N. 678 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2003
Ordinanza emessa il 14 maggio 2003 dal tribunale amministrativo regionale del Veneto sui ricorsi riuniti proposti da Consorzio Operatori Grand'Affi Shopping Center ed altri contro Provincia di Verona Commercio - Regione Veneto - Esercizi di vendita al dettaglio - Obbligo di chiusura domenicale e festiva e di mezza giornata di chiusura infrasettimanale - Deroghe per i comuni ad economia prevalentemente turistica e per le «citta» d'arte stabilite con il d.lgs. n. 114/1998 - Qualificazione con legge regionale di dette localita', in relazione al numero dei posti letto in strutture alberghiere e simili e alla posizione in «territorio montano, litoraneo, lacuale e termale» - Irragionevolezza - Incidenza sui principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Non consentita legiferazione nella materia del commercio riservata allo Stato - Riproposizione di questione gia' oggetto di restituzione atti per ius superveniens con ord. Corte n. 166/2002. - Legge Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62, artt. 2 e 3. - Costituzione, artt. 3, 97 e 117.(GU n.37 del 17-9-2003 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunziato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti n. 3612/2000 e n. 3619/2000, proposti rispettivamente, dal Consorzio operatori Grand'Affi shopping center, in persona dell'amministratore unico, da SAR Internationale S.r.l., da Milleidee a Millelire di Turato Roberta, da Magie d'Oriente S.r.l., da Baci di Ferrari Alba, da Pellicano di Morando Margherita e C. S.n.c., da AMB Italia S.r.l., da Lavasecco Azzurro e C. S.n.c. di Burato Laura, da Sabbia S.r.l., da Anti S.n.c. di Tiberio Veronesi e C., da Vediamoci di Senese Lidia, da Le Follie S.n.c. di Bersan Marcello, da Intimamente S.n.c. di Beghini Monica e Ambrosi Orietta, da 3A dei F.lli Anonini, da Holding dei Giochi S.r.l. in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Riccardo Ruffo e Franco Zambelli, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22, e dai comuni di Affi, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Costermano, Pastrengo e Rivoli Veronese, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore tutti autorizzati ad agire con singole delibere delle G.M., rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Sala e domiciliari presso l'avv. Franco Zambelli al domicilio sui indicato; Contro la Provincia di Verona in persona del Presidente della G.P. pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Giancarlo Biancardi, Michele Miguidi e Antonio Sartori, con elezione di domicilio presso lo studio dell'ultimo in Venezia, S. Croce n. 205, come da delibera di autorizzazione a stare in giudizio della G.P. n. 23/598 del 14 dicembre 2000, e procura a.l. a margine dei controricorsi per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 1579 del 3 ottobre 2000 recante diniego di individuazione quali comuni a prevalente economia turistica, ai fini della deroga agli orari di vendita; nonche' della delibera della G.P. n. 12/246 del 25 febbraio 2000, recante fissazione dei criteri per l'applicazione delle deroghe agli orari di vendita per i comuni a economia prevalentemente turistica e citta' d'arte. Visti i ricorsi, notificati entrambi il 30 novembre 2000 e depositati presso la segreteria il 7 dicembre 2000, con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia di Verona, depositati entrambi il 19 dicembre 2000; Visti gli atti tutti delle cause; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Uditi alla pubblica udienza del 26 marzo 2003, relatore il consigliere Italo Franco, l'avv. Sala -- in proprio nel ricorso n. 3619/2000 e in sostituzione dell'avv. Ruffo nel ricorso n. 3612/2000 -- per la parte ricorrente, e l'avv. Sartori per la Provincia di Verona. Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue. F a t t o Con ricorso rubricato al n. 3612/2000 viene impugnato, da parte di titolari di esercizi commerciali (i piu' raggruppati in due centri commerciali ubicati nel comune di Affi) - congiuntamente alla delibera n. 12/646 del 25 maggio 2000, con la quale la G.P. di Verona aveva definito i criteri per l'individuazione dei comuni a prevalente economia turistica e delle «citta' d'arte» ai fini della deroga agli orari di vendita degli esercizi commerciali - la determinazione dirigenziale prot. n. 26907 del 3 ottobre 2000 recante, fra l'altro, diniego di riconoscimento di «comuni a prevalente economia turistica» del territorio dei comuni convenzionati di Affi, Cavaion Veronese, Castelnuovo del Garda, Costermano, Pastrengo e Rivoli Veronese, «perche' non presenta le caratteristiche di cui all'art. 2, comma 5, L.R. n. 62/1999» (conforme il parere dell'ufficio legale della Provincia e della Regione). Premettono gli esercenti commerciali ricorrenti di far parte di due centri commerciali («Grand'Affi» e «Iperaffi»), di svolgere la loro attivita' in comune di Affi, situato a meno di 5 km dal Lago di Garda e ad esso ben collegato, tanto da essere divenuto punto di passaggio obbligato per grandi masse di turisti, provenienti specialmente dal Trentino A.A. e dalla Germania e diretti sia nel comprensorio del Garda che a Verona (di cui costituiscono il retroterra naturale), e che tutti i comuni ora convenzionati erano, in base alla previgente disciplina, riconosciuti «localita' ad economia turistica» (con D.P.G.R. n. 677 del 31 marzo 1983). Di conseguenza essi, nel periodo dal 15 marzo al 4 novembre, avevano facolta' di tenere aperti gli esercizi anche nei giorni domenicali e festivi, dal che traevano grande vantaggio, considerato che in tale periodo gli incassi del fine settimana rappresentavano una grossa percentuale di quelli realizzati nell'intera settimana. Legati da convenzione stipulata a tal fine, i comuni su nominati, contestualmente criticando i criteri irragionevolmente restrittivi di cui alla norma regionale, nonche' i criteri ulteriori fissati dalla provincia, avevano chiesto il riconoscimento del carattere prevalentemente turistico dell'economia di tutto il territorio dei sei comuni, affermando di possedere i requisiti all'uopo previsti tanto dall'art. 62.1 della L.R. n. 62/1999 quanto dalla delibera della G.P. n. 12/646 del 25 maggio 2000 (con ampio corredo di dati), ricevendone il diniego su menzionato. A sostegno del gravame i ricorrenti deducono, con il primo motivo, eccesso di potere per illogicita' e carenza di motivazione, sul rilievo che, se in passato i comuni ora convenzionati erano classificati «localita' ad economia turistica» - circostanza immotivatamente ignorata -, a maggior ragione dovrebbero essere riconosciuti ora, sulla base della piu' favorevole nuova normativa, «comuni ad economia prevalentemente turistica», tanto piu' che solo dopo il menzionato riconoscimento si sono installati ad Affi i due centri commerciali su richiamati, e che tutta l'economia di tali comuni ruota intorno al turismo del Garda. Con il secondo mezzo si deduce violazione dell'art. 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per insufficienza ed incongruita' della motivazione, sul rilievo che, nel diniego avversato, non si disconosce l'esistenza dei requisiti, ma si motiva adducendo l'assenza delle caratteristiche previste in una disposizione (il quinto comma dell'art. 62) affatto estraneo alla fattispecie, e non invocato dai comuni convenzionati, i quali chiedevano il riconoscimento sulla base delle regole ordinarie (comma primo e secondo del medesimo art. 62). Con il terzo motivo si deduce eccesso di potere per difetto di istruttoria e insufficienza della motivazione, sul rilievo che non sono state prese in considerazione le ampie argomentazioni svolte nell'istanza, e non si e' dato rilievo ai pareri espressi dalle organizzazioni maggiormente rappresentative dei settori commercio e turismo, ne' si da' conto del perche' tali pareri sono stati disattesi. Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 12 del d.lgs. n. 114/1998 e degli art. 1 e 2 della L.R. n. 62/1999, anche in relazione agli artt. 24 e 26 della legge n. 142/1990, sul rilievo che deve ritenersi ammissibile (per quanto nulla si dica al riguardo sul punto) la possibilita' che anche piu' comuni associati possano chiedere il riconoscimento de quo (non menzionato ma nemmeno escluso dalle norme citate), avuto anche riguardo al favor manifestato nella legislazione sullo svolgimento di funzioni in forma associata. Con il quinto mezzo si deduce violazione deIl'art. 12, comma 3 del d.lgs. n. 114/1998, e degli art. 2 e 6 della L.R. n. 62/1999, sull'assunto che, anche ove volessero ritenersi, piu' comuni convenzionati, non legittimatati a chiedere tale riconoscimento, la p.a. doveva verificare d'ufficio se i requisiti sussistessero in capo ai singoli comuni richiedenti. Con il sesto motivo si lamenta violazione dell'art. 12.3 del d.lgs. n. 114/1998 e dell'art. 1 della L.R. n. 62/1999, nonche' del regolamento approvato dalla G.P. con delibera n. 12/246 del 25 maggio 2000, punto 5, sul rilievo che, mentre quivi si prevede che «il periodo di deroga potra' durare tutto l'anno», nel diniego si esclude la deroga per 365 giorni, senza verificare se potessero assentirsi deroghe per periodi di tempo piu' limitati (come accadeva in precedenza per il comune di Affi). Con il settimo mezzo si deduce violazione degli art. 32 e 35 della legge n. 142/1990 e incompetenza, assumendosi che la G.P. e' competente ad emettere regolamenti soltanto in ordine all'organizzazione degli uffici e dei servizi, dal che la conclusione che il regolamento in questione era di competenza consiliare, e soggiungendosi che, ove non volesse ritenersi di natura regolamentare la deliberazione della G.P., la competenza al riguardo spetterebbe al dirigente. Con l'ottavo mezzo si lamenta eccesso di potere per manifesta illogicita', rilevandosi, in relazione ai criteri definiti dalla G.P., l'illogicita', in particolare, di quello con il quale si prevede che il rapporto tra popolazione residente e presenze in esercizi alberghieri ed extralberghieri debba essere maggiore o uguale a 35/100, rapporto che avvantaggia, paradossalmente, i comuni con minori presenze (a meno che non si voglia ritenere che si tratti di un errore materiale). Inoltre, non risulta possibile determinare il rapporto fra imprese del settore turistico e tutte le altre (non rinvenendosi un simile criterio ufficiale di classificazione), ne' puo' ritenersi ragionevole il parametro, all'uopo richiesto, di 70 su 100. Con il nono motivo si deduce violazione degli art. 12.3 del d.lgs. n. 114/1998 e 1.1 della L.R. n. 62/1999; eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione, sul rilievo che, mentre le norme invocate ammettono riconoscimenti anche per periodi limitati, e' stata affatto ignorata detta possibilita', che consentirebbe di soddisfare l'interesse di comuni interessati ai flussi turistici in determinati periodi dell'anno, come quello di Affi. Con il decimo motivo si lamenta violazione dell'art. 2.3 della L.R. 28 dicembre 1999, n. 62, assumendosi che, mentre svariati potevano essere gli indicatori, quelli definiti dalla G.P. sono eccessivamente rigidi, specialmente quando si prevede che ne debbano essere posseduti almeno quattro. Con l'undicesimo mezzo si deduce illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della L.R. 28 dicembre 1999, n. 62, sul rilievo che lo stesso si pone in contrasto con i principi posti nell'art. 12 del d.lgs. n. 114/1998 (vincolanti ai sensi dell'art. 117 Cost.), il quale assegna alle regioni solamente il compito di individuare i comuni a prevalente economia turistica, il che esclude che le regioni possano introdurre ulteriori requisiti restrittivi, come ha fatto la l.r. n. 62/1999 quando prevede che possano ottenere detto riconoscimento solo i comuni che abbiano almeno 1500 posti-letto (criterio manifestamente incongruo, ed eccessivamente rigido). Ma l'art. 2 cit. si pone in contrasto con i principi della legislazione statale anche la' dove ammette al riconoscimento i «soli comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale», laddove l'art. 12 consente la deroga in discussione indipendentemente dalla collocazione geografica dei comuni. La norma, inoltre, si pone in contrasto anche con i principi di ragionevolezza e uguaglianza sanciti dall'art. 3 della Costituzione; infatti, in tal modo la legge regionale esclude arbitrariamente la deroga per gli esercizi commerciali in numerosi comuni caratterizzati da economia prevalentemente turistica, ma non in possesso dei requisiti di cui ai criteri ulteriori fissati da detta norma, contrapponendosi, cosi', anche all'esperienza e alla normativa anteriori, quando tale qualifica era stata pacificamente riconosciuta al comune di Affi e agli altri convenzionati con esso. Si e' costituita la provincia, eccependo preliminarmente l'inammissibilita' del ricorso in quanto non notificato ai soggetti che avevano espresso il parere sfavorevole (Confersercenti, Confcommercio, Fisascat), da considerare controinteressati. Nel merito se ne eccepisce l'infondatezza, assumendosi che per mero errore materiale non figura nel provvedimento la vera motivazione (che si desume dai pareri forniti dall'ufficio legale della provincia e dalla regione, ed e' conosciuta dai ricorrenti), concernente il fatto che soltanto comuni singoli possono richiedere il riconoscimento in questione, come si desume dal sistema, altrimenti le norme si presterebbero ad un facile aggiramento, venendo cosi' svuotate. Con il ricorso rubricato al n. 3619/2000, i sei comuni convenzionati impugnano a loro volta il diniego e la delibera della G.P. n. 12/246/2000. A sostegno del gravame essi deducono, con qualche variazione marginale, tutti i motivi di impugnazione di cui al ricorso precedente, tranne il primo. La provincia si e' costituita anche in questo giudizio, aggiungendo alle eccezioni gia' formulate quella di irricevibilita' del ricorso nei riguardi della disciplina regionale e provinciale - certamente gia' conosciuta alla data di sottoscrizione dell'istanza (31 luglio 2000)-, e di inammissibilita' per difetto di interesse, asserendo che si tratta, nel caso, di interesse diffuso (dei commercianti), non tutelato espressamente da nessuna norma di legge, e negato da dottrina e giurisprudenza per gli enti esponenziali (quali sono i comuni). A tali eccezioni ha replicato con memoria conclusionale il patrocinio ricorrente. Con ordinanza n. 1130 dell"11 aprile - 4 maggio 2001 di questa sezione, e' stata rimessa alla Corte costituzionale la questione di costituzionalita' dell'art. 2 della l.r. 28 dicembre 1999, n. 62 (nonche' dell'art. 3 della medesima l.r., in relazione a due altri ricorsi con i quali si contestava il mancato riconoscimento della qualita' di «citta' d'arte» in capo a due diversi comuni, giudizi peraltro non riassunti dopo la restituzione degli atti da parte della Corte). La questione era stata prospettata sotto vari profili, in primo luogo in relazione all'art. 117 Cost., quanto alla sussistenza, o meno, in capo alle regioni, della potesta' legislativa in materia di commercio. Ma la Corte, nonostante che abbia dato atto della sottoposizione della questione di costituzionalita' anche sotto altri profili, ha restituito al giudice remittente gli atti, affinche' proceda ad un riesame, della questione, in via preliminare, alla luce dello ius superveniens intervenuto con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (modificativa del titolo V della Carta costituzionale). Di conseguenza, dopo la riassunzione dei giudizi (da parte dei soli soggetti ricorrenti nei ricorsi, gia' riuniti, n. 3612/2000 e 3619/2000), e' stata fissata la nuova udienza di trattazione. Il patrocinio attoreo ha, indi, depositato una memoria. Con questa, in buona, sostanza, dopo avere rilevato che la Corte non ha scrutinato la questione di costituzionalita' in relazione ai rimanenti profili prospettati con l'ordinanza di rimessione, detto patrocinio ha chiesto che gli atti vengano rinviati nuovamente alla Corte costituzionale, per la verifica di legittimita' costituzionale anche sotto il profilo gia' scrutinato, con riguardo alla tutela della concorrenza (certamente implicata in materia di liberta' di iniziativa economica, quale e' quella de qua agitur), la cui disciplina rientra nella potesta' legislativa statale esclusiva, nel novellato art. 117 della Costituzione. D'altra parte viene ribadita l'esigenza che la Corte - che pure non li aveva ignorati - verifichi la costituzionalita' della norma alla luce dei rimanenti profili di incostituzionalita', non esaminati dalla medesima Corte. All'udienza il difensore delle parti ricorrenti ha concluso in tali termini, mentre il difensore della provincia si e' rimesso, al riguardo, al collegio. Indi le cause sono state spedite in decisione. D i r i t t o 1. - Come accennato nella narrativa in fatto che precede, la Corte costituzionale ha restituito gli atti al giudice a quo, affinche' lo stesso riesamini la questione alla luce della sopravvenuta modifica del titolo V della Costituzione, ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la quale ha, tra l'altro, significativamente riscritto gli art. 117 e 118, impostando su basi tutt'affatto diverse rispetto all'assetto previgente la distribuzione della potesta' legislativa fra Stato e regioni, e inoltre ha dettato incisive modifiche in ordine alla titolarita' della funzione amministrativa. In particolare, per il novellato art. 117, comma 4, la materia del commercio apparterrebbe, ora, alla competenza legislativa residuale generale (e dunque esclusiva) delle regioni. Onde aderire all'invito della Corte, si impone qualche considerazione di carattere preliminare, per quanto in via del tutto sintetica e sommaria. In merito al nuovo titolo V della Costituzione (riscritto con la richiamata legge costituzionale n. 3/2001), osserva concisamente il Collegio che si tratta di modifiche che hanno profondamente mutato l'ordinamento costituzionale-amministrativo, costringendo a rivedere numerosi istituti anche del diritto amministrativo, dal che discende che la risoluzione, per quanto ne riguarda, di non poche delle controversie portate davanti al giudice amministrativo dovra' avvenire sulla scorta di considerazioni e strumenti a volte radicalmente diversi da quelli che erano abituali fino alla menzionata modifica del titolo V. Tuttavia, non soltanto con piu' specifico riferimento al caso di specie, si osserva che - permanendo il principio dell'ordinamento noto come tempus regit actum, specialmente quando si debba giudicare della legittimita' di provvedimenti e atti emessi dalla p.a. - appare a tutta prima piuttosto problematico applicare canoni normativi diversi (in quanto apportati da leggi sopravvenute nelle more del giudizio) da quelli vigenti all'epoca dell'emissione di atti e provvedimenti amministrativi in contestazione. In simile ambito la riconsiderazione del provvedimento alla luce dello ius superveniens da parte del giudice a quo parrebbe consentita, in ipotesi piuttosto residuali, ad es. sotto il profilo della sopravvenuta carenza di interesse alla decisione (nell'ipotesi che la disciplina sopravvenuta continui ad impedire -anche se con giustificazioni diverse, che resistano al vaglio di costituzionalita' - il conseguimento del vantaggio atteso dal ricorrente e negato dalla p.a. sulla scorta della normativa pregressa), e cosi' via. Vero e', d'altra parte, che la delicatezza del profilo in discussione nella controversia che ne occupa (al di la' dello stretto interesse che muove le parti in causa, specialmente i ricorrenti) se riguardata alla luce della profondita' delle modifiche costituzionali richiamate, e' tale da indurre ad ogni possibile considerazione del nuovo assetto di competenze legislative dettato dal novellato art. 117. In simile ottica, il fatto che le regioni, oggi, detengano sicuramente il potere di emanare norme di legge anche nella materia del commercio, potrebbe, per cosi' dire, legittimare ex post l'esercizio del potere legislativo esercitato, nel caso di specie, con la legge regionale n. 62/1999, sospettata di incostituzionalita' sotto il profilo della carenza di potesta' legislativa in materia, in capo alla regione. Tanto potrebbe consentire, riconsiderando la legge alla luce delle competenze legislative regionali ora ridisegnate dal nuovo art. 117 Cost., di decidere la controversia. 2. - In verita', come gia' riferito, il patrocinio ricorrente, nella memoria depositata in limine alla nuova udienza di trattazione, ha affacciato nuovi dubbi di incostituzionalita', di essa L.R. n. 62/1999 sotto il medesimo profilo (id est, contrasto con l'art. 117 Cost.) anche nel nuovo assetto costituzionale concernente la distribuzione del potere legislativo fra Stato e regioni. Piu' precisamente, si sospetta della costituzionalita' di una legge con cui la regione ha inteso porre regole che vanno a incidere in un ambito - come la tutela della concorrenza - che il novellato art. 117 riserva alla potesta' legislativa esclusiva dello Stato. Ed invero, porre regole e limiti in tema di orari e giorni di apertura di esercizi commerciali comporta l'incisione della liberta' di iniziativa economica, ampliata per gli uni (esercizi situati nei comuni riconosciuti «a prevalente economia turistica») e ristretta per gli altri soggetti operanti nel commercio - e dunque concorrenti - che non possono godere delle deroghe agli orari previste per i primi. In altre parole, secondo la tesi sostenuta, pur volendo prendere in considerazione, ai fini dello scrutinio di costituzionalita', la sopravvenuta legge costituzionale n. 3/2001, emergerebbe per un diverso aspetto il contrasto con l'art. 117 Cost., appunto, cioe', per avere la regione legiferato in ordine alla tutela della concorrenza, la quale viene certamente in rilievo in relazione alla liberta' di iniziativa economica. In ordine a siffatta prospettazione - avuto riguardo al fatto che i primi commenti alla legge cost. n. 3/2001 hanno posto in rilievo come tanto per la «tutela della concorrenza» [art. 117, comma 2, lettera e)] quanto per altri ambiti [ad es., «tutela dell'ambiente»: lettera s)] si tratta di materie soltanto da un punto di vista «trasversale», nel senso che possono riguardare diverse altre materie in senso proprio, disciplinate da specifici assiemi normativi, si potrebbe dire che detta tesi - certamente non peregrina - parrebbe «provare troppo». Infatti, ragionando in siffatto modo (in disparte la critica alla logica seguita dal legislatore costituzionale della legge n. 3/2001), verrebbe parecchio ristretto l'ambito della competenza legislativa esclusiva delle regioni, cosi' riprendendosi il sistema buona parte di quello che aveva concesso con la menzionata lettera s). Tuttavia, non puo' dirsi che la questione sia manifestamente infondata, specialmente considerando che occorre senza meno, per evidenti ragioni, tracciare i confini tra le varie «materie» concernenti il riparto della potesta' legislativa fra Stato e regioni. Per tali motivi, anche considerando che comunque il collegio si vede costretto a inviare nuovamente alla Corte gli atti (infra) si ritiene di sottoporle anche detto profilo, nei termini succintamente su esposti. Si aggiunga che la medesima questione deve ritenersi palesemente rilevante ai fini del decidere, dal momento che, se la Corte dovesse ravvisare l'incostituzionalita' della l.r. n. 62/1999 sotto tale profilo, da cio' conseguirebbe l'illegittimita' dei provvedimenti impugnati (e l'accoglimento dei ricorsi). 3.1. - Gia' si e' detto degli altri profili di possibile incostituzionalita' dell'art. 2 della l.r. n. 62/1999 non esaminati dalla Corte costituzionale, che ha ravvisato l'esigenza preliminare di un riesame, da parte del giudice a quo della questione alla luce delle modifiche arrecate al titolo V dalla legge cost. n. 3/2001. Quanto alla loro rilevanza ai fini del decidere, basti considerare che un'eventuale pronuncia di incostituzionalita' della legge regionale comporterebbe l'illegittimita' del provvedimento di cui si dolgono i ricorrenti, con l'accoglimento del gravame. Per quanto concerne la non manifesta infondatezza conviene riportare, con poche variazioni, parte delle argomentazioni gia' svolte a sostegno nella precedente ordinanza di remissione alla Corte costituzionale e non esaminate. In concreto, con la l.r. in questione, la Regione Veneto non soltanto si e' arrogato un potere legislativo che in realta' non aveva (nel pregresso ordinamento costituzionale), ma - e qui si appuntano, in parte, le censure dei ricorrenti, quando sollevano la questione di costituzionalita' - lo ha fatto con una costruzione assolutamente ridondante, ed irragionevole e irrazionale nei contenuti (per di piu' attribuendo alle province ulteriori competenze che sembrano soltanto tali da complicare il quadro). Cio' che appare censurabile, infatti, sotto il profilo - si direbbe - di adeguatezza con la materia da disciplinare e con le finalita' perseguite, e' il contenuto della disciplina posta, con particolare riguardo alla previsione dei requisiti che si pongono per il riconoscimento in questione. Ed invero, il tutto e' costruito partendo dalla fissazione di quelli che si pongono, e debbono considerarsi, come dei requisiti o presupposti di base, in mancanza dei quali non si pone nemmeno l'applicazione della rimanente disciplina sui requisiti, che pure vengono dettagliatamente configurati. In particolare, l'art. 2 prevede, al comma 1, che possono essere indi quali comuni ad economia prevalentemente turistica: «solo i comuni situati in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale... con almeno millecinquecento posti-letto in strutture alberghiere ed extra alberghiere». Ora, mentre nel comma 2 si rinvengono le definizioni legali di comune montano, litoraneo, ecc., nel successivo comma si prevede che, ai fini dell'individuazione, i comuni (rientranti nell'ambito definitorio suddetto) interessati corredino, ad ulteriore dimostrazione, la domanda (da inoltrare entro il 31 ottobre di ogni anno) con la documentazione completa e i dati statistici inerenti ad una serie di indicatori ivi elencati (rapporto tra popolazione residente e numero di presenze in esercizi alberghieri; rapporto tra imprese turistiche ed occupati nelle stesse, con il totale delle imprese e occupati di tutte le imprese, ecc.). Le domande vanno, poi, corredate dei pareri dei soggetti associativi cui si e' fatto retro riferimento. Orbene, sia pure nel rispetto per la lata discrezionalita' del legislatore regionale, gia' ad una prima lettura risalta il difetto di una simile costruzione sotto il profilo della ragionevolezza e della coerenza interna, sembrando palese il suo contrasto con il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. e con il principio di proporzionalita' dell'azione amministrativa. Ed invero, in primo luogo si osserva che i due requisiti menzionati pongono, in realta', uno sbarramento, nel senso che se una localita' non sia montana o lacuale, ecc., ne' abbia almeno 1500 posti-letto nei suoi alberghi e strutture affini, non potra' mai essere individuato quale comune ad economia prevalentemente turistica. (Quanto, poi al secondo di tali requisiti, appare in tutta evidenza eccessivo, e irragionevole il requisito di 1.500 posti-letto). Non aiuterebbe, a tal fine, nemmeno la presenza di tutti gli indicatori cui si e' accennato, anche se realizzati a livello ottimale. Cio' significa che la valutazione di detti indicatori funge soltanto da ulteriore filtro tra i comuni richiedenti che presentino i menzionati requisiti di base. Senonche', non sfugge all'interprete (e, ovviamente, agli operatori commerciali e alle comunita' interessate) che piu' congruo e maggiormente ragionevole sarebbe apparso considerare il pre-requisito del numero dei posti-letto alla stregua degli altri indicatori cui si e' accennato, se del caso attribuendogli un «peso» maggiore, in modo da effettuare una valutazione ponderata di una serie di elementi indicativi della caratteristica di economia prevalentemente turistica di un dato territorio. 3.2. - Maggiormente irragionevole (o comunque inesplicata) appare, poi, la limitazione dell'individuazione quale comune ad economia prevalentemente turistica dei soli comuni montani, litoranei, lacuali e termali (per incidens, si nota che si prevede la sufficienza, per questi ultimi, della presenza anche di un solo stabilimento termale: cfr. comma secondo): in pura teoria, ben potrebbe rinvenirsi una localita' ad economia turistica situata in pianura e lontana dai laghi e dalla costa. Da cio' l'incongruenza o l'irrazionalita' di una simile limitazione. Detta limitazione si pone, altresi', in contrasto - per i suoi effetti discriminatori nei confronti dei comuni che si trovano diversamente ubicati, ma che pure possano vantare il carattere prevalentemente turistico delle rispettive economie con l'art. 3 della Costituzione. Non chiaro appare, poi, il senso della deroga di cui al quinto comma, ove si prevede che la provincia possa, a richiesta, dare il riconoscimento in discorso ai comuni il cui capoluogo sia situato a un'altitudine di almeno 600 metri sul mare, ipotizzando - tanto si desume dal dato testuale - che detto rinascimento in deroga possa avvenire anche a prescindere del tutto dal requisito inerente al numero dei posti-letto. E' appena il caso di osservare che la previsione si pone in contrasto ancora maggiore con l'art. 3 Cost. 3.3. - Infine pare evidente che l'avere privilegiato significativamente il requisito del numero di posti-letto reca in se' un'ulteriore incongruenza la' dove si esclude a priori - come sembra evincersi dal tenore e dal dato testuale della norma - che l'esistenza del requisito in questione possa verificarsi con riferimento ad un ambito piu' ampio del territorio di un solo comune, estendendolo, per cosi' dire, ad un territorio piu' ampio. La realta', invero, conosce l'esistenza di veri e propri comprensori turistici, e quello dell'immediato retro-terra del Garda ne potrebbe costituire un esempio. Al riguardo si osserva anche che i due centri commerciali situati ad Affi in prossimita' dello svincolo autostradale, mentre si presta a servire un consistente afflusso di turisti - compratori, al tempo stesso non potra' non giovare anche agli esercizi di vendita minori presenti nelle medesime localita', e, verosimilmente, potra' impedire un'ipotizzabile tendenza a realizzare altre grosse strutture commerciali (con quel che segue in termini di congestione e spreco del territorio, risorsa a carattere irreversibile) nelle localita' lacuali che godono della «franchigia» dalla chiusura nei giorni domenicali e festivi. 4. - Quale ultima annotazione, non puo' non rilevarsi l'irragionevolezza del disconoscimento, in capo ai comuni ricorrenti, di una qualita' che gia' era loro riconosciuta da tempo, sulla scorta della normativa previgente, il che induceva, oltre ad un ragionevole affidamento in tal senso anche per il futuro (tanto piu' in presenza di una normativa statale molto orientata nel senso della liberalizzazione delle attivita' di commercio), anche a realizzare investimenti calcolati sulla base della possibilita' di apertura anche nei fine-settimana degli esercizi di vendita. 5. - In conclusione, le considerazioni fin qui esposte inducono il Collegio a riproporre la questione di costituzionalita' degli art. 2 e 3 della L.R. 28 dicembre 1999, n. 62, per contrasto con gli articoli 117, 97 e 3 della Costituzione. Va disposta, pertanto, la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della l.r. 28 dicembre 1999, n. 62, per contrasto con gli art. 117, 97 e 3 Cost. Dispone la sospensione del giudizio e l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Presidente della giunta regionale del Veneto, e che sia comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Venezia, in camera di consiglio, addi' 26 marzo 2003. Il Presidente: Zuballi L'estensore: Franco 03C0980