N. 183 ORDINANZA 19 - 23 maggio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo   penale   -   Udienza   preliminare  -  Rinvio  a  giudizio
  erroneamente  disposto in luogo di citazione diretta - Restituzione
  in termini dell'imputato per l'accesso ai riti alternativi - Omessa
  previsione  -  Lamentata disparita' di trattamento, con pregiudizio
  al diritto di difesa - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 33-sexies.
- Costituzione, artt. 3, 24, 111.
(GU n.21 del 28-5-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 33-sexies del
codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 26 giugno 2002
dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Nardo' nel procedimento
penale  a  carico  di P.G., iscritta al n. 437 del registro ordinanze
2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, 1ª
serie speciale, dell'anno 2002.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 9 aprile 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Lecce ha sollevato, in riferimento
agli   articoli 3,   24   e  111  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo 33-sexies  del  codice di
procedura  penale,  nella  parte in cui non prevede - nell'ipotesi in
cui  il  giudice dell'udienza preliminare abbia erroneamente disposto
il  rinvio  a  giudizio,  omettendo  di  rilevare  che  per  il reato
contestato doveva procedersi con citazione diretta - la rimessione in
termini  dell'imputato  per la richiesta di applicazione della pena o
di giudizio abbreviato;
        che  l'ordinanza  premette, in punto di fatto, che l'imputato
nel  processo  a  quo  era  stato rinviato a giudizio con decreto del
giudice  dell'udienza  preliminare  per  rispondere del reato «di cui
agli  artt. 624  e  625 cod. pen., vigenti all'epoca e poi sostituiti
dall'art. 624-bis cpv. cod. pen.»;
        che  in  sede  dibattimentale,  l'imputato  aveva  chiesto di
essere rimesso in termini al fine di proporre istanza di applicazione
della  pena ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., sull'assunto che,
essendo  stato  seguito  un  rito  diverso  da  quello  previsto  per
l'ipotesi  di  reato  contestata,  egli  si era visto applicare degli
sbarramenti  temporali nei quali non sarebbe incorso qualora si fosse
proceduto nel modo corretto;
        che,  al  riguardo,  il rimettente rileva come l'art. 624-bis
cod.   pen.,  aggiunto  dalla  legge  26 marzo  2001,  n. 128,  abbia
introdotto  un'autonoma  disciplina del furto con destrezza (rectius:
con  strappo),  gia'  regolato  dall'art. 625,  numero 4), cod. pen.,
prevedendo  un  regime  sanzionatorio piu' severo, in particolare per
quanto  attiene  al minimo edittale: con la conseguenza che, nel caso
di  specie,  in  base  all'art. 2,  terzo  comma, cod. pen., dovrebbe
essere applicata la norma abrogata, in quanto piu' favorevole al reo;
        che  nei  confronti  dell'imputato  avrebbe  dovuto  pertanto
procedersi   con   citazione   diretta   a  giudizio,  risultando  la
fattispecie  di  cui  all'art. 625,  numero 4), cod. pen. inclusa - a
differenza di quella, pur identica, di cui al nuovo art. 624-bis cod.
pen.  -  nell'elenco dei reati che, ai sensi dell'art. 550 cod. proc.
pen.,  sono  giudicati  dal tribunale in composizione monocratica con
detta procedura;
        che  il pubblico ministero, invece, aveva esercitato l'azione
penale  mediante  richiesta  di  rinvio  a giudizio: richiesta che il
giudice  dell'udienza  preliminare  aveva  accolto, omettendo di fare
applicazione  dell'art. 33-sexies  cod. proc. pen., che, nell'ipotesi
in  questione,  consente  al  giudice di rilevare d'ufficio l'errore,
disponendo  la  trasmissione  degli  atti  al  pubblico ministero per
l'emissione del decreto di citazione a giudizio;
        che   la   legge  processuale  -  prosegue  il  rimettente  -
disciplina  il  caso  in  cui il pubblico ministero eserciti l'azione
penale  con  citazione  diretta per un reato per il quale e' prevista
l'udienza  preliminare, stabilendo, all'art. 550, comma 3, cod. proc.
pen.,  che  tale violazione debba essere eccepita entro il termine di
esaurimento  delle  questioni  preliminari;  ma  non  regola, invece,
l'ipotesi   in  cui  il  giudice  dell'udienza  preliminare  disponga
erroneamente  il  rinvio  a  giudizio  per  un  reato per il quale e'
prevista la citazione diretta;
        che  l'imputato  avrebbe peraltro interesse a dolersi di tale
errore,  giacche'  se, per certi versi, il rito con citazione diretta
offre  minori garanzie; sotto altri profili, sarebbe invece l'udienza
preliminare   a   penalizzare  l'imputato  stesso,  costringendolo  a
decidere in tempi molto piu' brevi la propria linea difensiva;
        che  la  normativa  processuale vigente prevede, infatti, una
serie   di   «rigidissimi   sbarramenti»   legati  alla  celebrazione
dell'udienza  preliminare,  segnatamente  in  materia di applicazione
della pena su richiesta delle parti e di giudizio abbreviato; mentre,
invece,  nei  casi di citazione diretta a giudizio l'imputato gode di
un  termine  a  comparire  di  sessanta giorni per predisporre la sua
difesa e per adire, quindi, i predetti riti alternativi, l'accesso ai
quali risulterebbe cosi' piu' agevole;
        che  si  spiegherebbe  proprio in tale prospettiva, ad avviso
del  rimettente,  la  circostanza  che  la legge, nell'ipotesi di cui
all'art. 33-sexies   cod.   proc.   pen.,  preveda  la  rilevabilita'
d'ufficio   del   vizio,   privilegiando   il   corretto  svolgimento
dell'azione  penale  a scapito dell'economia processuale; e richieda,
per  contro,  l'eccezione  di parte, con un rigido limite temporale -
regime,   questo,   solitamente   riservato  ai  vizi  meno  gravi  -
nell'ipotesi opposta di mancata celebrazione dell'udienza preliminare
in rapporto ad un reato per il quale essa e' prevista;
        che  nell'ipotesi  in  questione, d'altro canto, non potrebbe
neppure  addebitarsi  alla  parte  di  non  aver  sollevato eccezione
nell'udienza  preliminare,  proprio  perche'  il vizio avrebbe dovuto
essere rilevato d'ufficio dal giudice;
        che  in  tale  ottica,  l'art. 33-sexies  cod.  proc.  pen. -
omettendo  di  prevedere,  nell'ipotesi considerata, la rimessione in
termini  dell'imputato  per la richiesta di applicazione della pena o
di  giudizio  abbreviato  -  si  porrebbe dunque in contrasto con gli
artt. 3,  24  e 111 Cost., determinando una disparita' di trattamento
tra  gli  imputati  giudicati  «con  errore di procedura» e tutti gli
altri  imputati dello stesso reato per i quali sia stata osservata la
procedura corretta; con conseguente pregiudizio del diritto dei primi
a  fruire  della «migliore delle difese in giudizio», disponendo «del
tempo e delle condizioni necessarie» a tal fine;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale,   in  riferimento  agli  artt. 3,  24  e  111  Cost.,
dell'art. 33-sexies  cod.  proc. pen., nella parte in cui non prevede
la   restituzione  in  termini  dell'imputato  per  la  richiesta  di
applicazione  della  pena  o  di  giudizio abbreviato, avuto riguardo
all'ipotesi   in   cui  il  giudice  dell'udienza  preliminare  abbia
erroneamente  disposto  il  rinvio a giudizio in rapporto ad un reato
per il quale doveva procedersi con citazione diretta;
        che  il  dubbio  di  costituzionalita'  si fonda sull'effetto
penalizzante  che  deriverebbe dall'erronea celebrazione dell'udienza
preliminare,   in   punto  di  compressione  dello  spatium  temporis
garantito   all'imputato   ai  fini  dell'accesso  ai  predetti  riti
alternativi:  infatti,  mentre  nel  rito  con udienza preliminare la
presentazione della relativa richiesta e' soggetta a limiti temporali
collegati  all'udienza  stessa,  l'avviso  della  cui fissazione deve
essere  notificato  all'imputato (rilievo, questo, non sviluppato dal
rimettente,   ma  implicito  nelle  sue  deduzioni)  con  un  termine
dilatorio  di soli dieci giorni (art. 419, comma 4, cod. proc. pen.);
nel  rito  con  citazione  diretta,  la  richiesta puo' essere invece
presentata  sino  alla  dichiarazione  di  apertura  del dibattimento
(art. 555,  comma 2,  cod.  proc.  pen.),  onde l'imputato si vede in
fatto   assicurato,  ai  fini  considerati,  il  piu'  ampio  termine
dilatorio di sessanta giorni, previsto per la notifica del decreto di
citazione (art. 552, comma 3, cod. proc. pen.);
        che, al riguardo, occorre peraltro osservare come il rito con
udienza   preliminare  offra  indubitabilmente,  nel  suo  complesso,
maggiori   garanzie  all'imputato  rispetto  al  rito  con  citazione
diretta,  in quanto caratterizzato da un vaglio giudiziale aggiuntivo
sull'esercizio dell'azione penale;
        che  il  carattere  maggiormente  «garantito»  del  rito  con
udienza  preliminare  non rappresenta, d'altro canto, solo un dato di
evidenza   irrefutabile,   ma  anche  un  principio  che  orienta  la
disciplina  processuale  positiva:  basti  considerare  che  in forza
dell'art. 551  cod. proc. pen., nel caso di procedimenti connessi, se
la  citazione diretta e' ammessa solo per alcuni di essi, il pubblico
ministero deve presentare per tutti la richiesta di rinvio a giudizio
(prevale, cioe', il rito con udienza preliminare);
        che    questa    Corte   ha   ritenuto,   in   tale   ottica,
costituzionalmente  legittima, anche in riferimento all'art. 3 Cost.,
la  generalizzata  applicazione  del rito con udienza preliminare nel
procedimento penale militare, pure quando si tratti di reati militari
corrispondenti  a  reati  comuni per i quali si procede con citazione
diretta:  rilevando,  in  proposito,  come  si sia al cospetto di una
disparita' di trattamento in melius, che accresce, e non gia' riduce,
le garanzie dell'imputato (cfr. ordinanza n. 204 del 2001);
        che,  in  simile  prospettiva - a prescindere da ogni rilievo
circa la validita' dell'assunto del giudice a quo, in forza del quale
l'imputato sarebbe legittimato a dolersi in dibattimento dell'erronea
celebrazione   dell'udienza   preliminare   anche  quando  non  abbia
sollevato  la  relativa eccezione nel corso di detta udienza (assunto
che appare di problematica compatibilita', sul piano sistematico, col
disposto  dell'art. 33-quinquies  cod.  proc.  pen.)  - deve comunque
escludersi che l'adozione della sequenza processuale complessivamente
piu'  «garantita»,  in  relazione  a  reati  per i quali essa non era
dovuta, possa ritenersi foriera di disparita' di trattamento in peius
e  di  pregiudizi al diritto di difesa solo perche', nel confronto su
singoli  e  specifici  aspetti della disciplina - e, segnatamente, in
relazione  allo spazio temporale per la richiesta di riti alternativi
-,  il  rito con citazione diretta possa risultare, nella valutazione
dell'imputato, preferibile al primo;
        che   la   contraria   affermazione  del  rimettente  sarebbe
condivisibile,   in  effetti,  solo  qualora  il  termine  del  quale
l'imputato   dispone,   nel   caso   di   celebrazione   dell'udienza
preliminare,  per  formulare la predetta richiesta risultasse, di per
se', oggettivamente inadeguato (il che peraltro implicherebbe, piu' a
monte,  l'illegittimita'  costituzionale della norma che lo prevede):
conclusione  alla  quale,  tuttavia,  nemmeno lo stesso giudice a quo
perviene  (ipotizzando  egli  non  gia'  una  lesione  del diritto di
difesa, quanto piuttosto del diritto alla «migliore delle difese»); e
che appare, d'altra parte, tanto meno plausibile ove si consideri che
la  persona  sottoposta  alle  indagini  e'  oggi  destinataria della
preventiva notificazione dell'avviso della conclusione delle indagini
preliminari,  con i termini collegati di cui all'art. 415-bis comma 3
cod. proc. pen;
        che  la  dedotta  violazione dell'art. 111 Cost. non risulta,
inoltre, in alcun modo motivata;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 33-sexies   del  codice  di
procedura  penale,  sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24 e 111
della  Costituzione,  dal Tribunale di Lecce con l'ordinanza indicata
in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 23 maggio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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