N. 32 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 25 agosto 2003
Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 25 agosto 2003 (del Tribunale di Venezia) Parlamento - Immunita' parlamentari - Procedimento penale a carico dell'on. Umberto Bossi per il reato di vilipendio alla bandiera ed ai colori nazionali (art. 292, primo e terzo comma, cod. pen.) - Deliberazione di insindacabilita' da parte della Camera dei deputati - Conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Venezia, sezione penale - Denunciata mancanza di nesso funzionale tra opinioni espresse ed attivita' parlamentare. - Deliberazione della Camera dei deputati dell'11 gennaio 2000. - Costituzione, art. 68, primo comma.(GU n.47 del 26-11-2003 )
Preliminarmente va affrontata la questione, riproposta oggi dalla difesa e gia' oggetto di precedente trattazione come specificato da ultimo nell'ordinanza 5 ottobre 2001 di questo giudice, dell'applicabilita' dell'immunita' parlamentare europea al caso in esame, risolvendola in senso negativo. Questo giudice ritiene infatti condivisibile l'orientamento secondo il quale l'immunita' del Parlamentare europeo riguarda gli eventuali procedimenti a suo carico aperti in Stati membri diversi da quello di appartenenza, e non per fatti-reato commessi all'interno del territorio dello Stato di appartenenza, applicandosi agli euro-deputati le medesime immunita' riconosciute ai membri del Parlamento dei loro Paesi, come evidenziato nella sentenza del 22 giugno 2001 del Tribunale di Como - sezione distaccata di Cantu', che qui si riporta integralmente nella parte di interesse: «... Infondata appare anche l'ulteriore eccezione difensiva in tema di improcedibilita' sollevata con riferimento alla qualifica dell'on. Bossi di deputato del Parlamento europeo, che imporrebbe l'acquisizione dell'autorizzazione a procedere da parte di tale Assemblea, previa sospensione del processo. Si e' rilevato nell'ordinanza del 23 maggio 2001 che il comma primo dell'art. 3 del Regolamento del Parlamento europeo - 14ª edizione giugno 1999 - stabilisce che «i deputati beneficiano dei privilegi e delle immunita' previsti dal Protocollo sui privilegi e sulle immunita' delle Comunita' europee, allegato al Trattato che istituisce un Consiglio unico ed una Commissione unica delle Comunita' europee». A sua volta l'art. 9 del richiamato Protocollo sui privilegi e sulle immunita' prevede che: «I membri dell'Assemblea non possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a causa delle opinioni o dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni». Piu' specificamente, la norma successiva (art. 10) precisa nel comma 1 che: «per la durata delle sessioni dell'assemblea, i membri di essa beneficiano: a) sul territorio nazionale, delle immunita' riconosciute ai membri del Parlamento del loro Paese; b) sul territorio di ogni altro Stato membro della esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario». Nessuna norma comunitaria prevede, dunque, la necessita' di una preventiva richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di un deputato del Parlamento europeo per fatti-reato commessi all'interno del territorio dello Stato di appartenenza, applicandosi agli euro-deputati le medesime immunita' riconosciute ai membri del Parlamento dei loro Paesi [lett. a) dell'art. 10]. Ne consegue, nella fattispecie in esame, che trattandosi di parlamentare europeo imputato di un reato commesso nello Stato membro al quale egli appartiene, trova applicazione soltanto la disposizione della lett. a) dell'art. 10 comma 1 del Protocollo sulle immunita', che richiama ed estende al deputato le medesime prerogative riconosciute ai parlamentari dall'Ordinamento italiano. Si e' rilevato inoltre che, in ordine all'istituto delle immunita' parlamentari, l'art. 9 del protocollo sulle immunita' e i privilegi, sulla scorta della previsione normativa ex art. 28 del Trattato Istitutivo 8 aprile 1965, simmetricamente al disposto dell'art. 68 della Costituzione italiana, stabilisce in favore dei parlamentari le immunita' necessarie all'assolvimento dei loro compiti istituzionali e la loro non perseguibilita' a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni, al fine di assicurare la liberta' giuridica di manifestazione di pensiero. Tale prerogativa, corrispondente a quella dell'art. 68 Cost., costituisce causa di non punibilita', la cui operativita' attiene al merito del processo, senza costituire condizione alcuna per la procedibilita'. Non operando la procedura della sospensione per la preventiva richiesta di autorizzazione a procedere per i fatti successivi al dicembre 1996, si deve ritenere che non residui alcuna preclusione alla celebrazione del processo nei confronti dell'imputato, ne' con riferimento alla sua qualifica di parlamentare europeo ne' a quella di deputato italiano ...». L'istanza va pertanto respinta. Cio' premesso, passando all'esame della seconda richiesta della difesa, va evidenziato che in data 11 gennaio 2000 la Camera dei deputati ha deliberato (atti acquisiti al fascicolo dei dibattimento) che i fatti oggetto del presente procedimento penale concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. Sul punto questo giudice ritiene di non poter condividere la valutazione operata dalla Camera dei deputati relativa alla insindacabilita' delle opinioni espresse, sollevando conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato con ricorso alla Corte costituzionale contenuto nella presente ordinanza per i motivi contenuti nell'atto. Alla Corte costituzionale - Roma. Ricorso per conflitto di attribuzione ex art. 37, legge 11 marzo 1953, n. 87. Nel procedimento penale in oggetto, nel quale si procede nei confronti dell'on. Umberto Bossi per il delitto di cui agli artt. 81 c.p.v. e 292, primo e terzo comma, c.p., per il seguente capo di imputazione: «perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, vilipendeva la bandiera nazionale ed i colori nazionali prima dicendo ad una persona che teneva esposta alla propria finestra la bandiera: "il tricolore lo metta al cesso, signora" e poi aggiungendo: "ho ordinato un camion di carta igienica tricolore personalmente, visto che e' un magistrato che dice che non posso avere la carta igienica tricolore". In Venezia, 14 settembre 1997.», e' intervenuta delibera della Camera dei deputati che in data 11 gennaio 2000 in cui si afferma che i fatti oggetto del procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell'art. 68, primo comma, della Costituzione. L'Assemblea ha approvato senza discussione la proposta della giunta per le autorizzazioni a procedere di applicabilita' della non sindacabilita' ex art. 68, primo comma, Cost. dei fatti ascritti all'on. Bossi. In particolare la Giunta ha precisato che «... La giunta ... ha preso in esame le espressioni usate, nei confronti della bandiera nazionale, dall'onorevole Bossi. Tali espressioni, nei termini in cui sono state formulate, sono gravemente riprovevoli in se' stesse e ancor piu' lo sono in quanto provenienti da un Parlamentare ... Al riguardo si deve osservare che il reato ascritto all'onorevole Bossi si e' concretato non in fatti ma in espressioni orali costituenti manifestazioni del pensiero. Tali espressioni si collegano peraltro ad un'azione politica indirizzata contro l'unitarieta' dello Stato che e' stato da tempo intrapresa e viene intensamente attuata dal partito del quale l'onorevole Bossi e' segretario nazionale. Nell'ambito di questa azione politica l'onorevole Bossi, nella sua qualita' di parlamentare, si e' molte volte espresso, sia all'interno che all'esterno del Parlamento, contro il carattere unitario dello stato e contro i simboli che lo rappresentano. A parere della giunta le espressioni usate dall'onorevole Bossi devono essere inquadrate nell'ambito dell'azione politica dallo stesso condotta nella sua qualita' di parlamentare. Ed in particolare si tratta di opinioni espresse, fuori dal Parlamento, da un deputato nell'esercizio delle proprie funzioni ...». Con il presente ricorso questo giudice propone ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti della delibera 11 gennaio 2000 con cui la Camera dei deputati ha ritenuto che determinati fatti per cui l'on. Bossi e' sottoposto a giudizio penale concernono opinioni espresse nell'esercizio di funzioni di parlamentare, ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., in quanto la Camera avrebbe sostanzialmente esorbitato dai limiti di esercizio della potesta' parlamentare prevista all'art. 68, primo comma, Cost., risultando manifesta in questo caso l'estraneita' della condotta del parlamentare a concetti di «opinione» o di «esercizio delle funzioni» previsti dalla norma costituzionale ledendo la sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, del potere giudiziario (vedi ord. nn. 515 e 530 del 2000, n. 420 del 2000, n. 4 del 2001). Si richiede pertanto alla Corte costituzionale previa declaratoria di ammissibilita' del ricorso (secondo requisiti indicati negli artt. 37 e 38, legge 11 marzo 1953, n. 87 e art. 26 delle norme integrative, nonche' dall'art. 17 R.D. 17 luglio 1907 n. 642, v. sent. 363 e 364 del 2001), di stabilire se le espressioni usate dall'on. Bossi oggetto del procedimento penale in corso e ricavabili dagli atti che si trasmettono in allegato, costituiscano attivita' connessa a quella Parlamentare quindi insindacabile ai sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., come deliberato dalla Camera dei deputati, ovvero attivita' politica non connessa all'esercizio dell'attivita' di parlamentare, e come tale sottoponibile al sindacato del giudice penale, chiedendo la risoluzione del conflitto con una pronuncia che dichiari la non spettanza alla Camera dei deputati della valutazione contenuta nella delibera impugnata 11 gennaio 2000, con conseguente suo annullamento, se del caso, per incompetenza e dichiarando conseguentemente il Potere dello Stato ai quale spettano le attribuzioni in contestazione (vedi sent. n. 10 e 264 del 2000, n. 365 del 2001, n. 15, 30 e 31 del 2002). In quanto alle ragioni del conflitto e all'indicazione delle norme costituzionali violate (oltre all'art. 68 Cost.), al fine di consentire alla Corte un esame adeguato delle ragioni poste a base del sollevato conflitto esprimendo le censure mosse alla delibera impugnata (ord. n. 318 del 1999), cio' rappresentando (unitamente al richiesto petitum) un elemento essenziale del ricorso (sent. 477 del 2000, n. 364, 365 del 2001 e n. 15, 30 e 31 del 2002), va osservato che: a) la forma dell'ordinanza oggi utilizzata per la proposizione del conflitto va considerata idonea, in considerazione del principio della tipicita' dei provvedimenti del giudice (vedi ord. n. 339 del 1996, sent. n. 82 del 2000) e non e' previsto alcun termine di decadenza per la proposizione del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (ord. nn. 61 del 2000 e 10 del 2001); b) sotto il profilo soggettivo sussistono sia la legittimazione attiva di questo giudice (Tribunale di Venezia in composizione monocratica), in quanto i singoli organi giurisdizionali svolgono le loro funzioni in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita, in ragione quindi del carattere diffuso del potere giudiziario, sia quella passiva della Camera dei deputati, in quanto, organo competente a dichiarare definitivamente la propria volonta' in ordine all'applicabilita' dell'art. 68, primo comma, Cost., in relazione alle opinioni espresse ed ai voti dati dai propri membri nell'esercizio delle loro funzioni (vedi ord. n. 269 del 1996, n. 4 del 2001); c) sotto il profilo oggettivo sussiste motivo di conflitto, essendo la Corte chiamata a valutare la legittimita' della deliberazione di insindacabihita' adottata dalla Camera sotto il profilo della correttezza del procedimento e dell'esistenza dei presupposti (ord. nn. 91, 150 e 389 del 2000); d) esistono ragioni di conflitto (art. 26 legge 11 marzo 1953, n. 87) in quanto, avendo la Camera di appartenenza negato l'autorizzazione a procedere per l'insindacabihita' delle opinioni espresse dal parlamentare, si contestano le modalita' di esercizio di quel potere per erronea valutazione dei presupposti richiesti per il suo valido esercizio (Cass. n. 4678/57), e pertanto la deliberazione della Camera esorbiterebbe dall'ambito derogatorio consentito dall'art. 68, primo comma, Cost., con conseguente violazione (art. 26 legge 11 marzo 1953, n. 87) degli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost. - titolarita' della funzione giurisdizionale alla magistratura - art. 3 Cost. - disparita' di trattamento parlamentare e cittadino - e 24, primo comma, Cost. - impossibilita' in questo caso per la parte lesa di fruire della tutela giurisdizionale; e) in particolare nel merito va verificato se le frasi dell'on. Bossi siano qualificabili o meno come opinioni espresse nell'ambito delle funzioni parlamentari - alle quali soltanto viene limitata la prerogativa costituzionale della insindacabilita' - in relazione a quanto indicato nel capo d'imputazione, accertando se quanto pronunciato dall'on. Bossi sia identificabile come espressione di attivita' parlamentare (sentenze nn. 321, 320, 420, 58, 56, 11 e 10 del 2000 e 137 del 2001) e sia quindi assistito dalla prerogativa dell'immunita' di cui all'art. 68, primo comma, Cost. Sul punto di diritto (e per il medesimo titolo di reato) si e' espressa la gia' citata sentenza del 22 giugno 2001 del Tribunale di Como - sezione distaccata di Cantu', che qui si riporta integralmente nella parte di interesse: «.... Secondo la costante interpretazione della Corte costituzionale, invero, la norma di cui all'art. 68 stabilisce una causa di non punibihita' che opera direttamente, limitando la possibilita' di far valere in giudizio una ipotetica responsabilita' del parlamentare per le opinioni espresse nell'esercizio della funzione (Cost. n. 265/1997); essa e' dettata non solo a tutela della liberta' di espressione del singolo membro della Camera ma a tutela, attraverso questa, della piena liberta' di discussione e di deliberazione delle camere stesse per l'autonomia ed il libero funzionamento delle istituzioni parlamentari (Cost. 379/1996, cfr. anche Cass. n. 4678/00). Sul significato e sui limiti di operativita' della prerogativa costituzionale ex art. 68 Cost. si alternano nel panorama giurisprudenziale tesi diverse. L'orientamento piu' rigoroso (Cass. 11667/1997) ritiene necessario limitare in senso restrittivo il campo di applicazione dell'immunita' parlamentare, ricomprendendovi solo le manifestazioni di pensiero rese all'interno del Parlamento, con esclusione dell'attivita' politica extraparlamentare esplicata all'interno dei partiti, reputando in tale ottica che i discorsi espressi in un comizio non vantino alcun collegamento con la funzione parlamentare rimanendo sottratti all'immunita'. Per contro la tesi piu' ampia, sposata spesso dalla giunta per le autorizzazioni a procedere in occasioni delle delibere nei confronti di deputati sottoposti ad indagini, arriva a ricomprendere nelle funzioni parlamentari qualsiasi attivita' latamente politica svolta da un membro delle Camere poiche' tale attivita', in quanto «libera nel fine», non avrebbe contorni definibili in astratto; cosi', pur non dovendosi confondere fra la funzione parlamentare e l'attivita' del singolo, la vastita' dell'ambito funzionale coperto dal mandato imporrebbe di negare la riconducibilita' ad esso delle sole attivita' del singolo membro delle Camere che siano manifestamente estranee alla funzione (v. in tal senso anche Cass. n. 4678/2000). Cosi' argomentando, il nesso funzionale, lungi dal tradursi in una corrispondenza tra espressioni verbali e atti parlamentari tipici, si risolverebbe in un generico collegamento con un contesto politico indeterminabile, del tutto avulso dall'esercizio di funzioni parlamentari, troppo ampio ed incompatibile con l'impianto della nostra Carta costituzionale, fino a trasformarsi in una sorta di privilegio personale, conferendo a deputati e senatori uno statuto personale di favore circa l'ambito e i limiti della liberta' di manifestazione del pensiero con evidente distorsione del principio di eguaglianza e di pari opportunita' fra i cittadini nella dialettica politica (C. cost. nn. 10, 11 e 56/2000). Non puo' dunque ritenersi che nei diversi ambiti in cui si esprime o manifesta il rapporto parlamentari-elettori, essenziale per l'esercizio della loro funzione, sia legittima qualsiasi affermazione se pur finalizzata ad ottenere il consenso dei cittadini per la riuscita di proposte di legge, interrogazioni ed interpellanze. La linea di confine tra la tutela dell'autonomia delle Camere e della liberta' di espressione dei loro membri da un lato, e, dall'altro, la tutela dei diritti e degli interessi, costituzionalmente protetti, suscettibili di essere lesi dall'espressione di opinioni, e' fissata dalla Costituzione attraverso la delimitazione funzionale dell'ambito della prerogativa. In questo senso si debbono ritenere «coperti» da immunita' solo i comportamenti dei membri delle Camere, funzionalmente connessi all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo» (C. cost. n. 379/1996). La giurisprudenza costituzionale e' costante nella riaffermazione di questo criterio discretivo, statuendo che «il discrimine tra i giudizi e le critiche che il parlamentare manifesta nel piu' esteso ambito dell'attivita' politica per le quali non vale l'immunita', e le opinioni coperte da tale garanzia e' dunque costituito dalla inerenza delle opinioni all'esercizio delle funzioni (C. cost. nn. 417/1999, 10, 11, 56/2000). Ma se appare chiara la necessita' di uno stretto collegamento tra la manifestazione dell'opinione e la funzione parlamentare stessa, per non snaturare l'esenzione di responsabilita' legata alla funzione, non sempre agevole risulta l'individuazione in concreto dei criteri identificativi dei comportamenti «strettamente funzionali» all'esercizio indipendente delle attribuzioni proprie del potere legislativo. Una interpretazione eccessivamente restrittiva e formalistica, che restringesse l'esercizio delle funzioni parlamentari ai soli atti svolti all'interno del Parlamento, non terrebbe conto infatti delle moderne esigenze della societa' democratica, che ritiene indispensabile il rapporto tra istituzioni rappresentative ed opinione pubblica. L'attivita' dei membri delle Camere nello Stato democratico e', per sua natura, destinata a proiettarsi al di fuori delle aule parlamentari, nell'interesse della libera dialettica politica, in ragione dei fattori di trasformazione della comunicazione politica nella societa' contemporanea. Cio' esige che siano considerate funzioni parlamentari non solo le tipiche attivita' istituzionali compiute all'interno del Parlamento, quali le opinioni manifestate nel corso dei lavori della Camera e dei suoi vari organi o in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facolta' proprie del parlamentare, ma anche quelle manifestate all'esterno del Parlamento (extra moenia, come prosecuzione delle medesime attivita'. Peraltro l'estensione del regime di insindacabilita' anche agli atti compiuti al di fuori dell'ambito parlamentare non puo' essere automatica. Afferma in proposito la Corte costituzionale, spesso chiamata nell'ultimo biennio ad affrontare l'argomento dell'insindacabilita' in occasione di conflitti di attribuzione sollevati dalle autorita' giudiziarie che procedevano nei confronti di parlamentari, imputati per frasi pronunciate in sede extraparlamentare, che trattandosi di insindacabilita' significativamente circoscritta, nella previsione costituzionale, all'esercizio di funzioni parlamentari, e' necessario verificare, in base a specifici criteri, piu' complessi rispetto a quello della mera «localizzazione» dell'atto, l'esistenza di uno stretto «nesso funzionale» tra espressione di «opinioni» e di «voti» ed «esercizio» delle funzioni parlamentari. Il nesso funzionale deve cioe' qualificarsi non come «semplice collegamento di argomento o di contesto fra attivita' parlamentare e dichiarazione, ma come identificabilita' della dichiarazione stessa quale espressione di attivita' parlamentare» (cfr. C. cost. n. 11/2000). Alla luce di tale interpretazione si debbono ritenere, in linea di principio, sindacabili tutte quelle dichiarazioni che fuoriescono dal campo applicativo del «diritto, parlamentare» e che non siano immediatamente collegabili con specifiche forme di esercizio di funzioni parlamentari, anche se siano caratterizzate da un asserito «contesto politico» per il contenuto delle espressioni o per il destinatario o la sede in cui sono state rese, sussistendo il nesso funzionale e la relativa insindacabilita' solo qualora l'attivita' di divulgazione sia correlata ad atti tipici. Cio' vale anche per le manifestazioni di pensiero e le opinioni espresse nell'ambito di un comizio di partito nel corso del quale il parlamentare illustri le sue iniziative parlamentari e cerchi il sostegno dei cittadini per la buona riuscita di esse. Cosi' non potra' essere sanzionato quel parlamentare che ripeta agli elettori, in termini anche offensivi, un discorso fatto in sede parlamentare o riferisca i contenuti scabrosi di una interrogazione presentata per informazione dei cittadini sulle vicende istituzionali, mentre la semplice comunanza di argomento fra le dichiarazioni rese in dibattiti pubblici o ai mezzi di comunicazione, e le opinioni espresse in sede parlamentare non e' sufficiente ad estendere alle prime l'insindacabilita' a queste ultime riservata. Ne' si puo' invocare a tal fine, come e' avvenuto nel caso in esame, l'esistenza di un «contesto» politico in cui la dichiarazione si inserisca, giacche' siffatto tipo di collegamenti non vale, di per se', a conferire il carattere di attivita' parlamentare a manifestazioni di pensiero oggettivamente estranee ad essa. In linea con l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, si deve dunque ritenere che il nesso funzionale fra la dichiarazione resa extra moenia e l'attivita' parlamentare sussista quando le dichiarazioni siano sostanzialmente riproduttive dell'opinione sostenuta in sede parlamentare. In tal modo la prerogativa costituzionale non rileva soltanto per l'occasione specifica in cui l'opinione e' espressa in ambito parlamentare, ma si estende al suo contenuto starico allorquando ne sia realizzata la diffusione pubblica». In occasione di altri ricorsi per conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale si e' sostenuto che tale nesso funzionale sussiste quando le dichiarazioni attengono propriamente alla politica parlamentare, escludendolo quando le espressioni siano attinenti alla politica in senso lato ed indifferenziato, sicche' quando i comportamenti o la materia rientrano nel campo dei lavori parlamentari le successive dichiarazioni extra-moenia se sostanzialmente corrispondenti ai contenuti della comunicazione politico-parlamentare, sarebbero anch'esse espressione di attivita' parlamentare, in quanto cio' che conterebbe sarebbe l'opinione espressa e il suo nesso con l'attivita' parlamentare (sent. n. 364 del 2001). Ritiene l'odierno giudice ricorrente che nelle frasi di cui al capo d'imputazione del procedimento penale in corso, pronunciate a Venezia dall'on. Bossi mentre si stava recando a tenere un comizio nell'ambito di una manifestazione promossa dal suo partito di appartenenza, e dirette ad un cittadino italiano che aveva esposto la bandiera tricolore ad una finestra della sua abitazione, non sia ravvisabile alcun intento divulgativo dell'attivita' parlamentare svolta e pertanto non e' stato correttamente adoperato il potere di autotutela spettante alla Camera di appartenenza. Assume la Camera di appartenenza che la vicenda in esame debba essere inquadrata nel contesto del dibattito politico-parlamentare relativo all'attivita' parlamentare da lungo tempo svolta in ordine all'affermazione dell'autonomia e dell'indipendenza di una parte del Paese dal governo centrale. L'aspra critica dell'on. Bossi sarebbe stata pertanto assistita dalla garanzia costituzionale dell'insindacabilita' ricorrendo il nesso funzionale con il mandato parlamentare, poiche' le espressioni di cui all'addebito altro non erano che la prosecuzione extra moenia dell'attivita' del parlamentare. In verita' le espressioni utilizzate dall'on. Bossi sono state rivolte ad un privato cittadino ed al di fuori anche del comizio (mentre stava transitando in Venezia), tenuto poi lo stesso giorno in qualita' di segretario del partito politico di appartenenza: non possono pertanto essere considerate connesse con l'esercizio di funzioni parlamentari, anche perche' non solo non e' individuato lo specifico atto parlamentare di riferimento posto in essere dal medesimo deputato ed in quanto solo genericamente ricollegabili alla sua attivita' politica, ma anche perche' va inoltre considerata l'oggettiva valenza ingiuriosa delle parole adoperate, considerato che «.... l'immunita' parlamentare riservata alle opinioni non puo' essere estesa sino a comprendere gli insulti - di cui e' comunque discutibile la qualificazione come opinioni - solo perche' collegati con le "battaglie" condotte da esponenti parlamentari in favore delle loro tesi politiche» (sent. n. 137 del 2001), consistenti poi nel caso in specie nell'aggressione verbale alla bandiera nazionale nel suo significato simbolico e rappresentativo dei valori costituzionali. Non possono pertanto reputarsi consentite e giustificate nel nostro ordinamento, alla luce dei valori espressi nella nostra Costituzione, le critiche ingiuriose ed offensive, ferma restando la legittimita' del diritto di critica, se pur in toni aspri. Nel caso in specie pertanto non puo' dirsi individuabile un nesso funzionale tra il mandato parlamentare e le espressioni adoperate, e con la delibera impugnata la Camera di appartenenza ha determinato la menomazione delle prerogative costituzionali dell'autorita' giudiziaria procedente, interferendo nell'ambito dell'attivita' giudiziaria costituzionalmente determinato.
P. Q. M. Si richiede la Corte costituzionale, previa dichiarazione di ammissibilita' del conflitto, voglia dichiarare la non spettanza alla Camera dei deputati della valutazione contenuta nella delibera 11 gennaio 2000, con conseguente, se del caso, suo annullamento per incompetenza, dichiarando altresi' il Potere dello Stato al quale spettano le attribuzioni in contestazione. Mestre, addi' 2 marzo 2002. Il giudice: Dott. Rocco Valeggia 03C0976