N. 170 ORDINANZA 19 - 23 maggio 2003
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Adozione e affidamento - Adozione ordinaria di persone maggiorenni - Divieto di adozione da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati di eta' minore - Prospettata violazione del principio di razionalita-equita' - Manifesta infondatezza della questione. - Cod. civ., art. 291. - Costituzione, artt. 2, 3 e 30.(GU n.21 del 28-5-2003 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Riccardo CHIEPPA; Giudici: Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido NEPPI MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 291 del codice civile promosso con ordinanza del 28 settembre 2001 dalla Corte d'appello di Milano sul reclamo proposto da Brugola Mario iscritta al n. 52 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2002. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2003 il giudice relatore Francesco Amirante. Ritenuto che, nel corso del procedimento di reclamo avverso un provvedimento del Tribunale di Monza del 28 febbraio 2001 che aveva respinto il ricorso presentato ex art. 291 cod. civ. da M. B. al fine di ottenere l'adozione della figlia legittima maggiorenne della propria attuale moglie, la Corte di appello di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 291 cod. civ., nella parte in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di soggetto che abbia discendenti legittimi o legittimati di eta' minore; che la Corte remittente premette, in fatto, che il reclamante e' padre di una figlia minorenne, nata dal suo attuale matrimonio, che l'adottanda e' da circa venti anni stabilmente inserita nel nucleo familiare costituito per effetto di tale matrimonio e che il padre legittimo dell'adottanda ha manifestato il proprio consenso all'adozione mentre il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del reclamo; che, per quel che riguarda la non manifesta infondatezza della questione, la Corte di appello di Milano, benche' identica questione sia gia' stata respinta da questa Corte, ritiene di riproporla essendo nel frattempo intervenuta la sentenza della Corte di cassazione 14 gennaio 1999, n. 354, la quale, a suo avviso, «ha espressamente affermato che la differenza tra adozione ordinaria e adozione speciale risulta temperata allorche' i figli maggiorenni e minorenni siano fratelli tra di loro e vi sia permanenza dell'adottando nella stessa famiglia, con la conseguenza che la famiglia dell'adottando e' strettamente legata, anzi coincide, con quella dell'adottante» e che il maggiorenne, se non adottato dal nuovo coniuge del proprio genitore, «resterebbe estraneo al medesimo e vivrebbe il disagio sociale della manifesta diversita' di origine, con possibili disarmonie nella formazione psicologica e morale»; che il giudice a quo richiama, quindi, la sentenza di questa Corte n. 557 del 1988 con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 291 cod. civ., nella parte relativa al divieto di adozione di maggiorenne da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati maggiori di eta' e consenzienti, nonche' la sentenza n. 345 del 1992 che, facendo riferimento all'art. 297, secondo comma, ultima parte, cod. civ., ha ammesso la possibilita' di derogare al suddetto divieto anche da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati maggiorenni ma incapaci di esprimere il proprio assenso; che, dopo aver altresi' ricordato le sentenze n. 53 del 1994 e n. 252 del 1996 - che, pronunciandosi su questioni analoghe a quella attualmente sollevata, hanno escluso la derogabilita' del divieto in argomento in presenza di discendenti legittimi o legittimati minorenni dell'adottante anche nel caso di adottando maggiorenne figlio del coniuge dell'adottante e stabilmente inserito nella comunita' familiare cui ha dato vita il matrimonio attualmente in corso - la Corte remittente sottolinea che, essendo tutta la normativa della famiglia, come regolata dal legislatore del 1975 e integrata dagli interventi di questa Corte, finalizzata ad adeguarsi «alla continua evoluzione e alle esigenze della societa' contemporanea, fondata oltre che sulla famiglia istituzionale anche sulle comunita' di vita allargate», appare in contrasto con il principio di razionalita-equita' e con il principio di tutela dell'interesse superiore dell'armonia familiare, costituzionalmente garantiti, non consentire a piu' figli appartenenti al medesimo nucleo familiare ed aventi in comune uno dei genitori di vedersi equiparare la rispettiva posizione giuridica; che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che la disposizione impugnata influisce sulla decisione relativa al reclamo di cui si tratta in quanto essa, nella sua attuale formulazione, ne comporterebbe il rigetto; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per una dichiarazione di manifesta inammissibilita' o, in subordine, di infondatezza della questione, sottolineando l'identita' tra la presente questione e quella dichiarata inammissibile con la sentenza n. 252 del 1996 ed escludendo che, rispetto a tale decisione, possa addursi quale significativo elemento di novita' la sentenza della Corte di cassazione n. 354 del 1999 in quanto essa, oltre a costituire un unicum giurisprudenziale, si e' occupata di una fattispecie del tutto diversa da quella attualmente in esame. Considerato che la Corte di appello di Milano dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 291 cod. civ., «nella parte in cui non prevede che possa aversi adozione di maggiorenne da parte di soggetto che abbia discendenti legittimi o legittimati di eta' minore»; che, in via preliminare, si deve rilevare che, dalla valutazione complessiva dell'atto di promovimento dell'incidente di costituzionalita', si desume che la questione, ancorche' nel dispositivo di tale atto sia formulata nei menzionati termini, nella relativa motivazione e' specificamente riferita all'ipotesi in cui l'adottando sia figlio del coniuge dell'adottante e sia stabilmente inserito nella comunita' familiare, sicche' e' in relazione a quest'ultima ipotesi che va definito il thema decidendum; che, ad avviso della Corte remittente, la mancata possibilita' per piu' figli appartenenti al medesimo nucleo familiare ed aventi in comune uno dei genitori di vedersi riconoscere anche dal punto di vista giuridico quella parita' di cui essi gia' godono sotto il profilo affettivo sarebbe in contrasto con il principio di razionalita-equita' e con il principio di tutela dell'interesse superiore dell'armonia familiare, costituzionalmente garantiti; che il giudice a quo, pur dimostrando di conoscere le sentenze di questa Corte n. 53 del 1994 e n. 252 del 1996, con le quali sono state, rispettivamente, dichiarate l'infondatezza e l'inammissibilita' di analoghe questioni, ritiene tuttavia di sottoporre nuovamente all'attenzione del giudice delle leggi il menzionato art. 291 cod. civ. richiamando, da un lato, le sentenze costituzionali n. 557 del 1988 e n. 345 del 1992 - che hanno consentito di derogare al divieto sancito dalla disposizione impugnata di adozione di maggiorenni da parte di chi abbia figli legittimi o legittimati, rispettivamente, nella ipotesi in cui tali figli siano maggiorenni e consenzienti e in quella in cui essi siano maggiorenni ma incapaci di esprimere il proprio assenso - e dall'altro facendo riferimento alla sentenza della Corte di cassazione 14 gennaio 1999, n. 354; che, come piu' volte affermato da questa Corte, l'adozione di persone maggiori di eta', anche dopo l'entrata in vigore della legge 4 maggio 1983, n. 184, che ha riformato la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, continua ad essere caratterizzata, diversamente dall'adozione dei minorenni, dalla originaria finalita' di «procurare un figlio a chi non lo ha avuto da natura mediante il matrimonio (adoptio in hereditatem)» il che comporta sensibili ricadute in merito ai relativi effetti (v. sentenze n. 89 del 1993, n. 53 del 1994, n. 252 del 1996, n. 240 del 1998, n. 500 del 2000, n. 120 del 2001); che tale situazione e' rimasta inalterata anche dopo l'entrata in vigore della legge 28 marzo 2001, n. 149, la quale, oltre a modificare la citata legge n. 184 del 1983, ha inciso sulla disciplina codicistica dell'adozione di persone maggiori di eta' soltanto per alcuni aspetti processuali; che la suddetta struttura dell'istituto presuppone, fra l'altro, la necessita' che i membri della famiglia legittima dell'adottante (coniuge e figli) siano adeguatamente posti in condizione di valutare le conseguenze che, sia sul piano morale sia sul piano patrimoniale, ha l'adozione di una persona maggiorenne da parte del loro congiunto; che siffatta valutazione e' assicurata dalla prestazione del rispettivo assenso; che tale sistema non e' stato modificato dalle sentenze di questa Corte n. 557 del 1988 e n. 345 del 1992, la seconda delle quali si e' limitata a ritenere applicabile ai figli legittimi o legittimati maggiorenni la norma dettata dall'art. 297, secondo comma, ultima parte, cod. civ., per l'ipotesi di impossibilita' di ottenere l'assenso all'adozione da parte delle persone chiamate ad esprimerlo, a causa della loro incapacita'; che, nel caso ora in esame, si chiede alla Corte un intervento di revisione della suddetta normativa di tipo diverso, perche' diretto ad escludere l'assenso dei figli minori anziche' a far fronte alla relativa incapacita' di esprimere la loro volonta', in linea con quanto deciso da questa Corte nella sentenza da ultimo citata; che, pertanto, la relativa ratio decidendi non e' applicabile alla presente questione; che la sentenza della Corte di cassazione richiamata dal giudice a quo non puo' certamente condurre ad un diverso risultato; che, in base alle suddette considerazioni, la questione va dichiarata manifestamente infondata. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 291 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 30 della Costituzione, dalla Corte di appello di Milano con l'ordinanza indicata in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2003. Il Presidente: Chieppa Il redattore: Amirante Il cancelliere:Di Paola Depositata in cancelleria il 23 maggio 2003. Il direttore della cancelleria:Di Paola 03C0528