preliminare,  nel
  giudizio   immediato   e   nel  giudizio  direttissimo,  e  non  in
  dibattimento   -   Carenza   di   ragionevole   giustificazione  in
  contraddizione  con  l'esigenza  di  una  decisione piu' favorevole
  all'imputato e piu' adeguata alla natura del fatto - Illegittimita'
  costituzionale in parte qua - Assorbimento di altra censura.
- D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, art. 27, comma 4.
- Costituzione, artt. 3 e 31, secondo comma (e art. 25).
(GU n.19 del 14-5-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 27 del d.P.R.
22 settembre   1988,  n. 448  (Approvazione  delle  disposizioni  sul
processo   penale   a   carico   di  imputati  minorenni),  promosso,
nell'ambito di un procedimento penale, dalla Corte d'appello di Roma,
sezione  per  i  minorenni,  con  ordinanza  in  data 16 aprile 2002,
iscritta  al  n. 292  del  registro ordinanze 2002 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 25,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza  del  16 aprile  2002,  la Corte d'appello di
Roma,  sezione  per  i  minorenni,  ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3,  25  e  31  della  Costituzione,  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art. 27  del  d.P.R.  22 settembre  1988, n. 448
(Approvazione  delle  disposizioni  sul  processo  penale a carico di
imputati  minorenni),  nella parte in cui non prevede che la sentenza
di  non  luogo  a  procedere  per  irrilevanza del fatto possa essere
pronunciata anche in dibattimento.
    La Corte d'appello premette:
        che procede, a seguito di impugnazione proposta dal difensore
di  un  imputato  minorenne,  contumace,  che  era stato sorpreso, in
compagnia  di  altri  ragazzi e di due maggiorenni, mentre tentava di
asportare benzina dal serbatoio di alcune vetture lasciate in sosta;
        che  l'imputato  era  stato  rinviato  a giudizio dal giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale per i minorenni di Roma, in
quanto  la  sua  assenza  non  consentiva la definizione del processo
nell'udienza preliminare;
        che  all'esito del dibattimento il Tribunale per i minorenni,
rilevato  che  in  quella  sede  non  poteva  piu' essere pronunciata
sentenza  di  non luogo a procedere per irrilevanza del fatto a norma
dell'art. 27  del  d.P.R.  n. 448  del  1988,  concedeva al minore il
perdono giudiziale;
        che  avverso tale sentenza l'imputato aveva proposto appello,
chiedendo   di   venire   prosciolto  per  irrilevanza  del  fatto  e
sollevando,  in subordine, eccezione di illegittimita' costituzionale
ove  si  ritenesse  preclusa  l'applicabilita'  di  tale  istituto in
dibattimento;
        che  al  riguardo  la  difesa  aveva sostenuto che, avendo il
proscioglimento  per  irrilevanza  del  fatto  «natura  sostanziale»,
l'esclusione  della sua applicazione in sede dibattimentale non trova
alcuna  razionale  giustificazione,  e  che  tale preclusione si pone
inoltre  in contrasto con l'art. 31 Cost., in quanto, a seguito delle
modifiche  introdotte  nell'art. 32,  comma 1,  del d.P.R. n. 448 del
1988  dal  decreto-legge 7 gennaio 2000, n. 7, convertito nella legge
25 febbraio  2000,  n. 35,  nell'udienza  preliminare l'imputato puo'
essere  prosciolto  per  irrilevanza del fatto solamente se in quella
fase  ha  prestato il suo consenso alla definizione del procedimento,
rimanendo  pertanto  privato della possibilita' di conseguire il piu'
favorevole   proscioglimento   per  irrilevanza  del  fatto  ove  per
qualsiasi ragione non sia presente all'udienza preliminare.
    La  Corte  d'appello rimettente, nell'aderire alle argomentazioni
della  difesa  circa  la  non manifesta infondatezza della questione,
rileva  che,  nonostante  la  natura  sostanziale  della causa di non
punibilita' disciplinata dall'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, ove
la sua sussistenza emerga solo in dibattimento, ovvero l'imputato non
sia  presente  all'udienza  preliminare,  la disciplina censurata non
consente il proscioglimento del minorenne per irrilevanza del fatto.
    Si  determinerebbe  cosi'  un irragionevole trattamento deteriore
del  minorenne  che  non  e'  stato prosciolto in udienza preliminare
soltanto perche' era assente in tale fase, con conseguente violazione
dell'art. 3 Cost.
    Sarebbe  inoltre  violato  l'art. 25 Cost., in quanto al «giudice
del  dibattimento  che  e'  il  giudice  naturale  cui  e'  demandato
l'accertamento  dei  fatti  con  pienezza  di  poteri»  non  verrebbe
attribuito  il  potere  di  prosciogliere  per irrilevanza del fatto,
riconosciuto  invece al «giudice adito in modo eccezionale» a seguito
di giudizio direttissimo o immediato.
    La disciplina censurata sarebbe infine in contrasto con l'art. 31
Cost.:  criticando le argomentazioni espresse dalla giurisprudenza di
legittimita'  che,  nell'escludere l'incostituzionalita' dell'art. 27
del  d.P.R.  n. 448  del  1988, ha ritenuto che un proscioglimento in
forza  di tale norma in dibattimento si porrebbe in contrasto con «la
ratio   sottesa  alla  disciplina,  consistente  nell'educazione  del
minore»,  la Corte rimettente osserva che «una pronuncia di non luogo
a  procedere  ex  art. 27, sia pur collocata in una fase avanzata del
processo,   potrebbe   comunque  spiegare  effetti  positivi  per  il
minorenne  al  quale  verrebbe  [...] evitato l'ulteriore pregiudizio
alle  sue  esigenze  educative conseguente al protrarsi della vicenda
processuale».  L'impossibilita'  di prosciogliere per irrilevanza del
fatto    in    dibattimento    impedirebbe    dunque   di   garantire
«quell'attenzione  e protezione nei confronti della gioventu» imposte
dall'art. 31 Cost.
    2. - E'  intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata inammissibile o,
comunque, infondata.
    Circa  l'inammissibilita', l'Avvocatura dello Stato rileva che la
Corte  d'appello  avrebbe  omesso  ogni  «valutazione della rilevanza
della  questione sollevata nell'ambito del giudizio a quo». Quanto ai
profili  di infondatezza, l'Avvocatura, richiamando la giurisprudenza
della  Corte costituzionale, secondo cui la ratio della norma risiede
nella necessita' di garantire al minore «l'estromissione immediata, o
quantomeno   la  piu'  possibile  sollecita,  dal  circuito  penale»,
sostiene  che l'intervento richiesto dal giudice a quo si porrebbe in
contrasto  con  la  finalita'  della  norma; inoltre, «da un punto di
vista  sostanziale»,  l'istituto del perdono giudiziale, applicato in
primo  grado  nel  giudizio  a  quo,  corrisponderebbe «alle medesime
esigenze  dell'irrilevanza  penale  del  fatto (tenuita' del fatto ed
esclusione di futura recidivanza), si' che non sembra che nel sistema
vi sia alcuna lacuna con riferimento a tale esigenza».

                       Considerato in diritto

    1. - La   Corte  d'appello  di  Roma  dubita  della  legittimita'
costituzionale  dell'art. 27  del  d.P.R.  22 settembre  1988, n. 448
(Approvazione  delle  disposizioni  sul  processo  penale a carico di
imputati  minorenni),  nella parte in cui non prevede che la sentenza
di proscioglimento per irrilevanza del fatto possa essere pronunciata
anche in dibattimento.
    La questione e' sollevata nel procedimento di appello a carico di
un  imputato  minorenne  che  era stato rinviato a giudizio avanti al
tribunale  avendo  il  giudice  dell'udienza preliminare rilevato che
l'assenza  dell'imputato  precludeva  di  pronunciare sentenza di non
luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Il tribunale, preso atto
che  l'art. 27  del  d.P.R.  n. 448  del  1988  non e' applicabile in
dibattimento,   emetteva   sentenza   di   concessione   del  perdono
giudiziale,  avverso  la quale l'imputato proponeva appello chiedendo
di  essere  prosciolto  per  irrilevanza  del  fatto ed eccependo, in
subordine, l'illegittimita' costituzionale del citato art. 27.
    Ad avviso della Corte rimettente, la disciplina censurata si pone
in  contrasto  con  l'art. 3 della Costituzione, in quanto, stante la
natura sostanziale della causa di non punibilita' per irrilevanza del
fatto,  la  preclusione  stabilita dall'art. 27 del d.P.R. n. 448 del
1988  determina un ingiustificato trattamento deteriore dell'imputato
che  non  puo'  essere prosciolto con tale formula per essere rimasto
assente nell'udienza preliminare, ovvero perche' la sussistenza degli
estremi dell'irrilevanza del fatto e' emersa solo in dibattimento.
    Risulterebbe violato anche l'art. 31 Cost., in quanto la sentenza
di  non  luogo  a  procedere  per  irrilevanza  del  fatto,  sia pure
pronunciata  in  una fase avanzata del procedimento, avrebbe comunque
effetti   positivi   per  il  minorenne,  consentendogli  di  evitare
l'ulteriore protrazione della vicenda processuale.
    Il  rimettente evoca inoltre l'art. 25 Cost., che ritiene violato
in  base  al rilievo che al giudice del dibattimento «ordinario», che
e'  il  giudice  naturale  cui e' demandato l'accertamento del fatto,
sarebbe   preclusa   la   possibilita'  di  pronunciare  sentenza  di
proscioglimento  per  irrilevanza  del  fatto,  consentita  invece al
giudice investito del giudizio direttissimo o immediato.
    2. -  Risulta priva di fondamento l'eccezione di inammissibilita'
avanzata  dall'Avvocatura  dello Stato per avere il rimettente omesso
qualsiasi  valutazione circa la rilevanza della questione. Poiche' il
caso  di  specie  concerne un giudizio di appello nel quale la difesa
dell'imputato  ha  chiesto, in riforma della sentenza di primo grado,
il  proscioglimento del minore ex art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988,
la  questione  e'  comunque  rilevante,  in  quanto  da una eventuale
pronuncia  di  accoglimento  discende la possibilita' per la Corte di
appello di entrare nel merito del gravame.
    3. - La questione e' fondata.
    4. - Nell'originaria  formulazione dell'art. 27 del d.P.R. n. 448
del  1988  il proscioglimento dell'imputato minorenne per irrilevanza
del  fatto  era  previsto  solo nel corso delle indagini preliminari.
L'art. 32  del  medesimo testo di legge prevedeva poi che la sentenza
di  non  luogo  a  procedere  per irrilevanza del fatto poteva essere
pronunciata  anche  nell'udienza  preliminare. Dichiarate illegittime
entrambe  le  norme  per eccesso di delega con la sentenza n. 250 del
1991,   l'irrilevanza   del  fatto  venne  reintrodotta  dalla  legge
5 febbraio  1992, n. 123, che, nel riformulare l'art. 27, inseri' nel
comma 4  la  previsione  che la sentenza con tale formula puo' essere
pronunciata  anche  nell'udienza  preliminare,  nonche'  nel giudizio
direttissimo  e  nel giudizio immediato. La medesima legge provvedeva
inoltre  a  ripristinare,  con  alcune  modifiche  formali,  il testo
originario dell'art. 32, comma 1, del d.P.R. n. 448 del 1988.
    Sia  la  normativa  transitoria  del  d.P.R. n. 448 del 1988, sia
quella  prevista  in  occasione  dell'entrata  in  vigore della legge
n. 123  del 1992, estendevano la possibilita' di pronunciare sentenza
di  proscioglimento  per  irrilevanza del fatto in ogni stato e grado
nell'ambito  dei  procedimenti  pendenti  all'entrata  in  vigore dei
rispettivi testi di legge.
    L'iter  legislativo  della  disciplina  del  proscioglimento  per
irrilevanza  del  fatto risulta dunque caratterizzato dall'originaria
volonta'    del    legislatore    di   circoscrivere   l'operativita'
dell'istituto  alle  fasi  delle  indagini preliminari e dell'udienza
preliminare,  poi  estesa  dalla  legge  n. 123 del 1992, mediante la
previsione  del comma 4 dell'art. 27 del d.P.R. n. 448 del 1988, alle
ipotesi  del  giudizio  direttissimo  e del giudizio immediato, cioe'
alle situazioni in cui nel procedimento minorile l'imputato, dopo che
nei  suoi  confronti e' stata esercitata l'azione penale, ha il primo
contatto   con   il  giudice.  Tale  volonta'  trova  conferma  nella
disciplina   transitoria,  cui  sopra  si  e'  fatto  cenno,  che  ha
eccezionalmente  previsto  la possibilita' di pronunciare sentenza di
proscioglimento  per  irrilevanza del fatto in ogni stato e grado del
procedimento.
    Da  ultimo,  l'art. 22  della  legge  1° marzo 2001, n. 63 (a sua
volta  anticipato  dall'art. 1,  comma 5, del decreto-legge 7 gennaio
2000,  n. 2,  convertito  con  modificazioni  nella legge 25 febbraio
2000,  n. 35),  sostituendo integralmente il comma 1 dell'art. 32 del
d.P.R. n. 448 del 1988, ha subordinato, per quanto rileva ai fini del
presente   giudizio,  la  pronuncia  nell'udienza  preliminare  della
sentenza  di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto (nonche'
nei casi previsti dall'art. 425 cod. proc. pen. e per concessione del
perdono  giudiziale)  al consenso dell'imputato a che il processo sia
definito  in  quella  fase.  Il nuovo testo dell'art. 32, comma 1, e'
stato  dichiarato  costituzionalmente illegittimo da questa Corte con
sentenza  n. 195  del  2002,  nella  parte  in  cui,  in mancanza del
consenso  dell'imputato,  preclude  al  giudice  di  pronunciare  una
sentenza  di non luogo a procedere che non presuppone un accertamento
di responsabilita'.
    5. - Come   emerge   anche   dai  cenni  al  proscioglimento  per
irrilevanza   del   fatto   contenuti  nella  relazione  al  progetto
preliminare  delle  disposizioni  sul  processo  penale  a  carico di
imputati  minorenni,  il  legislatore  delegato,  in  attuazione  del
criterio    generale    enunciato   nell'alinea   dell'art. 3   della
legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, ha ritenuto corrispondente alle
esigenze  dell'educazione del minore una disciplina che privilegiasse
la  sua  rapida  fuoruscita dal processo, non oltre il primo contatto
con  il  giudice  successivo all'esercizio dell'azione penale. Questa
impostazione  e' stata sostanzialmente confermata dal legislatore del
1992,  che,  nel  reintrodurre  la  disposizione  che preclude in via
generale  di  fare  applicazione  dell'istituto  in  dibattimento, ha
previsto  quali  uniche  eccezioni  il  giudizio  direttissimo  e  il
giudizio  immediato,  ipotesi  caratterizzate entrambe dalla mancanza
dell'udienza preliminare.
    La  scelta  cosi' operata sembra peraltro porsi in contraddizione
con la peculiare natura del proscioglimento per irrilevanza del fatto
e  con  la  funzione  di  favore svolta da tale pronuncia rispetto ad
altre formule di proscioglimento tipiche del procedimento minorile.
    In primo luogo, i presupposti sostanziali dell'istituto (tenuita'
del  fatto  e  occasionalita' del comportamento), variamente definito
come  causa  oggettiva di esclusione della pena o causa di esclusione
della punibilita' (v. in particolare la sentenza n. 250 del 1991, ove
l'irrilevanza del fatto, di cui e' affermata la pertinenza al diritto
sostanziale,   e'  qualificata  come  causa  di  non  punibilita),  e
l'esigenza  di assicurarne le piu' ampie possibilita' di accertamento
rendono  priva  di  ragionevole giustificazione una disciplina che ne
limita l'operativita' alle fasi iniziali del procedimento.
    D'altro canto, alla luce dell'art. 31, secondo comma, Cost. e dei
principi   enunciati   nelle   Convenzioni,   nelle  Regole  e  nelle
Raccomandazioni  internazionali  in materia, a cui questa Corte si e'
ripetutamente  richiamata (tra le tante, v. sentenze n. 195 del 2002,
n. 433 del 1997, n. 250 del 1991), la tutela del preminente interesse
del  minore  non puo' essere fatta meccanicisticamente coincidere con
la  sua  immediata  fuoruscita  dal  procedimento,  ma  richiede  che
l'estromissione  «la  piu' possibile sollecita» (cfr. sentenza n. 250
del  1991)  dal  circuito  processuale  non  sacrifichi l'esigenza di
«garantire al minore le piu' complete opportunita' difensive connesse
alla  formazione  della  prova in dibattimento» (cfr. sentenza n. 195
del 2002, che a sua volta richiama la sentenza n. 77 del 1993).
    L'obiettivo  di  una rapida fuoruscita del minorenne dal circuito
processuale  non  esclude cioe' che debba comunque essere adottata la
decisione  a  lui  piu'  favorevole,  ponendolo  nelle  condizioni di
ottenere,   ove   ne   sussistano   i   presupposti,  la  formula  di
proscioglimento  piu'  adeguata alla natura del fatto contestato e ai
profili soggettivi del suo comportamento.
    La  disciplina censurata non contempera tali esigenze, posto che,
se  gli  elementi  di  fatto  e le circostanze idonei a dimostrare la
tenuita' del fatto e l'occasionalita' del comportamento emergono solo
in  dibattimento,  o  se  l'imputato  non  ha  potuto beneficiare del
proscioglimento  per  irrilevanza del fatto nell'udienza preliminare,
l'unica  alternativa  alla  pronuncia di una sentenza di condanna e',
come emblematicamente dimostrato dalla vicenda oggetto del giudizio a
quo,  il  proscioglimento  dibattimentale per concessione del perdono
giudiziale.   Ma   tale  esito,  che  presuppone  un'affermazione  di
colpevolezza,  realizza  un livello di tutela dell'imputato minorenne
certamente inferiore rispetto a quello assicurato dal proscioglimento
per  irrilevanza  del  fatto, i cui effetti processuali e sostanziali
sono di gran lunga piu' favorevoli.
    Deve  quindi  essere  dichiarata, per contrasto con gli artt. 3 e
31,    secondo    comma,   Cost.,   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 27, comma 4, del d.P.R. n. 448 del 1988, nella parte in cui
prevede  che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto
possa  essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio
immediato e nel giudizio direttissimo.
    Rimangono  cosi'  assorbite le censure prospettate dal rimettente
in riferimento all'art. 25 Cost.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 27, comma 4,
del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni
sul  processo  penale a carico di imputati minorenni), nella parte in
cui  prevede  che  la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del
fatto  possa  essere  pronunciata  solo nell'udienza preliminare, nel
giudizio immediato e nel giudizio direttissimo.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 maggio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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