N. 213 ORDINANZA 5 - 6 luglio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  - Procedimenti dinanzi al tribunale in composizione
  monocratica   -  Inosservanza  delle  disposizioni  di  ordinamento
  giudiziario  relative  alla  ripartizione  tra  sede  principale  e
  sezioni   distaccate   o   tra   diverse   sezioni   distaccate   -
  Rilevabilita',  in caso di precedente impossibilita', anche dopo la
  dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado - Mancata
  previsione - Lamentata irragionevolezza e lesione del principio del
  giudice  naturale  -  Questione  che  difetta  del  carattere della
  pregiudizialita' - Manifesta inammissibilita'.
- Cod.  D.lgs.  28 luglio  1989,  n. 271  (Norme  di  attuazione,  di
  coordinamento  e  transitorie  del  cod. proc. pen.), art. 163-bis,
  introdotto dall'art. 217 del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51.
- Costituzione, artt. 3 e 25, primo comma.
(GU n.27 del 14-7-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Valerio ONIDA;
  Giudici:   Fernanda  CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto
CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Giovanni Maria FLICK, Francesco AMIRANTE,
Ugo   DE   SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 163-bis delle
norme  di  attuazione,  di  coordinamento e transitorie del codice di
procedura  penale  approvate  con decreto legislativo 28 luglio 1989,
n. 271,  introdotto dall'art. 217 del decreto legislativo 19 febbraio
1998,  n. 51  (Norme  in  materia di istituzione del giudice unico di
primo grado), promosso con ordinanza del 28 giugno 2003 dal Tribunale
di  Velletri,  sezione  distaccata di Albano Laziale nel procedimento
penale  al carico di A. L., iscritta al n. 871 del registro ordinanze
2003  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 -
1ª serie speciale dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 maggio 2004 il giudice
relatore Piero Alberto Capotosti;
    Ritenuto  che,  con ordinanza del 28 giugno 2003, il Tribunale di
Velletri,  sezione  distaccata  di  Albano  Laziale, ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 3  e  25,  primo  comma, della Costituzione,
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 163-bis  delle
norme  di  attuazione,  di  coordinamento e transitorie del codice di
procedura  penale  approvate  con decreto legislativo 28 luglio 1989,
n. 271,  [recte]  introdotto  dall'art. 217  del  decreto legislativo
19 febbraio  1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice
unico di primo grado), nella parte in cui non prevede la possibilita'
di   rilevare   l'inosservanza   delle  disposizioni  di  ordinamento
giudiziario relative alla ripartizione, tra sede principale e sezioni
distaccate  o tra diverse sezioni distaccate, dei procedimenti penali
nei  quali  il  tribunale  giudica in composizione monocratica, anche
dopo  la  dichiarazione  di  apertura del dibattimento di primo grado
allorche'  sia  stato impossibile rilevarla nel termine stabilito per
una  erronea  ed  imprecisa  indicazione  nel capo di imputazione del
luogo di commissione del reato a causa della mancanza di accertamenti
del pubblico ministero;
        che  la  questione  ha  origine  da  un procedimento penale a
carico  di un imputato rinviato a giudizio, con citazione diretta del
pubblico   ministero,  davanti  al  Tribunale  di  Velletri,  sezione
distaccata   di   Albano  Laziale,  per  rispondere  dei  delitti  di
ricettazione e truffa;
        che,  secondo  il  giudice a quo, nel capo di imputazione non
era  precisato il luogo ove erano stati commessi i due distinti reati
di  ricettazione  e  di  truffa  riportandosi  solo la indicazione di
Ariccia,  quale luogo di residenza dell'imputato, mentre, trattandosi
di  reati  commessi  in esecuzione di un medesimo disegno criminoso e
configurandosi una ipotesi di connessione di procedimenti ex art. 12,
comma 1,  lettera b)  del  codice di procedura penale, avrebbe dovuto
essere  riportato  nel capo di imputazione il luogo di commissione di
ciascuno  dei  reati  contestati  e,  in  particolare,  sarebbe stato
necessario precisare il luogo in cui era stato commesso il reato piu'
grave di ricettazione;
        che  il  rimettente  afferma  che,  nel  corso delle indagini
preliminari,   il   pubblico   ministero  non  avrebbe  svolto  alcun
accertamento   diretto   a   verificare  dove  fosse  stato  commesso
l'ipotizzato  delitto  di  ricettazione  e tale omissione gli avrebbe
impedito   di   rilevare   tempestivamente   la   inosservanza  delle
disposizioni   sulla   distribuzione   degli   affari   prima   della
dichiarazione   di   apertura   del  dibattimento,  mentre,  se  tale
accertamento  fosse  stato  svolto  prima  dell'esercizio dell'azione
penale,  sarebbe  emerso  che  altra avrebbe dovuto essere la sezione
territorialmente competente del medesimo Tribunale di Velletri;
        che il giudice a quo precisa che il Presidente del Tribunale,
al  quale egli aveva trasmesso gli atti del procedimento, ha respinto
i  rilievi  formulati, ritenendoli tardivi ai sensi dell'art. 163-bis
delle disposizioni di attuazione del codice procedura penale;
        che,  quanto  al  primo  profilo,  al  giudice  a  quo sembra
«irragionevole  una  disposizione  che subordini...» la rilevabilita'
della  inosservanza delle disposizioni de quibus «alla condizione che
cio'  avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento,
anche  nei  casi  in  cui  il  rilievo sia impossibile per difetto di
qualsivoglia elemento di cognizione atto a consentirlo...»;
        che,  quanto  al contrasto col comma primo dell'art. 25 della
Costituzione,  il  rimettente  pone l'accento sul rilievo che sarebbe
erroneo  sostenere  la  mancanza  della violazione del «principio del
giudice  naturale  precostituito»  la' dove «... il giudice investito
"di  fatto"...»  e quello che avrebbe dovuto essere «...investito "di
diritto"...»  sono  entrambi  «il  medesimo  tribunale», poiche' tale
argomento  mostrerebbe  tutti  i  suoi  limiti allorche' del medesimo
tribunale  facciano  parte  piu'  magistrati che soltanto formalmente
sarebbero  un unico ufficio giudiziario; in tal caso, le disposizioni
di  ordinamento  giudiziario  relative alla ripartizione degli affari
assumerebbero un accresciuto valore a presidio del «giudice naturale»
con  riguardo  alle attribuzioni delle funzioni in applicazione delle
regole «tabellari»;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
concludendo  per l'inammissibilita' o, in ogni caso, per la manifesta
infondatezza della questione;
        che,  ad  avviso della difesa erariale, il diritto vivente e'
nel  senso della estraneita' alla competenza delle questioni inerenti
alla  ripartizione  dei  compiti  tra  sezioni o fra magistrati dello
stesso  ufficio  giudiziario, in quanto il riparto delle attribuzioni
degli  affari civili e penali tra le diverse sezioni del tribunale in
composizione  monocratica  e' disciplinato dalle norme di ordinamento
giudiziario   e  che,  pertanto,  cio'  renderebbe  insussistente  la
prospettata  lesione  del  principio  del  giudice  naturale  di  cui
all'art. 25 della Costituzione;
        che,  secondo  l'interveniente,  le  preclusioni stabilite in
ordine  ai  modi  ed  ai  tempi di rilevabilita' dell'inosservanza di
regole  fondate su criteri territoriali sono ispirate al principio di
economia  processuale e di migliore concentrazione delle attivita' e,
come  tali,  possono  legittimamente essere stabilite dalla legge: il
legislatore  avrebbe,  pertanto, del tutto ragionevolmente esercitato
la  propria discrezionalita' per soddisfare le esigenze di speditezza
del processo;
        che,   sempre  ad  avviso  della  difesa  erariale,  andrebbe
considerata  l'avvenuta  conclusione del subprocedimento previsto per
l'accertamento   dell'inosservanza  delle  regole  di  riparto  degli
affari,  in quanto il giudice a quo ha gia' investito della questione
il  Presidente  del  Tribunale  che,  a  sua  volta, vi ha provveduto
restituendo  gli  atti  allo  stesso rimettente con provvedimento non
impugnabile  e  che,  non  essendo  stata  sollevata  la questione di
legittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 163-bis disp.
att.  cod.  proc.  pen. di cui sarebbe stata gia' fatta applicazione,
sarebbe  preclusa  la  riproposizione  della  dedotta  violazione nel
giudizio   a   quo,   tenuto   conto  della  non  impugnabilita'  del
provvedimento presidenziale.
    Considerato che il rimettente dubita, in riferimento agli artt. 3
e   25,   primo   comma,   della   Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale   dell'art. 163-bis  delle  norme  di  attuazione,  di
coordinamento  e transitorie del codice di procedura penale approvate
con   decreto   legislativo   28 luglio   1989,   n. 271,  introdotto
dall'art. 217  del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme
in  materia  di  istituzione del giudice unico di primo grado), nella
parte  in  cui  non  prevede che l'inosservanza delle disposizioni di
ordinamento   giudiziario   relative   alla  ripartizione,  tra  sede
principale e sezioni distaccate o tra diverse sezioni distaccate, dei
procedimenti   nei   quali   il  tribunale  giudica  in  composizione
monocratica,  possa  essere  rilevata  anche dopo la dichiarazione di
apertura  del dibattimento di primo grado, qualora prima di tale fase
sia  stato  impossibile  per la erronea ed imprecisa indicazione, nel
capo di imputazione, del luogo di commissione dei reati a causa della
mancanza di accertamenti nella fase delle indagini;
        che,  ad avviso del ricorrente, la applicabilita' della norma
censurata  sarebbe  in  tal  modo,  in violazione degli artt. 3 e 25,
primo  comma,  della  Costituzione, limitata soltanto alla ipotesi in
cui nel decreto di citazione sia ab origine indicato che il fatto sia
stato  commesso  in  un  luogo  non compreso nella circoscrizione del
giudice investito del processo, con esclusione di tutte le ipotesi in
cui la erronea indicazione del locus commissi delicti emerga solo nel
corso dell'istruttoria dibattimentale;
        che nell'ordinanza di rimessione si precisa che il Presidente
del Tribunale, al quale sono stati trasmessi gli atti in applicazione
del  secondo comma dell'art. 163-bis delle disposizioni di attuazione
del codice di procedura penale, ha respinto la richiesta, ritenendola
tardiva  perche'  formulata  dopo  la  dichiarazione  di apertura del
dibattimento;
        che,  pertanto,  la  questione di legittimita' costituzionale
difetta   del   carattere   della   pregiudizialita',  in  quanto  il
rimettente,  nel  trasmettere gli atti del procedimento al Presidente
del   Tribunale,   ha   esaurito   la  fase  di  sua  competenza  nel
sub-procedimento  in  esame e si e', quindi, precluso la possibilita'
di  sollevare  la eccezione stessa (ordinanze n. 331 del 2002; n. 264
del 1998; n. 67 del 1998; n. 300 del 1997);
        che la questione deve essere quindi dichiarata manifestamente
inammissibile.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87  e  9,  secondo  comma,  delle  norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 163-bis   delle   norme  di
attuazione,  di  coordinamento  e transitorie del codice di procedura
penale  approvate  con  decreto  legislativo  28 luglio 1989, n. 271,
introdotto  dall'art. 217  del  decreto legislativo 19 febbraio 1998,
n. 51  (Norme  in  materia  di istituzione del giudice unico di primo
grado),  sollevata  dal  Tribunale di Velletri, sezione distaccata di
Albano  Laziale,  in  riferimento  agli articoli 3 e 25, primo comma,
della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2004.
                        Il Presidente: Onida
                       Il redattore: Capotosti
                       Il cancelliere:Melatti
    Depositata in cancelleria il 6 luglio 2004.
                       Il cancelliere:Melatti
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