N. 714 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 luglio 2003
Ordinanza emessa il 10 luglio 2003 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Dell'Utri Marcello Parlamento - Immunita' parlamentari - Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68, primo comma, della Costituzione - Insindacabilita' delle opinioni espresse dai membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni - Ambito di applicazione - Criteri - Introduzione, con legge ordinaria, di una nozione di insindacabilita' in contrasto con i limiti stabiliti dal principio costituzionale - Lesione dei diritti della persona offesa dal reato - Violazione del principio di uguaglianza. - Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 3, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 24, primo comma e 68, primo comma.(GU n.37 del 17-9-2003 )
IL TRIBUNALE Ritenuto in fatto Con decreto che dispone il giudizio emesso l'esito dell'udienza preliminare celebrata in data 12 aprile 2001 Dell'Utri Marcello veniva tratto a giudizio dinanzi a questo tribunale per rispondere della seguente imputazione: «delitto di cui agli artt. 595 comma 3 c.p. e 13 legge n. 47/1948, perche' nel corso di un intervista pubblicata sul quotidiano "La Repubblica" del 4 ottobre 1999 nell'art. intitolato "Chi mi vuole in galera non ha letto le carte", e sottotitolato "Il deputato: i giudici di Palermo sono pazzi" - che qui si intende integralmente riportato - rilasciata a seguito della richiesta di custodia cautelare formulata nei confronti dell'onorevole Marcello Dell'Utri, in data 22 gennaio 1999, dai sostituti - procuratori della Repubblica di Palermo Giancarlo Caselli, Guido Lo Forte, Domenico Gozzo, Antonio Ingroia, Mauro Terranova, Lia Sava ed Umberto De Giglio, offendeva la reputazione di questi ultimi, rispondendo ad una domanda della giornalista ("Una battuta sui p.m. di Palermo") pronunciava le seguenti affermazioni: "Sono dei pazzi, pazzi come Milosevic". In Roma, il 10 aprile l999». All'udienza del giorno 1° luglio 2003, la difesa dell'imputato eccepiva l'insindacabilita' delle dichiarazioni oggetto della contestazione, rese dall'on. Dell'Utri, ai sensi dell'art. 68 Cost., in seguito all'intervento della legge 20 giugno 2003, n. 140 («Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), chiedendo la pronuncia di sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p., ovvero, in via subordinata, la trasmissione con ordinanza di copia degli atti alla Camera dei deputati, al fine della deliberazione di competenza in ordine all'insindacabilita'. Pubblico ministero e difensore delle parti civili chiedevano termini onde potere articolare osservazioni in merito alla dedotta eccezione; il tribunale, nulla opponendo la difesa del Dell'Utri, rinviava all'odierna udienza. In data 8 luglio 2003, il pubblico ministero depositava in cancelleria memoria scritta, nella quale evidenzia come i fatti oggetto del presente processo non possono ritenersi rientranti nella formula normativa di cui all'art. 3 comma 1 della legge n. 140/2003, chiedendo, in via subordinata, che il tribunale sollevi questione di legittimita' costituzionale della norma in oggetto, per contrasto con gli articoli 3, 24 e 68 della Costituzione. In data 9 luglio 2003, il difensore delle parti civili depositava in cancelleria memoria scritta, nella quale chiede che il tribunale sollevi questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, della legge n. l40 del 2003 nonche' dei commi da 3 a 8 della medesima norma, per contrasto con gli articoli 3, 24, 68, 101, 112 e 117 della Costituzione. Considerato in diritto 1. - Il Tribunale ritiene di dover rimettere alla Corte costituzionale il giudizio sulla legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, legge n. 140 del 2003 per violazione dell'art. 68, comma 1, 24 e 3 della Costituzione. Va anzitutto rilevato che non puo' condividersi l'interpretazione del pubblico ministero, secondo la quale i fatti oggetto del presente processo non sarebbero comunque ricompresi nell'ambito della nozione di insindacabilita' delle opinioni espresse dai parlamentari, derivante dal disposto dall'art. 3 comma 1 della legge n. 140. Tale disposizione prevede infatti che l'art. 68, primo comma, della Costituzione, si applica, tra l'altro, «per ogni altra attivita' .... di critica e denuncia politica, connessa alle funzioni di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento». Nel caso di specie, non sembra possa negarsi che le espressioni usate dal Dell'Utri, nel corso di una intervista rilasciata a giornalista del quotidiano «La Repubblica», siano ricomprese nella fattispecie suindicata. Trattasi, infatti, di dichiarazioni rilasciate dal parlamentare lo stesso giorno in cui la Giunta per le autorizzazioni a procedere aveva dato parere favorevole al suo arresto, richiesto dalla procura della Repubb1ica di Palermo, ed in particolare dal procuratore capo e dai sostituiti, costituitisi parti civili. Attesa l'ampia e generale previsione della norma («ogni attivita' di critica e denuncia politica, connessa alle funzioni di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento»), nonche' la circostanza della contiguita' temporale tra il parere favorevole della Giunta e le espressioni contestate, ritiene il tribunale che il fatto vada ricondotto alla previsione dell'art. 3, comma 1, della legge n. 140. 2. - Sulla base di tale disciplina, dunque, l'imputato andrebbe assolto ai sensi dell'art. 129 c.p.p., come previsto dal comma 3 della norma in questione. Da cio' consegue la rilevanza della questione relativa all'art. 3 comma 1 (e non anche delle altre disposizioni della medesima norma, pure indicate dalla parte civile nella sua memoria, delle quali, allo stato, il tribunale non deve fare applicazione). Il tribunale non ignora l'ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla possibilita' di un sindacato di legittimita' costituzionale su norme penali di favore, quale la disposizione in oggetto. Si ritiene, tuttavia, che il principio della irretroattivita' dei reati e delle pene - in virtu' del quale il giudice deve dare applicazione nell'ambito del processo nel quale ha sollevato la questione di costituzionalita' la norma penale di favore anche laddove il giudice delle leggi abbia accolto la questione - non vale ad esonerare tali norme dal giudizio di costituzionalita'. Come piu' volte affermato da codesta Corte (cfr. sentenze n. 148/1983, n. 167/1993, n. 25/1994), infatti, la tesi che le questioni di legittimita' costituzionali concernenti norme penali di favore non sarebbero mai rilevanti nel giudizio a quo, dovendo in ogni caso il giudice prosciogliere l'imputato per il principio di irretroattativita' della legge penale piu' favorevole, muove da una visione troppo semplificante delle pronunce cui potrebbe pervenirsi' una volta affrontato il merito di tali impugnative. Basti osservare, al riguardo, che la Corte costituzionale non e' vincolata in assoluto dalle opzioni interpretative del giudice che promuove l'incidente di incostituzionalita' e non puo' escludersi a priori che il giudizio su una norma penale di favore si concluda con una sentenza interpretativa di rigetto (nei sensi di cui in motivazione) o con una pronuncia comunque correttiva delle premesse esegetiche su cui fosse fondata l'ordinanza di rimessione. Anche a fronte di una questione di legittimita' avente ad oggetto norme di favore sono quindi possibili una serie di decisioni certamente suscettibili di influire sugli esiti del giudizio penale. Dunque la questione e' rilevante. 3. - Sotto il profilo della non manifesta infondatezza della questione, va osservato che l'art. 3, comma 1, legge n. 140 del 2003 anziche' limitarsi ad attuare l'art. 68, comma 1, Cost., ha finito - a giudizio di questo tribunale - per modificarne sensibilmente la portata. La norma costituzionale, prevedendo che «I parlamentari non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell' esercizio delle loro funzioni», limita la garanzia della insindacabilita' alle sole opinioni riconducibili agli atti e alle procedure specificamente previsti dai regolamenti parlamentari; alle opinioni, cioe', espresse nell' esercizio delle funzioni parlamentari tipiche. Cio' implica che, affinche' la prerogativa dell'art. 68, comma 1, Cost. possa estendersi alle dichiarazioni rese al di fuori del Parlamento, e' necessaria una «sostanziale corrispondenza» di significato con opinioni gia' espresse o contestualmente espresse nell'esercizio di funzioni parlamentari tipiche. Questa interpretazione dell'art. 68, comma 1, Cost., d'altro canto, e' stata accolta da codesta Corte a partire dalle sentenze n. 10 e 11 del 2000, ed e' stata poi ribadita in tutte le successive sentenze che, in sede di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (autorita' giudiziaria e Parlamento) si sono occupate del tema (cfr. le sentenze n. 10, 11, 56, 58, 82, 320, 321, 420, del 2000; le sentenze n. 76, 137, 289 del 2001, le sentenze n. 52, 79, 207, 257, 270, 283, 421 del 2002). In particolare, nel censurare le delibere di insindacabilita' adottate dalle Camere, la Corte costituzionale ha precisato che la mera connessione con la funzione parlamentare, il semplice collegamento di argomento tra attivita' parlamentare e dichiarazione, la mera comunanza di tematiche, il riferimento al contesto politico parlamentare, non sono elementi sufficienti affinche' operi la prerogativa dell'art. 68, comma 1, Cost. L'interpretazione accolta dal giudice delle leggi rappresenta, come e' noto, il punto di arrivo di un lungo e complesso percorso ermeneutico in larga parte determinato, per un verso, dall'esigenza di dare una interpretazione non estensiva di norma avente natura eccezionale, e, per un altro, dalla necessita' di fissare regole in grado di offrire maggiore certezza e piu' precisi criteri di riferimento in un settore dove vengono in evidenza non solo i profili di tutela dell'autonomia delle istituzioni parlamentari, ma anche alcuni diritti fondamentali di sicuro fondamento costituzionale di cui e' titolare la persona offesa, quali il diritto all'onore, alla reputazione, alla tutela giurisdizionale. Orbene, il bilanciamento tra il principio di indipendenza e autonomia del Parlamento ed il diritto alla tutela giurisdizionale del soggetto offeso nell'onore e nella reputazione dalle dichiarazioni del parlamentare non e' stato affidato al legislatore ordinario, ma e' stato effettuato, una volta per tutte, dal Costituente, nel senso della prevalenza del primo, qualora le opinioni siano espresse «nell'esercizio delle funzioni». Tale nesso funzionale non puo' non richiedere una sostanziale identita' del contenuto delle dichiarazioni rese extra moenia con quello delle attivita' parlamentari. Questo limite, d'altronde, trova una sua razionale giustificazione, se si considera che all'interno delle Camere esiste un vaglio di ammissibilita' degli atti ed un controllo sulle dichiarazioni rese nel corso dei lavori, volto ad assicurare da parte dei parlamentari il rispetto di una serie di limiti che, al di fuori delle aule, nessuno obbliga loro a rispettare, in quanto si tratta di attivita' sottratte alle forme di controllo e di intervento previste dall'ordinamento parlamentare. Significativo, in tal senso, e' l'art. 139-bis del Regolamento della Camera dei deputati che prevede espressamente la necessita' di valutare gli atti di sindacato ispettivo con riguardo, fra l'altro, «alla tutela della sfera personale e dell'onorabilita' dei singoli e delle istituzioni», o l'art. 146 del Regolamento del Senato, che, piu' sinteticamente demanda al presidente il compito di accertare che l'interrogazione non sia formulata in termini sconvenienti. Alla luce delle considerazioni che predono, puo' concludersi che la nozione di insindacabilita' emergente dall'art. 3, comma 1, legge n. 140/2003 si pone in netto contrasto con l'interpretazione dell'art. 68, comma 1, Cost. costantemente accolta dalla Corte costituzionale e con le esigenze di certezza e di garanzia ad essa sottese. L'art. 3, comma 1, legge n. 140 del 2003 stabilisce, infatti, che l'art. 68, comma 1, Cost. debba essere applicato non solo alle opinioni espresse nell'esercizio delle funzioni parlamentari tipiche («per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare»), ma anche ad ogni altra dichiarazione - «di divulgazione, di critica, di denuncia politica» - che, lungi dal limitarsi a riportare quanto gia' manifestato in un atto parlamentare, sia comunque «connessa alla funzione parlamentare, espletata anche al di fuori del Parlamento». Si introduce in tal modo, per il tramite di una legge ordinaria, una nozione di «insindacabilita» che codesta Corte, a partire dalle citate sentenze n. 10 e 11 del 2000 ha censurato, ritenendola in contrasto con l'art. 68, comma 1, Cost. La garanzia dell'art. 68 comma 1, Cost. andrebbe, infatti, a coprire tutta una serie di dichiarazioni, difficilmente determinabili a priori, del tutto slegate dalle procedure parlamentari tipiche e da quelle forme di controllo ad esse inerenti, tramite le quali si realizza il bilanciamento tra prerogative dell'istituzione parlamentare e tutela dell'individuo. La disciplina adottata sembra dunque collocarsi al di la' dei limiti stabiliti nell'art. 68 Cost., e la sua introduzione con semplice legge ordinaria, oltre a confliggere con tale disposizione, appare violare anche i principi di cui all' art. 24, comprimendo i diritti della persona offesa dal reato, senza che tale lesione sia legittimata da una fonte di pari grado. Infine, la norma in questione sembra ledere anche l' art. 3 della Cost., che stabilisce l'eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge. Orbene, tale principio (la cui deroga e' dalla Carta fondamentale stabilita nell'art. 68 comma 1, nei limiti gia' indicati) non sembra legittimamente superabile attraverso una legge ordinaria che introduca, solo per una determinata di categoria, una causa di punibilita' che non si applica alla generalita' dei consociati.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 Cost., 23 e ss., legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, legge n. 140/2003, per violazione degli artt. 68, comma 1, 24, comma 1, e 3 Cost.; Dispone la trasmissione degli atti del procedimento alla Corte costituzionale; Sospende il presente giudizio fino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale; Manda alla cancelleria per la immediata notificazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Ordinanza letta all'udienza del 10 luglio 2003. Il giudice: Gallucci 03C1004