N. 161 ORDINANZA 5 - 9 maggio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Esecuzione   forzata   -   Espropriazione   mobiliare  -  Domanda  di
  assegnazione  del compendio pignorato - Assunta proponibilita' solo
  prima  del  secondo  incanto  -  Prospettato irragionevole ostacolo
  all'esercizio  dell'azione  da parte del creditore, con lesione dei
  principi  di  protezione  del  diritto  al  lavoro  del creditore -
  Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. civ., art. 538, secondo comma.
- Costituzione, artt. 4, 24 e 35.
(GU n.19 del 14-5-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 538, secondo
comma,  del  codice  di  procedura civile, promosso con ordinanza del
16 gennaio  1997  dal  pretore  di  Lanciano,  sezione  distaccata di
Atessa,  nel  procedimento  civile vertente tra la Cooperativa Vallon
Gran  e  la  Fancon  S.p.a., iscritta al n. 73 del registro ordinanze
2002  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, 1ª
serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che  nel corso di una procedura di esecuzione mobiliare
il  pretore  di  Lanciano,  sezione  distaccata di Atessa, in sede di
opposizione  agli  atti  esecutivi,  con  ordinanza  16 gennaio  1997
(pervenuta  alla  Corte il 28 gennaio 2002) ha sollevato questione di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  agli artt. 4, 24 e 35
della  Costituzione,  dell'art. 538,  secondo  comma,  del  codice di
procedura civile;
        che  riferisce  il  remittente, esperito vanamente il secondo
tentativo   di   vendita   del   compendio  pignorato  a  seguito  di
espropriazione mobiliare, il creditore ha chiesto, alla prima udienza
successiva, l'assegnazione dei beni esecutati; a tale richiesta si e'
opposto  il  debitore,  eccependone  la tardivita' e sollecitando una
declaratoria di estinzione del processo esecutivo;
        che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, ammettendo
che  la  domanda  di  assegnazione  sia avanzata dal creditore tra il
primo ed il secondo tentativo di vendita, implicitamente escluderebbe
che  la  medesima  possa  essere  proposta  una  volta che il secondo
incanto  si sia svolto con esito negativo; tale limite temporale, che
discenderebbe  dall'unica  lettura  possibile  dell'art. 538, secondo
comma,  cod.  proc.  civ.,  apparirebbe peraltro in contrasto con gli
invocati   parametri   costituzionali,   primo   fra   tutti   quello
dell'art. 24;  ed  infatti,  pur  essendo  il  legislatore certamente
libero  di  dare  attuazione  al  diritto  di  difesa  con  modalita'
differenti  nei  vari procedimenti, nel caso di specie la limitazione
si   risolverebbe   in   un   irragionevole   ostacolo  all'esercizio
dell'azione da parte del creditore procedente; limitazione tanto meno
comprensibile  ove  si  pensi  che,  esperito  vanamente  il  secondo
incanto, le parti debbono comparire ad una successiva udienza davanti
al  giudice  dell'esecuzione,  sicche'  non sussiste alcun «interesse
secondario» al contenimento dei tempi della procedura;
        che  secondo  l'ordinanza  del  pretore  di Lanciano la norma
impugnata,  inoltre,  confliggerebbe anche con gli artt. 4 e 35 della
Costituzione  perche', «sacrificando oltre ogni ragionevole limite il
potere  di  utilizzare  per il soddisfacimento dei diritti l'istituto
dell'assegnazione», offende i principi costituzionali di protezione e
tutela del diritto al lavoro del creditore;
        che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la questione venga dichiarata inammissibile o
infondata;
        che,  secondo  la  difesa  erariale,  la  lettura della norma
impugnata,  dalla  quale  il  remittente  fa  derivare  il  dubbio di
legittimita'   costituzionale,   non   e'   l'unica   ragionevolmente
possibile;  l'art. 538,  secondo comma, cod. proc. civ., infatti, non
prevederebbe  espressamente  nulla  per  l'ipotesi  in cui il secondo
incanto vada deserto, sicche' la decadenza dalla facolta' di chiedere
l'assegnazione   dei  beni  non  potrebbe,  in  assenza  di  espressa
previsione  di  legge,  essere desunta in via interpretativa; d'altra
parte,  sarebbe  illogico  ritenere  che il creditore sia costretto a
chiedere  l'assegnazione  esclusivamente  prima dello svolgimento del
secondo  incanto,  perche'  egli  potrebbe  trovare  piu' conveniente
proporre tale domanda dopo l'esito di quest'ultimo;
        che  secondo  il  Presidente  del  Consiglio  dei ministri la
questione  proposta  avrebbe  dovuto trovare diversa soluzione ove il
giudice  a  quo  avesse  optato per una diversa interpretazione della
norma impugnata.
    Considerato  che  la  questione  posta  dal  pretore  di Lanciano
riguarda   l'art. 538,   cod.  proc.  civ.,  ed  in  particolare,  la
possibilita'  per  il creditore procedente di chiedere l'assegnazione
del  compendio pignorato (si tratta di espropriazione mobiliare) dopo
l'esito negativo del secondo incanto;
        che  il  giudice  a  quo  da' una interpretazione restrittiva
della  norma  impugnata, la quale prevede semplicemente che, se delle
cose  invendute  (nel  primo  incanto)  nessuno  dei creditori chiede
l'assegnazione,  il  giudice dell'esecuzione fissa un nuovo incanto a
prezzo  libero;  e poiche' la domanda di assegnazione viene collocata
tra  il  primo  ed il secondo incanto, secondo il giudice rimettente,
una  volta  fallito  anche  quest'ultimo  incanto,  la  richiesta non
sarebbe piu' proponibile;
        che  l'interpretazione  seguita  dal  giudice  a  quo  non e'
l'unica possibile;
        che, infatti, l'indizione di un secondo incanto - a norma del
vigente  art. 538  del codice di procedura civile - non impedisce ne'
le  successive  domande  di assegnazione, ne' l'indizione di un terzo
incanto,  sulla  base  dell'esigenza  che  la procedura di esecuzione
abbia comunque una sua conclusione di fronte all'assenza di offerte;
        che,  pertanto,  deve  escludersi,  contrariamente  a  quanto
sostenuto   nell'ordinanza   di   rimessione,   l'esistenza   di  una
preclusione  ad  una  istanza di assegnazione dopo il secondo incanto
(di  procedura  mobiliare)  deserto; che la richiesta di assegnazione
rimane  ovviamente  sottoposta  ai  poteri  di controllo da parte del
giudice  in ordine alla valutazione del bene e dell'offerta (art. 506
del  codice  di  procedura  civile)  e  cio' anche successivamente al
secondo  incanto,  essendo rimesso al giudice il potere di fissare un
terzo incanto anche con diverse formalita' di pubblicita'.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 538, secondo comma, del codice
di  procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 4, 24 e 35
della Costituzione, dal pretore di Lanciano, con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2003.
                 Il Presidente e redattore: Chieppa
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 9 maggio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0499