N. 811 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 2003

Ordinanza  emessa  il  19  giugno  2003  dal  tribunale di Napoli nel
procedimento  civile  vertente  tra  Troisi Michele e Ministero della
giustizia ed altro

Procedimento  civile  - Responsabilita' civile dei magistrati - Fatti
  commessi  da  altri  soggetti  in  concorso  con  magistrati ovvero
  intimamente  connessi  con  la  condotta  dei  magistrati  -  Cause
  relative  -  Devoluzione  al  tribunale del capoluogo del distretto
  della Corte di appello competente a giudicare sull'azione contro lo
  Stato   di  risarcimento  del  danno  cagionato  nell'esercizio  di
  funzioni  giudiziarie  -  Omessa  previsione  -  Irragionevolezza -
  Ingiustificata   diversa  disciplina  rispetto  a  quanto  previsto
  dall'art. 11  c.p.p. - Incidenza sul diritto di azione - Violazione
  del  principio  del  giudice  naturale  nonche'  del  principio  di
  ragionevole  durata  del  processo  -  Incidenza  sul  principio di
  indipendenza della magistratura.
- Legge 13 aprile 1988, n.117, art. 4, comma 1.
- Costituzione, artt. 3, 24, 25, 101 e 111.
(GU n.41 del 15-10-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  reso  la  seguente  ordinanza  nella causa civile iscritta al
n. 6137  del  ruolo  generale degli affari contenziosi dell'anno 2002
avente  ad  oggetto:  responsabilita'  di magistrati tra avv. Michele
Troisi, rappresentato e difeso da se' stesso, e domiciliato presso il
sindacato  Faisa  Cisal  in  Napoli, alla via Cumana, 14, attore e il
Ministero della giustizia e la Presidenza del Consiglio dei ministri,
in  persona  rispettivamente  del  Ministro p.t. e del Presidente del
Consiglio pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato di Napoli presso cui domiciliano in Napoli
alla via A. Diaz, 11, convenuti.
    Il  collegio,  letti  gli  atti,  udite  le parti nella camera di
consiglio in data 5 febbraio 2003, sentito il giudice relatore;

                   Ritenuto in fatto ed in diritto

    1 - All'esito  di  declaratoria  giusta  ordinanza  del 12 luglio
2002,  per  un  coacervo  di  motivi,  della nullita' della citazione
originaria  (a  seguita  della notifica della quale l'amministrazione
non  si  era  costituita),  con  «atto  di citazione in rinnovazione»
notificato  il 7 ottobre 2002 l'avv. Michele Troisi, avendo per conto
di  una  cliente  intimato  sfratto  per  morosita' e contestualnente
citato  la  controparte  per  la  convalida  innanzi  al Tribunale di
Avellino  per  l'udienza del 10 ottobre 2001, rappresentava di avere,
dopo  l'iscrizione a ruolo avvenuta il 9.10, richiesto ad un avvocato
proprio   corrispondente   di   verificare   presso   la  cancelleria
l'assegnazione  della causa ad uno dei magistrati e la data effettiva
dell'udienza   di   convalida.   Dalle   informazioni  fornite  dalla
cancelleria  nelle date del 10, dell'11 e del 12 ottobre la causa non
risultava ancora assegnata.
    Senonche' emergeva nella successiva data del 16 ottobre lo stesso
12 ottobre   alle   ore   9.30   la  causa  era  risultata  assegnata
(evidentemente    dal    magistrato    dirigente)   ad   un   giudice
nominativamente  indicato  in citazione, mandata in udienza lo stesso
giorno  alle  ore 11  e da quest'ultimo magistrato dichiarata estinta
per la mancata comparizione.
    Il dirigente la cancelleria, alla richiesta di spiegazioni, aveva
opposto,   seppur  cortesemente,  un  «muro  di  gomma».  Il  giudice
designato,  investito  di  istanza  scritta  volta  ad  ottenere  una
rimessione  sul ruolo o una rimessione in termini, aveva rigettato la
stessa in stile «burocratese» senza ascoltare l'istante.
    L'avv.   Troisi   rappresentava   di  essersi  visto,  a  seguito
dell'accaduto, revocare il mandato dalla propria cliente, con perdita
dell'onorario  non  percepito e delle spese anticipate; rappresentava
essere  stato  il comportamento dell'ufficio giudiziario lesivo della
dignita' forense; svolgeva deduzioni in ordine ai comportamenti della
cancelleria,   alla  difettosa  organizzazione  del  tribunale,  alle
questioni relative all'assegnazione della causa ed alle decisioni del
giudice assegnatario di trattarla nella stessa data dell'assegnazione
e di rigettare la successiva istanza defensionale.
    Conveniva  quindi  innanzi  a questo tribunale il Ministero della
giustizia (gia' originariamente convenuto con la citazione dichiarata
nulla)  e la Presidenza del Consiglio dei ministri (quale legittimata
passiva  ex  art. 4,  comma 1,  legge  n. 117 del 13 aprile 1988) per
sentirli  condannare in solido, «ciascuno per il proprio titolo e per
le   proprie   sfere  di  competenza  nelle  descritte  vicende»,  al
risarcimento dei danni materiali, all'immagine ed esistenziale.
    Si  costituivano le amministrazioni convenute, che deducevano con
la   comparsa   di   risposta   come   -  prospettando  l'attore  «la
responsabilita'  dell'ufficio  giudiziario  nel  suo complesso inteso
come   apparato   amministrativo  di  cancelleria»  ed  altresi'  «la
responsabilita' per l'esercizio di funzioni giudiziarie» - permanesse
la  nullita' della citazione, nonostante la rinnovazione disposta sul
punto,  per  non avere l'attore distinto «i fatti che fonderebbero la
responsabilita'  dell'ufficio  da  quelli  in base ai quali invoca la
responsabilita' ex legge n. 117/1998» e per non avere nominativamente
individuato i magistrati responsabili.
    Deducevano    le   amministrazioni   inoltre   l'inammissibilita'
dell'istanza,  tra  l'altro  per non essere state rispettate le norme
sulla  competenza  di cui all'art. 4, comma 1, legge n. 117/1998, che
devolvono la causa esclusivamente al Tribunale di Roma.
    A   sostegno   della  propria  posizione  l'Avvocatura  produceva
rapporto del Presidente del Tribunale di Avellino, da cui si evinceva
che  la  causa  era  stata  dallo  stesso  Presidente  (evidentemente
operante  in  tribunale  senza riparto in sezioni del settore civile)
assegnata al giudice predetto nella stessa data di iscrizione a ruolo
9 ottobre  2001,  e  che  effettivamente  l'inserimento  dei dati nel
sistema   informatico  a  cura  della  cancelleria  era  avvenuta  il
12 ottobre 2001 alle ore 9.30, epoca prima della quale la cancelleria
non poteva dare notizia all'avv. Troisi o a suoi delegati.
    2. - Onde  pervenire  alle  successive statuizioni in ordine alla
questione  di  competenza,  deve  il tribunale esaminare - nei limiti
imposti  dalla presente sede ordinatoria - le questioni relative alla
validita'  della  citazione,  si'  come rinnovata, poste dalla difesa
erariale.
    Al  riguardo, deve ritenersi che, con la narrazione delle vicende
sopra    riepilogate,    l'attore    abbia    assolto   compiutamente
all'indicazione dell'esposizione dei fatti ... costituenti le ragioni
della   domanda»   (art. 163,  comma 3,  n. 4  c.p.c.),  non  essendo
richiesto  e,  come meglio si dira', nel caso di specie forse neanche
appieno   possibile  scindere  fatti  ascrivibili  a  responsabilita'
dell'apparato   amministrativo   dell'ufficio   giudiziario  e  fatti
ascrivibili  a magistrati, restando affidato alla decisione, ove alla
stessa  si dovesse pervenire dopo il vaglio di ammissibilita' e sulla
base   dell'eventuale   istruttoria,   stabilire  la  sussistenza  di
responsabilita' individuali e/o concorsuali (cfr., per l'alternativa,
le stesse conclusioni della citazione).
    Ne'  puo'  ritenersi  sussista  nullita'  per mancata indicazione
nominativa  dei  magistrati  ritenuti  responsabili:  infitti, e' ben
evidente  dalla  lettura dell'atto di citazione che, oltre al giudice
assegnatario   nominativamente  indicato,  non  e'  ipotizzata  altra
responsabilita'  che  quella  del presidente della sezione ossia, nel
caso  di  specie,  lo stesso presidente del tribunale, quale soggetto
preposto alle assegnazioni, in quanto tale, in relazione alla carica,
individuabile   «per  relationem»,  ed  in  fatto  individuato  (cfr.
provvedimento di assegnazione con firma in atti).
    Tanto  assorbe  ogni  valutazione  in  ordine  al  se l'eventuale
effettiva   omissione   dell'indicazione  nominativa  dei  magistrati
ritenuti  responsabili,  precludendo  la  possibilita' normativamente
prevista  della  comunicazione  almeno  15 giorni prima dell'udienza,
onde   consentire   il   loro  intervento  in  causa  (art. 6,  legge
n. 117/1998),  produca  effetti  processuali  quali la nullita' della
citazione  (quale peculiare elemento costitutivo della domanda di cui
al n. 4 del comma 3 dell'art. 163 c.p.c.) o altri.
    3. - Acclarata  la  ritualita'  del  rapporto  processuale,  puo'
passarsi   all'esame  delle  questioni  di  competenza  (rectius,  di
ammissibilita'  in  relazione  al  sussistere  della  competenza  del
giudice).
    In  argomento,  ritiene il tribunale che la disciplina in materia
di  competenza,  quale  apprestata  dall'art. 4,  legge  n. 117/1988,
benche'  letta  a  fini  interpretativi  nel  contesto  dei  principi
desumibili dalla Costituzione e dal codice di procedura civile, ponga
non  manifestamente  infondati  dubbi di legittimita' costituzionale,
rilevanti  per il prosieguo del procedimento «de quo» e da sollevarsi
d'ufficio innanzi alla Corte costituzionale.
    4. - Per  una  illustrazione  della questione - emersa in sede di
discussione  camerale  e  ben trattata dall'Avvocatura erariale nelle
note all'esito depositate in data 17 marzo 2003 - puo', per brevita',
richiamarsi anzitutto che gia' con ordinanza in data 8 novembre 1989,
nel  procedimento  vertente  tra Zarrelli Domenico ed il Ministero di
grazia  e giustizia ed altri (n. 72/1990 r.o., in Gazzetta Ufficiale,
prima serie speciale, n. 9 del 28 febbraio 1990), questo Tribunale di
Napoli,  in relazione agli artt. 24, 25 e 101 Cost., ebbe a sollevare
la   questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 4,  legge
n. 117/1988,  nella  parte  in  cui  «non  prevede che il giudice ivi
indicato,  funzionalmente  competente  a  giudicare  delle domande di
risarcimento   contro   lo   Stato   per  fatti  di  magistrati,  sia
funzionalmente  competente anche in relazione alle domande relative a
fatti  commessi  da altri soggetti in concorso con magistrati, ovvero
relative  a  fatti  posti in essere di altri soggetti, ma intimamente
connessi con le condotte dei magistrati».
    Con  l'ordinanza di promovimento suddetta questo tribunale notava
che  l'art. 4  cit.  «testualmente stabilisce soltanto una competenza
funzionale per le domande relative ai comportamenti dei magistrati ma
non  prevede,  a differenza di altre disposizioni» (e veniva all'uopo
ricordato  l'art. 11  c.p.p., ma puo' anche richiamarsi l'art. 41-bis
del  vecchio codice del rito penale) «alcuna vis attractiva per fatti
connessi,  e  in  particolare  non  prevede quindi analoga competenza
funzionale  in  relazione alle domande proposte per fatti commessi da
altri  soggetti  ma  intimamente connessi, ovvero per i comportamenti
posti in essere da altri soggetti in concorso con i magistrati».
    La  questione  -  sollevata  sul  presupposto dell'applicabilita'
dell'art. 4   quale   norma   processuale   anche  ai  fatti  occorsi
antecedentemente  alla  sua  entrata  in  vigore in base al principio
tempus  regit  actum  -  fu  dichiarata  dalla  Corte  costituzionale
inammissibile  (con  sentenza  22 ottobre  1990,  n. 468, in Gazzetta
Ufficiale, prima serie speciale, n. 43 del 31 ottobre 1990) ritendosi
la  norma  stessa  irretroattiva,  in  quanto  inserita in un insieme
disciplinare  organico  e non scindibile, dichiarato applicabile solo
in  futurum  e non, come assumeva il remittente, secondo il principio
tempus regit actum.
    In  dottrina,  si noto' come la questione fosse allora destinata,
con molte probabilita', a riproporsi.
    5. - Come  notato dall'Avvocatura erariale con le note depositate
il  17 marzo  2003,  l'attore  nel  presente  giudizio  ha,  infatti,
evidenziando  una  fattispecie  in  cui  rileva la cennata questione,
introdotto domande contro due diverse Amministrazioni dello Stato: la
prima  contro il Ministero della giustizia, con addentellato fattuale
nell'asserito   comportamento   dell'ufficio   giudiziario   nel  suo
complesso  (e,  specificamente,  degli  addetti  alla cancelleria che
sarebbero   venuti   meno  agli  obblighi  informativi);  la  seconda
incentrata  sulla  pretesa  responsabilita' di uno (o piu) magistrati
(uno nominativamente individuato ed assegnatario della causa, l'altro
individuabile per relationem nel capo dell'ufficio con funzioni anche
di presidente di sezione).
    Ad  avviso  dell'Avvocatura,  peraltro,  le cause parrebbero allo
stato  fondarsi  su  titoli  autonomi,  benche'  in  prosieguo  [sic]
potrebbe  ravvisarsi una comunanza di titoli (anche in relazione agli
obblighi   di   sorveglianza   dei   Presidenti   di   sezione  sulle
cancellerie), ovvero causae petendi in rapporto di pregiudizialita'.
    L'Avvocatura  ha,  da  un  lato, richiamato gli auspici formulati
dalla  dottrina  nel senso dell'estensione delle garanzie di cui alla
legge   n. 117/1988  ai  compiti  organizzativi,  dirigenziali  e  di
sorveglianza dei magistrati sulle cancellerie.
    D'altro  lato,  l'Avvocatura  non  ha condiviso le preoccupazioni
espresse in dottrina, all'indomani della sentenza di inammissibilita'
della  Corte  costituzionale n. 468 del 1990 cit., nel senso che, non
essendo  prevista  dalla legge alcuna competenza funzionale per fatti
commessi  da  altri soggetti ma connessi a quelli posti in essere dai
magistrati,  «data  la  stretta  interdipendenza  tra le condotte ...
inevitabilmente  il  tribunale  verrebbe  a  valutare le condotte dei
colleghi  della  stessa Corte d'appello». Tale ultima preoccupazione,
posta   in  relazione  alla  diversa  disciplina  dell'art. 4,  legge
n. 117/1998  (ritenuta  mancante  di  disposizioni  in  tema  di  vis
attractiva)  rispetto  all'art. 11 c.p.p. (che dispone in tema di vis
attractiva), e' stata reputata dalla difesa erariale poco pertinente,
in  quanto,  mentre  in  ambito  processualpenalistico  le ipotesi di
connessione  abbracciano  l'intero  coacervo  di  reati  commessi  in
concorso  o  cooperazione  tra piu' soggetti, con articolazioni varie
previste  dal  diritto sostanziale e processuale penale (tra le quali
le  ampie  figure  della  connessione  teleologica  e  funzionale tra
reati),   in  ambito  processualcivilistico  la  connessione  sarebbe
«tendenzialmente  intesa  in  senso  piu' restrittivo», presupponendo
«una  pluralita'  di  diritti ...  fondati sullo stesso fatto storico
ovvero  sull'identico  rapporto giuridico»; non potrebbe derivare, in
tal  senso, dalla mancata previsione di una competenza funzionale per
i  fatti  connessi  a  quelli  posti  in  essere nell'esercizio della
funzione  giurisdizionale,  una  questione  di costituzionalita' come
quella ipotizzata da questo tribunale con la precedente ordinanza del
1989.
    In definitiva, l'Avvocatura dello Stato ha ritenuto che, nel caso
di  specie, il collegio debba procedere alla separazione delle cause,
ritenendo  la  propria  competenza  e  disponendo la prosecuzione del
giudizio  in ordine alla domanda contro il Ministero della giustizia,
dichiarando,  invece,  l'inammissibilita'  della  domanda  contro  la
Presidenza del Consiglio dei ministri (afferente ai comportamenti dei
magistrati,  anche - e' da intendersi - per eventuali responsabilita'
dirigenziali,  di  sorveglianza e/o organizzative) in quanto proposta
innanzi  a giudice incompetente, nonche' indicando come competente il
Tribunale di Roma.
    Nel  sostenere  un siffatto esito processuale, l'Avvocatura dello
Stato  espressamente  si  e'  richiamata  alla  tesi accolta da Cass.
14 gennaio 2000, n. 347, pronuncia gia' sottoposta al contraddittorio
dal  tribunale  in  sede camerale, con la quale - pur afferente ad un
diverso  caso di cumulo di azioni risarcitorie proposte da uno stesso
soggetto  contro lo Stato ai sensi dell'art. 2, legge 13 aprile 1988,
n. 117,  e  contro  il  magistrato ai sensi dall'art. 13 della stessa
legge, la prima fondata sul comportamento doloso o gravemente colposo
posto  in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni, la
seconda  sulla  commissione,  da  parte del medesimo e nell'esercizio
delle  sue  funzioni, di un fitto costituente reato - si e' affermato
che  una  siffatta  proposizione  cumulativa  di  cause  contro  piu'
soggetti   non   sarebbe  sufficiente  a  costituire  un  vincolo  di
connessione  tra  le  stesse,  essendo  necessario che le cause siano
connesse  per  l'oggetto  o per il titolo, e non rilevando che vi sia
una  mera  connessione  probatoria  tra  i  comportamenti agli stessi
soggetti   attribuiti;   pertanto,  le  relative  cause  non  essendo
connesse,  il  giudice  puo'  legittimamente  separare la prima causa
dalla  seconda per deciderla e rimettere la decisione su quest'ultima
al giudice competente.
    6. - Cio'   posto,   ritiene  il  tribunale  che  le  argomentate
osservazioni  dell'Avvocatura  dello  Stato non facciano venir meno i
cennati  dubbi,  non manifestamente infondati, di incostituzionalita'
della disciplina di cui all'art. 4 predetto.
    Rileva anzitutto il collegio che l'art. 4 attribuisce, secondo un
criterio  di competenza funzionale, al giudice individuato ex art. 11
c.p.p.  le  cause di responsabilita' civile dei magistrati, non anche
le  cause  di  cui  innanzi  che,  per  brevita',  nel  prosieguo  si
indicheranno come «connesse».
    Attraverso  tale  espressione  il  tribunale intende riferirsi al
rilievo,  gia' in sostanza svolto con l'ordinanza di promovimento del
1989,  che  la  norma non prevede che il tribunale dalla norma stessa
indicato, funzionalmente competente a giudicare sull'azione contro lo
Stato  di  risarcimento  del  danno  cagionato  nell'esercizio  delle
funzioni  giudiziarie  per  effetto di un comportamento, un atto o un
provvedimento  di  un  magistrato,  sia competente anche per le cause
successivamente  o (come nel caso di specie) cumulativamente proposte
che alle prime siano connesse per oggetto o per il titolo.
    La  norma  neppure  prevede  che  analogamente  -  in  assenza di
proposizione iniziale di domanda contro la Presidenza del Consiglio -
detto  tribunale  sia competente per le cause - per le quali sembrano
porsi  le  medesime  esigenze  di  cui appresso - anche autonomamente
proposte  contro  il Ministero della giustizia (o gli altri Ministeri
in  cui  sono  incardinate  organizzazioni giudiziarie - cfr. art. 3,
comma 3,  legge  n. 89  del 2001) che comunque siano relative a fatti
commessi  da  altri  soggetti  in  concorso con magistrati, o a fatti
commessi  da  altri  soggetti  e  da  magistrati  che,  con  condotte
teleologicamente  o  funzionalmente  collegate  o  anche indipendenti
(cfr. art. 12, c.p.p.), abbiano determinato il danno.
    In  altri  termini,  il  dubbio  di  costituzionalita' investe la
circostanza  che  la norma non si fa carico di devolvere al tribunale
ex  art. 11  c.p.p.  tutte le «domande proposte per fatti commessi da
altri  soggetti,  ma intimamente connessi, ovvero per i comportamenti
posti  in  essere  da  altri  soggetti  in concorso con i magistrati»
(cosi'  l'ordinanza  del  1989),  in un'accezione di connessione (del
tutto  affine a quella di cui all'art. 12 c.p.p.) che contempla anche
i  nessi  teleologici  e  funzionali  tra  le condotte generatrici di
responsabilita',  anche  in  assenza  di contemporanea pendenza delle
diverse  liti,  e  della  quale  pare  doversi  tener  conto  per  la
salvaguardia dei valori costituzionali di cui in appresso.
    7. - A tale riguardo, deve preliminarmente illustrarsi un profilo
non  sottolineato  con  l'ordinanza  di promovimento del 1989, con la
quale  peraltro  questo  tribunale  si  confrontava  con  altro testo
normativo,  che significativamente rinviava - ma solo per mutuarne le
modalita' di individuazione del tribunale del capoluogo del distretto
della  Corte  d'appello  piu'  vicino  - alla legge 22 dicembre 1980,
n. 879,  modificatrice  del  c.p.p. abrogato in tema di competenza su
reati commessi da magistrati e connessi.
    Rispetto   all'epoca,   e'   intervenuta   sul   testo  normativo
dell'art. 4   cit.   la   modificazione  operata  dall'art. 3,  legge
2 dicembre  1998,  n. 420.  Anche  in tale testo, l'art. 4 non sembra
consentire  alcuna  interpretazione  adeguatrice,  idonea  a fugare i
dubbi  di  costituzionalita',  nel  senso  che essa norma sia tale da
devolvere  al  giudice  di  cui  all'art. 11  c.p.p.  anche  le cause
«connesse».
    Invero,   l'unico   elemento   della   disciplina   legale   che,
astrattamente,   potrebbe   condurre   l'interprete  ad  un  siffatto
risultato  ermeneutico  sembra  costituito  dal dato per cui, dopo la
modifica  legislativa  del 1998, l'art. 4, legge n. 117/1988 richiama
l'art. 11  c.p.p.,  norma  quest'ultima che, a sua volta, dichiara la
competenza del giudice ivi indicato anche per le cause «connesse».
    In  concreto,  pero',  deve  escludersi  la  possibilita'  di una
interpretazione  che  accrediti  che  il  rinvio operato dall'art. 4,
legge  n. 117/1988  all'art. 11  c.p.p.  valga  a richiamare anche la
disciplina della connessione contenuta in questa seconda norma.
    L'art. 4,  legge  n. 117/1988,  come  modificato  dalla legge del
1998, infatti, nell'intento di indicare il giudice competente per una
ed   una   sola  categoria  di  controversie  (indicata  nella  norma
univocamente come «azione di risarcimento del danno contro lo Stato»,
con  evidente  richiamo  all'art. 2  della  stessa  legge n. 117), ha
operato  un  rinvio  «selettivo»  all'art. 11  c.p.p. al solo fine di
recepirne le modalita' di individuazione del tribunale competente.
    Per  come  la  norma  dell'art. 4  si presenta all'interprete dal
punto  di  vista  letterale e logico («Competente e' il tribunale del
capoluogo  del  distretto  della  Corte  d'appello, da determinarsi a
norma dell'art. 11 del c.p.p. e dell'art. 1 delle norme di att.»), ad
essa  puo' farsi dire solo quanto dice (cioe' che il tribunale di cui
all'art. 11 c.p.p. e' competente, in virtu' del rinvio, per «l'azione
di   risarcimento   del   danno   contro   lo   Stato»  derivante  da
responsabilita'  di  magistrati),  non  anche quanto, in effetti, non
dice  (cioe'  che il giudice indicato come competente per l'azione di
risarcimento  predetta  dell'art. 4,  legge  n. 117,  in  virtu'  del
residuo  contenuto  disciplinare  dell'art. 11  c.p.p., che non forma
«oggetto»  del  «rinvio  selettivo»,  sarebbe competente anche per le
cause «connesse»).
    Analoga  lettura  andava,  del  resto,  operata  in  relazione al
precedente    testo   (in   relazione   al   quale   la   disciplina,
«selettivamente» richiamata dall'art. 4 cit., della legge 22 dicembre
1980,  n. 879,  modificatrice  del c.p.p. previgente in tema di reati
commessi  da magistrati, conteneva essa stessa elementi normativi non
richiamati in materia di connessione).
    8. - Posto,  dunque,  che  l'art. 4,  legge  n. 117/1988 affida -
anche  dopo  la  modifica  del  1998  - al giudice di cui all'art. 11
c.p.p.,  funzionamente  competente, le sole cause risarcitorie contro
lo  Stato  fondate  su  responsabilita'  dei  magistrati,  rileva  il
Tribunale  che  nel caso di specie - per quanto puo' affermarsi nella
presente  sede ordinatoria, nella fase camerale di ammissibilita', ed
ai limitati fini del giudizio di rilevanza del dubbio di legittimita'
costituzionale  -  le cause cumulate introdotte dalle domande attrici
sono  connesse  per  oggetto  e per titolo (petitum e causa petendi),
trattandosi  in  sostanza  della  stessa  causa  nei confronti di due
convenuti  aventi ciascuno una legittimazione propria a resistere (il
titolo  dell'unico  petitum  risarcitorio essendo da individuarsi una
prospettata     complessiva     disfunzione     organizzativa     cui
concorrerebbero,  per  quanto  di  rispettiva  spettanza,  le diverse
figure  professionali  di magistratura, ad un tempo nell'esercizio di
poteri organizzativi e giudiziari, e di cancelleria - cfr. ad es. per
gli  obblighi  di  sorveglianza  l'art.  47-quater  ord.  giud.  come
inserito dall'art. 13 d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51).
    La  giurisprudenza  conosce  piu'  esempi  di  tale  tipologia di
connessione  (ad  es.  la diffusa azione del danneggiato in incidente
automobilistico  contro  conducente  e proprietario dell'autoveicolo,
oltre  che  contro  la compagnia di assicurazioni per la r.c.a.). Nel
caso    di   specie,   anche   l'Avvocatura   erariale   (pero'   non
condivisibilmente  affermando  che cio' rileverebbe solo in prosieguo
di  causa)  ammette  la  connessione  per  il  titolo in relazione ai
profili  di  concorsualita' di condotte dedotti: e si noti che, oltre
che  nei  fattori  organizzativi  operanti  a  priori,  una  siffatta
connessione  e'  rilevabile,  in base alla prospettazione che sola in
questa  fase rileva, in riferimento a posteriori all'istanza avanzata
dall'istante  al giudice volta ad ottenere la rimozione degli effetti
della  condotta ritenuta pregiudizievole (cfr. ad es. Cass. 19 maggio
1972,  n. 1542, secondo cui vi e' connessione per titolo anche quando
siano anche solo parzialmente identici i fatti costitutivi).
    A  prescindere  da  quanto  innanzi,  rileva  il tribunale che le
azioni  sono  sicuramente connesse tra loro quantomeno per l'oggetto,
come  si  evince  dalla relativa quaestio voluntatis, di spettanza di
questo  giudice di merito, fondata sulla surriportata descrizione dei
fatti e delle istanze, atteso che il medesimo petitum risarcitorio e'
azionato  nei  confronti  dei  due  Ministeri, ciascuno legittimato a
resistere,  l'uno  per  l'organizzazione dei servizi della giustizia,
l'altro per responsabilita' dei magistrati.
    Ne  deriva  che  - dovendo affermarsi in ogni caso la connessione
nel  caso esaminato da questo tribunale - per cio' solo resta esclusa
la  possibilita'  di  un'applicazione, invocata dall'Avvocatura dello
Stato, dell'orientamento giurisprudenziale (fondato sulla mancanza di
connessione)  di  cui  alla  sent. della Cass. n. 347 del 2000, cit.,
senza  che  sia  necessario  o  consentito  a  questo  collegio  piu'
approfonditamente  dire  in  ordine all'eventuale sussistere nel caso
ivi esaminato dalla S.C. di una connessione per oggetto o titolo.
    9.  -  Sussistendo, nel caso di specie, connessione oggettiva tra
le  azioni nei confronti dei due Ministeri, va applicato il parametro
normativo  di  riferimento  di  cui all'art. 33 c.p.c. (pacificamente
applicabile anche in procedimenti che, quale quello di cui alla legge
n. 117/1988,  siano articolati in una fase di ammissibilita' camerale
ed  una  successiva  ed  eventuale  di  merito - cfr. ad es. Cass. 19
maggio 1981, n. 3286).
    All'interno  di  tale  parametro  disciplinare,  e' consentito il
cumulo  soggettivo  di  cause  connesse per l'oggetto o per il titolo
innanzi  allo  stesso  giudice  solo  se le cause potrebbero proporsi
davanti a giudici diversi «a norma degli artt. 18 e 19» c.p.c., ossia
nei  fori  generali  delle  persone  fisiche  e giuridiche. Non opera
invece  la  deroga  alla competenza ordinaria qualora una delle cause
debba  proporsi  innanzi a giudice individuato secondo un criterio di
competenza  territoriale  inderogabile o funzionale, come avviene nel
caso  in  esame  per  l'azione  nei  confronti  della  Presidenza del
Consiglio dei ministri.
    Nel caso in esame, dunque, questo Tribunale di Napoli individuato
ex  art.  25  c.p.c.  quale  foro  della  pubblica amministrazione in
relazione alla proposizione della domanda nei confronti del Ministero
della  giustizia,  non essendo la domanda cumulata avanzata contro la
Presidenza   del  Consiglio  dei  ministri  devoluta  ad  un  giudice
competente  in base a foro generale, bensi' in base ad un criterio di
natura   funzionale,   dovrebbe   -  con  provvedimento  che  involge
separazione   di   cause   -  dichiarare  la  (inammissibilita'  per)
incompetenza   in   ordine   a   quest'ultima   pretesa   relativa  a
responsabilita'  per l'organizzazione dei servizi della giustizia, da
proporre  innanzi  al  Tribunale  di  Roma,  procedendo nell'esame di
ammissibilita'  e,  eventualmente,  di merito della prima pretesa per
responsabilita' dei magistrati, non sussistendo neppure i presupposti
per  sospendere il relativo procedimento ex art. 295 c.p.c. in quanto
la sua definizione non dipende dalla decisione dell'altro.
    10.  -  Tale essendo, dunque, l'esito processuale cui condurrebbe
l'applicazione, nel vigente quadro normativo processuale, dell'art. 4
legge  n. 117/1988  al  caso  di specie, deve rilevarsi come la norma
stessa,   non   suscettibile   sul   punto   per   quanto   detto  di
interpretazione  adeguatrice,  paia  -  in maniera non manifestamente
infondata  per  quanto  si  dira' - contrastare con piu' parametri di
legittimita' costituzionale.
    Anzitutto, come gia' rilevato con l'ordinanza di promovimento del
1989,  il  legislatore, stabilendo la competenza funzionale ex art. 4
legge  cit., ha inteso tutelare l'imparzialita-terzieta' (anche sotto
il  profilo  della  mera  apparenza)  del giudizio nell'interesse del
cittadino-attore,  evitando  che  le domande di danno vadano proposte
innanzi a giudici appartenenti alla stessa Corte di appello ove e' in
servizio  il  magistrato  del  cui operato si discute, fissando quale
giudice  naturale  della  domanda un tribunale individuato secondo un
criterio predeterminato dalla legge stessa.
    «Ne  consegue  -  rilevava questo Tribunale, con rilievo che puo'
oggi reiterarsi - che se le domande per fatti intimamente connessi, o
commessi  da  altri  soggetti  in  concorso con magistrati; dovessero
essere  giudicate  dal  tribunale  [localizzato  nel distretto] della
Corte  d'appello  cui  appartiene  il  giudice  della cui condotta si
discute,  attesa  la  strettissima  interdipendenza  esistente tra le
condotte degli altri soggetti e quelle dei magistrati, non scindibili
le  une dalle altre, inevitabilmente il tribunale verrebbe a valutare
le  condotte  dei  colleghi  della  stessa  Corte  d'appello. In tale
situazione  si  palesa  costituzionalmente  illegittimo,  perche'  in
contrasto  con l'art. 25 della Costituzione, l'art. 4 in esame, nella
parte  in  cui non prevede che il giudice ivi indicato sia competente
anche  per le domande relative ai fatti commessi da altri soggetti in
concorso  con magistrati ovvero per le domande relative a fatti posti
in  essere  da altri soggetti, e intimamente connessi con le condotte
dei magistrati.
    E  invero,  poiche'  l'art. 25  della Costituzione stabilisce che
nessuno  puo'  essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge,  in  buona  sostanza si verificherebbe, per via indiretta, una
sottrazione  al  giudice  ex  art. 4 della competenza a giudicare dei
comportamenti illeciti dei magistrati, dei quali verrebbe a occuparsi
appunto  un  magistrato  appartenente alla stessa Corte d'appello del
giudice  della  cui  condotta  si  discute.  Il che il legislatore ha
voluto  evitare  nell'interesse del cittadino attore in giudizio. Ne'
si  dica  che  tale  valutazione  tutto  sommato  sarebbe  effettuata
soltanto incidenter tantum: sembra infatti evidente che, li' dove per
ragioni di imparzialita', il legislatore ha stabilito una particolare
competenza   funzionale,  anche  il  giudizio  incidenter  tantum  e'
precluso,  essendosi  in  buona  sostanza voluto evitare un qualsiasi
esercizio   di   attivita'   giurisdizionale  da  parte  del  giudice
appartenente alla stessa Corte d'appello» (cosi' Trib. Napoli, ord. 8
novembre 1989, cit.).
    A  tali  rilievi  puo'  oggi  aggiungersi,  da  parte  di  questo
collegio,   che  non  tratterebbesi  soltanto,  in  mancanza  di  una
declaratoria  di  incostituzionalita' come prospettata, di consentire
che  la  norma  preveda giudizi incidenter tantum da parte di giudici
sulle  condotte  di colleghi della stessa Corte d'appello; il che, in
un'ottica   di  bilanciamento  tra  il  principio  costituzionale  di
imparzialita-terzieta'  della  giurisdizione  e quelli concernenti il
diritto  di  agire  e  difendersi  in  giudizio  (evocata nel settore
civilistico,  in  riferimento  all'art.  30-bis  c.p.c., da ultimo da
Corte  cost.  12  novembre  2002, n. 444), potrebbe al limite trovare
qualche  tolleranza, pur in presenza dei gravi rischi di appannamento
dell'immagine   di   imparzialita-terzieta'   connessi  agli  effetti
«riflessi»  che  il  giudicato  sui  fatti connessi potrebbe avere su
quelli  inerenti  la  responsabilita' dello Stato per le condotte dei
magistrati.
    A  ben  vedere,  infatti,  sono molteplici i nessi di connessione
ipotizzabili  tra  condotte di magistrati (anche nell'espletamento di
compiti  dirigenziali,  di sorveglianza e/o organizzativi, cui questo
tribunale,  in consonanza con la dottrina, ritiene poter estendere in
via  gia'  solo  interpretativa  le cautele di cui alla legge 117 del
1998,  attraverso  una  lettura  ampia  del  concetto  di  «funzioni»
giudiziarie  di  cui  all'art. 1 della stessa legge) e le condotte di
altri    soggetti,   in   particolare   appartenenti   al   personale
amministrativo   del   Ministero   della   giustizia  ed  alle  forze
dell'ordine,  spesso  con  funzioni  di  polizia  giudiziaria:  nella
maggior  parte  di  casi  di  «connessione», quali innanzi descritti,
allorche'  il  giudice  sia  chiamato  a valutare un comportamento di
soggetto  sottoposto  a  sorveglianza (ad es., nel caso di specie, il
cancelliere    sottoposto    a   sorveglianza   del   presidente   ex
art. 47-quater  ord.  giud.)  o direzione (ad es. l'appartenente alla
p.g.  sottoposto a direzione del p.m. ex artt. 109 Cost. e 59 c.p.p.)
di  magistrati,  ovvero comportamenti concorsuali di altri soggetti e
magistrati  (come  nella materia dell'organizzazione e dell'andamento
degli  uffici),  esso giudice si trovera' di fronte a responsabilita'
solidali,  nel  quadro  di  applicabilita' dell'art. 2055 c.c. (ed in
tale  quadro  era  sussumibile  la  stessa prospettazione di condotte
concorsuali esaminata dall'ordinanza di promovimento del 1989).
    Dunque,  una  volta  valutata favorevolmente da parte dei giudici
della   stessa   Corte  d'appello  la  condotta  dei  corresponsabili
solidali,  con  agio  lo Stato convenuto con l'azione ex legge n. 117
del  1998  ovvero  il  magistrato intervenuto in causa o convenuto in
rivalsa  (per  l'azione di rivalsa pure essendo competente il giudice
ex  art.  11  c.p.p. - cfr. art. 8, legge n. 117 del 1988) potrebbero
avvalersi,  innanzi  al  predetto giudice naturale ex art. 11 c.p.p.,
tale  individuato a cagione del maggiore coefficiente di apparenza di
imparzialita-terzieta',  del  disposto dell'art. 1306 c.c., opponendo
il     giudicato     formatosi,     con     minori     garanzie    di
imparzialita-terzieta',  nella  Corte  d'appello  di  provenienza del
magistrato della cui condotta si discute.
    11. - Puo'   altresi'   soggiungersi   che,   per   le   medesime
argomentazioni,   la  norma  denunciata  pare  oggi  porsi  anche  in
contrasto  con il precetto di cui all'art. 111 Cost., che - nel testo
novellato dopo la precedente ordinanza di promovimento, enuncleandosi
principi  costituzionali  preesistenti  - prescrive che ogni processo
deve  svolgersi  davanti  ad un giudice «terzo ed imparziale», regola
strettamente  correlata  -  come insegna la Consulta - alla posizione
costituzionale   della   magistratura   quale   ordine   indipendente
(artt. 101  ss.  Cost.,  anch'essi  dunque violati - cfr. gia' in tal
senso l'ordinanza di questo tribunale del 1989).
    E' evidente, infatti, che in tutte le ipotesi di cause «connesse»
come  innanzi  descritte,  nelle quali quasi sempre entra in gioco la
responsabilita'   solidale   e,  quindi,  l'opponibilita'  dell'altro
giudicato,  il giudice individuato in base alla disciplina ordinaria,
per  il  difetto  dell'estensione  della  competenza ex art. 4, legge
n. 117  del  1998  anche  alle  cause  «connesse»  medesime,  non  si
presenterebbe agli occhi del cittadino munito dei necessari requisiti
di   terzieta-imparzialita',  dovendo  giudicare  nei  confronti  del
Ministero  della  giustizia su fattispecie interdipendente rispetto a
quella  sottratta  alla  sua  cognizione in quanto proposta contro la
Presidenza del Consiglio dei ministri.
    12. - Parrebbe,  altresi',  violato  l'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo  dell'irragionevolezza e della disparita' di trattamento, non
essendo  logico  ne'  coerente  con  il  principio di eguaglianza, in
assenza  di congrue differenziazioni, che il medesimo cittadino debba
rivolgersi  a  due  istanze giurisdizionali separate, per la disamina
dei  medesimi  fatti  cui  concorrano magistrati, trovandosi peraltro
esposto  a  diversi  gradi di tutela della terzieta-imparzialita' del
giudice,  pur  in  presenza  (attraverso  l'esposto  meccanismo della
responsabilita'  in  solido)  di  influenza  del giudicato reso in un
processo su quello reso nell'altro.
    Pur  nella  consapevolezza  della  non  comparabilita' del regime
della  connessione  nel  processo penale con quello accolto in ambito
processualcivilistico (sottolineata dall'Avvocatura dello Stato e che
non necessita di asseverazione), il Collegio a tal proposito non puo'
non  rilevare  che  l'art. 11  c.p.p., a fronte di simili esigenze di
tutela  del  principio  costituzionale  di imparzialita-terzieta' del
giudice,  strettamente  correlato alla posizione costituzionale della
magistratura  quale  ordine  indipendente  (artt. 101  ss. Cost.), ha
fornito  una sistemazione razionale alla materia della competenza per
connessione,  non  contemplata, invece, dalla norma denunciata di cui
alla legge n. 117 del 1988.
    In  relazione alla disciplina processualpenalistica, non puo' non
sottolinearsi  come  per  fatti di magistrati costituenti reato - pur
essendo  le  relative azioni risarcitorie rette dalle norme ordinarie
(art. l3,  legge  n. 117 del 1988, disciplina peraltro non coordinata
con  l'abrogazione  dell'art.  3  c.p.p.  del 1930 ad opera del nuovo
c.p.p.)  -  comunque  i  danneggiati  debbano  agire,  ove optino per
l'esercizio  dell'azione  civile  nel  processo  penale,  innanzi  al
tribunale ex art. 11 c.p.p. che sara' competente, come gia' chiarito,
anche  per  i  reati  connessi commessi da altri soggetti, nel quadro
dell'ampia nozione di connessione di cui all'art. 12 c.p.p.
    Va  d'altronde  detto  che  il  legislatore  sempre  piu'  mostra
consapevolezza,   anche   in   settori   diversi  da  quello  penale,
dell'esigenza  di  assicurare  l'immagine  di  imparzialita-terzieta'
della  giurisdizione  attraverso  il  radicamento  nella  sede di cui
all'art. 11  c.p.p.  persino di controversie risarcitorie che solo in
alcuni   casi   possono  sottendere  responsabilita'  individuali  di
magistrati: in tal senso, a prescindere dalla generale innovazione di
cui  all'art. 30-bis c.p.c., puo' ricordarsi che l'art. 3 della legge
24 marzo 2001, n. 89, che ha previsto una equa riparazione in caso di
violazione  del termine ragionevole del processo, ha stabilito che la
domanda  di equa riparazione si propone dinanzi alla corte di appello
del  distretto  in  cui  ha  sede  il  giudice  competente  ai  sensi
dell'art. 11   del   codice  di  procedura  penale  a  giudicare  nei
procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto e' concluso o
estinto relativamente ai gradi di merito ovvero pende il procedimento
nel cui ambito la violazione si assume verificata.
    A  ben  vedere, anche cause volte ad ottenere un'equa riparazione
come  innanzi possono presentare profili di collegamento con condotte
dannose   di  magistrati  o  anche  di  altri  soggetti  partecipanti
all'amministrazione  della  giustizia,  quantomeno dal punto di vista
della  responsabilita'  per  danno erariale e disciplinare: ed in tal
senso  la stessa legge del 2001, all'art. 5, prescrive che il decreto
di   accoglimento   della   domanda   sia  comunicato  a  cura  della
cancelleria,  oltre  che  alle  parti, «al procuratore generale della
Corte  dei  conti  ai  fini  dell'eventuale avvio del procedimento di
responsabilita',  nonche'  ai  titolari  dell'azione disciplinare dei
dipendenti pubblici comunque interessati dal procedimento».
    E'  evidente,  in  quest'ottica,  che  il foro di cui all'art. 11
c.p.p.  garantisce,  in vista di tali possibili esiti pregiudizievoli
anche  per  i magistrati, quell'imparzialita-terzieta' rafforzata che
deriva  dalla lontananza di sede, la quale - per evidenti esigenze di
parita'  di trattamento e ragionevolezza - pure avrebbe dovuto essere
assicurata  per le cause «connesse» a quelle di danno contro lo Stato
ex art. 118 del 1988.
    13. - Le difficolta' che l'art. 4, legge n. 117 del 1988 pone per
l'esercizio  della  tutela  giurisdizionale potrebbero anche incidere
sulla  garanzia  apprestata  dall'art. 24 Cost. del diritto d'azione,
che   verrebbe   pregiudicato  dall'impossibilita'  per  l'attore  di
avvalersi  del simultaneus processus, e dalla necessita' di sostenere
i  costi di separati giudizi, con lungaggini idonee anche ad incidere
sulla  durata ragionevole del processo garantita dall'art. 111 Cost.,
anche per tale via violato.
    14.  -  La  rilevanza della questione emerge gia' da quanto sopra
esposto  in  ordine ai diversi esiti processuali che la presente lite
avrebbe  a  seconda  della  conformita'  a  Costituzione  del vigente
art. 4,  legge  n. 117 del 1988 ovvero della sua incostituzionalita',
nella  parte  in  cui  non  prevede che anche la domanda proposta nei
confronti  del  Ministero della giustizia debba essere conosciuta dal
giudice di cui all'art. 11 c.p.p.
    15. -  Va  dunque sollevata l'anzidetta questione, d'ufficio, e -
ai  sensi  dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 - sospeso il
procedimento  nelle  more  della delibazione di spettanza del Giudice
delle leggi.
                              P. Q. M.
    Il tribunale cosi' provvede:
        1)   promuove,   d'ufficio,   il   giudizio  di  legittimita'
costituzionale,  in  relazione  agli artt. 3, 24, 25, 101 e 111 della
Costituzione,  dell'art. 4,  comma  1  della  legge  13  aprile 1988,
n. 117, nella parte in cui non prevede che il tribunale ivi indicato,
competente  a  giudicare  sull'azione contro lo Stato di risarcimento
del  danno  cagionato  nell'esercizio  delle funzioni giudiziarie per
effetto  di  un  comportamento,  un  atto  o  un  provvedimento di un
magistrato,  sia  competente  anche  per  le  cause successivamente o
cumulativamente  proposte che alle prime siano connesse per oggetto o
per  il titolo, nonche' per le cause anche autonomamente proposte che
comunque  siano  relative  a  fatti  commessi  da  altri  soggetti in
concorso  con  magistrati,  o a fatti commessi da altri soggetti e da
magistrati che - con condotte collegate (per essere stata l'una posta
in  essere  per  eseguire,  per  occultare  l'altra,  o  in occasione
dell'altra,  ovvero  per  conseguirne  o  assicurarne il profitto, il
prezzo, il prodotto o l'impunita) o anche con condotte indipendenti -
abbiano determinato il danno;
        2)  dispone  l'immediata  trasmissione  degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso;
        3)  ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza
sia  notificata  alle  parti  in  causa  nonche'  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e  sia  comunicata  ai Presidenti delle due
camere del Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Napoli,  nelle  camere  di consiglio in date 2
aprile, 21 maggio e 17 giugno 2003.
                     Il Presidente: Taglialatela
03C1080