N. 233 SENTENZA 30 giugno - 11 luglio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Questioni  oggetto del giudizio - Proposizione in via principale e in
  via subordinata - Ordine di trattazione - Inversione.
Responsabilita'  civile  -  Risarcimento  di danni non patrimoniali -
  Ritenuta  esclusione nel caso in cui la responsabilita' dell'autore
  del  fatto  illecito  venga affermata in base ad una presunzione di
  legge - Limitazione di un mezzo di prova tipico del processo civile
  -  Conseguente  irragionevole contrasto con il principio di parita'
  delle giurisdizioni, civile e penale - Non fondatezza, nei sensi di
  cui in motivazione, della questione.
- Cod. civ., art. 2059.
- Costituzione, art. 3.
Responsabilita'  civile  -  Risarcimento  di danni non patrimoniali -
  Limitazione  ai  soli  casi  stabiliti  dalla  legge  -  Difetto di
  rilevanza della questione - Inammissibilita'.
- Cod. civ., art. 2059.
- Costituzione, artt. 2 e 3.
(GU n.28 del 16-7-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2059 del codice
civile,  promosso  con  ordinanza del 20 giugno 2002 dal Tribunale di
Roma  nel  procedimento  civile vertente tra Manetti Luciano ed altri
contro  Ingretolli  Daniela  ed altri, iscritta al n. 60 del registro
ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 maggio 2003 il giudice
relatore Annibale Marini.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Il  Tribunale  di Roma, con ordinanza dell'11 maggio 2002,
depositata  il  20  giugno 2002,  ha  sollevato,  in riferimento agli
artt. 2   e   3   Cost.,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 2059 cod. civ.
    In   punto   di   rilevanza,  il  rimettente  espone  di  doversi
pronunciare  su  domande  di  risarcimento  del danno morale avanzate
dagli eredi di persone decedute in un sinistro stradale nei confronti
dei  conducenti  dei  veicoli coinvolti nel sinistro stesso. Aggiunge
che  nessuna  delle  parti  e'  riuscita a superare la presunzione di
colpa  in  pari  misura  concorrente  posta  a carico di ciascuno dei
conducenti  dall'art. 2054,  secondo  comma,  cod. civ., cosicche' le
suddette  domande  risarcitorie dovrebbero essere respinte, stante la
limitazione  posta  dall'art. 2059  cod.  civ., dovendo - per diritto
vivente  -  escludersi  la risarcibilita', ex art. 185 cod. pen., del
danno morale nel caso in cui la responsabilita' dell'autore del fatto
illecito,  pur astrattamente costituente reato, sia accertata in base
ad una presunzione di legge e non in base all'oggettiva ricostruzione
del fatto.
    La  previsione  di  risarcibilita' del danno non patrimoniale nei
soli  casi  previsti  dalla  legge,  contenuta nella norma impugnata,
sarebbe  tuttavia lesiva del diritto fondamentale dell'individuo alla
serenita'  morale,  tutelato dall'art. 2 Cost., oltre ad essere fonte
di  inique  ed  ingiustificate  disparita'  di  trattamento,  tali da
violare  il  principio  di  eguaglianza.  Sotto  altro  aspetto, essa
avrebbe  prodotto - per effetto di orientamenti giurisprudenziali nel
tempo   consolidatisi  -  ingiustificate  duplicazioni  risarcitorie,
contrastanti   con   l'art. 3   Cost.,   sotto   il   profilo   della
ragionevolezza,   rispetto  al  tertium  comparationis  rappresentato
dall'art. 2043 cod. civ.
    Con  riguardo  al  primo  dei  profili considerati, il rimettente
osserva   che  la  norma  impugnata  si  fonderebbe,  in  definitiva,
sull'assunto   secondo   cui   i   diritti   della  personalita'  non
costituiscono  elementi del patrimonio del titolare e la loro lesione
non darebbe percio' luogo a risarcimento.
    Siffatto  assunto  non  potrebbe  tuttavia  trovare  cittadinanza
nell'ordinamento  costituzionale,  posto  che  tutti  i diritti della
personalita',  nessuno  escluso,  ricevono  tutela  dagli artt. 2 e 3
Cost.,  come  e'  del  resto riconosciuto sia dalla giurisprudenza di
legittimita'  e  di  merito sia dalla migliore dottrina. Ne', d'altro
canto,  potrebbe  sostenersi  che  la sofferenza morale causata dalla
perdita  di  un prossimo congiunto non sia tutelata da alcun precetto
costituzionale   e   quindi   -  non  costituendo  un  diritto  della
personalita' - non possa essere risarcita se non nei limiti stabiliti
dall'art. 2059 cod. civ.
    L'assurdita'   di   una   simile   tesi,   sul  piano  giuridico,
risulterebbe  -  secondo il rimettente - palese ove si consideri che,
secondo    l'orientamento    prevalente    della    dottrina,   della
giurisprudenza  di  legittimita' e di quella costituzionale, l'art. 2
Cost.  sancisce  il valore assoluto della persona umana ed e' norma a
contenuto  precettivo  e non programmatico, cosicche' ogni proiezione
della persona nella realta' sociale sarebbe suscettibile di assurgere
al   rango   di  diritto  soggettivo  perfetto,  con  la  conseguente
configurabilita' di una tutela risarcitoria in caso di lesione.
    Non  potendo  dubitarsi  che la famiglia sia una delle formazioni
sociali nelle quali l'individuo esplica la propria personalita' e che
i  vincoli  famigliari  costituiscano  proiezione della persona nella
realta'   sociale,   ne   discenderebbe   che   i   suddetti  vincoli
costituiscono,  ex  art. 2  Cost.,  oggetto  di un diritto soggettivo
perfetto.  L'art. 2059  cod.  civ.,  impedendone la risarcibilita' in
caso  di  lesione,  salvo  i  casi  previsti  dalla legge, violerebbe
percio'  tanto  l'art. 2  Cost.,  frustrando un diritto fondamentale,
quanto   l'art. 3,   con   riguardo   al  principio  di  eguaglianza,
differenziando  ingiustamente la situazione di chi perde un congiunto
in  conseguenza  di  un  illecito accertato e quella di chi invece lo
perde in conseguenza di un illecito presunto ex art. 2054 cod. civ.
    La  norma  impugnata,  d'altro canto, non sarebbe - ad avviso del
rimettente   -   suscettibile   di   una  lettura  costituzionalmente
orientata,  cosi'  da  superare il prospettato dubbio di legittimita'
con riferimento al canone di ragionevolezza.
    In particolare, non ritiene il giudice a quo di poter condividere
la  tesi secondo la quale la lesione di un diritto costituzionalmente
protetto   sarebbe   comunque   risarcibile,   nonostante  il  tenore
dell'art. 2059,  in base al combinato disposto dell'art. 2043 e della
norma costituzionale di volta in volta violata.
    In  primo  luogo,  tale  orientamento  si  fonda sull'assunto che
l'art. 2043  sia  una  norma  in bianco, ma siffatto assunto e' stato
ormai  abbandonato  dalla  giurisprudenza  delle  Sezioni unite della
Cassazione,  con  la  sentenza  n. 500 del 1999, nella quale il danno
risarcibile  e' espressamente definito come la lesione dell'interesse
al  bene  della  vita  al quale l'interesse leso, secondo il concreto
atteggiarsi  del  suo  contenuto,  effettivamente si collega. In tale
ottica  la  risarcibilita'  discende dunque dal fatto che l'interesse
leso sia rilevante per l'ordinamento, a prescindere dall'esistenza di
una  garanzia  costituzionale,  e non vi e' dubbio - ad avviso sempre
del giudice a quo - che l'interesse alla propria serenita' morale sia
preso in considerazione, sotto molti aspetti, dall'ordinamento.
    Secondariamente,  la  tesi  cosiddetta  «del  combinato disposto»
condurrebbe  a  svuotare  l'art. 2059  cod.  civ.  di ogni contenuto,
atteso  che  qualsiasi danno morale potrebbe astrattamente ricondursi
alla  lesione  di  un diritto costituzionalmente protetto. Ma tra una
interpretatio  abrogans  conforme a Costituzione ed una interpretatio
utilis con questa contrastante l'interprete - secondo il rimettente -
dovrebbe necessariamente scegliere la seconda.
    L'orientamento  ermeneutico  in  esame porterebbe, infine, ad una
irragionevole  duplicazione  di risarcimento nel caso in cui il fatto
illecito  integri  gli  estremi di un reato: in tal caso, infatti, il
danneggiato   potrebbe  agire  sia  per  il  risarcimento  del  danno
ingiusto,  in  base  al combinato disposto degli artt. 2 Cost. e 2043
cod.  civ.,  sia  per  il  risarcimento  del  danno  morale  in  base
all'art. 2059 cod. civ.
    In via dichiaratamente subordinata, il rimettente solleva poi, in
riferimento  all'art. 3  Cost., una diversa questione di legittimita'
costituzionale della stessa norma, nella parte in cui non consente la
liquidazione   del   danno  non  patrimoniale  nei  casi  in  cui  la
responsabilita' dell'offensore venga affermata - come e' nel giudizio
a quo - in base ad una presunzione di legge.
    Il  rimettente  muove  dalla  considerazione che siffatta lettura
della  norma, costituente diritto vivente, nacque in un'epoca storica
nella   quale,   vigendo   l'art. 3   cod.   proc.   pen.  del  1930,
l'accertamento  dell'illecito  in  sede  civile  era  necessariamente
subordinato all'accertamento del reato in sede penale.
    L'irrisarcibilita'  del  danno  morale in caso di responsabilita'
presunta,  quale  conseguenza dell'inesistenza del reato affermata in
sede  penale,  discenderebbe  pertanto  dalla preminenza logica della
giurisdizione penale rispetto a quella civile.
    La    situazione    sarebbe   radicalmente   mutata   a   seguito
dell'introduzione  del nuovo art. 75 cod. proc. pen., per effetto del
quale l'azione risarcitoria in sede civile puo' avere uno svolgimento
del   tutto  autonomo,  ed  un  esito  anche  contrastante,  rispetto
all'eventuale azione penale che sia promossa per lo stesso fatto.
    La norma impugnata si porrebbe pertanto in contrasto con l'art. 3
Cost.   in   quanto  -  «in  modo  irrazionale  rispetto  al  dettato
dell'art. 75    cod.    proc.   pen.,   considerato   quale   tertium
comparationis»    -    nonostante   la   conclamata   parita'   delle
giurisdizioni, precluderebbe al danneggiato che agisca in sede civile
ai  fini  del  risarcimento del danno morale «di avvalersi di uno dei
mezzi  di prova piu' tipici e risalenti del processo civile, cioe' la
presunzione».
    2. - E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  che  ha  concluso per la declaratoria di non fondatezza della
questione.
    Ad  avviso  della  parte pubblica, il senso della norma impugnata
sarebbe  quello  non  di  negare  il riconoscimento dei diritti della
personalita'  tutelati  dagli  artt. 2  e  3 Cost., ma di limitare un
profilo  risarcitorio  privo  -  per  la  particolare  natura di quei
diritti  -  di  effettiva  idoneita'  ripristinatoria  della  perdita
subita.
    La  norma  troverebbe  in  definitiva  la propria giustificazione
nell'esigenza  -  pur  essa frutto di civilta' giuridica - di evitare
che  il  debitore  si  trovi  assoggettato  ad un carico risarcitorio
sproporzionato  rispetto  all'entita'  del fatto illecito, tanto piu'
che,  una  volta  ammessa  la  piena risarcibilita' del danno morale,
sarebbe   difficile   giustificare   la   limitazione   della  tutela
risarcitoria  -  in  una fattispecie come quella sottoposta all'esame
del  giudice  a quo - ai soli congiunti e non anche ad altri soggetti
legati alle vittime del sinistro da rapporti di diversa natura.
    La  scelta  operata  dal legislatore sarebbe dunque frutto di una
valutazione   non   solo   ampiamente   discrezionale   ma   altresi'
riconducibile   ad  un  sistema  complessivo,  «non  suscettibile  di
riscrittura attraverso una mera pronuncia abrogativa».
    Legando  la  possibilita'  del  risarcimento  alla  natura penale
dell'illecito,  l'ordinamento  avrebbe inteso, non irragionevolmente,
attribuire  valore  differenziale,  tenuto conto della specialita' di
questo  tipo  di  danni, alla natura della condotta anziche' a quella
dell'evento.

                       Considerato in diritto

    1. - Il Tribunale di Roma - chiamato a pronunciarsi su domande di
risarcimento  del  danno  morale  avanzate  dai prossimi congiunti di
persone  decedute  in un incidente automobilistico, nei confronti dei
conducenti  dei  veicoli  coinvolti, la cui responsabilita' discende,
secondo   lo   stesso,   esclusivamente   dalla  presunzione  di  cui
all'art. 2054,  secondo  comma,  cod.  civ.  -  solleva  due  diverse
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2059 cod. civ.
    La  prima,  che  il  rimettente  qualifica come principale, ha ad
oggetto  -  con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. - la previsione di
risarcibilita'  del danno non patrimoniale «solo nei casi determinati
dalla legge».
    Siffatta   limitazione  risarcitoria  sarebbe  -  ad  avviso  del
rimettente  -  lesiva  del  diritto  fondamentale dell'individuo alla
serenita'  morale,  tutelato  dall'art. 2  Cost.,  nonche'  fonte  di
ingiustificate  disparita'  di  trattamento  tra danneggiati. Avrebbe
inoltre  dato  causa  - per effetto di orientamenti giurisprudenziali
nel    tempo    consolidatisi -    ad   ingiustificate   duplicazioni
risarcitorie,  contrastanti con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della
ragionevolezza.
    La seconda questione, indicata come subordinata, riguarda invece,
con  riferimento  all'art. 3  Cost., la medesima norma nella parte in
cui   escluderebbe  la  risarcibilita'  del  danno  non  patrimoniale
allorche' la responsabilita' dell'autore del fatto, corrispondente ad
una fattispecie astratta di reato, venga affermata - come appunto nel
caso di specie - in base ad una presunzione di legge.
    Siffatta esclusione si porrebbe in irragionevole contrasto con il
principio  di parita' delle giurisdizioni civile e penale, proclamato
dall'art. 75  cod.  proc. pen., precludendo al danneggiato che agisca
in sede civile ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale di
avvalersi  di  un mezzo di prova tipico del processo civile, quale la
presunzione.
    Presupposto  interpretativo  comune  ad  entrambe le questioni e'
quello  -  certamente  non  implausibile  -  secondo  cui l'ambito di
applicazione  dell'art. 2059  cod. civ. copre l'intera area del danno
non   patrimoniale,   restando  percio'  preclusa  al  giudicante  la
possibilita'  di  risarcire  il  pregiudizio  alla  serenita' morale,
derivante  dalla  perdita  di un congiunto per fatto illecito altrui,
mediante  il  ricorso  all'art. 2043 cod. civ., in combinato disposto
con l'art. 2 Cost.
    2. - Una  corretta  valutazione  del rapporto di pregiudizialita'
tra  le  questioni  oggetto  del presente giudizio porta ad invertire
l'ordine   di   trattazione   seguito   dal   rimettente,  esaminando
prioritariamente  la  questione  sollevata,  nell'ordinanza,  in  via
subordinata.
    Il   rimettente   infatti,   in   relazione  ad  una  domanda  di
risarcimento  del  danno  morale  derivato agli attori dalla morte di
congiunti  in  uno  scontro  tra  veicoli provocato da fatto illecito
altrui,  ritiene  di  non  poter  accertare  concretamente l'elemento
soggettivo  del  dolo  o  della  colpa dell'autore dell'illecito e di
dover  quindi  ricorrere alla presunzione di pari responsabilita' dei
conducenti  dei  veicoli,  posta  dall'art. 2054, secondo comma, cod.
civ.  Pertanto  il  dubbio  di  costituzionalita' da lui sollevato in
ordine all'art. 2059 cod. civ., nella parte relativa alla limitazione
della   risarcibilita'  del  danno  non  patrimoniale  ai  soli  casi
determinati  dalla  legge  (tra  i  quali  rientra  quello  del danno
derivante  da  reato, ai sensi dell'art. 185 cod. pen.) in tanto puo'
ritenersi   rilevante  in  quanto  si  assuma  l'esclusione  di  tale
risarcibilita'  nelle ipotesi in cui il ricordato elemento soggettivo
discenda da una presunzione di legge.
    Ma  poiche'  il  rimettente  dubita  (anche)  della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 2059   cod.   civ.  proprio  sotto  questo
specifico  profilo,  e'  evidente  come  la  relativa  questione  sia
preliminare all'altra, prospettata come principale.
    3. - La  questione  individuata come logicamente preliminare deve
essere dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione.
    3.1. - Il rimettente nel sollevare il dubbio di costituzionalita'
muove  dalla  ritenuta  necessita',  ai fini della risarcibilita' del
danno  non patrimoniale, dell'accertamento in concreto di un reato e,
quindi, anche dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa.
    Ma e' proprio una interpretazione siffatta, assunta in termini di
diritto vivente, a risultare del tutto dissonante rispetto alla ratio
della norma impugnata, quale si desume dalla evoluzione legislativa e
giurisprudenziale verificatasi in materia.
    3.2. - Non vi e' dubbio che l'art. 2059 cod. civ., stabilendo che
il  danno  non  patrimoniale  deve  essere  risarcito  solo  nei casi
determinati    dalla    legge,   circoscriveva   originariamente   la
risarcibilita'  all'ipotesi, contemplata dall'art. 185 cod. pen., del
danno  non  patrimoniale  derivante  da  reato,  e  le  conferiva  un
carattere  sanzionatorio,  reso  manifesto, tra l'altro, dalla stessa
relazione  al  codice  civile, secondo la quale «soltanto nel caso di
reato  e'  piu'  intensa l'offesa all'ordine giuridico e maggiormente
sentito  il  bisogno  di  una piu' energica repressione con carattere
anche preventivo».
    Coerentemente  a  cio',  si  riteneva, poi, che il riferimento al
reato,  contenuto  nell'art. 185 cod. pen., dovesse essere inteso nel
senso  della  ricorrenza  in concreto di una fattispecie criminosa in
tutti i suoi elementi costitutivi, anche di carattere soggettivo. Con
la  conseguente  inoperativita', in tale ambito, della presunzione di
legge destinata a supplire la prova, in ipotesi mancante, della colpa
dell'autore della fattispecie criminosa.
    3.3. - L'indirizzo    interpretativo   riassuntivamente   esposto
risulta,  tuttavia,  destinato  ad entrare in crisi per effetto della
richiamata  evoluzione  sull'area  di  risarcibilita'  del  danno non
patrimoniale.
    Da  un lato, infatti, il legislatore ha introdotto ulteriori casi
di  risarcibilita'  del  danno non patrimoniale estranei alla materia
penale,  riguardo  ai  quali  e'  del  tutto  inconferente  qualsiasi
riferimento  ad  esigenze  di  carattere  repressivo  (si  pensi,  ad
esempio,  alle  azioni  di responsabilita' previste dall'art. 2 della
legge  13 aprile  1988,  n. 117,  per  i  danni derivanti da ingiusta
privazione   della  liberta'  personale  nell'esercizio  di  funzioni
giudiziarie;  dall'art. 2  della  legge  24 marzo  2001, n. 89, per i
danni  derivanti  dal  mancato  rispetto  del  termine ragionevole di
durata del processo).
    Dall'altro,  la  giurisprudenza - sia pure muovendosi nell'ambito
di operativita' dell'art. 2043 cod. civ., nel corso di un travagliato
itinerario  interpretativo  nel  quale  questa Corte e' ripetutamente
intervenuta  -  ha  da  tempo  individuato ulteriori ipotesi di danni
sostanzialmente   non   patrimoniali,   derivanti  dalla  lesione  di
interessi  costituzionalmente  garantiti,  risarcibili  a prescindere
dalla  configurabilita'  di  un  reato (in primis il cosiddetto danno
biologico).  Il mutamento legislativo e giurisprudenziale venutosi in
tal  modo  a realizzare ha fatto assumere all'art. 2059 cod. civ. una
funzione  non  piu' sanzionatoria, ma soltanto tipizzante dei singoli
casi di risarcibilita' del danno non patrimoniale.
    Su tale base, pertanto, anche il riferimento al «reato» contenuto
nell'art. 185  cod. pen., in coerenza con la diversa funzione assolta
dalla  norma  impugnata,  non  postula  piu', come si riteneva per il
passato,  la ricorrenza di una concreta fattispecie di reato, ma solo
di una fattispecie corrispondente nella sua oggettivita' all'astratta
previsione  di  una  figura di reato. Con la conseguente possibilita'
che ai fini civili la responsabilita' sia ritenuta per effetto di una
presunzione di legge.
    Del  resto,  e'  significativo  come  la stessa giurisprudenza di
legittimita'  abbia  affermato,  in  relazione  al  reato commesso da
persona   non   imputabile,  che  la  risarcibilita'  del  danno  non
patrimoniale   a   norma   dell'art. 2059  cod.  civ.,  in  relazione
all'art. 185 cod. pen., non richiede che il fatto illecito integri in
concreto  un  reato  punibile per il concorso di tutti gli elementi a
tal  fine  rilevanti  per la legge penale, essendo sufficiente che il
fatto stesso sia astrattamente preveduto dalla legge come reato.
    Sicche'  puo'  dirsi che, anche sotto l'aspetto della complessiva
coerenza  del sistema, la tesi che alla parola «reato» attribuisce il
significato  di  fatto  (solo) astrattamente previsto come tale dalla
legge risulta certamente non estranea alla stessa giurisprudenza, pur
richiamata dal rimettente a sostegno della contraria opinione.
    Ne',  d'altro canto, potrebbe ancora invocarsi, quale argomento a
favore   della   tesi   opposta,   una   asserita   prevalenza  della
giurisdizione penale rispetto a quella civile.
    L'art. 75  cod.  proc.  pen.,  ha  definitivamente  consacrato il
principio  di  parita'  delle  giurisdizioni,  cosicche'  perfino  la
possibilita'  di  giudicati  contrastanti  in  relazione  al medesimo
fatto,  ai  diversi effetti civili e penali, costituisce evenienza da
considerarsi ormai fisiologica.
    3.4. - Occorre    da    ultimo    considerare   che   l'indirizzo
interpretativo  assunto  dal  rimettente come diritto vivente risulta
disatteso,  successivamente all'ordinanza di rimessione, dalla stessa
giurisprudenza di legittimita'.
    Giova al riguardo premettere - pur trattandosi di un profilo solo
indirettamente  collegato  alla  questione  in esame - che puo' dirsi
ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno
non    patrimoniale   riguardato   dall'art. 2059   cod.   civ.,   si
identificherebbe  con  il  cosiddetto danno morale soggettivo. In due
recentissime  pronunce  (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), che
hanno  l'indubbio  pregio  di ricondurre a razionalita' e coerenza il
tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona,
viene,  infatti,  prospettata,  con ricchezza di argomentazioni - nel
quadro  di un sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non
patrimoniale   -   un'interpretazione   costituzionalmente  orientata
dell'art. 2059   cod.   civ.,   tesa  a  ricomprendere  nell'astratta
previsione   della  norma  ogni  danno  di  natura  non  patrimoniale
derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il
danno  morale  soggettivo,  inteso  come  transeunte turbamento dello
stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto,
inteso  come  lesione  dell'interesse,  costituzionalmente garantito,
all'integrita'  psichica  e  fisica  della persona, conseguente ad un
accertamento  medico  (art. 32  Cost.);  sia  infine il danno (spesso
definito   in   dottrina  ed  in  giurisprudenza  come  esistenziale)
derivante  dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale
inerenti alla persona.
    Per  quanto specificamente riguarda il tema - che qui ci occupa -
della  risarcibilita'  del  danno  non  patrimoniale in caso di colpa
presunta,  altre,  anch'esse  recentissime,  sentenze  del giudice di
legittimita',  muovendo  dalla  «sempre  piu'  avvertita  esigenza di
garantire  l'integrale  riparazione  del  danno  ingiustamente subito
(...)   nei   valori  propri  della  persona,  anche  in  riferimento
all'art. 2  Cost.»,  sono  giunte all'enunciazione di un principio di
diritto  perfettamente coerente con le considerazioni sin qui svolte.
Si  afferma,  infatti,  in  tali pronunce che alla risarcibilita' del
danno  non  patrimoniale ex artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen., non
osta  il  mancato  positivo  accertamento della colpa dell'autore del
danno se essa, come nei casi di cui agli artt. 2051 e 2054 cod. civ.,
«debba  ritenersi  sussistente  in base ad una presunzione di legge e
se,  ricorrendo  la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato»
(Cass., 12 maggio 2003, nn. 7281 e 7282).
    Sicche',  nessun ostacolo sussiste, neppure sotto l'aspetto di un
contrario  diritto  vivente,  all'accoglimento di una interpretazione
opposta  a  quella da cui muove il rimettente nel sollevare il dubbio
di costituzionalita'.
    3.5. - Conclusivamente,   l'art. 2059   cod.  civ.,  deve  essere
interpretato  nel  senso  che  il  danno  non patrimoniale, in quanto
riferito  alla  astratta  fattispecie  di reato, e' risarcibile anche
nell'ipotesi  in  cui, in sede civile, la colpa dell'autore del fatto
risulti da una presunzione di legge.
    Resta   in   tal   modo   superato   il  dubbio  di  legittimita'
costituzionale originato da una contraria lettura della norma, mentre
la  concreta  possibilita' di una tutela risarcitoria dei danneggiati
nel  giudizio  principale  rende  evidentemente priva di rilevanza e,
pertanto,   inammissibile   l'ulteriore   questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art. 2059  cod.  civ.,  prospettata dal medesimo
rimettente  in  riferimento  agli  artt. 2  e  3  Cost.  e  diretta a
censurare   la   limitazione   della  risarcibilita'  del  danno  non
patrimoniale ai soli casi stabiliti dalla legge.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione, la
questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2059 del codice
civile  sollevata,  in riferimento all'art. 3 Cost., dal Tribunale di
Roma con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara  inammissibile  l'ulteriore  questione  di  legittimita'
costituzionale   della   medesima   norma,   sollevata  dallo  stesso
rimettente in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 giugno 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                        Il redattore: Marini
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'11 luglio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C0809