N. 151 ORDINANZA 5 - 9 maggio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Misure  cautelari  -  Provvedimenti  «a  catena»
  restrittivi  della  liberta'  personale - Decorrenza dei termini di
  custodia   -   Questione   sollevata  dal  giudice  di  rinvio  per
  contrastare   il   principio   di  diritto  affermato  in  fase  di
  legittimita'  -  Carenza di motivazione sulla rilevanza - Manifesta
  inammissibilita' della questione.
- Cod. proc. pen., art. 297, comma 3.
- Costituzione, art. 13, quinto comma.
(GU n.19 del 14-5-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 297, comma 3,
del  codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 21 agosto
2001  dal  Tribunale  di  Napoli, VIII sezione penale, in funzione di
giudice del riesame e quale giudice di rinvio, iscritta al n. 152 del
registro  ordinanze  2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2002 e del 26 marzo
2003 il giudice relatore Carlo Mezzanotte.
    Ritenuto  che  con ordinanza in data 21 agosto 2001, il Tribunale
di  Napoli, VIII sezione penale - chiamato a decidere, in funzione di
giudice  del  riesame e quale giudice di rinvio, sull'appello avverso
un'ordinanza  del  giudice  per le indagini preliminari, con la quale
era  stata  rigettata l'istanza di dichiarazione di inefficacia della
misura  cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di
un  imputato, ha sollevato, in riferimento all'art. 13, quinto comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 297,  comma 3,  del codice di procedura penale, nella parte
in cui non prevede che la disposizione in esso contenuta «si applichi
anche  a  fatti  diversi,  in  connessione  non  qualificata ai sensi
dell'art. 12,  comma 1,  lettere b) e c), cod. proc. pen., oggetto di
ordinanze  emesse  in tempi diversi, sempre che di essi si accerti in
modo  incontestabile  la  sussistenza,  a disposizione dell'autorita'
giudiziaria,  di  idonei  indizi  di  colpevolezza  gia'  al  momento
dell'emissione del primo provvedimento cautelare»;
        che  il  remittente  riferisce  di avere pronunciato, in data
10 ottobre  2000, ordinanza con la quale, in accoglimento del gravame
proposto  dall'imputato,  aveva dichiarato l'inefficacia della misura
custodiale sul presupposto che tale misura, disposta per associazione
camorristica  e concorso in omicidio, era intervenuta successivamente
ad  altra, applicata per un diverso delitto di omicidio, in relazione
al  quale  il  pubblico  ministero  era  in  possesso  degli elementi
sufficienti  alla  contestazione  dei fatti gia' prima dell'emissione
della  precedente ordinanza cautelare, e che non fosse necessaria, ai
fini  dell'applicabilita' dell'art. 297, comma 3, cod. proc. pen., la
sussistenza  del  nesso  teleologico  di  cui  all'art. 12,  comma 1,
lettere b)  e  c),  limitatamente  ai reati commessi per eseguire gli
altri,  richiamando  il  prevalente indirizzo della giurisprudenza di
legittimita';
        che,   riferisce   ancora   il  remittente,  l'ordinanza  del
10 ottobre  2000  era stata annullata con sentenza in data 2 febbraio
2001  dalla  Corte  di  cassazione, sezione quinta penale, con rinvio
allo stesso Tribunale di Napoli per nuovo esame;
        che nella citata sentenza, ricorda il remittente, la Corte di
cassazione  aveva  affermato il principio secondo il quale il divieto
delle contestazioni a catena opera allorquando sia stata disposta con
piu'  ordinanze  la  medesima  misura  cautelare  per  fatti  diversi
commessi  anteriormente  alla emissione della prima ordinanza, sempre
che   in  relazione  a  tali  fatti  sussista  connessione  ai  sensi
dell'art. 12,   comma 1,   lettere b)   e   c),   cod.   proc.  pen.,
limitatamente  ai  casi  di  reati  commessi per eseguire gli altri e
sempre  che si tratti di fatti desumibili dagli atti del procedimento
prima  del  rinvio  a  giudizio  disposto  per  il fatto con il quale
sussiste connessione;
        che,  prosegue il giudice a quo, la Corte di cassazione aveva
altresi'  riscontrato  difetto  di motivazione per avere il Tribunale
omesso  di  indicare  sulla base di quali concreti elementi era stato
raggiunto  il  convincimento che l'attivita' di intercettazione fosse
tale  da  integrare  la  sussistenza  di  elementi  indizianti gravi,
precisi  e concordanti in ordine ai fatti tutti oggetto della seconda
ordinanza  di  custodia cautelare, ivi compresa la individuazione dei
partecipi ad un clan camorristico;
        che,  quanto  al  difetto di motivazione, il remittente, dopo
ampia  esposizione,  conclude nel senso che deve ritenersi accertato,
in  punto  di  fatto, che tutti gli elementi posti a fondamento della
richiesta  di  applicazione della misura cautelare in ordine ai reati
oggetto  della  seconda  ordinanza  (quella in data 16 febbraio 2000)
fossero   gia'   in   possesso   del   pubblico   ministero  all'atto
dell'adozione della prima ordinanza cautelare;
        che,  quanto  al  punto  di  diritto enunciato dalla Corte di
cassazione,  il remittente rileva che, nell'affermare, nell'ordinanza
annullata,  il  principio opposto, si era uniformato alla consolidata
giurisprudenza  di  legittimita', in base alla quale la disciplina di
cui  all'art. 297,  comma 3,  cod.  proc. pen. e' applicabile anche a
fatti  diversi, in connessione non qualificata ai sensi dell'art. 12,
comma 1,  lettere b) e c), dello stesso codice, sempre che di essi si
accerti   in  modo  incontestabile  la  sussistenza,  a  disposizione
dell'autorita'  giudiziaria, di idonei indizi di colpevolezza gia' al
momento dell'emissione del primo provvedimento cautelare;
        che,  osserva  ancora  il  giudice a quo, il tenore letterale
dell'originaria  formulazione dell'art. 297, comma 3, cod. proc. pen.
(«se  nei  confronti  di  un  imputato sono emesse piu' ordinanze che
dispongono   la   medesima  misura  per  uno  stesso  fatto,  benche'
diversamente  circostanziato  o  qualificato, i termini decorrono dal
giorno  in  cui  e'  stata  eseguita  o notificata la prima ordinanza
[...]»)   non   aveva   impedito   alla   giurisprudenza,  una  volta
identificato  il  contenuto  della norma nel divieto delle cosiddette
contestazioni a catena, di estenderne la portata anche all'ipotesi di
piu'  ordinanze  concernenti  fatti  diversi  anteriormente commessi,
legati  o  meno  dal  vincolo  della  connessione, dal momento che la
colpevole  inerzia dell'autorita' giudiziaria nella contestazione dei
fatti   oggetto   della   seconda   ordinanza   non  poteva  incidere
negativamente  sul  diritto  dell'imputato di ottenere la liberazione
allo scadere del termine di custodia fissato dalla legge;
        che nell'ordinanza di rimessione si rileva che l'applicazione
del  principio  di diritto enunciato dalla sentenza rescindente della
Corte  di  cassazione  (che  limita  ai soli casi di reati legati dal
vincolo  di connessione qualificata l'applicabilita' della disciplina
dell'art. 297,  comma 3,  cod. proc. pen., pur nell'ipotesi che anche
per  essi l'autorita' giudiziaria disponesse degli elementi necessari
e   sufficienti   per   procedere   alla   contestazione  gia'  prima
dell'emissione   del  primo  provvedimento  restrittivo),  impone  al
giudice  di rinvio, obbligato a rispettarlo, un'interpretazione della
disposizione in contrasto con l'art. 13 della Costituzione, in quanto
lascerebbe  il  pubblico  ministero,  gia' in possesso degli elementi
sufficienti  alla  contestazione  di  reati non legati da connessione
qualificata  con  quello  oggetto  della  prima ordinanza, arbitro di
procrastinare  la  contestazione, cosi' prolungando a sua discrezione
il termine di custodia, certo ed invalicabile, stabilito dalla legge;
        che  in  questa situazione, l'unico rimedio per il giudice di
rinvio   sarebbe   quello  di  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionale della disposizione risultante dal principio di diritto
enunciato dalla Corte di cassazione;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,   il  quale,  riportandosi  alle  conclusioni  rassegnate  nel
giudizio,  di  oggetto  analogo,  concluso con la sentenza n. 453 del
1997, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile;
        che  a  parere  della  difesa  dello  Stato,  la disposizione
censurata  deve  essere  interpretata  in  conformita' alla sua ratio
ispiratrice, che consiste nell'intento di evitare le «contestazioni a
catena»;
        che   tale   ratio   dovrebbe   portare  a  ritenere  che  la
disposizione  censurata  non  possa  trovare  applicazione  quando si
tratti  del computo di termini di fase aventi decorrenza unitaria, in
rapporto  ai  quali resta evidentemente esclusa la possibilita' di un
artificioso allungamento come conseguenza della successione temporale
dei provvedimenti coercitivi.
    Considerato  che il Tribunale di Napoli ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale,  per  contrasto  con  l'art. 13, quinto
comma,  della  Costituzione,  dell'art. 297,  comma 3,  del codice di
procedura  penale, nella parte in cui non prevede che, per le ipotesi
di  provvedimenti  cautelari  «a  catena»  restrittivi della liberta'
personale,  i  termini di custodia, commisurati alla piu' grave delle
contestazioni,  decorrano  dal  giorno  in  cui  e'  stata eseguita o
notificata  la  prima  ordinanza anche nei casi in cui i fatti che ne
costituiscono  il  fondamento  e quelli posti a base della successiva
misura siano tra loro in rapporto di connessione non qualificata (non
siano  stati  cioe'  commessi  in  esecuzione  di un medesimo disegno
criminoso,  o  per eseguire altri reati), sempre che di questi ultimi
fatti   si   accerti   in   modo  incontestabile  la  sussistenza,  a
disposizione    dell'autorita'    giudiziaria,    gia'   al   momento
dell'emissione del primo provvedimento cautelare;
        che  il  medesimo  giudice  a quo si dichiara consapevole del
fatto  che  l'interpretazione,  testuale e restrittiva, fatta propria
dall'ordinanza   di   rimessione,  non  costituisce  affatto  diritto
vivente,  poiche' e' contrastata da numerose pronunce di legittimita'
le  quali,  in  relazione  alle  misure  cautelari  «a catena», hanno
affermato  la retrodatazione del termine di decorrenza della custodia
cautelare  al  primo  provvedimento  restrittivo  in  ogni ipotesi di
connessione  tra  i  reati contestati, e quindi anche al di la' delle
fattispecie   di   connessione  teleologica  a  cui  la  disposizione
censurata    sembrerebbe    circoscriverla   mediante   il   richiamo
all'«art. 12,  comma 1,  lettere b)  e  c),  limitatamente ai casi di
reati commessi per eseguirne altri»;
        che,  sebbene  la disposizione fosse in astratto suscettibile
di  interpretazione  costituzionalmente conforme, il remittente si e'
indotto  a  sollevare  questione  di legittimita' costituzionale onde
sottrarsi  al  principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione
al quale era vincolato come giudice di rinvio;
        che  tuttavia, nelle ipotesi in cui i principi costituzionali
vengano  invocati  dal giudice di rinvio per contrastare il principio
di   diritto   affermato   in   fase   di  legittimita'  ed  evitarne
l'applicazione,  la  motivazione della rilevanza della questione deve
essere particolarmente rigorosa;
        che  la  Corte  di  cassazione,  nell'enunciare  il  punto di
diritto  di  cui  si discorre, ha rilevato che il Tribunale di Napoli
risultava   essersi   limitato   a   recepire   la   tesi   difensiva
dell'inserimento  di  tutti  i  fatti delittuosi nell'ambito di lotte
camorristiche, senza indicare alcun concreto elemento che comprovasse
la  sussistenza  del  nesso teleologico tra i delitti in relazione ai
quali  era  stato  emesso il primo provvedimento restrittivo e quelli
che avevano formato oggetto del secondo;
        che,  piu'  precisamente,  la  Corte  di  legittimita'  aveva
censurato la pronuncia di merito sotto l'ulteriore profilo che questa
avesse omesso di indagare il rapporto esistente tra i primi delitti e
quelli  oggetto  della  seconda  contestazione,  e  in particolare la
fattispecie associativa;
        che, su tale specifico punto, l'ordinanza di rimessione si e'
limitata  ad  affermare,  senza motivarla, la reciproca autonomia dei
delitti  di omicidio oggetto della prima e della seconda ordinanza di
custodia   cautelare,   soggiungendo   che   la   giurisprudenza   di
legittimita'    sarebbe   pressoche'   concorde   nell'escludere   la
configurabilita'  del  vincolo  della  connessione qualificata tra il
delitto associativo e i delitti compiuti dagli associati;
        che con quest'ultima affermazione il remittente si sottrae al
dictum  della  Cassazione, che, censurando la mancanza di motivazione
sul  punto,  aveva  invece  mostrato inequivocamente di orientarsi in
senso   difforme   dalla   giurisprudenza  citata  dall'ordinanza  di
rimessione;
        che  poiche', secondo l'interpretazione resa nella specie dal
supremo   collegio,   il  divieto  di  contestazioni  «a  catena»  e'
indubbiamente  operante  nel  caso  di  reati  legati  dal vincolo di
connessione  qualificata, per dimostrare il carattere concreto di una
questione  di  legittimita' costituzionale tendente ad estendere tale
divieto  alle  ipotesi  di  unicita' della fonte probatoria (nel caso
esaminato,  le  intercettazioni  ambientali),  il  remittente avrebbe
dovuto  esporre  le  ragioni per le quali, tra il delitto di omicidio
oggetto  della  prima  ordinanza  cautelare e i delitti di omicidio e
associazione  per  delinquere, oggetto della seconda, non sussistesse
alcun   rapporto   di  connessione  qualificata,  cosi'  da  rendersi
necessaria,   per   conferire   effettivita'   ai  principi  espressi
dall'art. 13  della  Costituzione,  una  sentenza  di accoglimento di
questa Corte;
        che    pertanto   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile per motivazione carente sulla rilevanza.
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 297,  comma 3,  del codice di
procedura  penale,  sollevata,  in  riferimento  all'art. 13,  quinto
comma,  della  Costituzione, dal Tribunale di Napoli, con l'ordinanza
indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 maggio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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