N. 470 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 marzo 2003

Ordinanza  emessa  il  31  marzo  2003  dal  G.I.P.  del Tribunale di
Verbania  nei  procedimenti penali riuniti a carico di Pilo' Vittorio
ed altri

Processo  penale - Richiesta delle parti di applicazione della pena -
  Dissenso   del  pubblico  ministero  -  Celebrazione  del  giudizio
  abbreviato  -  Possibilita'  per il giudice, all'esito del giudizio
  abbreviato,  di  ritenere  ingiustificato  il  dissenzo  al fine di
  pronunciare  sentenza  ai  sensi  dell'art. 444  cod.  proc. pen. -
  Mancata  previsione  -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  agli
  imputati che non abbiano richiesto il giudizio abbreviato - Lesione
  del  diritto di difesa - Violazione dei principi del buon andamento
  della  pubblica  amministrazione  e  della  ragionevole  durata del
  processo.
- Codice di procedura penale (nuovo), art. 448.
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 111, comma secondo.
(GU n.28 del 16-7-2003 )
               IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza di trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale.

                          Premesso in fatto

    Il   giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  l'intestato
Tribunale  faceva  notificare  agli  imputati  Pilo' Vittorio, Nabirh
Hassane e Piana Daniele avviso di fissazione dell'udienza preliminare
per  il  giorno  18 aprile 2002 unitamente alla richiesta di rinvio a
giudizio  formulata  dal  pubblico  ministero in sede, in relazione a
plurime  imputazioni  loro ascritte per violazione della normativa in
materia di stupefacenti.
    A  seguito  della  ricezione  della  notifica  dell'avviso di cui
sopra,  Pilo'  Vittorio  formulava,  a  mezzo del difensore munito di
procura  speciale,  istanza  scritta di applicazione concordata della
pena  ai  sensi  dell'art. 444  e ss. c.p.p. in ordine ai reati a lui
addebitati,  cui  il  pubblico  ministero non prestava il consenso, a
motivo  della  ritenuta  non configurabilita' della diminuente di cui
all'art. 73,  comma  5,  d.P.R.  n. 309/1990  e della correlativa non
congruita' della sanzione proposta.
    Disposta   la   riunione,   all'udienza   del   10  luglio  2002,
all'originario  procedimento  di  altro  pendente  a  carico di Piana
Daniele  per  violazione  della  medesima disposizione di legge, alla
successiva  udienza in data 6 febbraio 2003 tenutasi innanzi a questo
giudice,  a seguito di un rinvio dovuto all'astensione collettiva del
personale di Cancelleria, avanzavano, in limine, i difensori di Piana
Daniele,   nell'ordine,   e   Nabirh  Hassane,  entrambi  procuratori
speciali, istanza di applicazione concordata della pena nei confronti
dei   rispettivi  assistiti,  nei  termini  specificati  nel  verbale
d'udienza,  in  ordine  alle  imputazioni  a  ciascuno  ascritte.  Il
pubblico  ministero  rifiutava,  per  entrambi,  la  prestazione  del
consenso  in  ragione  della  ritenuta  incongruita'  della  sanzione
proposta.
    Chiedevano,  pertanto,  tutti  e  tre  i difensori degli imputati
procedersi  nelle  forme  del  giudizio  abbreviato nei confronti dei
rispettivi  assistiti  e applicarsi, all'esito della celebrazione del
rito,  in  caso  di  affermazione  della  penale  responsabilita' dei
prevenuti,   la   riduzione  di  pena  di  cui  all'art. 444  c.p.p.;
instavano,  quindi,  in via subordinata, ove il giudicante non avesse
ritenuto  di  poter  fare  diretta  applicazione  della  norma di cui
all'art. 448  c.p.p.,  per  la  trasmissione  degli  atti  alla Corte
costituzionale per il giudizio incidentale di costituzionalita' della
disposizione  richiamata, per violazione degli articoli 3 e 24 Cost.,
nella  parte  in  cui  non  prevede  che,  in  caso dissenso del p.m.
all'applicazione  della  sanzione  proposta  dall'imputato  ai  sensi
dell'art. 444   c.p.p.,   il  giudice  possa  valutare  il  carattere
giustificato  o  meno del dissenso, cosi' accogliendo la richiesta in
origine  formulata  a mente dell'art. 444 c.p.p., anche all'esito del
giudizio  abbreviato,  cosi'  come  previsto  dopo  la  chiusura  del
dibattimento  di primo grado o nel giudizio di impugnazione, a motivo
della disparita' di trattamento verificantesi in situazioni analoghe,
essendo una possibilita' siffatta ammessa nel giudizio ordinario.
    Disposto  da  questo giudice il giudizio abbreviato nei confronti
di   tutti   gli  imputati,  per  cui  la  celebrazione  si  rinviava
all'udienza   del   18   marzo  2003,  in  quella  sede  i  difensori
reiteravano,  all'esito della discussione, la richiesta di cui sopra,
di  applicazione  concordata della pena nei confronti degli imputati,
nei  termini  da ciascuno originariamente formulati nelle sedi di cui
si  e'  detto,  previa  valutazione  della  natura ingiustificata del
dissenso espresso dal pubblico ministero, instando, in subordine, per
il  promovimento  di  giudizio di costituzionalita' della norma sopra
richiamata in relazione ai profili sopra sommariamente esposti.

                         Ritenuto in diritto

    Questo  giudice  per  le  indagini  preliminari,  investito della
trattazione  dell'udienza preliminare a carico dei tre imputati sopra
menzionati,  nel  procedimento  iscritto ai numeri di cui in rubrica,
ritiene,  all'esito della discussione svoltasi nel corso del giudizio
abbreviato  disposto  ai sensi dell'art. 438 c.p.p., di sollevare, in
conformita'  a  quanto richiesto in subordine dalle difese, questione
di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 448
c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevede che, anche all'esito del
giudizio  abbreviato,  il giudice possa, ritenuto non giustificato il
dissenso   opposto   dal   pubblico   ministero   alla  richiesta  di
applicazione   concordata   della   pena   tempestivamente  formulata
dall'imputato, pronunciare sentenza ai sensi e per gli effetti di cui
all'art. 444  e  ss.  c.p.p.,  in  tal  modo accogliendo la richiesta
sanzionatoria  della  parte,  a  differenza  di  quanto espressamente
prescritto  per  il  giudice  avanti  al  quale si svolga il giudizio
ordinario,  all'esito  della  celebrazione  del dibattimento di primo
grado, o nel giudizio di impugnazione.
    Ritiene,  invero,  questo  giudice la questione sopra prospettata
pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio pendente innanzi
a   se'   medesimo,   non   potendosi   prescindere,   a   tal  fine,
dall'applicazione   della   norma  sospettata  di  contrarieta'  alla
Costituzione,  atteso  il  maturato  convincimento,  all'esito  della
celebrazione  del  giudizio  a  carico degli imputati nelle forme del
rito  abbreviato,  del carattere non giustificato del diniego opposto
dalla  pubblica accusa all'applicazione della diminuente proposta dai
difensori,  e  alla  irrogazione  del  trattamento  sanzionatorio  in
relazione a ciascuno prospettato, con i correlativi benefici.
    Non  essendo,  poi,  opinione  del  giudicante  che inerisca alle
proprie  attribuzioni  del  potere di fare diretta applicazione della
norma di cui all'art. 448 c.p.p., che una possibilita' di valutazione
siffatta espressamente e inequivocabilmente demanda al (solo) giudice
avanti al quale si sia celebrato il giudizio ordinario, reputa questo
giudice che non resti che promuovere il giudizio di costituzionalita'
di cui sopra.
    La  questione,  oltre che rilevante (per quanto sopra osservato),
appare  al  giudicante  non  manifestamente infondata, condividendosi
integralmente  le  censure  di incostituzionalita' della norma di cui
all'art. 448  c.p.p. sotto i profili accennati di recente prospettate
dalla   Corte   di   cassazione,  sez.  VI  pen.,  con  ordinanza  di
trasmissione  degli  atti  a  Codesta  Corte  pronunciata  in data 1°
ottobre - 14 novembre 2002, n. 38232.
    Premesso,  infatti, che l'art. 448 c.p.p., nella sua formulazione
letterale,  limita  l'esercizio  del  potere-dovere  del  giudice  di
valutare  se  sia  o  meno  ingiustificato  il  dissenso del pubblico
ministero all'applicazione della pena richiesta dall'imputato al solo
caso  in  cui al diniego del cd. patteggiamento segua la celebrazione
del giudizio ordinario, con correlativa esclusione dell'esercizio del
predetto  potere  nella  diversa  ipotesi  in  cui  l'imputato  abbia
richiesto  la  definizione  del giudizio a suo carico nelle forme del
giudizio  abbreviato, e' proprio in relazione all'esclusione suddetta
che  si  evidenziano vari profili di incostituzionalita' in relazione
agli articoli 3 comma 1; 24 comma 1, 97 e 111, comma 2, Cost.
    Procedendo   con   ordine,   quanto   al   primo   dei  parametri
costituzionali  invocati,  e' opinione di questo giudice che la norma
di cui all'art. 448 c.p.p. irragionevolmente discrimini la situazione
degli  imputati che hanno richiesto il giudizio abbreviato rispetto a
quelli   che   una   tale  richiesta  non  abbiano  formulato,  cosi'
assoggettandosi  al  giudizio  ordinario  da  celebrarsi nel pubblico
dibattimento.
    La  mancanza  di  giustificazione  risiede in cio' che l'imputato
sarebbe  irragionevolmente,  ossia  senza un motivo giusto - che tale
potrebbe  reputarsi  solo  ove  ancorato e strettamente connesso alla
(indubbiamente) diversa struttura ed epilogo dei due tipi di giudizio
che  vengono  in  considerazione  (da  un  lato  quello  ordinario e,
dall'altro, il procedimento speciale del cd. patteggiamento sul rito)
-   privato,   allorche'   opti  per  la  celebrazione  del  giudizio
abbreviato,  del  diritto,  riconosciutogli invece solo all'esito del
dibattimento  di  primo  grado,  o  del  giudizio di impugnazione, di
sottoporre  al vaglio del giudicante il carattere giustificato o meno
del  dissenso  espresso  dal  pubblico  ministero  alla  proposta  ex
art. 444   c.p.p.,   dissenso   preclusivo   della   piu'  favorevole
definizione  del procedimento a suo carico altrimenti suscettibile di
concludersi con l'accoglimento della formulata richiesta da parte del
giudicante.
    Trattasi,  infatti,  di un diritto che sorge in capo all'imputato
nel momento in cui lo stesso formula una istanza siffatta, che non si
vede   perche'   debba  essere  negato  allorche'  l'imputato,  lungi
dall'assoggettarsi  al  giudizio  ordinario, prescelga nei termini di
legge,  come  gli  e'  consentito  dal codice di rito, quella diversa
forma  di  definizione anticipata del procedimento a suo carico nella
quale si concreta il giudizio abbreviato.
    Al  riguardo  occorre rilevare come la giustificazione di un tale
diverso  trattamento  non  sembra  potersi rinvenire, come accennato,
nella  diversa ampiezza della cognitio propria del giudizio ordinario
rispetto  a  quella  del  giudizio abbreviato, tale da consentire, in
ipotesi,  al  solo  giudice  del dibattimento gli strumenti cognitivi
necessari  e sufficienti onde effettuare il vaglio della legittimita'
o  meno  del  dissenso opposto dal p.m.: non e' revocabile in dubbio,
infatti, come non una diversita' di cognitio caratterizzi e distingua
il  giudizio  ordinario  da  quello abbreviato - essendo anche quella
emessa  all'esito  di  tale  rito  una  sentenza  di  accertamento di
responsabilita' penale, non dissimile da quella emessa al termine del
dibattimento  (Cass.  S.U. 31 maggio 1991, Volpe) - quanto piuttosto,
ed   essenzialmente,   una   diversita'   del   materiale  probatorio
utilizzabile  ai  fini  della decisione, potenzialmente sinanche piu'
ampio  di  quello  di cui possa legittimamente valersi il giudice che
debba pronunciare sentenza all'esito del dibattimento.
    Non  pare,  pertanto,  che  il  rito abbreviato presenti, per sua
natura, caratteri tali da poter ritenere menomata la possibilita' per
il  giudice  che  lo  celebri  di  effettuare  con  altrettanto piena
cognitio quella valutazione demandata dal legislatore al solo giudice
del  dibattimento;  non  certo  a  motivo della struttura, appunto, e
della  natura  intrinseca  della  cognizione demandata al giudicante,
nell'ambito  del  rito  abbreviato,  in relazione alla prospettazione
accusatoria, avendo questa pur sempre ad oggetto la valutazione della
sussistenza o meno della responsabilita' penale degli imputati con la
conseguente   irrogazione   del  trattamento  sanzionatorio  reputato
congruo  ai  sensi  dei  parametri di cui all'art. 133 c.p., salvo il
finale  obbligatorio  «abbattimento»  premiale  della  pena,  che  ne
costituisce il principale «beneficio» in favore dell'imputato.
    D'altra   parte,  e  per  altro  verso,  non  puo',  cio'  posto,
ragionevolmente,  ossia  giustificatamente  escludersi l'attribuzione
del  potere  di  valutazione in oggetto al giudice dell'abbreviato in
ragione  delle  connotazioni  premiali del rito in questione, quasi a
dire  che l'accesso dell'imputato al medesimo sarebbe per cio' stesso
incompatibile con la possibilita' di fruire, all'esito del giudizio -
e  a  seguito, naturalmente, del vaglio del giudicante in ordine alla
non   giustificatezza  del  dissenso  della  pubblica  accusa  -  del
trattamento di ancora maggior favore conseguente alla definizione del
giudizio  nella forme del cd. patteggiamento: e' ben vero, infatti, a
questo   proposito,  che  gli  epiloghi  dei  due  procedimenti  sono
necessariamente  alternativi  e  non  cumulabili, e l'accesso all'uno
preclude  di  necessita'  l'accesso  all'altro, ma cio' non autorizza
minimamente  a  rinvenire,  nel  sistema  processuale,  una qualunque
ragione che possa dar conto dell'esclusione del potere del giudice di
effettuare, anche all'esito dell'abbreviato, un vaglio siffatto.
    Anche  in  tal  caso,  infatti,  l'imputato  si  sottopone  ad un
giudizio  di  accertamento  della sua responsabilita' in relazione al
fatto contestatogli, e al «rischio», per dir cosi', di un epilogo per
lui  sfavorevole,  nel  senso  della  positiva  affermazione  di tale
responsabilita',  salvo  una  obbligatoria  riduzione  della  pena in
misura fissa: tale beneficio, in una con l'altro connesso all'assenza
di  pubblicita'  del giudizio, non consente peraltro di accomunare in
alcun  modo  la  struttura  e  l'epilogo del rito di che trattasi con
quelli  caratterizzanti il procedimento disciplinato agli artt. 444 e
ss. c.p.p.
    E',  infatti,  indubbio  che gli esiti dei due procedimenti siano
profondamenti  diversi,  poiche' quello di applicazione della pena su
richiesta  non si conclude, come per pacifica elaborazione dottrinale
e   giurisprudenziale,   con   una  sentenza  di  condanna,  e  offre
all'imputato  i considerevoli vantaggi di cui all'art. 445, commi 1 e
2, c.p.p., mentre l'altro si conclude con una sentenza di condanna in
senso  proprio  (come  detto,  contenente un pieno accertamento della
responsabilita'   penale  dell'imputato),  con  il  solo  «beneficio»
dell'obbligatorio   sconto   di   pena   a   fronte   della  rinuncia
dell'imputato   alle   garanzie   della  formazione  della  prova  in
dibattimento.  Ne'  puo' dubitarsi, nonostante opinioni dissonanti in
dottrina,  che il regime delle sentenze di applicazione della pena su
richiesta  emesse  all'esito  del dibattimento ai sensi dell'art. 448
c.p.p.  sia  accomunabile,  in  tutto  e  per  tutto,  a quello delle
sentenze  emesse ai sensi dell'art. 444 c.p.p. (cfr., al riguardo, il
pronunciamento di codesta Corte n. 185/1994).
    Sotto  un  secondo  profilo, conformemente, del resto, ancora una
volta,  a  quanto  osservato dalla Corte di cassazione nell'ordinanza
sopra  citata  di trasmissione degli atti a codesta Corte, ritiene il
giudicante  che  il  dubbio di costituzionalita' appaia non infondato
anche  in  relazione all'art. 24.1 Cost.: ove si negasse all'imputato
la  possibilita'  di  richiedere  anche al giudice dell'abbreviato il
vaglio  della  legittimita'  del  dissenso del p.m., si priverebbe lo
stesso  della possibilita', senza giustificazione alcuna, di accedere
al  rito  premiale  di  che  trattasi, per costringerlo ad affrontare
comunque,  al fine di vedersi garantito il diritto ad una valutazione
siffatta, il giudizio ordinario.
    Come   efficacemente   rilevato   dalla   Corte   di   cassazione
nell'ordinanza  sopra  citata,  in  altri  termini, «se l'imputato, a
seguito  del  dissenso  del  pubblico  ministero, sceglie il giudizio
abbreviato,  con cio' non rinuncia al vantaggio maggiore conseguito a
causa dell'ingiustificato dissenso del p.m., altrimenti si verrebbe a
far ricadere sull'imputato le conseguenze di un atto pregiudizievole,
a lui non addebitabile».
    Privare,  poi,  l'imputato  del diritto di richiedere il giudizio
abbreviato  e  costringerlo a sottoporsi a giudizio ordinario al fine
di veder accertata dal giudice l'illegittimita' del dissenso del p.m.
all'applicazione   della  pena  su  richiesta  si  pone  altresi'  in
contrasto   con   i   principi   costituzionali  del  buon  andamento
dell'amministrazione   e   della   ragionevole  durata  del  processo
(articoli 97  e  111.2  Cost.),  perche'  contrario  all'esigenza  di
semplificazione e di speditezza dei procedimenti.
    Per   i  motivi  suddetti  si  solleva,  pertanto,  questione  di
costituzionalita'  dell'art. 448, ultimo periodo del comma 1, c.p.p.,
nella  parte in cui non prevede che, anche all'esito dell'abbreviato,
celebrato   a   seguito  dell'ingiustificato  dissenso  del  pubblico
ministero  all'applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., il giudice
possa   valutare   la  legittimita'  di  tale  dissenso  al  fine  di
pronunciare  sentenza  nei  termini  di  cui al comma 1 dell'art. 448
c.p.p.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,
    1. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita'  costituzionale dell'art. 448 c.p.p., in riferimento
agli articoli 3, 24, 97 e 111.2 Cost., nella parte in cui non prevede
che,  in  caso  di  dissenso del pubblico ministero alla richiesta di
applicazione   della  pena  ex  art. 444  c.p.p.,  il  giudice  possa
valutarne la giustificazione anche all'esito del giudizio abbreviato;
    2. Dispone   l'immediata   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso;
    3. Manda   alla   cancelleria  per  la  notifica  della  presente
ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione
al   Presidente   della  Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della
Repubblica.
        Verbania, addi' 21 marzo 2003
          Il giudice per le indagini preliminari: Fornelli
03C0732