N. 223 ORDINANZA 4 - 24 giugno 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Elezioni  -  Elezioni  regionali  -  Elettorato  passivo  -  Cause di
  incompatibilita'  alla  carica  di  consigliere  regionale  -  Lite
  pendente  con  la  Regione  -  Determinazione della decadenza dalla
  carica  soltanto  a  seguito  di  condanna definitiva - Prospettata
  irragionevole   differenziazione   di  disciplina  dei  consiglieri
  comunali   e   provinciali  rispetto  ai  consiglieri  regionali  -
  Disomogeneita' delle posizioni a confronto - Manifesta infondatezza
  della questione.
- Legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 3, primo comma, numero 4.
- Costituzione, artt. 3 e 122.
(GU n.26 del 2-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 3, comma 1,
numero  4,  della  legge  23 aprile 1981, n. 154 (Norme in materia di
ineleggibilita'  ed  incompatibilita'  alle  cariche  di  consigliere
regionale,  provinciale,  comunale e circoscrizionale e in materia di
incompatibilita'  degli  addetti al Servizio sanitario nazionale), in
relazione  all'articolo 63, comma 1, n. 4, del d.lgs. 18 agosto 2000,
n. 267  (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali),
come  modificato  dall'articolo 3-ter  del  decreto-legge 22 febbraio
2002,  n. 13,  convertito,  con  modificazioni, nella legge 24 aprile
2002,   n. 75   (Conversione   in   legge,   con  modificazioni,  del
decreto-legge  22 febbraio  2002, n. 13, recante disposizioni urgenti
per  assicurare  la  funzionalita'  degli  enti locali), promosso con
ordinanza  del  19 ottobre 2002 dalla Corte di cassazione sul ricorso
proposto  da  Boffa Aldo contro Perrone Alfonso ed altri, iscritta al
n. 552  del  registro  ordinanze  2002  e  pubblicata  nella Gazzetta
Ufficiale   della   Repubblica,   edizione   straordinaria,  1ª serie
speciale, del 27 dicembre 2002.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Boffa  Aldo  e di Perrone
Alfonso;
    Udito   nell'udienza   pubblica  dell'8 aprile  2003  il  giudice
relatore Ugo De Siervo;
    Uditi  gli  avvocati  Stelio  Mangiameli  per  Boffa Aldo, Felice
Laudadio e Giuseppe Abbamonte per Perrone Alfonso.
    Ritenuto  che,  nel  corso  del giudizio di cassazione avverso la
sentenza  con  cui  la  Corte  d'appello  di  Napoli ha dichiarato la
decadenza  di  Aldo  Boffa  dalla carica di consigliere della Regione
Campania,  a causa di lite pendente con la Regione medesima, la prima
sezione  civile  della  Corte di cassazione, con ordinanza 19 ottobre
2002,   ha   sollevato   questione   di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, primo comma, numero 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154
(Norme  in materia di ineleggibilita' e incompatibilita' alle cariche
di  consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e
in  materia  di  incompatibilita' degli addetti al Servizio sanitario
nazionale), in riferimento all'art. 3 della Costituzione;
        che  il  rimettente  evidenzia  come la lite pendente, che ha
determinato la causa di incompatibilita', sia conseguente al giudizio
civile  instaurato  dalla Regione Campania nei confronti del Boffa ed
avente  ad  oggetto  la  richiesta di risarcimento dei danni arrecati
alla propria immagine a causa della condanna del Boffa - con sentenza
n. 2295  del 1999 del Tribunale penale di Napoli - per i reati di cui
agli  artt. 110, 318 e 321 codice penale, commessi nella sua qualita'
di assessore delle acque e degli acquedotti della Regione Campania;
        che il giudice a quo rileva ancora come, successivamente, con
la   sentenza  12  giugno 2001,  la  Corte  d'appello  di  Napoli  ha
dichiarato  non doversi procedere nei confronti del Boffa per i reati
a  lui  ascritti,  per  intervenuta  prescrizione  degli stessi e che
avverso  tale  pronuncia  e' stato proposto da parte dell'interessato
ricorso per cassazione, tuttora pendente;
        che  il  remittente  osserva che la disciplina della causa di
incompatibilita'  per  lite  pendente  prevista dall'art. 3, numero 4
della  legge  n. 154  del  1981,  originariamente  si riferiva sia ai
consiglieri  regionali che a quelli provinciali e comunali, ma che il
legislatore  ha  dapprima trasferito all'art. 63 del d.lgs. 18 agosto
2000,  n. 267  (Testo  unico  sull'ordinamento  degli enti locali) il
medesimo  istituto relativamente ai consiglieri provinciali, comunali
e  circoscrizionali,  al  tempo  stesso  abrogando  per  questa parte
l'art. 3,  primo comma, numero 4, della legge 23 aprile 1981, n. 154;
successivamente   il   surrichiamato   art. 63  e'  stato  modificato
dall'art. 3-ter  del  decreto-legge  n. 13  del  2002, convertito con
modificazioni  dalla  legge n. 75 del 2002 (Conversione in legge, con
modificazioni,  del  decreto-legge  22 febbraio  2002, n. 13, recante
disposizioni  urgenti  per  assicurare  la  funzionalita'  degli enti
locali),  il  quale  ha  previsto  che  la  lite pendente, promossa a
seguito di sentenza di condanna, determina incompatibilita' «soltanto
in  caso  di  affermazione di responsabilita' con sentenza passata in
giudicato»;
        che  in  tal modo, ad avviso della Corte di cassazione, si e'
venuta  a  creare una disparita' di trattamento fra consiglieri degli
enti  locali  e consiglieri delle regioni, da considerarsi arbitraria
«tenuto  conto  delle profonde affinita' ravvisabili nelle situazioni
poste a confronto»;
        che  in  ordine  alla rilevanza, osserva il giudice a quo che
essa   appare   manifesta,   risultando  dagli  atti  e  non  essendo
controverso che il processo penale in cui e' imputato il Boffa non e'
stato ancora definito con sentenza passata in giudicato;
        che e' intervenuto nel presente giudizio Aldo Boffa, il quale
ha   chiesto   che  la  questione  di  legittimita'  sollevata  dalla
Cassazione   venga   accolta,   evidenziando   come   le   cause   di
incompatibilita'  operino  sul  piano  degli impedimenti elettorali e
percio'  incidano  sul  diritto di elettorato passivo e come, secondo
l'insegnamento  della  Corte  costituzionale,  le  limitazioni a tale
diritto    siano    ammissibili   solo   in   quanto   effettivamente
indispensabili  a  soddisfare  le  esigenze di pubblico interesse cui
sono preordinate;
        che  l'art. 3-ter  del  decreto-legge  n. 13 del 2002, che ha
modificato  il t.u. degli enti locali, apparirebbe sotto tale profilo
conforme  all'art. 51  della  Costituzione, mentre la norma censurata
sarebbe incongrua sotto un duplice aspetto: individuare come causa di
decadenza  la  semplice  pendenza  di  una  lite,  nata  a seguito di
condanna  con sentenza non definitiva, rimetterebbe la determinazione
della  perdita  del  diritto  di  elettorato  passivo  alla decisione
discrezionale  dell'ente  di  appartenenza  sull'instaurazione  di un
giudizio  contro  il  suo  consigliere;  in  secondo luogo, mentre la
condanna  penale  del  consigliere  determina  la decadenza solo alla
conclusione  del  procedimento  con  sentenza definitiva, la semplice
instaurazione di una causa civile comporta la perdita della carica;
        che  la  norma  impugnata,  ad  avviso  della  parte privata,
creerebbe   quindi   un'irragionevole   disparita'   di  trattamento,
relativamente alla causa di decadenza costituita dalla lite pendente,
tra  consiglieri  regionali  e  consiglieri  degli  enti  locali. Ne'
l'attribuzione  alle  Regioni,  ad  opera  del  primo comma del nuovo
art. 122  della  Costituzione,  di potesta' legislativa in materia di
ineleggibilita' e incompatibilita' per le elezioni regionali, farebbe
venir meno l'attuale problema di costituzionalita' della legislazione
statale tuttora vigente, non avendo la Regione Campania legiferato in
materia;
        che  e'  intervenuto  Alfonso  Perrone, consigliere regionale
subentrato   al   Boffa,   il   quale  ha  in  primo  luogo  eccepito
l'inammissibilita'  della  questione sollevata per preteso difetto di
motivazione  sulla  rilevanza  della questione, poiche' la Cassazione
non avrebbe previamente esperito un'interpretazione adeguatrice della
norma  che  tenesse  conto  del mutato quadro costituzionale, tale da
rendere    possibile    una   differenziazione   delle   ipotesi   di
incompatibilita'  dei  consiglieri degli enti locali da un lato e dei
consiglieri regionali dall'altro;
        che, nel merito del ricorso, detta parte privata sostiene che
la questione sarebbe infondata in quanto la pretesa omogeneita' dello
status  dei  consiglieri regionali e di quelli provinciali e comunali
non  troverebbe  riscontro nel nuovo Titolo V della Costituzione, che
anzi  avrebbe  inteso  «differenziare  cio'  che  un  tempo era stato
uguale»;
        che  inoltre  il  potere  legislativo riconosciuto in materia
alle  Regioni  dall'art. 122 Cost., non essendo stato esercitato, non
farebbe venir meno l'efficacia della normativa statale preesistente e
che  la  recente  modifica  dell'art. 63  del  testo unico degli enti
locali, non esprimerebbe un principio generale, stante la sua portata
limitata agli enti locali;
        che  in  prossimita'  dell'udienza,  la  difesa  del Boffa ha
depositato  una  memoria  nella  quale  si  ribadiscono le precedenti
opinioni,  ed  in  particolare  si  osserva  che  la diversita' della
disciplina della causa di incompatibilita' in discussione non sarebbe
giustificata  per  la analogia delle situazioni poste a raffronto dal
giudice a quo;
        che    la    sopravvenuta   competenza   regionale   prevista
dall'art. 122  Cost.  non  escluderebbe che la disciplina statale, in
vigore  finche'  non  intervengano le norme regionali, debba comunque
assicurare la parita' di trattamento di situazioni identiche;
        che anche la difesa del Perrone, in prossimita' dell'udienza,
ha  depositato  una memoria in cui rileva come la Corte di cassazione
avrebbe  erroneamente  posto  la questione di costituzionalita' della
norma   censurata   dal   momento   che,  a  seguito  della  modifica
dell'art. 122   Cost.,  lo  Stato  non  avrebbe  piu'  il  potere  di
provvedere  in  materia  di cause di incompatibilita' dei consiglieri
regionali,   e  dunque  non  avrebbe  potuto  estendere  il  precetto
legislativo  introdotto  per  i  consiglieri  degli  enti  locali  ai
consiglieri regionali - come invece prospettato dal rimettente;
        che,   in   subordine,   la   difesa   del  Perrone  contesta
l'equiparabilita'  della  posizione  dei  consiglieri regionali da un
lato,  rispetto  a  quella  dei  consiglieri  provinciali  e comunali
dall'altro, rilevando che il diverso trattamento riservato in materia
di  incompatibilita'  alle due cariche elettive, sarebbe giustificato
dalla  diversita'  delle  funzioni  dei  consiglieri regionali, ed in
particolare   dalla   funzione   legislativa   da   essi  svolta  che
richiederebbe una maggiore credibilita' dei suoi componenti;
        che,  inoltre  secondo  quanto  rileva  la parte privata, nel
nostro  sistema  non  esisterebbe  la  regola  della pregiudizialita'
penale,  intesa come necessita' della previa formazione del giudicato
penale.
    Considerato  che, in assenza di esercizio, da parte della Regione
Campania,  del  potere  legislativo  riconosciuto dall'art. 122 della
Costituzione, e' da ritenersi vigente, in attuazione del principio di
continuita'  (confronta  da  ultimo  l'ordinanza n. 383 del 2002), la
legislazione  statale  in  tema  di  incompatibilita'  alla carica di
consigliere regionale;
        che  la  prima  sezione  civile  della Corte di cassazione ha
sollevato  la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 3,
primo  comma,  numero  4,  della  legge  23 aprile  1981, n. 154, con
esclusivo   riferimento   alla   pretesa  lesione  del  principio  di
eguaglianza  fra  consiglieri  comunali  e  provinciali da un lato, e
consiglieri regionali dall'altro, a causa della attuale differenziata
disciplina  della  causa  di  incompatibilita'  relativa  alla  «lite
pendente», malgrado le asserite «profonde affinita' ravvisabili nelle
situazioni   poste  a  confronto»,  senza  porre  invece  la  diversa
questione  della  compatibilita'  di  questa  disciplina con il primo
comma dell'art. 51 della Costituzione;
        che,  al  contrario,  non  solo  le  funzioni dei consiglieri
regionali  risultano  differenziate  da  quelle dei consiglieri degli
enti  locali, essendo essenzialmente caratterizzate dall'esercizio di
poteri  legislativi,  ma  che  proprio  la  piu' recente legislazione
costituzionale  (leggi  costituzionali n. 1 del 1999 e n. 3 del 2001)
ed  ordinaria  (testo unico sugli enti locali e legge n. 75 del 2002,
di   conversione  del  decreto-legge  n. 13  del  2002)  ha  distinto
maggiormente  che  in  passato  le funzioni e lo status delle diverse
categorie  dei componenti dei consigli degli enti regionali e locali,
ripartendo  inoltre in modo differenziato la stessa titolarita' della
disciplina    legislativa   relativa   alle   rispettive   cause   di
incompatibilita';
        che  pertanto,  non essendo omogenee le due posizioni poste a
confronto  dal rimettente, non puo' ritenersi violato il principio di
uguaglianza;
        che   dunque   la   questione   prospettata   in  riferimento
all'articolo 3  della  Costitizione  deve considerarsi manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  n. 9,  secondo comma, delle norme integrative per i giudizi
avanti alla Corte costituzionale;
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale dell'art. 3, primo comma, numero 4 della
legge  23 aprile  1981, n. 154 (Norme in materia di ineleggibilita' e
incompatibilita'  alle cariche di consigliere regionale, provinciale,
comunale  e  circoscrizionale  e in materia di incompatibilita' degli
addetti  al  Servizio  sanitario nazionale), sollevata dalla Corte di
cassazione,  in  riferimento  all'articolo 3  della Costituzione, con
l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 giugno 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                       Il redattore: De Siervo
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 24 giugno 2003.
                      Il cancelliere:Fruscella
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