N. 32 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 agosto 2003

Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 25
agosto 2003 (del Tribunale di Venezia)

Parlamento  -  Immunita'  parlamentari - Procedimento penale a carico
  dell'on.  Umberto Bossi per il reato di vilipendio alla bandiera ed
  ai  colori  nazionali  (art. 292, primo e terzo comma, cod. pen.) -
  Deliberazione   di  insindacabilita'  da  parte  della  Camera  dei
  deputati  -  Conflitto  di  attribuzione sollevato dal Tribunale di
  Venezia,  sezione  penale - Denunciata mancanza di nesso funzionale
  tra opinioni espresse ed attivita' parlamentare.
- Deliberazione della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000.
- Costituzione, art. 68, primo comma.
(GU n.47 del 26-11-2003 )
    Preliminarmente va affrontata la questione, riproposta oggi dalla
difesa  e  gia' oggetto di precedente trattazione come specificato da
ultimo   nell'ordinanza   5   ottobre   2001   di   questo   giudice,
dell'applicabilita'  dell'immunita'  parlamentare  europea al caso in
esame, risolvendola in senso negativo.
    Questo   giudice  ritiene  infatti  condivisibile  l'orientamento
secondo  il  quale  l'immunita' del Parlamentare europeo riguarda gli
eventuali procedimenti a suo carico aperti in Stati membri diversi da
quello  di  appartenenza,  e non per fatti-reato commessi all'interno
del   territorio  dello  Stato  di  appartenenza,  applicandosi  agli
euro-deputati  le  medesime  immunita'  riconosciute  ai  membri  del
Parlamento  dei  loro  Paesi,  come evidenziato nella sentenza del 22
giugno 2001 del Tribunale di Como - sezione distaccata di Cantu', che
qui si riporta integralmente nella parte di interesse:
        «...  Infondata  appare anche l'ulteriore eccezione difensiva
in  tema di improcedibilita' sollevata con riferimento alla qualifica
dell'on. Bossi  di  deputato  del  Parlamento europeo, che imporrebbe
l'acquisizione  dell'autorizzazione  a  procedere  da  parte  di tale
Assemblea, previa sospensione del processo.
    Si  e'  rilevato  nell'ordinanza  del 23 maggio 2001 che il comma
primo  dell'art. 3  del  Regolamento  del  Parlamento  europeo  - 14ª
edizione  giugno  1999  -  stabilisce che «i deputati beneficiano dei
privilegi  e  delle immunita' previsti dal Protocollo sui privilegi e
sulle  immunita'  delle  Comunita'  europee, allegato al Trattato che
istituisce   un  Consiglio  unico  ed  una  Commissione  unica  delle
Comunita' europee».
    A  sua  volta  l'art. 9 del richiamato Protocollo sui privilegi e
sulle  immunita'  prevede  che:  «I membri dell'Assemblea non possono
essere  ricercati, detenuti o perseguiti a causa delle opinioni o dei
voti    espressi    nell'esercizio   delle   loro   funzioni».   Piu'
specificamente,  la  norma  successiva  (art. 10) precisa nel comma 1
che:  «per  la durata delle sessioni dell'assemblea, i membri di essa
beneficiano:   a)   sul   territorio   nazionale,   delle   immunita'
riconosciute  ai  membri  del  Parlamento  del  loro  Paese;  b)  sul
territorio  di  ogni  altro  Stato  membro  della  esenzione  da ogni
provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario».
    Nessuna  norma  comunitaria prevede, dunque, la necessita' di una
preventiva  richiesta  di autorizzazione a procedere nei confronti di
un   deputato   del   Parlamento  europeo  per  fatti-reato  commessi
all'interno  del territorio dello Stato di appartenenza, applicandosi
agli  euro-deputati  le medesime immunita' riconosciute ai membri del
Parlamento dei loro Paesi [lett. a) dell'art. 10].
    Ne  consegue,  nella  fattispecie  in  esame,  che trattandosi di
parlamentare europeo imputato di un reato commesso nello Stato membro
al quale egli appartiene, trova applicazione soltanto la disposizione
della  lett.  a) dell'art. 10 comma 1 del Protocollo sulle immunita',
che   richiama   ed  estende  al  deputato  le  medesime  prerogative
riconosciute ai parlamentari dall'Ordinamento italiano.
    Si   e'  rilevato  inoltre  che,  in  ordine  all'istituto  delle
immunita'  parlamentari,  l'art. 9 del protocollo sulle immunita' e i
privilegi,  sulla  scorta  della  previsione normativa ex art. 28 del
Trattato  Istitutivo  8  aprile  1965,  simmetricamente  al  disposto
dell'art. 68  della  Costituzione  italiana, stabilisce in favore dei
parlamentari   le  immunita'  necessarie  all'assolvimento  dei  loro
compiti  istituzionali  e  la loro non perseguibilita' a motivo delle
opinioni  o  dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni, al
fine  di  assicurare  la  liberta'  giuridica  di  manifestazione  di
pensiero.  Tale  prerogativa,  corrispondente  a  quella dell'art. 68
Cost.,  costituisce  causa  di  non  punibilita', la cui operativita'
attiene  al  merito  del processo, senza costituire condizione alcuna
per la procedibilita'.
    Non  operando  la  procedura  della sospensione per la preventiva
richiesta  di  autorizzazione  a  procedere per i fatti successivi al
dicembre  1996,  si  deve ritenere che non residui alcuna preclusione
alla  celebrazione  del processo nei confronti dell'imputato, ne' con
riferimento  alla  sua qualifica di parlamentare europeo ne' a quella
di deputato italiano ...».
    L'istanza va pertanto respinta.
    Cio'  premesso,  passando all'esame della seconda richiesta della
difesa,  va  evidenziato  che  in  data 11 gennaio 2000 la Camera dei
deputati ha deliberato (atti acquisiti al fascicolo dei dibattimento)
che  i  fatti  oggetto  del  presente  procedimento penale concernono
opinioni  espresse  da  un membro del Parlamento nell'esercizio delle
sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione.
    Sul  punto  questo  giudice  ritiene  di non poter condividere la
valutazione   operata   dalla   Camera  dei  deputati  relativa  alla
insindacabilita'  delle  opinioni  espresse,  sollevando conflitto di
attribuzione   tra   poteri   dello  Stato  con  ricorso  alla  Corte
costituzionale  contenuto  nella  presente  ordinanza  per  i  motivi
contenuti nell'atto.
    Alla Corte costituzionale - Roma.
    Ricorso  per conflitto di attribuzione ex art. 37, legge 11 marzo
1953, n. 87.

    Nel  procedimento  penale  in  oggetto,  nel quale si procede nei
confronti  dell'on. Umberto Bossi per il delitto di cui agli artt. 81
c.p.v.  e  292,  primo  e  terzo comma, c.p., per il seguente capo di
imputazione: «perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso,  vilipendeva  la  bandiera nazionale ed i colori nazionali
prima dicendo ad una persona che teneva esposta alla propria finestra
la  bandiera:  "il  tricolore  lo  metta  al  cesso,  signora"  e poi
aggiungendo:  "ho  ordinato  un  camion  di  carta igienica tricolore
personalmente,  visto  che  e'  un  magistrato che dice che non posso
avere  la carta igienica tricolore". In Venezia, 14 settembre 1997.»,
e'  intervenuta  delibera  della  Camera  dei deputati che in data 11
gennaio  2000  in cui si afferma che i fatti oggetto del procedimento
concernono   opinioni   espresse   da   un   membro   del  Parlamento
nell'esercizio  delle  sue  funzioni,  ai  sensi  dell'art. 68, primo
comma, della Costituzione.
    L'Assemblea  ha  approvato  senza  discussione  la proposta della
giunta  per le autorizzazioni a procedere di applicabilita' della non
sindacabilita'  ex  art. 68,  primo  comma,  Cost. dei fatti ascritti
all'on. Bossi.  In  particolare  la  Giunta  ha precisato che «... La
giunta  ...  ha  preso  in  esame le espressioni usate, nei confronti
della bandiera nazionale, dall'onorevole Bossi. Tali espressioni, nei
termini  in  cui sono state formulate, sono gravemente riprovevoli in
se'  stesse  e  ancor  piu'  lo  sono  in  quanto  provenienti  da un
Parlamentare  ... Al riguardo si deve osservare che il reato ascritto
all'onorevole  Bossi  si e' concretato non in fatti ma in espressioni
orali  costituenti  manifestazioni  del pensiero. Tali espressioni si
collegano   peraltro   ad   un'azione   politica  indirizzata  contro
l'unitarieta'  dello  Stato  che e' stato da tempo intrapresa e viene
intensamente  attuata  dal  partito  del  quale  l'onorevole Bossi e'
segretario   nazionale.   Nell'ambito   di   questa  azione  politica
l'onorevole  Bossi,  nella  sua qualita' di parlamentare, si e' molte
volte  espresso,  sia  all'interno  che  all'esterno  del Parlamento,
contro  il  carattere  unitario dello stato e contro i simboli che lo
rappresentano.   A   parere   della   giunta   le  espressioni  usate
dall'onorevole Bossi devono essere inquadrate nell'ambito dell'azione
politica dallo stesso condotta nella sua qualita' di parlamentare. Ed
in  particolare si tratta di opinioni espresse, fuori dal Parlamento,
da un deputato nell'esercizio delle proprie funzioni ...».
    Con  il  presente  ricorso  questo  giudice  propone  ricorso per
conflitto  di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della
delibera  11  gennaio 2000 con cui la Camera dei deputati ha ritenuto
che  determinati  fatti  per cui l'on. Bossi e' sottoposto a giudizio
penale  concernono  opinioni  espresse  nell'esercizio di funzioni di
parlamentare, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., in quanto la
Camera  avrebbe  sostanzialmente  esorbitato  dai limiti di esercizio
della potesta' parlamentare prevista all'art. 68, primo comma, Cost.,
risultando  manifesta in questo caso l'estraneita' della condotta del
parlamentare a concetti di «opinione» o di «esercizio delle funzioni»
previsti dalla norma costituzionale ledendo la sfera di attribuzioni,
costituzionalmente  garantita,  del  potere  giudiziario  (vedi  ord.
nn. 515 e 530 del 2000, n. 420 del 2000, n. 4 del 2001).
    Si   richiede   pertanto   alla   Corte   costituzionale   previa
declaratoria   di   ammissibilita'  del  ricorso  (secondo  requisiti
indicati  negli  artt. 37  e 38, legge 11 marzo 1953, n. 87 e art. 26
delle  norme  integrative,  nonche'  dall'art. 17 R.D. 17 luglio 1907
n. 642,  v. sent. 363 e 364 del 2001), di stabilire se le espressioni
usate  dall'on. Bossi  oggetto  del  procedimento  penale  in corso e
ricavabili  dagli  atti che si trasmettono in allegato, costituiscano
attivita'  connessa  a  quella  Parlamentare  quindi insindacabile ai
sensi  dell'art. 68, primo comma, Cost., come deliberato dalla Camera
dei  deputati,  ovvero  attivita' politica non connessa all'esercizio
dell'attivita'   di   parlamentare,  e  come  tale  sottoponibile  al
sindacato  del giudice penale, chiedendo la risoluzione del conflitto
con  una  pronuncia  che  dichiari  la  non spettanza alla Camera dei
deputati  della  valutazione  contenuta  nella  delibera impugnata 11
gennaio  2000,  con  conseguente  suo  annullamento, se del caso, per
incompetenza  e dichiarando conseguentemente il Potere dello Stato ai
quale  spettano  le attribuzioni in contestazione (vedi sent. n. 10 e
264 del 2000, n. 365 del 2001, n. 15, 30 e 31 del 2002).
    In  quanto  alle  ragioni  del  conflitto e all'indicazione delle
norme  costituzionali  violate  (oltre all'art. 68 Cost.), al fine di
consentire  alla  Corte  un esame adeguato delle ragioni poste a base
del  sollevato  conflitto  esprimendo  le censure mosse alla delibera
impugnata  (ord. n. 318 del 1999), cio' rappresentando (unitamente al
richiesto  petitum) un elemento essenziale del ricorso (sent. 477 del
2000,  n. 364,  365 del 2001 e n. 15, 30 e 31 del 2002), va osservato
che:
        a)   la   forma   dell'ordinanza   oggi   utilizzata  per  la
proposizione  del  conflitto va considerata idonea, in considerazione
del  principio  della  tipicita'  dei provvedimenti del giudice (vedi
ord.  n. 339  del 1996, sent. n. 82 del 2000) e non e' previsto alcun
termine di decadenza per la proposizione del ricorso per conflitto di
attribuzione  tra  poteri  dello Stato (ord. nn. 61 del 2000 e 10 del
2001);
        b)   sotto   il   profilo   soggettivo   sussistono   sia  la
legittimazione  attiva  di  questo  giudice  (Tribunale di Venezia in
composizione monocratica), in quanto i singoli organi giurisdizionali
svolgono  le  loro  funzioni  in  posizione  di  piena  indipendenza,
costituzionalmente garantita, in ragione quindi del carattere diffuso
del potere giudiziario, sia quella passiva della Camera dei deputati,
in  quanto, organo competente a dichiarare definitivamente la propria
volonta'  in  ordine  all'applicabilita'  dell'art. 68,  primo comma,
Cost., in relazione alle opinioni espresse ed ai voti dati dai propri
membri nell'esercizio delle loro funzioni (vedi ord. n. 269 del 1996,
n. 4 del 2001);
        c)  sotto  il profilo oggettivo sussiste motivo di conflitto,
essendo   la   Corte   chiamata  a  valutare  la  legittimita'  della
deliberazione  di  insindacabihita'  adottata  dalla  Camera sotto il
profilo  della  correttezza  del  procedimento  e  dell'esistenza dei
presupposti (ord. nn. 91, 150 e 389 del 2000);
        d)  esistono  ragioni  di  conflitto  (art. 26 legge 11 marzo
1953,  n. 87)  in  quanto,  avendo  la  Camera di appartenenza negato
l'autorizzazione  a  procedere  per l'insindacabihita' delle opinioni
espresse dal parlamentare, si contestano le modalita' di esercizio di
quel  potere per erronea valutazione dei presupposti richiesti per il
suo  valido esercizio (Cass. n. 4678/57), e pertanto la deliberazione
della   Camera   esorbiterebbe   dall'ambito  derogatorio  consentito
dall'art. 68, primo comma, Cost., con conseguente violazione (art. 26
legge  11  marzo  1953,  n. 87)  degli artt. 101, secondo comma, 102,
primo  comma,  e 104, primo comma, Cost. - titolarita' della funzione
giurisdizionale  alla  magistratura  -  art. 3  Cost. - disparita' di
trattamento  parlamentare  e  cittadino  - e 24, primo comma, Cost. -
impossibilita'  in  questo  caso  per  la  parte lesa di fruire della
tutela giurisdizionale;
        e)  in  particolare  nel  merito  va  verificato  se le frasi
dell'on. Bossi  siano  qualificabili  o  meno  come opinioni espresse
nell'ambito  delle  funzioni parlamentari - alle quali soltanto viene
limitata  la  prerogativa  costituzionale della insindacabilita' - in
relazione  a  quanto  indicato  nel capo d'imputazione, accertando se
quanto pronunciato dall'on. Bossi sia identificabile come espressione
di  attivita'  parlamentare (sentenze nn. 321, 320, 420, 58, 56, 11 e
10  del 2000 e 137 del 2001) e sia quindi assistito dalla prerogativa
dell'immunita'  di  cui  all'art. 68, primo comma, Cost. Sul punto di
diritto  (e  per  il medesimo titolo di reato) si e' espressa la gia'
citata  sentenza  del  22 giugno 2001 del Tribunale di Como - sezione
distaccata di Cantu', che qui si riporta integralmente nella parte di
interesse:
          «....  Secondo  la  costante  interpretazione  della  Corte
costituzionale,  invero,  la  norma di cui all'art. 68 stabilisce una
causa  di  non  punibihita'  che  opera  direttamente,  limitando  la
possibilita'  di far valere in giudizio una ipotetica responsabilita'
del  parlamentare  per  le  opinioni  espresse  nell'esercizio  della
funzione (Cost. n. 265/1997); essa e' dettata non solo a tutela della
liberta'  di espressione del singolo membro della Camera ma a tutela,
attraverso   questa,   della  piena  liberta'  di  discussione  e  di
deliberazione  delle  camere  stesse  per  l'autonomia  ed  il libero
funzionamento  delle  istituzioni  parlamentari (Cost. 379/1996, cfr.
anche Cass. n. 4678/00).
    Sul  significato  e  sui limiti di operativita' della prerogativa
costituzionale   ex   art. 68   Cost.   si   alternano  nel  panorama
giurisprudenziale tesi diverse.
    L'orientamento   piu'   rigoroso   (Cass.   11667/1997)   ritiene
necessario  limitare  in  senso  restrittivo il campo di applicazione
dell'immunita'  parlamentare, ricomprendendovi solo le manifestazioni
di   pensiero   rese   all'interno  del  Parlamento,  con  esclusione
dell'attivita'  politica  extraparlamentare esplicata all'interno dei
partiti,  reputando  in  tale  ottica  che  i discorsi espressi in un
comizio  non  vantino alcun collegamento con la funzione parlamentare
rimanendo sottratti all'immunita'.
    Per contro la tesi piu' ampia, sposata spesso dalla giunta per le
autorizzazioni  a procedere in occasioni delle delibere nei confronti
di  deputati  sottoposti  ad  indagini,  arriva a ricomprendere nelle
funzioni  parlamentari  qualsiasi attivita' latamente politica svolta
da  un  membro delle Camere poiche' tale attivita', in quanto «libera
nel  fine»,  non  avrebbe contorni definibili in astratto; cosi', pur
non  dovendosi  confondere fra la funzione parlamentare e l'attivita'
del  singolo,  la vastita' dell'ambito funzionale coperto dal mandato
imporrebbe di negare la riconducibilita' ad esso delle sole attivita'
del  singolo  membro  delle  Camere che siano manifestamente estranee
alla funzione (v. in tal senso anche Cass. n. 4678/2000).
    Cosi'  argomentando,  il  nesso funzionale, lungi dal tradursi in
una  corrispondenza  tra  espressioni  verbali  e  atti  parlamentari
tipici,  si  risolverebbe in un generico collegamento con un contesto
politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni
parlamentari,  troppo  ampio  ed  incompatibile  con l'impianto della
nostra  Carta  costituzionale,  fino  a  trasformarsi in una sorta di
privilegio  personale,  conferendo  a deputati e senatori uno statuto
personale  di  favore  circa  l'ambito  e  i limiti della liberta' di
manifestazione del pensiero con evidente distorsione del principio di
eguaglianza  e  di pari opportunita' fra i cittadini nella dialettica
politica (C. cost. nn. 10, 11 e 56/2000).
    Non  puo'  dunque  ritenersi  che  nei  diversi  ambiti in cui si
esprime o manifesta il rapporto parlamentari-elettori, essenziale per
l'esercizio della loro funzione, sia legittima qualsiasi affermazione
se  pur  finalizzata  ad  ottenere  il  consenso dei cittadini per la
riuscita di proposte di legge, interrogazioni ed interpellanze.
    La  linea  di confine tra la tutela dell'autonomia delle Camere e
della  liberta'  di  espressione  dei  loro  membri  da  un  lato, e,
dall'altro,    la    tutela    dei   diritti   e   degli   interessi,
costituzionalmente    protetti,    suscettibili    di   essere   lesi
dall'espressione   di   opinioni,   e'   fissata  dalla  Costituzione
attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa.
In  questo  senso  si  debbono ritenere «coperti» da immunita' solo i
comportamenti   dei  membri  delle  Camere,  funzionalmente  connessi
all'esercizio  indipendente  delle  attribuzioni  proprie  del potere
legislativo» (C. cost. n. 379/1996). La giurisprudenza costituzionale
e'  costante  nella  riaffermazione  di  questo  criterio discretivo,
statuendo  che  «il  discrimine  tra  i  giudizi e le critiche che il
parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito dell'attivita' politica
per  le  quali  non  vale  l'immunita', e le opinioni coperte da tale
garanzia   e'   dunque   costituito  dalla  inerenza  delle  opinioni
all'esercizio   delle  funzioni  (C.  cost.  nn.  417/1999,  10,  11,
56/2000).
    Ma se appare chiara la necessita' di uno stretto collegamento tra
la  manifestazione  dell'opinione  e la funzione parlamentare stessa,
per   non   snaturare  l'esenzione  di  responsabilita'  legata  alla
funzione, non sempre agevole risulta l'individuazione in concreto dei
criteri  identificativi  dei  comportamenti «strettamente funzionali»
all'esercizio  indipendente  delle  attribuzioni  proprie  del potere
legislativo.
    Una  interpretazione  eccessivamente  restrittiva e formalistica,
che restringesse l'esercizio delle funzioni parlamentari ai soli atti
svolti  all'interno  del Parlamento, non terrebbe conto infatti delle
moderne    esigenze   della   societa'   democratica,   che   ritiene
indispensabile   il   rapporto  tra  istituzioni  rappresentative  ed
opinione  pubblica.  L'attivita'  dei membri delle Camere nello Stato
democratico  e',  per sua natura, destinata a proiettarsi al di fuori
delle  aule  parlamentari,  nell'interesse  della  libera  dialettica
politica,   in   ragione   dei   fattori   di   trasformazione  della
comunicazione  politica  nella societa' contemporanea. Cio' esige che
siano considerate funzioni parlamentari non solo le tipiche attivita'
istituzionali  compiute all'interno del Parlamento, quali le opinioni
manifestate  nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi
o  in  atti,  anche  individuali,  costituenti  estrinsecazione delle
facolta'  proprie  del  parlamentare,  ma  anche  quelle  manifestate
all'esterno  del  Parlamento  (extra  moenia, come prosecuzione delle
medesime    attivita'.    Peraltro   l'estensione   del   regime   di
insindacabilita'  anche  agli  atti  compiuti al di fuori dell'ambito
parlamentare non puo' essere automatica.
    Afferma  in  proposito  la  Corte costituzionale, spesso chiamata
nell'ultimo  biennio  ad affrontare l'argomento dell'insindacabilita'
in  occasione  di conflitti di attribuzione sollevati dalle autorita'
giudiziarie  che  procedevano nei confronti di parlamentari, imputati
per  frasi  pronunciate in sede extraparlamentare, che trattandosi di
insindacabilita'  significativamente  circoscritta,  nella previsione
costituzionale, all'esercizio di funzioni parlamentari, e' necessario
verificare,  in  base  a specifici criteri, piu' complessi rispetto a
quello  della  mera  «localizzazione»  dell'atto,  l'esistenza di uno
stretto  «nesso funzionale» tra espressione di «opinioni» e di «voti»
ed  «esercizio» delle funzioni parlamentari. Il nesso funzionale deve
cioe'  qualificarsi non come «semplice collegamento di argomento o di
contesto   fra   attivita'  parlamentare  e  dichiarazione,  ma  come
identificabilita'  della  dichiarazione  stessa  quale espressione di
attivita' parlamentare» (cfr. C. cost. n. 11/2000).
    Alla  luce  di tale interpretazione si debbono ritenere, in linea
di  principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono
dal  campo  applicativo  del  «diritto, parlamentare» e che non siano
immediatamente  collegabili  con  specifiche  forme  di  esercizio di
funzioni  parlamentari,  anche se siano caratterizzate da un asserito
«contesto  politico»  per  il  contenuto  delle  espressioni o per il
destinatario  o  la sede in cui sono state rese, sussistendo il nesso
funzionale e la relativa insindacabilita' solo qualora l'attivita' di
divulgazione  sia  correlata  ad  atti tipici. Cio' vale anche per le
manifestazioni  di  pensiero e le opinioni espresse nell'ambito di un
comizio  di  partito  nel corso del quale il parlamentare illustri le
sue iniziative parlamentari e cerchi il sostegno dei cittadini per la
buona riuscita di esse.
    Cosi'  non  potra' essere sanzionato quel parlamentare che ripeta
agli  elettori, in termini anche offensivi, un discorso fatto in sede
parlamentare  o  riferisca i contenuti scabrosi di una interrogazione
presentata    per    informazione   dei   cittadini   sulle   vicende
istituzionali,  mentre  la  semplice  comunanza  di  argomento fra le
dichiarazioni rese in dibattiti pubblici o ai mezzi di comunicazione,
e  le  opinioni  espresse  in sede parlamentare non e' sufficiente ad
estendere  alle  prime  l'insindacabilita' a queste ultime riservata.
Ne'  si puo' invocare a tal fine, come e' avvenuto nel caso in esame,
l'esistenza  di  un  «contesto»  politico  in cui la dichiarazione si
inserisca,  giacche'  siffatto  tipo di collegamenti non vale, di per
se',   a   conferire   il   carattere  di  attivita'  parlamentare  a
manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad essa.
    In    linea    con   l'ormai   consolidato   orientamento   della
giurisprudenza  costituzionale,  si deve dunque ritenere che il nesso
funzionale  fra  la  dichiarazione  resa  extra  moenia e l'attivita'
parlamentare  sussista  quando le dichiarazioni siano sostanzialmente
riproduttive  dell'opinione  sostenuta  in  sede parlamentare. In tal
modo   la   prerogativa   costituzionale   non  rileva  soltanto  per
l'occasione  specifica  in  cui  l'opinione  e'  espressa  in  ambito
parlamentare,  ma  si estende al suo contenuto starico allorquando ne
sia realizzata la diffusione pubblica».
    In  occasione  di  altri ricorsi per conflitto di attribuzione di
fronte  alla  Corte  costituzionale  si  e'  sostenuto che tale nesso
funzionale  sussiste  quando  le dichiarazioni attengono propriamente
alla  politica parlamentare, escludendolo quando le espressioni siano
attinenti  alla  politica  in  senso lato ed indifferenziato, sicche'
quando  i  comportamenti  o la materia rientrano nel campo dei lavori
parlamentari    le    successive    dichiarazioni   extra-moenia   se
sostanzialmente   corrispondenti  ai  contenuti  della  comunicazione
politico-parlamentare,  sarebbero  anch'esse espressione di attivita'
parlamentare,  in  quanto  cio'  che  conterebbe  sarebbe  l'opinione
espressa  e  il  suo nesso con l'attivita' parlamentare (sent. n. 364
del 2001).
    Ritiene  l'odierno  giudice  ricorrente che nelle frasi di cui al
capo  d'imputazione  del  procedimento penale in corso, pronunciate a
Venezia  dall'on. Bossi  mentre  si stava recando a tenere un comizio
nell'ambito  di  una  manifestazione  promossa  dal  suo  partito  di
appartenenza, e dirette ad un cittadino italiano che aveva esposto la
bandiera  tricolore  ad  una  finestra  della sua abitazione, non sia
ravvisabile  alcun  intento  divulgativo  dell'attivita' parlamentare
svolta  e  pertanto non e' stato correttamente adoperato il potere di
autotutela spettante alla Camera di appartenenza.
    Assume  la  Camera  di appartenenza che la vicenda in esame debba
essere  inquadrata  nel  contesto del dibattito politico-parlamentare
relativo  all'attivita'  parlamentare da lungo tempo svolta in ordine
all'affermazione  dell'autonomia e dell'indipendenza di una parte del
Paese  dal  governo  centrale. L'aspra critica dell'on. Bossi sarebbe
stata    pertanto    assistita    dalla    garanzia    costituzionale
dell'insindacabilita'  ricorrendo  il nesso funzionale con il mandato
parlamentare,  poiche'  le  espressioni di cui all'addebito altro non
erano   che   la   prosecuzione   extra   moenia  dell'attivita'  del
parlamentare.
    In  verita'  le  espressioni utilizzate dall'on. Bossi sono state
rivolte  ad  un  privato  cittadino  ed al di fuori anche del comizio
(mentre stava transitando in Venezia), tenuto poi lo stesso giorno in
qualita'  di  segretario  del  partito  politico di appartenenza: non
possono  pertanto  essere  considerate  connesse  con  l'esercizio di
funzioni  parlamentari,  anche perche' non solo non e' individuato lo
specifico  atto  parlamentare  di  riferimento  posto  in  essere dal
medesimo  deputato ed in quanto solo genericamente ricollegabili alla
sua  attivita'  politica,  ma  anche  perche'  va inoltre considerata
l'oggettiva  valenza  ingiuriosa  delle parole adoperate, considerato
che  «....  l'immunita' parlamentare riservata alle opinioni non puo'
essere  estesa  sino  a  comprendere gli insulti - di cui e' comunque
discutibile  la qualificazione come opinioni - solo perche' collegati
con le "battaglie" condotte da esponenti parlamentari in favore delle
loro  tesi  politiche»  (sent.  n. 137 del 2001), consistenti poi nel
caso  in  specie nell'aggressione verbale alla bandiera nazionale nel
suo    significato    simbolico    e   rappresentativo   dei   valori
costituzionali.   Non   possono   pertanto   reputarsi  consentite  e
giustificate  nel  nostro  ordinamento, alla luce dei valori espressi
nella nostra Costituzione, le critiche ingiuriose ed offensive, ferma
restando  la  legittimita'  del  diritto  di  critica, se pur in toni
aspri.
    Nel caso in specie pertanto non puo' dirsi individuabile un nesso
funzionale  tra il mandato parlamentare e le espressioni adoperate, e
con la delibera impugnata la Camera di appartenenza ha determinato la
menomazione    delle    prerogative   costituzionali   dell'autorita'
giudiziaria   procedente,   interferendo  nell'ambito  dell'attivita'
giudiziaria costituzionalmente determinato.
                              P. Q. M.
    Si  richiede  la  Corte  costituzionale,  previa dichiarazione di
ammissibilita' del conflitto, voglia dichiarare la non spettanza alla
Camera  dei  deputati  della  valutazione contenuta nella delibera 11
gennaio  2000,  con  conseguente,  se  del caso, suo annullamento per
incompetenza,  dichiarando  altresi'  il  Potere dello Stato al quale
spettano le attribuzioni in contestazione.
        Mestre, addi' 2 marzo 2002.
                  Il giudice: Dott. Rocco Valeggia
03C0976