N. 284 SENTENZA 10 - 30 luglio 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Riparazione per l'ingiusta detenzione - Limitazione
  del diritto ai soli casi in cui la carcerazione patita derivi da un
  ordine  di  esecuzione  originariamente illegittimo e non anche nei
  casi  in  cui  essa  dipenda  dalla  mancata  revoca,  per un fatto
  sopravvenuto,  di  un  ordine  pur  inizialmente  legittimo  -  Non
  fondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 314.
- Costituzione, artt. 3 e 24.
(GU n.31 del 6-8-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Franco  BILE, Giovanni Maria FLICK, Ugo DE SIERVO,
Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'articolo 314 del
codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 26 aprile 2002
dalla  Corte  d'appello  di  Palermo, iscritta al n. 329 del registro
ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 28, 1ª serie speciale, dell'anno 2002.
    Udito  nella  camera di consiglio del 12 febbraio 2003 il giudice
relatore Carlo Mezzanotte.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  ordinanza in data 26 aprile 2002, la Corte d'appello di
Palermo,  chiamata  a  decidere  su  una  domanda  di riparazione per
ingiusta  detenzione,  ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e
24  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 314  del  codice  di  procedura  penale «nella parte in cui
limita  la  possibilita'  di  ottenere  la riparazione per l'ingiusta
detenzione   esclusivamente  in  relazione  alla  custodia  cautelare
eventualmente sofferta dagli istanti ingiustamente (e nei casi in cui
la  carcerazione  sia conseguenza di un ordine di carcerazione emesso
illegittimamente)  e  non  anche in relazione alle ipotesi di istanti
che  abbiano  subito l'ingiusta detenzione in esecuzione di un ordine
di   carcerazione   inizialmente  legittimo  ma  che,  per  un  fatto
sopravvenuto alla sua emissione, andava revocato».
    La Corte d'appello riferisce che nella specie l'istante, il quale
aveva  subito  un  periodo  di  detenzione protrattosi per 39 mesi in
esecuzione  della  sentenza  3 marzo  1997  della  Corte d'appello di
Palermo,  nella  domanda di riparazione per ingiusta detenzione aveva
dedotto   che:   1)  l'ordine  di  esecuzione  era  stato  dichiarato
illegittimo   dalla   Corte   d'appello  di  Palermo,  a  seguito  di
annullamento  con  rinvio  della  precedente ordinanza della medesima
Corte  in data 1° settembre 2000, disposto dalla Corte di cassazione,
con  sentenza  del 12 febbraio 2001, per violazione del principio del
ne  bis  in  idem, essendo intervenuta sui medesimi fatti sentenza di
condanna  emessa  in  data 24 giugno 1987 dalla Corte distrettuale di
New  York,  con  applicazione  di  pena detentiva gia' scontata negli
Stati  Uniti  d'America;  2) che la sentenza di condanna emessa dalla
Corte  americana  era  stata riconosciuta in Italia il 9 giugno 2000,
con  conseguente  illegittimita' dell'ordine di carcerazione emesso a
seguito  della  sentenza  del  3 marzo  1997 della Corte d'appello di
Palermo,  con  la  quale  egli  era  stato  condannato  a sei anni di
reclusione per il reato di associazione per delinquere.
    Il  remittente  ricorda  che questa Corte, con la sentenza n. 310
del    1996,   ha   dichiarato   la   illegittimita'   costituzionale
dell'art. 314  cod.  proc.  pen.,  nella  parte in cui non prevede il
diritto  all'equa  riparazione  anche per la detenzione ingiustamente
patita a causa di erroneo ordine di carcerazione, ma ritiene che tale
pronuncia   nella   specie  non  sia  applicabile,  poiche'  essa  si
riferirebbe  ai  soli  casi di ordine di carcerazione originariamente
illegittimo,  ma  non anche a quelli di ordine legittimamente emesso,
ma  revocabile  per  un  fatto  sopravvenuto. Non potrebbe d'altronde
applicarsi  l'art. 643  cod.  proc.  pen., concernente la riparazione
dell'errore  giudiziario,  dal  momento  che,  pur  riferendosi  tale
disposizione  alla  ingiusta  espiazione di una pena definitiva, essa
presuppone  un successivo giudizio di revisione, che nella specie non
c'e'  stato.  Il sistema sarebbe quindi lacunoso giacche' non sarebbe
prevista alcuna riparazione per l'ingiusto protrarsi della detenzione
a  causa  dell'omessa  revoca  dell'ordine  di carcerazione per fatti
sopravvenuti.   Ne'   sarebbe   utilmente   esperibile   il   rimedio
dell'opposizione  all'ordine  di  esecuzione divenuto illegittimo per
fatti  sopravvenuti:  tale  procedura,  se  tempestivamente  avviata,
consentirebbe  solo  di ottenere la sospensione dell'esecuzione della
pena,  ma  non offrirebbe al condannato alcun ristoro per la parte di
pena gia' ingiustamente subita (art. 666 cod. proc. pen.). Di qui, ad
avviso  del  remittente, la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., e la
rilevanza della questione sollevata.

                       Considerato in diritto

    1. - Viene  all'esame  della  Corte  la questione di legittimita'
costituzionale  dell'articolo 314  del  codice  di  procedura penale,
sollevata  dalla  Corte  d'appello  di  Palermo  in  riferimento agli
articoli 3  e  24  della  Costituzione, «nella parte in cui limita la
possibilita'  di  ottenere  la  riparazione per l'ingiusta detenzione
esclusivamente  in  relazione  alla  custodia cautelare eventualmente
sofferta   dagli   istanti  ingiustamente  (e  nei  casi  in  cui  la
carcerazione  sia  conseguenza  di  un  ordine di carcerazione emesso
illegittimamente)  e  non  anche in relazione alle ipotesi di istanti
che  abbiano  subito l'ingiusta detenzione in esecuzione di un ordine
di   carcerazione   inizialmente  legittimo  ma  che,  per  un  fatto
sopravvenuto alla sua emissione, andava revocato».
    In  punto  di fatto, il giudice a quo riferisce che la domanda di
riparazione  per ingiusta detenzione e' stata proposta da una persona
che  aveva  espiato trentanove mesi di detenzione a seguito di ordine
di  esecuzione  emesso sulla base di sentenza di condanna pronunciata
dalla  Corte  d'appello  di  Palermo.  Per  lo  stesso  fatto, era in
precedenza  intervenuta  condanna  negli Stati Uniti d'America ad una
pena  gia'  espiata  in  quel  Paese.  Di  qui  il  convincimento del
remittente  che  la  domanda  non  potesse  trovare accoglimento alla
stregua  della  normativa vigente, giacche', nonostante l'intervenuta
dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 314 cod.
proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non  prevede il diritto all'equa
riparazione  anche  per la detenzione ingiustamente patita a causa di
erroneo   ordine   di  esecuzione  (sentenza  n. 310  del  1996),  il
riconoscimento del diritto alla riparazione presupporrebbe pur sempre
la illegittimita' dell'ordine di esecuzione. Ipotesi, questa, che non
potrebbe  ritenersi  sussistente  nella specie, in quanto l'ordine di
esecuzione  sarebbe  stato  del  tutto legittimo al momento della sua
adozione e sarebbe invece divenuto illegittimo solo successivamente a
causa dell'accertamento della identita' del fatto.
    2. - La questione non e' fondata.
    In  base  all'articolo 6  del codice penale, chiunque commette un
reato nel territorio dello Stato e' punito secondo la legge italiana;
il  reato  si  considera  commesso  nel territorio dello Stato quando
l'azione  o l'omissione che lo costituisce e' ivi avvenuta in tutto o
in  parte  ovvero si e' ivi verificato l'evento che e' la conseguenza
dell'azione  o  dell'omissione. Puo' dunque accadere che per un fatto
gia'  giudicato all'estero si instauri in Italia un secondo giudizio.
Cio' e' possibile in fase di cognizione, dove si reputa sia ancora il
principio  di  sovranita'  a  tenere  il  campo,  e dove lo Stato, in
assenza  di  convenzioni  internazionali  e salvo il rispetto di ogni
altro  principio  costituzionale, modula in piena autonomia i criteri
di  collegamento  della giurisdizione penale. Ma non e' cosi' in sede
esecutiva,  dove  prevale su ogni altra valutazione la considerazione
della  persona  del  condannato ed opera il ne bis in idem in fase di
espiazione  della  pena: ripugna ai principi che sorreggono il nostro
ordinamento  l'idea  stessa  che  una persona, per un medesimo fatto,
possa espiare la pena due volte, seppure in Stati diversi. L'art. 138
cod. pen. dispone infatti che quando il giudizio celebrato all'estero
e'  rinnovato  nello  Stato  la  pena  scontata  all'estero e' sempre
computata tenendo conto della specie di essa.
    In   sede   di  riparazione  per  la  detenzione  che  si  assume
ingiustamente  sofferta  per  duplicazione  della  pena e' assorbente
l'accertamento  della identita' del fatto e dell'avvenuta espiazione,
proprio  per quel fatto, di una pena detentiva. Ma una volta che tale
accertamento  vi  sia  stato  e  abbia dato esito positivo, non e' di
ostacolo  all'applicazione  dell'art. 314  cod.  proc.  pen.  - che a
seguito  della  sentenza  n. 310  del  1996 di questa Corte comprende
anche  le  ipotesi  di  detenzione  subita sulla base di un ordine di
esecuzione  erroneo  -  la circostanza che, nel momento dell'adozione
dell'ordine  di esecuzione, la sussistenza di fatti che lo proibivano
o  che avrebbero dovuto indurre alla riduzione della pena da scontare
fosse  ignota.  Non  e'  questo  l'ambito  sul quale il giudice della
riparazione deve portare la sua cognizione. Egli e' soltanto tenuto a
verificare,  con valutazione ex post, se la pena indicata nell'ordine
di  esecuzione  non  fosse  gia'  stata espiata, in tutto o in parte,
all'estero,  e  cio'  proprio  perche'  in tale caso quella pena, sin
dall'inizio,   non  poteva  essere  posta  in  esecuzione  nella  sua
interezza.
    Il  fenomeno della illegittimita' sopravvenuta, entro il quale il
remittente  vorrebbe  inquadrare  la  vicenda, non assume, di regola,
alcun  rilievo  ai  fini  dell'equa  riparazione.  Anche un ordine di
esecuzione  subiettivamente  legittimo  nel  momento  in cui e' stato
adottato  risulta  obiettivamente  contra  jus  se successivamente si
accerta  che  la  pena in tutto o in parte era gia' stata espiata. La
portata  prescrittiva dell'art. 138 cod. pen. e' nel senso che quella
pena   deve   essere   necessariamente   conteggiata  nell'ordine  di
carcerazione,  sicche', quali che siano le ragioni che hanno impedito
un  computo  tempestivo, la violazione della norma resta e, con essa,
il vulnus alla liberta' personale.
    Questa  Corte  ha, del resto, gia' chiarito che il riconoscimento
del  diritto  all'equo  indennizzo non e' precluso dalla legittimita'
del   provvedimento   che  determina  la  privazione  della  liberta'
personale,  ne'  richiede  che  la  detenzione sia conseguenza di una
condotta  illecita.  Cio'  che  rileva  e' l'obiettiva ingiustizia di
quella  privazione  che,  per la qualita' del bene coinvolto, postula
una misura riparatoria (sentenza n. 446 del 1997).
    3. - In  conclusione,  la  fattispecie  su  cui  il remittente e'
chiamato  a  pronunciarsi  rientra  appieno  nella  sfera applicativa
dell'art. 314  cod.  proc.  pen., in forza di quanto gia' statuito da
questa  Corte  con  la  sentenza  n. 310 del 1996, che ha esteso alle
ipotesi  di  ordine di esecuzione erroneo il diritto alla riparazione
della ingiusta detenzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 314  del  codice  di  procedura  penale,  sollevata, in
riferimento  agli  articoli 3  e  24  della Costituzione, dalla Corte
d'appello di Palermo, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Mezzanotte
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 30 luglio 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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