N. 678 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 maggio 2003

Ordinanza  emessa  il  14  maggio  2003  dal tribunale amministrativo
regionale  del  Veneto  sui  ricorsi  riuniti  proposti  da Consorzio
Operatori  Grand'Affi  Shopping  Center  ed altri contro Provincia di
Verona

Commercio  -  Regione  Veneto  -  Esercizi  di vendita al dettaglio -
  Obbligo  di  chiusura  domenicale  e festiva e di mezza giornata di
  chiusura  infrasettimanale  -  Deroghe  per  i  comuni  ad economia
  prevalentemente  turistica e per le «citta» d'arte stabilite con il
  d.lgs.  n. 114/1998  -  Qualificazione con legge regionale di dette
  localita',  in  relazione  al  numero  dei posti letto in strutture
  alberghiere  e  simili  e  alla  posizione  in «territorio montano,
  litoraneo,  lacuale  e  termale» - Irragionevolezza - Incidenza sui
  principi   di   imparzialita'   e  buon  andamento  della  pubblica
  amministrazione  -  Non  consentita legiferazione nella materia del
  commercio  riservata  allo Stato - Riproposizione di questione gia'
  oggetto  di  restituzione  atti per ius superveniens con ord. Corte
  n. 166/2002.
- Legge Regione Veneto 28 dicembre 1999, n. 62, artt. 2 e 3.
- Costituzione, artt. 3, 97 e 117.
(GU n.37 del 17-9-2003 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha   pronunziato   la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi  riuniti
n. 3612/2000  e n. 3619/2000, proposti rispettivamente, dal Consorzio
operatori  Grand'Affi shopping center, in persona dell'amministratore
unico,  da  SAR  Internationale  S.r.l.,  da Milleidee a Millelire di
Turato  Roberta,  da Magie d'Oriente S.r.l., da Baci di Ferrari Alba,
da Pellicano di Morando Margherita e C. S.n.c., da AMB Italia S.r.l.,
da  Lavasecco  Azzurro e C. S.n.c. di Burato Laura, da Sabbia S.r.l.,
da  Anti  S.n.c.  di  Tiberio  Veronesi  e C., da Vediamoci di Senese
Lidia,  da Le Follie S.n.c. di Bersan Marcello, da Intimamente S.n.c.
di  Beghini  Monica  e  Ambrosi  Orietta, da 3A dei F.lli Anonini, da
Holding   dei   Giochi   S.r.l.  in  persona  dei  rispettivi  legali
rappresentanti  pro  tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avv.
Riccardo  Ruffo  e  Franco  Zambelli,  con domicilio eletto presso lo
studio  del  secondo  in  Venezia-Mestre,  via  Cavallotti, 22, e dai
comuni  di Affi, Castelnuovo del Garda, Cavaion Veronese, Costermano,
Pastrengo  e  Rivoli  Veronese, in persona dei rispettivi Sindaci pro
tempore  tutti  autorizzati ad agire con singole delibere delle G.M.,
rappresentati  e  difesi dall'avv. Giovanni Sala e domiciliari presso
l'avv. Franco Zambelli al domicilio sui indicato;
    Contro  la  Provincia  di  Verona in persona del Presidente della
G.P.  pro  tempore,  rappresentato  e  difeso  dagli  avv.  Giancarlo
Biancardi,  Michele  Miguidi  e  Antonio  Sartori,  con  elezione  di
domicilio  presso  lo studio dell'ultimo in Venezia, S. Croce n. 205,
come  da  delibera  di  autorizzazione a stare in giudizio della G.P.
n. 23/598  del  14 dicembre  2000,  e  procura  a.l.  a  margine  dei
controricorsi  per  l'annullamento  della determinazione dirigenziale
n. 1579  del  3 ottobre  2000 recante diniego di individuazione quali
comuni  a  prevalente  economia  turistica, ai fini della deroga agli
orari  di  vendita;  nonche'  della delibera della G.P. n. 12/246 del
25 febbraio  2000,  recante fissazione dei criteri per l'applicazione
delle  deroghe  agli  orari  di  vendita  per  i  comuni  a  economia
prevalentemente turistica e citta' d'arte.
    Visti  i  ricorsi,  notificati  entrambi  il  30 novembre  2000 e
depositati  presso  la  segreteria il 7 dicembre 2000, con i relativi
allegati;
    Visti  gli  atti  di  costituzione in giudizio della Provincia di
Verona, depositati entrambi il 19 dicembre 2000;
    Visti gli atti tutti delle cause;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  26  marzo  2003, relatore il
consigliere  Italo  Franco,  l'avv.  Sala  --  in proprio nel ricorso
n. 3619/2000   e   in   sostituzione   dell'avv.  Ruffo  nel  ricorso
n. 3612/2000  --  per  la  parte  ricorrente, e l'avv. Sartori per la
Provincia di Verona.
    Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Con  ricorso  rubricato al n. 3612/2000 viene impugnato, da parte
di titolari di esercizi commerciali (i piu' raggruppati in due centri
commerciali  ubicati  nel  comune  di  Affi)  -  congiuntamente  alla
delibera n. 12/646 del 25 maggio 2000, con la quale la G.P. di Verona
aveva definito i criteri per l'individuazione dei comuni a prevalente
economia  turistica e delle «citta' d'arte» ai fini della deroga agli
orari  di  vendita  degli  esercizi  commerciali  - la determinazione
dirigenziale  prot. n. 26907 del 3 ottobre 2000 recante, fra l'altro,
diniego di riconoscimento di «comuni a prevalente economia turistica»
del  territorio  dei  comuni convenzionati di Affi, Cavaion Veronese,
Castelnuovo  del  Garda,  Costermano,  Pastrengo  e  Rivoli Veronese,
«perche'  non presenta le caratteristiche di cui all'art. 2, comma 5,
L.R.  n. 62/1999»  (conforme  il  parere  dell'ufficio  legale  della
Provincia e della Regione).
    Premettono  gli  esercenti commerciali ricorrenti di far parte di
due  centri  commerciali  («Grand'Affi» e «Iperaffi»), di svolgere la
loro  attivita' in comune di Affi, situato a meno di 5 km dal Lago di
Garda  e  ad  esso  ben  collegato, tanto da essere divenuto punto di
passaggio   obbligato   per  grandi  masse  di  turisti,  provenienti
specialmente  dal  Trentino  A.A.  e dalla Germania e diretti sia nel
comprensorio  del  Garda  che  a  Verona  (di  cui  costituiscono  il
retroterra  naturale),  e che tutti i comuni ora convenzionati erano,
in  base  alla  previgente  disciplina,  riconosciuti  «localita'  ad
economia  turistica»  (con  D.P.G.R.  n. 677  del  31 marzo 1983). Di
conseguenza  essi,  nel  periodo  dal 15 marzo al 4 novembre, avevano
facolta'  di tenere aperti gli esercizi anche nei giorni domenicali e
festivi,  dal  che traevano grande vantaggio, considerato che in tale
periodo  gli  incassi  del  fine settimana rappresentavano una grossa
percentuale di quelli realizzati nell'intera settimana.
    Legati da convenzione stipulata a tal fine, i comuni su nominati,
contestualmente criticando i criteri irragionevolmente restrittivi di
cui  alla  norma regionale, nonche' i criteri ulteriori fissati dalla
provincia,   avevano   chiesto   il   riconoscimento   del  carattere
prevalentemente  turistico  dell'economia  di tutto il territorio dei
sei  comuni,  affermando  di  possedere i requisiti all'uopo previsti
tanto  dall'art. 62.1  della  L.R.  n. 62/1999  quanto dalla delibera
della  G.P. n. 12/646 del 25 maggio 2000 (con ampio corredo di dati),
ricevendone il diniego su menzionato.
    A  sostegno  del  gravame  i  ricorrenti  deducono,  con il primo
motivo,  eccesso  di potere per illogicita' e carenza di motivazione,
sul  rilievo  che,  se  in  passato  i comuni ora convenzionati erano
classificati   «localita'   ad   economia  turistica»  -  circostanza
immotivatamente  ignorata  -,  a  maggior  ragione  dovrebbero essere
riconosciuti  ora,  sulla base della piu' favorevole nuova normativa,
«comuni  ad  economia prevalentemente turistica», tanto piu' che solo
dopo  il  menzionato  riconoscimento si sono installati ad Affi i due
centri  commerciali  su  richiamati,  e  che tutta l'economia di tali
comuni ruota intorno al turismo del Garda.
    Con il secondo mezzo si deduce violazione dell'art. 3 della legge
n. 241/1990;  eccesso  di  potere  per  insufficienza ed incongruita'
della  motivazione,  sul  rilievo  che, nel diniego avversato, non si
disconosce   l'esistenza   dei  requisiti,  ma  si  motiva  adducendo
l'assenza  delle  caratteristiche  previste  in  una disposizione (il
quinto  comma  dell'art. 62) affatto estraneo alla fattispecie, e non
invocato   dai   comuni   convenzionati,   i   quali   chiedevano  il
riconoscimento  sulla  base  delle  regole  ordinarie  (comma primo e
secondo del medesimo art. 62).
    Con  il  terzo  motivo si deduce eccesso di potere per difetto di
istruttoria  e  insufficienza  della motivazione, sul rilievo che non
sono  state  prese  in  considerazione le ampie argomentazioni svolte
nell'istanza,  e  non  si  e'  dato  rilievo ai pareri espressi dalle
organizzazioni  maggiormente  rappresentative dei settori commercio e
turismo,  ne'  si  da'  conto  del  perche'  tali  pareri  sono stati
disattesi.
    Con il quarto motivo si deduce violazione dell'art. 12 del d.lgs.
n. 114/1998  e  degli  art. 1  e  2  della  L.R. n. 62/1999, anche in
relazione agli artt. 24 e 26 della legge n. 142/1990, sul rilievo che
deve  ritenersi ammissibile (per quanto nulla si dica al riguardo sul
punto)  la  possibilita'  che  anche  piu'  comuni  associati possano
chiedere  il riconoscimento de quo (non menzionato ma nemmeno escluso
dalle  norme citate), avuto anche riguardo al favor manifestato nella
legislazione sullo svolgimento di funzioni in forma associata.
    Con  il  quinto  mezzo si deduce violazione deIl'art. 12, comma 3
del  d.lgs.  n. 114/1998,  e  degli art. 2 e 6 della L.R. n. 62/1999,
sull'assunto   che,   anche  ove  volessero  ritenersi,  piu'  comuni
convenzionati,  non  legittimatati a chiedere tale riconoscimento, la
p.a. doveva verificare d'ufficio se i requisiti sussistessero in capo
ai singoli comuni richiedenti.
    Con  il  sesto  motivo  si  lamenta violazione dell'art. 12.3 del
d.lgs.  n. 114/1998  e dell'art. 1 della L.R. n. 62/1999, nonche' del
regolamento approvato dalla G.P. con delibera n. 12/246 del 25 maggio
2000,  punto  5,  sul  rilievo  che,  mentre quivi si prevede che «il
periodo di deroga potra' durare tutto l'anno», nel diniego si esclude
la  deroga  per  365 giorni, senza verificare se potessero assentirsi
deroghe  per  periodi  di  tempo  piu'  limitati  (come  accadeva  in
precedenza per il comune di Affi).
    Con  il  settimo  mezzo  si  deduce violazione degli art. 32 e 35
della  legge  n. 142/1990  e incompetenza, assumendosi che la G.P. e'
competente    ad    emettere    regolamenti    soltanto   in   ordine
all'organizzazione degli uffici e dei servizi, dal che la conclusione
che  il  regolamento  in  questione  era  di competenza consiliare, e
soggiungendosi che, ove non volesse ritenersi di natura regolamentare
la deliberazione della G.P., la competenza al riguardo spetterebbe al
dirigente.
    Con  l'ottavo  mezzo  si  lamenta eccesso di potere per manifesta
illogicita',  rilevandosi,  in  relazione  ai  criteri definiti dalla
G.P.,  l'illogicita',  in  particolare,  di  quello  con  il quale si
prevede  che  il  rapporto  tra  popolazione  residente e presenze in
esercizi  alberghieri  ed  extralberghieri  debba  essere  maggiore o
uguale  a 35/100, rapporto che avvantaggia, paradossalmente, i comuni
con  minori presenze (a meno che non si voglia ritenere che si tratti
di  un  errore materiale). Inoltre, non risulta possibile determinare
il  rapporto  fra imprese del settore turistico e tutte le altre (non
rinvenendosi  un  simile  criterio ufficiale di classificazione), ne'
puo' ritenersi ragionevole il parametro, all'uopo richiesto, di 70 su
100.
    Con  il  nono  motivo  si  deduce  violazione degli art. 12.3 del
d.lgs. n. 114/1998 e 1.1 della L.R. n. 62/1999; eccesso di potere per
difetto  di  istruttoria  e  carenza di motivazione, sul rilievo che,
mentre  le  norme invocate ammettono riconoscimenti anche per periodi
limitati,   e'   stata   affatto  ignorata  detta  possibilita',  che
consentirebbe  di  soddisfare  l'interesse  di  comuni interessati ai
flussi  turistici  in  determinati  periodi dell'anno, come quello di
Affi.
    Con  il  decimo  motivo si lamenta violazione dell'art. 2.3 della
L.R.  28 dicembre  1999,  n. 62,  assumendosi  che,  mentre  svariati
potevano  essere  gli  indicatori,  quelli  definiti  dalla G.P. sono
eccessivamente  rigidi, specialmente quando si prevede che ne debbano
essere posseduti almeno quattro.
    Con  l'undicesimo  mezzo  si deduce illegittimita' costituzionale
dell'art. 2  della  L.R.  28 dicembre 1999, n. 62, sul rilievo che lo
stesso  si  pone  in  contrasto con i principi posti nell'art. 12 del
d.lgs.  n. 114/1998  (vincolanti  ai  sensi  dell'art. 117 Cost.), il
quale  assegna  alle  regioni  solamente  il compito di individuare i
comuni a prevalente economia turistica, il che esclude che le regioni
possano  introdurre ulteriori requisiti restrittivi, come ha fatto la
l.r.   n. 62/1999   quando   prevede   che   possano  ottenere  detto
riconoscimento  solo  i  comuni  che  abbiano almeno 1500 posti-letto
(criterio  manifestamente  incongruo,  ed  eccessivamente rigido). Ma
l'art. 2  cit. si pone in contrasto con i principi della legislazione
statale  anche  la'  dove  ammette  al  riconoscimento i «soli comuni
situati  in territorio montano, litoraneo, lacuale, termale», laddove
l'art. 12  consente  la deroga in discussione indipendentemente dalla
collocazione  geografica  dei  comuni.  La norma, inoltre, si pone in
contrasto  anche  con  i  principi  di  ragionevolezza  e uguaglianza
sanciti dall'art. 3 della Costituzione; infatti, in tal modo la legge
regionale   esclude   arbitrariamente  la  deroga  per  gli  esercizi
commerciali   in   numerosi   comuni   caratterizzati   da   economia
prevalentemente turistica, ma non in possesso dei requisiti di cui ai
criteri  ulteriori  fissati  da detta norma, contrapponendosi, cosi',
anche   all'esperienza   e  alla  normativa  anteriori,  quando  tale
qualifica  era  stata  pacificamente riconosciuta al comune di Affi e
agli altri convenzionati con esso.
    Si   e'   costituita   la  provincia,  eccependo  preliminarmente
l'inammissibilita'  del  ricorso in quanto non notificato ai soggetti
che   avevano   espresso   il   parere  sfavorevole  (Confersercenti,
Confcommercio,   Fisascat),  da  considerare  controinteressati.  Nel
merito  se  ne  eccepisce  l'infondatezza,  assumendosi  che per mero
errore  materiale  non  figura  nel provvedimento la vera motivazione
(che si desume dai pareri forniti dall'ufficio legale della provincia
e  dalla  regione,  ed  e' conosciuta dai ricorrenti), concernente il
fatto   che   soltanto   comuni   singoli   possono   richiedere   il
riconoscimento  in  questione, come si desume dal sistema, altrimenti
le  norme  si  presterebbero  ad un facile aggiramento, venendo cosi'
svuotate.
    Con   il   ricorso   rubricato  al  n. 3619/2000,  i  sei  comuni
convenzionati  impugnano  a loro volta il diniego e la delibera della
G.P.  n. 12/246/2000.  A  sostegno  del  gravame  essi  deducono, con
qualche  variazione  marginale, tutti i motivi di impugnazione di cui
al ricorso precedente, tranne il primo.
    La   provincia   si  e'  costituita  anche  in  questo  giudizio,
aggiungendo  alle  eccezioni gia' formulate quella di irricevibilita'
del  ricorso  nei riguardi della disciplina regionale e provinciale -
certamente  gia'  conosciuta alla data di sottoscrizione dell'istanza
(31  luglio  2000)-,  e di inammissibilita' per difetto di interesse,
asserendo  che  si  tratta,  nel  caso,  di  interesse  diffuso  (dei
commercianti),  non tutelato espressamente da nessuna norma di legge,
e  negato  da  dottrina  e  giurisprudenza  per gli enti esponenziali
(quali sono i comuni).
    A  tali  eccezioni  ha  replicato  con  memoria  conclusionale il
patrocinio ricorrente.
    Con  ordinanza  n. 1130  dell"11 aprile - 4 maggio 2001 di questa
sezione,  e'  stata rimessa alla Corte costituzionale la questione di
costituzionalita'  dell'art. 2  della  l.r.  28 dicembre  1999, n. 62
(nonche'  dell'art. 3  della  medesima l.r., in relazione a due altri
ricorsi  con  i  quali  si contestava il mancato riconoscimento della
qualita'  di  «citta'  d'arte»  in capo a due diversi comuni, giudizi
peraltro non riassunti dopo la restituzione degli atti da parte della
Corte).  La  questione  era  stata prospettata sotto vari profili, in
primo luogo in relazione all'art. 117 Cost., quanto alla sussistenza,
o  meno,  in capo alle regioni, della potesta' legislativa in materia
di commercio.
    Ma  la Corte, nonostante che abbia dato atto della sottoposizione
della  questione  di  costituzionalita' anche sotto altri profili, ha
restituito  al  giudice  remittente gli atti, affinche' proceda ad un
riesame,  della  questione,  in  via preliminare, alla luce dello ius
superveniens intervenuto con la legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3 (modificativa del titolo V della Carta costituzionale).
    Di  conseguenza,  dopo  la riassunzione dei giudizi (da parte dei
soli  soggetti  ricorrenti  nei ricorsi, gia' riuniti, n. 3612/2000 e
3619/2000),  e'  stata  fissata  la  nuova udienza di trattazione. Il
patrocinio  attoreo  ha, indi, depositato una memoria. Con questa, in
buona,  sostanza,  dopo avere rilevato che la Corte non ha scrutinato
la  questione  di costituzionalita' in relazione ai rimanenti profili
prospettati  con  l'ordinanza  di  rimessione,  detto  patrocinio  ha
chiesto   che   gli  atti  vengano  rinviati  nuovamente  alla  Corte
costituzionale,  per la verifica di legittimita' costituzionale anche
sotto  il  profilo  gia'  scrutinato,  con riguardo alla tutela della
concorrenza   (certamente   implicata   in  materia  di  liberta'  di
iniziativa  economica,  quale  e'  quella  de  qua  agitur),  la  cui
disciplina  rientra nella potesta' legislativa statale esclusiva, nel
novellato  art. 117  della Costituzione. D'altra parte viene ribadita
l'esigenza  che la Corte - che pure non li aveva ignorati - verifichi
la  costituzionalita'  della norma alla luce dei rimanenti profili di
incostituzionalita', non esaminati dalla medesima Corte.
    All'udienza  il  difensore  delle parti ricorrenti ha concluso in
tali  termini,  mentre il difensore della provincia si e' rimesso, al
riguardo, al collegio. Indi le cause sono state spedite in decisione.

                            D i r i t t o

    1. - Come  accennato  nella  narrativa  in  fatto che precede, la
Corte  costituzionale  ha  restituito  gli  atti  al  giudice  a quo,
affinche'   lo   stesso   riesamini  la  questione  alla  luce  della
sopravvenuta modifica del titolo V della Costituzione, ad opera della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la quale ha, tra l'altro,
significativamente  riscritto  gli art. 117 e 118, impostando su basi
tutt'affatto diverse rispetto all'assetto previgente la distribuzione
della  potesta' legislativa fra Stato e regioni, e inoltre ha dettato
incisive   modifiche   in  ordine  alla  titolarita'  della  funzione
amministrativa.  In  particolare, per il novellato art. 117, comma 4,
la   materia   del  commercio  apparterrebbe,  ora,  alla  competenza
legislativa  residuale  generale  (e dunque esclusiva) delle regioni.
Onde aderire all'invito della Corte, si impone qualche considerazione
di  carattere  preliminare,  per  quanto in via del tutto sintetica e
sommaria.
    In  merito al nuovo titolo V della Costituzione (riscritto con la
richiamata  legge  costituzionale n. 3/2001), osserva concisamente il
Collegio  che  si  tratta di modifiche che hanno profondamente mutato
l'ordinamento  costituzionale-amministrativo, costringendo a rivedere
numerosi  istituti anche del diritto amministrativo, dal che discende
che  la  risoluzione,  per  quanto  ne  riguarda,  di non poche delle
controversie   portate   davanti  al  giudice  amministrativo  dovra'
avvenire   sulla   scorta  di  considerazioni  e  strumenti  a  volte
radicalmente   diversi   da  quelli  che  erano  abituali  fino  alla
menzionata modifica del titolo V.
    Tuttavia,  non soltanto con piu' specifico riferimento al caso di
specie,  si  osserva  che  - permanendo il principio dell'ordinamento
noto  come tempus regit actum, specialmente quando si debba giudicare
della legittimita' di provvedimenti e atti emessi dalla p.a. - appare
a  tutta  prima  piuttosto  problematico  applicare  canoni normativi
diversi  (in  quanto  apportati  da leggi sopravvenute nelle more del
giudizio)  da  quelli  vigenti  all'epoca  dell'emissione  di  atti e
provvedimenti  amministrativi  in  contestazione. In simile ambito la
riconsiderazione  del  provvedimento alla luce dello ius superveniens
da  parte del giudice a quo parrebbe consentita, in ipotesi piuttosto
residuali,  ad  es.  sotto  il  profilo della sopravvenuta carenza di
interesse alla decisione (nell'ipotesi che la disciplina sopravvenuta
continui  ad  impedire  -anche  se  con  giustificazioni diverse, che
resistano  al  vaglio  di  costituzionalita'  -  il conseguimento del
vantaggio  atteso  dal  ricorrente  e  negato dalla p.a. sulla scorta
della normativa pregressa), e cosi' via.
    Vero  e',  d'altra  parte,  che  la  delicatezza  del  profilo in
discussione nella controversia che ne occupa (al di la' dello stretto
interesse  che muove le parti in causa, specialmente i ricorrenti) se
riguardata alla luce della profondita' delle modifiche costituzionali
richiamate,  e'  tale da indurre ad ogni possibile considerazione del
nuovo   assetto  di  competenze  legislative  dettato  dal  novellato
art. 117.  In simile ottica, il fatto che le regioni, oggi, detengano
sicuramente  il  potere di emanare norme di legge anche nella materia
del   commercio,  potrebbe,  per  cosi'  dire,  legittimare  ex  post
l'esercizio  del  potere  legislativo esercitato, nel caso di specie,
con  la legge regionale n. 62/1999, sospettata di incostituzionalita'
sotto il profilo della carenza di potesta' legislativa in materia, in
capo alla regione. Tanto potrebbe consentire, riconsiderando la legge
alla  luce delle competenze legislative regionali ora ridisegnate dal
nuovo art. 117 Cost., di decidere la controversia.
    2. - In  verita',  come  gia' riferito, il patrocinio ricorrente,
nella memoria depositata in limine alla nuova udienza di trattazione,
ha  affacciato  nuovi  dubbi  di  incostituzionalita',  di  essa L.R.
n. 62/1999   sotto   il  medesimo  profilo  (id  est,  contrasto  con
l'art. 117  Cost.) anche nel nuovo assetto costituzionale concernente
la  distribuzione  del  potere  legislativo fra Stato e regioni. Piu'
precisamente,  si  sospetta  della costituzionalita' di una legge con
cui  la  regione  ha  inteso  porre regole che vanno a incidere in un
ambito - come la tutela della concorrenza - che il novellato art. 117
riserva  alla  potesta' legislativa esclusiva dello Stato. Ed invero,
porre  regole  e  limiti  in  tema  di  orari e giorni di apertura di
esercizi   commerciali   comporta   l'incisione   della  liberta'  di
iniziativa  economica,  ampliata  per  gli  uni (esercizi situati nei
comuni  riconosciuti  «a  prevalente economia turistica») e ristretta
per  gli altri soggetti operanti nel commercio - e dunque concorrenti
-  che  non  possono  godere  delle deroghe agli orari previste per i
primi.
    In  altre parole, secondo la tesi sostenuta, pur volendo prendere
in  considerazione,  ai fini dello scrutinio di costituzionalita', la
sopravvenuta  legge  costituzionale  n. 3/2001,  emergerebbe  per  un
diverso  aspetto  il  contrasto con l'art. 117 Cost., appunto, cioe',
per   avere  la  regione  legiferato  in  ordine  alla  tutela  della
concorrenza,  la  quale viene certamente in rilievo in relazione alla
liberta' di iniziativa economica.
    In ordine a siffatta prospettazione - avuto riguardo al fatto che
i  primi  commenti  alla legge cost. n. 3/2001 hanno posto in rilievo
come  tanto  per  la  «tutela  della concorrenza» [art. 117, comma 2,
lettera  e)] quanto per altri ambiti [ad es., «tutela dell'ambiente»:
lettera  s)]  si  tratta  di  materie  soltanto  da un punto di vista
«trasversale», nel senso che possono riguardare diverse altre materie
in  senso  proprio,  disciplinate  da specifici assiemi normativi, si
potrebbe  dire  che  detta tesi - certamente non peregrina - parrebbe
«provare  troppo».  Infatti, ragionando in siffatto modo (in disparte
la  critica  alla logica seguita dal legislatore costituzionale della
legge   n. 3/2001),   verrebbe  parecchio  ristretto  l'ambito  della
competenza  legislativa  esclusiva delle regioni, cosi' riprendendosi
il sistema buona parte di quello che aveva concesso con la menzionata
lettera s).
    Tuttavia,  non  puo'  dirsi  che  la questione sia manifestamente
infondata,  specialmente  considerando  che  occorre  senza meno, per
evidenti   ragioni,  tracciare  i  confini  tra  le  varie  «materie»
concernenti  il  riparto  della  potesta'  legislativa  fra  Stato  e
regioni. Per tali motivi, anche considerando che comunque il collegio
si vede costretto a inviare nuovamente alla Corte gli atti (infra) si
ritiene  di sottoporle anche detto profilo, nei termini succintamente
su  esposti.  Si  aggiunga  che  la medesima questione deve ritenersi
palesemente  rilevante  ai  fini del decidere, dal momento che, se la
Corte  dovesse  ravvisare l'incostituzionalita' della l.r. n. 62/1999
sotto  tale  profilo,  da  cio'  conseguirebbe  l'illegittimita'  dei
provvedimenti impugnati (e l'accoglimento dei ricorsi).
    3.1. - Gia'   si  e'  detto  degli  altri  profili  di  possibile
incostituzionalita'  dell'art. 2  della l.r. n. 62/1999 non esaminati
dalla  Corte  costituzionale, che ha ravvisato l'esigenza preliminare
di  un  riesame, da parte del giudice a quo della questione alla luce
delle modifiche arrecate al titolo V dalla legge cost. n. 3/2001.
    Quanto   alla   loro   rilevanza  ai  fini  del  decidere,  basti
considerare  che  un'eventuale pronuncia di incostituzionalita' della
legge  regionale  comporterebbe l'illegittimita' del provvedimento di
cui si dolgono i ricorrenti, con l'accoglimento del gravame.
    Per  quanto  concerne  la  non  manifesta  infondatezza  conviene
riportare,  con  poche  variazioni,  parte  delle argomentazioni gia'
svolte a sostegno nella precedente ordinanza di remissione alla Corte
costituzionale e non esaminate.
    In  concreto,  con  la  l.r.  in questione, la Regione Veneto non
soltanto  si  e'  arrogato  un  potere legislativo che in realta' non
aveva  (nel  pregresso  ordinamento  costituzionale),  ma  - e qui si
appuntano,  in  parte, le censure dei ricorrenti, quando sollevano la
questione  di  costituzionalita'  -  lo  ha fatto con una costruzione
assolutamente   ridondante,   ed   irragionevole  e  irrazionale  nei
contenuti (per di piu' attribuendo alle province ulteriori competenze
che  sembrano soltanto tali da complicare il quadro). Cio' che appare
censurabile,  infatti, sotto il profilo - si direbbe - di adeguatezza
con  la  materia da disciplinare e con le finalita' perseguite, e' il
contenuto  della  disciplina  posta,  con  particolare  riguardo alla
previsione  dei  requisiti  che  si  pongono per il riconoscimento in
questione.
    Ed  invero,  il  tutto  e' costruito partendo dalla fissazione di
quelli  che  si pongono, e debbono considerarsi, come dei requisiti o
presupposti  di  base,  in  mancanza  dei  quali  non si pone nemmeno
l'applicazione  della  rimanente  disciplina  sui requisiti, che pure
vengono   dettagliatamente   configurati.  In  particolare,  l'art. 2
prevede, al comma 1, che possono essere indi quali comuni ad economia
prevalentemente  turistica:  «solo  i  comuni  situati  in territorio
montano,  litoraneo,  lacuale, termale... con almeno millecinquecento
posti-letto  in  strutture  alberghiere  ed  extra alberghiere». Ora,
mentre  nel  comma  2  si  rinvengono le definizioni legali di comune
montano,  litoraneo,  ecc.,  nel  successivo comma si prevede che, ai
fini    dell'individuazione,   i   comuni   (rientranti   nell'ambito
definitorio    suddetto)    interessati   corredino,   ad   ulteriore
dimostrazione,  la  domanda (da inoltrare entro il 31 ottobre di ogni
anno)  con la documentazione completa e i dati statistici inerenti ad
una  serie  di  indicatori  ivi  elencati  (rapporto  tra popolazione
residente  e numero di presenze in esercizi alberghieri; rapporto tra
imprese  turistiche  ed  occupati  nelle  stesse, con il totale delle
imprese e occupati di tutte le imprese, ecc.). Le domande vanno, poi,
corredate  dei  pareri dei soggetti associativi cui si e' fatto retro
riferimento.
    Orbene,  sia  pure  nel rispetto per la lata discrezionalita' del
legislatore  regionale,  gia' ad una prima lettura risalta il difetto
di  una  simile  costruzione  sotto il profilo della ragionevolezza e
della  coerenza  interna,  sembrando  palese  il suo contrasto con il
principio  di  buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97
Cost.   e   con   il   principio   di   proporzionalita'  dell'azione
amministrativa.
    Ed  invero,  in  primo  luogo  si  osserva  che  i  due requisiti
menzionati pongono, in realta', uno sbarramento, nel senso che se una
localita'  non  sia  montana  o  lacuale, ecc., ne' abbia almeno 1500
posti-letto  nei  suoi  alberghi  e  strutture affini, non potra' mai
essere   individuato   quale   comune   ad  economia  prevalentemente
turistica. (Quanto, poi al secondo di tali requisiti, appare in tutta
evidenza   eccessivo,   e   irragionevole   il   requisito  di  1.500
posti-letto).  Non  aiuterebbe,  a  tal  fine, nemmeno la presenza di
tutti  gli  indicatori  cui  si  e'  accennato, anche se realizzati a
livello   ottimale.  Cio'  significa  che  la  valutazione  di  detti
indicatori   funge   soltanto   da  ulteriore  filtro  tra  i  comuni
richiedenti che presentino i menzionati requisiti di base. Senonche',
non  sfugge all'interprete (e, ovviamente, agli operatori commerciali
e  alle  comunita'  interessate)  che  piu'  congruo  e  maggiormente
ragionevole  sarebbe  apparso considerare il pre-requisito del numero
dei  posti-letto  alla  stregua  degli  altri  indicatori  cui  si e'
accennato,  se del caso attribuendogli un «peso» maggiore, in modo da
effettuare  una  valutazione  ponderata  di  una  serie  di  elementi
indicativi della caratteristica di economia prevalentemente turistica
di un dato territorio.
    3.2. - Maggiormente   irragionevole   (o   comunque  inesplicata)
appare,  poi,  la  limitazione  dell'individuazione  quale  comune ad
economia   prevalentemente   turistica   dei   soli  comuni  montani,
litoranei, lacuali e termali (per incidens, si nota che si prevede la
sufficienza,  per  questi  ultimi,  della  presenza  anche di un solo
stabilimento  termale:  cfr.  comma  secondo):  in  pura  teoria, ben
potrebbe  rinvenirsi  una  localita' ad economia turistica situata in
pianura  e  lontana dai laghi e dalla costa. Da cio' l'incongruenza o
l'irrazionalita'  di  una  simile  limitazione.  Detta limitazione si
pone,  altresi', in contrasto - per i suoi effetti discriminatori nei
confronti dei comuni che si trovano diversamente ubicati, ma che pure
possano   vantare   il   carattere  prevalentemente  turistico  delle
rispettive economie con l'art. 3 della Costituzione.
    Non  chiaro  appare,  poi, il senso della deroga di cui al quinto
comma,  ove  si  prevede che la provincia possa, a richiesta, dare il
riconoscimento  in  discorso ai comuni il cui capoluogo sia situato a
un'altitudine  di  almeno  600 metri sul mare, ipotizzando - tanto si
desume  dal  dato  testuale  - che detto rinascimento in deroga possa
avvenire  anche  a  prescindere  del  tutto dal requisito inerente al
numero  dei  posti-letto.  E'  appena  il  caso  di  osservare che la
previsione si pone in contrasto ancora maggiore con l'art. 3 Cost.
    3.3. - Infine    pare    evidente    che   l'avere   privilegiato
significativamente il requisito del numero di posti-letto reca in se'
un'ulteriore  incongruenza la' dove si esclude a priori - come sembra
evincersi   dal  tenore  e  dal  dato  testuale  della  norma  -  che
l'esistenza   del   requisito  in  questione  possa  verificarsi  con
riferimento ad un ambito piu' ampio del territorio di un solo comune,
estendendolo, per cosi' dire, ad un territorio piu' ampio.
    La   realta',  invero,  conosce  l'esistenza  di  veri  e  propri
comprensori  turistici, e quello dell'immediato retro-terra del Garda
ne potrebbe costituire un esempio. Al riguardo si osserva anche che i
due  centri commerciali situati ad Affi in prossimita' dello svincolo
autostradale,  mentre  si presta a servire un consistente afflusso di
turisti  -  compratori,  al tempo stesso non potra' non giovare anche
agli esercizi di vendita minori presenti nelle medesime localita', e,
verosimilmente, potra' impedire un'ipotizzabile tendenza a realizzare
altre  grosse strutture commerciali (con quel che segue in termini di
congestione   e   spreco   del   territorio,   risorsa   a  carattere
irreversibile)  nelle localita' lacuali che godono della «franchigia»
dalla chiusura nei giorni domenicali e festivi.
    4. - Quale   ultima   annotazione,   non   puo'   non   rilevarsi
l'irragionevolezza del disconoscimento, in capo ai comuni ricorrenti,
di una qualita' che gia' era loro riconosciuta da tempo, sulla scorta
della  normativa previgente, il che induceva, oltre ad un ragionevole
affidamento  in tal senso anche per il futuro (tanto piu' in presenza
di   una   normativa   statale   molto   orientata  nel  senso  della
liberalizzazione  delle  attivita'  di commercio), anche a realizzare
investimenti  calcolati  sulla  base  della  possibilita' di apertura
anche nei fine-settimana degli esercizi di vendita.
    5. - In  conclusione,  le considerazioni fin qui esposte inducono
il  Collegio  a  riproporre  la  questione di costituzionalita' degli
art. 2  e 3 della L.R. 28 dicembre 1999, n. 62, per contrasto con gli
articoli 117, 97 e 3 della Costituzione.
    Va   disposta,   pertanto,  la  sospensione  del  giudizio  e  la
trasmissione   degli   atti   alla  Corte  costituzionale,  ai  sensi
dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la pronuncia sulla
legittimita' costituzionale delle suindicate norme.
                              P. Q. M.
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale dell'art. 2 della l.r. 28 dicembre 1999,
n. 62, per contrasto con gli art. 117, 97 e 3 Cost.
    Dispone  la  sospensione  del giudizio e l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale.
    Ordina  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa,  al  Presidente del Consiglio dei
ministri e al Presidente della giunta regionale del Veneto, e che sia
comunicata ai Presidenti delle Camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in Venezia, in camera di consiglio, addi' 26 marzo
2003.
                       Il Presidente: Zuballi
                        L'estensore: Franco
03C0980