N. 556 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 febbraio 2003

Ordinanza  emessa  il  3  febbraio  2003 dalla Commissione tributaria
regionale  di  Roma  sul  ricorso  proposto da Tardiola Angela contro
l'Ufficio delle entrate di Roma 4

Imposta  sul  reddito  delle  persone fisiche (IRPEF) - Indennita' di
  fine  rapporto  -  Determinazione dell'imponibile - Applicazione di
  una   «franchigia»   annua   fissa   di   lire  500.000  -  Mancata
  rivalutazione  di tale somma in base agli indici ISTAT - Violazione
  del  principio  di  uguaglianza  -  Disparita'  di  trattamento fra
  contribuenti   -  Irrazionalita'  in  se'  -  Richiamo  alla  sent.
  n. 126/1979 della Corte costituzionale.
- Legge  26 settembre  1985,  n. 482,  art. 2  [il  cui  primo  comma
  sostituisce l'art. 14 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597]; d.P.R.
  22 dicembre 1986, n. 917, art. 17.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.34 del 27-8-2003 )
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    La  contribuente  Tardiola Angela lamenta che sul suo trattamento
di  fine  rapporto  sia  stata  effettuata  una ritenuta maggiore del
dovuto,  in  quanto  a  norma  della  legge  n. 484/1985 e del d.P.R.
n. 917/1986  le  e'  stata  applicata  una franchigia di 500.000 lire
annue  a  partire  dal 1985, ed anzi dal 1983 essendo la legge n. 484
retroattiva  per  due anni; secondo la Tardiola sono incostituzionali
tali  norme,  perche' prevedono una franchigia sempre uguale anno per
anno  (la  Tardiola e' stata collocata in quiescenza nel 1995), senza
alcuna  rivalutazione  monetaria  secondo  gli indici ISTAT, malgrado
l'inflazione incontrovertibilmente verificatasi nel frattempo.
    La  contribuente chiedeva pertanto all'erario, a tale titolo, nel
1997,  il  rimborso  della  somma  complessiva di L. 2.083.000, quale
IRPEF indebitamente trattenuta sulla indennita' di fine rapporto.
    Col  ricorso  introduttivo,  depositato  il  9  ottobre  1997, la
Tardiola     ha     impugnato     il    silenzio    rifiuto    tenuto
dall'Amministrazione,   e  ha  dedotto,  appunto,  la  illegittimita'
costituzionale  della  normativa  (art. 2  della  legge n. 482/1985 e
art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917).
    La  Commissione di primo grado ha respinto il ricorso, osservando
da  un  lato  che i calcoli dell'Ufficio sono ineccepibili a norma di
legge,   dall'altro   che   la  scelta  discrezionale  da  parte  del
legislatore del principio nominalistico oppure di quella rivalutativo
non comporta di per se' alcun vizio di incostituzionalita'.
    E'  ora  appellante  la  Tardiola,  che ripropone la questione di
legittimita'  costituzionale,  riportandosi alla giurisprudenza della
Corte,  che  nel 1979 (con la ben nota sentenza n. 126) aveva accolto
una   questione  asseritamente  analoga,  riguardante  l'abbattimento
dell'incremento di valore annuo degli immobili ai fini dell'INVIM.
    Reputa  questa  Commissione  che la questione di legittimita' non
sia  manifestamente  infondata,  e  se  ne debba rimettere l'esame al
giudice costituzionale.
    Con  la sentenza citata, infatti, la Corte ha bensi' riconosciuto
al  legislatore (nel quadro del principio costituzionale per il quale
«tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della
loro  capacita'  contributiva»)  la  piu'  ampia discrezionalita' nel
prendere  in considerazione gli effetti di una rilevante svalutazione
monetaria  (quale  quella verificatesi in Italia nel corso degli anni
'80);  ma  ha  altresi'  ritenuto violato il principio di uguaglianza
(art. 3 Costituzione) tutte le volte che proprio la predetta scelta -
discrezionale,  si  e'  detto,  ed  in  se'  insindacabile in sede di
legittimita'  -  si  traduca  poi  in  norme di legge che le diano in
concreto delle applicazioni irrazionali ed inique.
    Questa  Commissione  ritiene  da  un  lato  di  dover condividere
l'orientamento della Corte costituzionale cosi' riassunto, dall'altro
che nel caso in esame debba essere adottato un identico criterio.
    L'attuale  controversia  infatti  riguarda (cosi' come era per la
sentenza  n. 126/1979  sull'INVIM)  una  «franchigia» uguale anno per
anno, introdotta proprio allo scopo di contenere l'importo aritmetico
dell'imposta,  tenendo  conto  del  trascorrere del tempo e della sua
influenza sul valore della moneta.
    Risulta  palese,  allora, che il legislatore ha si' deciso, nella
sua   autonomia,   di   tener  conto  degli  effetti  distorsivi  che
l'inflazione  cagiona  nel  rapporto economico e fiscale in esame; ma
poi,  applicando  ad  un rapporto che si sviluppa in un lungo arco di
tempo  una  franchigia  fissa  anno per anno, senza tener conto degli
indici   ISTAT,  finisce  -  irrazionalmente  ed  iniquamente  -  col
sottoporre  i  contribuenti  ad una disciplina che viola il principio
della parita' tra cittadini.
    Potra'  cosi'  capitare  da  un lato che la franchigia di 500.000
lire  sia  stata  congrua  per  un  certo  anno  e  non per un altro,
determinando,  per  quell'anno, un aggravio ingiustificato in capo al
medesimo   contribuente;  ma  anche  che  taluno  abbia  potuto,  per
avventura,  godere  di  numerosi anni «buoni», e talaltro di numerosi
anni  «cattivi»,  vedendosi  invece  applicata  -  con violazione del
principio  di  uguaglianza  -  franchigie nominalisticamente uguali e
sostanzialmente  diversissime:  venendo  cosi' chiamati, a parita' di
somme,  a contribuzioni anche vistosamente squilibrate. Senza contare
che  il  criterio delle franchigie uguali anno per anno sembra essere
proprio  irrazionale in se', posto che - dal momento che l'inflazione
tendeva in quel tempo a crescere sistematicamente - esse non potevano
che  avere  una influenza progressivamente minore, anziche' maggiore,
col trascorrere del tempo.
    La  rilevanza  della  questione  e'  in  re  ipsa,  giacche' essa
coinvolge  proprio  le norme che devono essere applicate nel presente
giudizio, dalle quali e' scaturito il calcolo in contestazione.
                              P. Q. M.
    Visto  l'art.  23  della  legge  11 marzo 1953 n. 87 e successive
integrazioni, solleva la questione di legittimita' costituzionale, in
relazione  all'art. 3  della  Costituzione,  dell'art.  2 della legge
n. 482/1985 e dell'art. 17 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917;
    Sospende il giudizio in corso e ordina la trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Cosi' deciso in Roma, il 30 gennaio 2003
                        Il Presidente: Curti
                         Il relatore: Maisto
03C0837