N. 300 SENTENZA 24 - 29 settembre 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Pluralita'  di questioni - Trattazione e decisione separata in ordine
  ad  una  delle questioni proposte - Riserva di ogni decisione sulle
  restanti questioni.
Istituti  di  credito  - Fondazioni bancarie - Disciplina statale sui
  settori  di  intervento  «ammessi»  e  «rilevanti»;  sull'organo di
  indirizzo;  sulla  gestione  e  destinazione  del  patrimonio;  sul
  controllo   di  una  societa'  bancaria;  sulle  dismissioni  delle
  partecipazioni  di  controllo  in  societa' bancarie; sui poteri di
  vigilanza;  sull'adeguamento  degli statuti alle nuove disposizioni
  legislative  e sulla ricostituzione degli organi delle fondazioni -
  Ricorsi  delle  Regioni  Marche, Toscana, Emilia Romagna e Umbria -
  Denunciata  invasione  con  norme di dettaglio in materia assegnata
  alla   potesta'   legislativa  regionale  -  Non  fondatezza  delle
  questioni.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11.
- Costituzione, art. 117, terzo e quarto comma.
Istituti   di   credito   -   Fondazioni   bancarie   -  Attribuzione
  all'Autorita' di vigilanza (attualmente il Ministro dell'economia e
  delle  finanze)  di  potere  regolamentare  - Denunciata violazione
  della   potesta'   regolamentare   riservata  alle  regioni  -  Non
  fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 11, commi 1 e 14.
- Costituzione, art. 117, sesto comma.
(GU n.40 del 8-10-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 11;  17,
comma 2;  19,  commi 1  e 14; 22, commi 3 e 4; 24, commi 2, 3, 4, 9 e
13; 25, commi 1, 5 e 10; 27, comma 13; 28, commi 1, 5, 6, 8 e 11; 29;
30;  33;  35;  41; 52, commi 10, 14, 17, 20, 39 e 83; 54; 55; 59; 60,
comma 1,  lettera d);  64;  66;  67;  70 e 71 della legge 28 dicembre
2001,  n. 448  [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria  2002)],  promossi con
ricorsi  delle  Regioni  Marche,  Toscana,  Emilia-Romagna  e Umbria,
notificati  il  22  (primo e secondo ricorso), il 27 e il 26 febbraio
2002,  depositati  in  cancelleria  il 28 febbraio, il 1° e l'8 marzo
(terzo  e  quarto ricorso) 2002 e iscritti ai nn. 10, 12, 23 e 24 del
registro ricorsi 2002.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 3 giugno 2003 il giudice relatore
Gustavo Zagrebelsky;
    Uditi  gli  avvocati  Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio
Lorenzoni  per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione
Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon e Maurizio Pedetta per la Regione
Umbria  e  l'avvocato  dello Stato Massimo Mari per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.1. - Con  ricorso notificato il 22 febbraio 2002, depositato il
successivo  28 febbraio  (reg.  ricorsi  n. 10  del 2002), la Regione
Marche,  nell'impugnare numerose disposizioni della legge 28 dicembre
2001,  n. 448  [Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2002)], ha denunciato, tra
l'altro, l'art. 11 di detta legge, in riferimento all'art. 117, terzo
e sesto comma, della Costituzione.
    Premesse   alcune  considerazioni  di  assieme  sull'impugnazione
proposta,  la  ricorrente osserva che l'art. 11, nel recare modifiche
ad  alcune  norme  del  d.lgs.  17 maggio  1999,  n. 153  (Disciplina
civilistica  e  fiscale  degli  enti  conferenti  di cui all'art. 11,
comma 1,  del  d.lgs.  20 novembre 1990, n. 356, e disciplina fiscale
delle  operazioni  di  ristrutturazione bancaria, a norma dell'art. 1
della  legge 23 dicembre 1998, n. 461), incide sulla disciplina delle
fondazioni  «bancarie»,  in  particolare  indirizzandone  l'attivita'
verso  determinati settori («ammessi» e «rilevanti»), dettando regole
sulla   composizione   dell'organo  di  indirizzo  e  sulle  relative
incompatibilita',  disponendo  circa  le  modalita'  di gestione e la
destinazione   del   patrimonio,   introducendo   un  criterio  sulla
definizione  normativa  della  nozione di «controllo» di una societa'
bancaria  da  parte  di  una fondazione, disponendo altresi' circa il
c.d.  periodo transitorio in rapporto alle previste dismissioni delle
partecipazioni  di  controllo  in  questione,  e  circa  i  poteri di
vigilanza.
    Questo  intervento  del legislatore statale, con disposizioni che
la  Regione ricorrente qualifica come norme di dettaglio, cadrebbe in
un  ambito materiale, quello delle «casse di risparmio, casse rurali,
aziende  di  credito  a  carattere  regionale», che l'art. 117, terzo
comma, della Costituzione assegna alla legislazione concorrente delle
Regioni,  e  cio'  -  precisa  la Regione Marche - in quanto in detto
ambito  dovrebbe ritenersi rientrare, ancor oggi, la disciplina delle
fondazioni  bancarie,  non essendo portato a definitivo compimento il
processo  di  progressiva trasformazione delle fondazioni medesime in
persone  giuridiche  di  diritto  privato, del tutto svincolate dalle
aziende  del settore bancario; una considerazione, questa, desumibile
anche  dalla giurisprudenza costituzionale, che ha confermato appunto
la  perdurante  «attrazione» delle fondazioni nell'orbita del settore
del  credito,  non essendosi compiuto il periodo - «transitorio» - di
passaggio  da  una figura all'altra, per la perdurante sottoposizione
delle  fondazioni  alla  vigilanza  del  Ministro  del  tesoro  (ora,
dell'economia  e  delle  finanze), e per il non definitivo compimento
della   procedura   di   trasformazione,  con  la  dismissione  delle
partecipazioni  azionarie  rilevanti  delle fondazioni nelle societa'
bancarie  conferitarie  e  con  la  modifica e approvazione dei nuovi
statuti  degli  enti-fondazioni  (sentenze  n. 341  e n. 342 del 2001
della  Corte  costituzionale,  in  linea  con la precedente decisione
n. 163 del 1995).
    Non    essendosi    dunque   verificate   le   condizioni   della
trasformazione,  la  disciplina  delle  fondazioni in parola non puo'
ricondursi  alla  materia  dell'«ordinamento  civile»,  propria dello
Stato,  ma rientra in una materia di legislazione concorrente, con la
conseguenza  che  allo  Stato  e' affidata solo la determinazione dei
principi fondamentali della materia.
    Ma  le  norme  censurate  contengono  disposizioni di dettaglio e
puntuali, rivolte omisso medio ai destinatari della disciplina, senza
lasciare  alcuno  spazio per il legislatore regionale, e cio' delinea
la    violazione   dell'invocato   art. 117,   terzo   comma,   della
Costituzione:   violazione   da  reputare  sussistente,  aggiunge  la
Regione,  anche  a voler ammettere in generale la possibilita' per lo
Stato  di  dettare  disposizioni  immediatamente  applicabili  ma  di
carattere  suppletivo e «cedevoli» a fronte del futuro intervento del
legislatore   regionale,   giacche'   nel  caso  specifico  le  norme
impugnate,  per  il loro tenore letterale, non si prestano comunque a
essere  derogate  o  mutate  dalle  Regioni,  sia pure nel quadro dei
principi posti dalla legge dello Stato.
    Strettamente  conseguente  alla suddetta censura e' la denunciata
violazione  del sesto comma dell'art. 117 della Costituzione, dedotta
in  quanto l'art. 11 della legge n. 448 del 2001 riconosce (commi 1 e
14)  all'Autorita' di vigilanza - attualmente, al Ministro competente
-  una potesta' regolamentare in materia di legislazione concorrente,
potesta'  che  pertanto,  secondo il nuovo sesto comma dell'art. 117,
non   puo'  spettare  che  alla  Regione;  la  censura,  conclude  la
ricorrente,  e' direttamente connessa alla precedente anche sul piano
del  contenuto,  in quanto i poteri regolamentari cosi' previsti sono
rivolti  a  modificare  o  integrare  la  stessa  disciplina primaria
contestualmente  introdotta  (cosi'  nel  comma 1, quanto ai «settori
ammessi»),  o  a  dettare  disposizioni  attuative  di  essa:  il che
conferma che il legislatore nazionale non ha ipotizzato alcuno spazio
per l'esercizio di potesta' normative delle Regioni.
    1.2. - Nel giudizio cosi' promosso si e' costituito il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura  generale dello
Stato.
    L'Avvocatura  deduce  l'infondatezza  del  ricorso  della regione
Marche, secondo il duplice argomento (a) della riconducibilita' della
disciplina   alla   materia   di  cui  all'art. 117,  secondo  comma,
lettera e),  della  Costituzione  («tutela  del  risparmio  e mercati
finanziari»),  in  quanto  le  fondazioni  siano  ancora  da ritenere
assimilabili  agli  enti  creditizi,  come  da  pronunce  della Corte
costituzionale menzionate dalla ricorrente, ovvero, alternativamente,
(b)  del  riferimento  all'art. 117, secondo comma, lettera g), della
Costituzione,  in  quanto  le fondazioni costituiscano «enti pubblici
nazionali»,  secondo  quella  che  e'  la  formula della disposizione
costituzionale. In entrambi i casi, rileva l'Avvocatura, si tratta di
materia  assegnata  alla  legislazione  esclusiva dello Stato, e cio'
abilita  quest'ultimo  anche  a  stabilire  la potesta' regolamentare
nella  medesima  materia,  a  norma dell'art. 117, sesto comma, della
Costituzione.
    2.1. - La  Regione Toscana, con ricorso notificato il 22 febbraio
2002,  depositato  il  successivo  1° marzo  (reg.  ricorsi n. 12 del
2002),   ha   impugnato   anch'essa,  tra  altre  norme  della  legge
finanziaria n. 448 del 2001, l'art. 11 di detta legge.
    La  ricorrente assume che la normativa statale, da un lato, viola
la competenza concorrente regionale quanto alle «casse di risparmio»,
poiche'  le  fondazioni  «tuttora  esercitano  attivita' creditizia e
bancaria» (art. 117, terzo comma, della Costituzione), e, dall'altro,
lede  anche  l'art. 117,  quarto comma, della Costituzione, perche' i
settori  «ammessi»  nei quali le fondazioni devono operare rientrano,
in  larga  parte,  in ambiti di competenza, concorrente o addirittura
esclusiva,  del  legislatore regionale; allo Stato e' dunque precluso
di   organizzare   modalita'   di  esercizio  di  funzioni  che  sono
suscettibili di disciplina soltanto da parte delle Regioni.
    Inoltre,  la  disposizione  sarebbe  lesiva  dell'art. 117, sesto
comma,  della  Costituzione,  perche'  in  essa  si prevede un potere
regolamentare  -  per  l'attuazione della normativa primaria e per la
modifica  dei settori «ammessi» - affidato all'Autorita' di vigilanza
(transitoriamente, al Ministro dell'economia e delle finanze, secondo
l'art. 1   del   d.lgs.   n. 153   del  1999),  laddove,  secondo  la
Costituzione,  la  potesta' regolamentare e' attribuita alle Regioni,
ogni  volta  che  si tratti di materie non ricadenti nella competenza
esclusiva dello Stato.
    2.2. - Si  e'  costituito nel relativo giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  contestando le conclusioni della ricorrente,
anche  in  questo  caso  secondo  una  duplice prospettazione: (a) le
disposizioni  hanno la funzione di tutelare il risparmio e si fondano
dunque  sull'art. 117, secondo comma, lettera e), della Costituzione,
ovvero  (b)  anche  a  voler  ascrivere  la disciplina a un settore -
quello  delle  casse  di  risparmio - di legislazione concorrente, il
contenuto   delle   norme  impugnate  ha  comunque  il  connotato  di
disposizioni  che  determinano i principi fondamentali della materia,
legittimamente posti da norme statali.
    Tali  rilievi, prosegue l'Avvocatura, valgono altresi' per quanto
concerne i «settori ammessi», cioe' per i diversi campi di intervento
nei  quali e' dato alle fondazioni di svolgere la loro attivita', che
in  ogni  caso  non  potrebbero  dirsi rientrare in via prevalente in
ambiti   propri   della  normazione  regionale:  ne  sono  certamente
estranei,   sottolinea  il  resistente,  gli  ambiti  della  pubblica
istruzione   in  generale,  la  prevenzione  della  criminalita',  la
sicurezza   pubblica,   la  tutela  dei  beni  culturali.  E  analoga
osservazione  e'  dedotta circa la previsione in tema di composizione
dell'organo  di  indirizzo  delle fondazioni, con la quale sono stati
posti principi generali finalizzati a evitare prassi distorsive nella
gestione  delle  fondazioni, mentre le esigenze delle Regioni e degli
enti  locali  possono  ricevere sufficiente garanzia nella previsione
della  presenza,  in detti organi, di «una qualificata rappresentanza
degli   enti   diversi   dallo   Stato,  di  cui  all'art. 114  della
Costituzione,  idonea a rifletterne le competenze nei settori ammessi
in  base  agli  artt. 117 e 118 della Costituzione», secondo il testo
dell'art. 11,  comma 4,  della  legge  n. 448  del  2001 [sostitutivo
dell'art. 4, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 153 del 1999].
    Quanto  al potere regolamentare, l'Avvocatura rileva che esso non
ha  portata  generale, ma e' circoscritto all'attuazione dell'art. 11
in  questione,  anche  al  fine  del  coordinamento  con  le restanti
disposizioni  del  d.lgs. n. 153 del 1999, ed e' dunque limitato alla
materia riservata alla legislazione dello Stato.
    3.1. - La  Regione  Emilia-Romagna  ha  impugnato l'art. 11 della
legge  finanziaria  per  il  2002,  n. 448 del 2001, sotto molteplici
profili,  con  ricorso  notificato il 27 febbraio 2002, depositato il
successivo 8 marzo (reg. ricorsi n. 23 del 2002).
    Premesse   alcune   notazioni  di  ordine  generale  sul  «senso»
complessivo della legge citata, contraddittorio rispetto alla portata
innovativa   del   riformato  Titolo  V  della  Parte  seconda  della
Costituzione,  e  sull'estraneita'  di  molte  delle  disposizioni al
contenuto  che (secondo la previsione dell'art. 11 della legge n. 468
del  1978)  dovrebbe  essere  proprio  di una legge «finanziaria», la
ricorrente  censura  specificamente  l'art. 11 della legge n. 448, in
tema di fondazioni bancarie.
    Il  presupposto  della questione sollevata e' che, nonostante sia
stabilito  che le fondazioni bancarie assumano personalita' giuridica
di diritto privato, la legislazione sinora emanata dallo Stato non le
ha  mai considerate propriamente tali, essendo intervenuta variamente
-  da  ultimo  appunto con la disciplina in questione - sia sul piano
dell'organizzazione  sia  sul piano dell'attivita' di tali enti, cio'
che  evidentemente  non  sarebbe  stato  possibile  se  le fondazioni
fossero  soggetti  dotati di piena autonomia privata. La personalita'
privatistica   delle   fondazioni   sarebbe   quindi   piuttosto   la
determinazione  di  un  regime  giuridico degli atti da esse posto in
essere  che  non  espressione  dell'effettiva  qualita' dei soggetti,
sottoposti  a  penetranti discipline pubbliche: e cio', sottolinea la
Regione,  porterebbe  a  escludere  in  radice  che  la disciplina in
questione  possa  essere  ricondotta  alla  materia dell'«ordinamento
civile».
    La  legislazione  vigente - prosegue la Regione - si fonda invece
in  larga parte sull'idea di assimilazione delle fondazioni agli enti
creditizi,   assimilazione   del  resto  gia'  posta  in  luce  dalla
giurisprudenza  costituzionale (sentenze n. 341 del 2001 e n. 163 del
1995),  che ha anche chiarito come, una volta cessato il collegamento
tra  le  une  e gli altri, le fondazioni apparirebbero come strutture
operanti istituzionalmente in settori di utilita' sociale, in massima
parte ricadenti nelle competenze legislative regionali.
    Sotto questo profilo, la Regione Emilia-Romagna assume che sia la
intervenuta  modifica  della  Costituzione  (con la attribuzione alle
Regioni ordinarie di potesta' legislativa concorrente in una materia,
quella  delle «casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a
carattere  regionale»,  che  e' testualmente ripresa da analoga norma
dello  statuto  speciale  per  il  Trentino-Alto Adige), sia la nuova
disciplina  dei  settori  di  intervento delle fondazioni, portano ad
anticipare  al  momento  attuale il problema del coordinamento tra la
normativa  sulle fondazioni e quella delle persone giuridiche private
senza  scopo  di  lucro,  in  rapporto alle competenze assegnate alle
Regioni  e alle Province autonome, proprio secondo quanto prefigurato
nella sentenza n. 341 citata.
    Le   fondazioni,   secondo   questa   prospettiva,   vengono   in
considerazione  sotto  due differenti profili: soggettivamente, quali
enti  ancora  in  parte  assimilati  agli  enti  creditizi e in parte
svolgenti  compiti  di  pubblica  utilita'  in  determinati  settori;
obiettivamente,  per l'attivita' in concreto posta in essere, secondo
la  materia  nella  quale  la  medesima  attivita' ricade di volta in
volta.
    Per  il  primo  aspetto,  in quanto enti ancora in parte attratti
nell'orbita  degli  enti  creditizi,  le  fondazioni  rientrano nella
competenza  legislativa concorrente, secondo l'art. 117, terzo comma,
della  Costituzione;  per  il  secondo  aspetto,  esse  implicano  le
competenze   delle  Regioni  ordinarie,  in  quanto  vi  ricadano  le
attivita' svolte.
    Cio' posto, e ricordata l'elencazione dei «settori ammessi» quale
contenuta  nell'art. 1  del  d.lgs.  n. 153 del 1999, come modificato
dall'impugnato  art. 11,  comma 1,  della  legge  n. 448 del 2001, la
ricorrente   rileva  che  la  prevista  attribuzione  della  potesta'
regolamentare  all'Autorita'  di  vigilanza,  sia per la modifica dei
settori  ammessi  sia  per l'attuazione della legge, contrasta con la
Costituzione,  che  (art. 117,  sesto  comma)  stabilisce  che  detta
potesta'  spetta  allo  Stato  nelle  (sole)  materie di legislazione
esclusiva, mentre spetta alle Regioni in ogni altra materia. Anzi, le
norme  appaiono  incostituzionali proprio in quanto, preliminarmente,
non  riconoscono  alle Regioni il ruolo di soggetti di vigilanza, per
gli   enti   che   ricadono  sotto  la  loro  competenza:  un  simile
riconoscimento,  si  osserva,  riporterebbe  ad  armonia  il sistema,
riunificando  i  poteri  normativi  in  capo al  soggetto  che  ne e'
costituzionalmente intestatario.
    Quanto  alle  restanti  disposizioni  dell'art. 11, la Regione ne
sostiene   l'incostituzionalita',   in  quanto  «non  riconoscono  la
competenza  concorrente  della  regione sia in relazione agli enti di
credito  di  cui  all'art. 117,  comma  terzo,  sia in relazione alle
materie  di  attivita», e in quanto «non prevedono che in tali ambiti
le  disposizioni  statali  vincolino  le  regioni  soltanto quanto ai
principi fondamentali».
    3.2. - Si  e'  costituito  in  questo  giudizio il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello Stato, concludendo per il rigetto del ricorso secondo
argomentazioni   testualmente   coincidenti   con   quelle  formulate
nell'atto di costituzione nel giudizio introdotto con il sopra citato
ricorso della Regione Toscana (reg. ricorsi n. 12 del 2002).
    4.1. - La  Regione  Umbria, con ricorso notificato il 26 febbraio
2002, depositato il successivo 8 marzo (reg. ricorsi n. 24 del 2002),
ha impugnato, tra l'altro, l'art. 11 della legge n. 448 del 2001, con
deduzioni e conclusioni testualmente coincidenti con quelle contenute
nel  ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  (assistita dal medesimo
difensore).
    4.2. - Nel  relativo  giudizio  il  Presidente  del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  ha  concluso  per  il  rigetto del ricorso, svolgendo rilievi
coincidenti   con   quelli  dell'atto  di  costituzione  nei  giudizi
introdotti  con  i  ricorsi  delle  Regioni Toscana ed Emilia-Romagna
(reg. ricorsi n. 12 del 2002 e n. 23 del 2002).
    5.1. - In prossimita' dell'udienza, le ricorrenti Regioni Marche,
Emilia-Romagna  e  Umbria  hanno  depositato memorie a sostegno delle
richieste declaratorie di incostituzionalita'.
    5.2. - La   Regione   Marche,   ricordati   i   contenuti   delle
disposizioni  dell'art. 11  della legge n. 448 del 2001 impugnato, ne
ribadisce l'incostituzionalita', per esserne oggetto enti che debbono
tuttora  considerarsi  rientranti  nell'ambito  della  materia  delle
«casse  di  risparmio»  assegnata in via concorrente alle Regioni dal
nuovo  art. 117,  terzo  comma, della Costituzione, «fermi restando i
dubbi  di costituzionalita' [...] sullo stesso obbligo di dismissione
delle  partecipazioni  di  controllo,  come  previsto dall'originario
art. 25  del  d.lgs.  n. 153  del 1999». Con il supporto di dottrina,
poi,  nella memoria si ribadisce che le fondazioni mantengono il loro
collegamento genetico e funzionale con le societa' bancarie, giacche'
la   loro  separazione  formale  rispetto  all'esercizio  di  impresa
bancaria attraverso lo scorporo della relativa azienda non toglie che
la  fondazione  «mantenga  ancor  oggi la natura di ente creditizio»;
cio',  si  sottolinea,  e' conforme alle pronunce n. 341 e n. 342 del
2001  della  Corte,  che  a loro volta confermano l'analogo enunciato
della  sentenza  n. 163  del  1995, circa la persistenza in corso del
processo che condurra' alla riconduzione delle fondazioni nel settore
privato   pleno  iure.  Questa  «transitorieta»,  del  resto,  appare
confermata  dallo  stesso  art. 5  del  decreto-legge 15 aprile 2002,
n. 63, convertito dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, che - con norma
di  interpretazione  autentica  tra  l'altro  a  sua  volta di dubbia
costituzionalita',  poiche',  piu'  che  chiarire  la  portata  della
normativa  sulle  fondazioni oggetto di interpretazione, ne integra i
contenuti - comunque afferma che le fondazioni sono caratterizzate da
un  regime privatistico del tutto singolare, retto essenzialmente dal
criterio  per cui le norme comuni del codice civile si applicano solo
in  via  residuale e in quanto compatibili; e cio', si afferma, e' in
linea  con  l'impostazione  della  legge  finanziaria per il 2002, la
quale,   pur   mantenendo   la   qualificazione   privatistica  delle
fondazioni,  ne ha pero' «ripubblicizzato» la complessiva disciplina,
riconducendo   le   fondazioni  in  discorso  a  una  natura  perfino
strumentale  e  di  supplenza rispetto all'agire del potere pubblico.
Con  la  conseguenza  che  l'ordinamento  di  detti  enti,  in quanto
organismi pubblici, attiene, una volta che essi abbiano carattere non
nazionale   ma   regionale,   alla  competenza  legislativa  di  essa
ricorrente.
    Pertanto,  se  la  disciplina  delle  fondazioni  non puo' essere
ricompresa  nella  materia dell'«ordinamento civile», ma attiene alla
materia  «casse  di  risparmio»,  essendo in definitiva le fondazioni
ancor   oggi   qualificabili  come  «enti  creditizi»,  la  normativa
impugnata,  che  reca norme di dettaglio e non principi e che prevede
inoltre  un  ambito  delimitato  di  attivita'  delle  fondazioni  (i
«settori   ammessi»),  risulta  in  contrasto  con  l'art. 117  della
Costituzione.
    Corollario   dell'impostazione   sopra   detta   sarebbe  poi  la
necessaria  attribuzione  della potesta' di disciplinare le attivita'
svolte  dagli enti in questione in capo alle Regioni, queste - non lo
Stato  -  essendo  abilitate a regolare i settori di intervento delle
fondazioni; settori i quali sono a loro volta strettamente connessi e
talvolta  in  pratica coincidono con il catalogo costituzionale delle
competenze  regionali. Con l'ulteriore conseguenza che anche i poteri
di  vigilanza  dovrebbero  essere  assegnati alle competenti Regioni,
secondo  un  disegno  complessivo  che  porterebbe  le  fondazioni  a
svolgere   un   ruolo   di   «servizi  alla  persona»  proprio  delle
amministrazioni   locali,   in   una  sorta  di  loro  finalizzazione
pubblicistica.
    Nella memoria si insiste poi sul fatto che la normativa impugnata
non  potrebbe  essere  reputata  indenne  da censure neppure a volere
impostare  la  soluzione  sul  piano  della  loro  «cedevolezza», non
essendo  lasciato  alcuno spazio al legislatore regionale che volesse
apportare modifiche o deroghe al sistema che esse definiscono.
    Infine,  la  difesa  della  ricorrente  insiste  sulla violazione
dell'art. 117,  sesto  comma,  della  Costituzione,  poiche' i poteri
regolamentari  che  la  normativa  affida  ad  autorita' ministeriali
potrebbero  dirsi  validamente sorretti solo se la materia rientrasse
tra  quelle  attribuite allo Stato in via esclusiva, il che - secondo
quanto sopra detto - non puo' essere affermato.
    5.3. - La    Regione    Emilia-Romagna,    nel    contestare   le
argomentazioni  del  Presidente  del Consiglio dei ministri, premette
una  serie di considerazioni piu' generali, legate alla contemporanea
pendenza   di  questioni  di  costituzionalita'  in  via  incidentale
sollevate,  sulla  medesima  disciplina, dal Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio,  sulla  base  pero'  di premesse antitetiche a
quelle  che  la Regione fa valere con il ricorso in esame. Secondo il
giudice amministrativo, infatti, il riconoscimento alle fondazioni di
una  «piena  autonomia  statutaria  e  gestionale» (art. 2 del d.lgs.
n. 153 del 1999) assumerebbe il carattere di un principio-guida, alla
cui  stregua  valutare la normativa di dettaglio, la quale, in questa
ottica,  avrebbe  «tradito»  il  carattere delle fondazioni. Ma cosi'
argomentando,  rileva  la Regione, si assume impropriamente una norma
di  legge  ordinaria,  cioe'  l'art. 2 del d.lgs. n. 153, a parametro
interposto  ai  fini  del  sindacato  di  costituzionalita', il quale
invece   deve  essere  esercitato  solo  tenendo  presenti  le  norme
costituzionali,  non  leggi  ordinarie  (come  anche il decreto-legge
n. 63  del  2002  che  parla  di  un regime «privatistico», ancorche'
speciale). Il legislatore non ha tratto dal nulla gli enti-fondazioni
come persone giuridiche private: esso ha solo nuovamente disciplinato
gli  «enti pubblici conferenti», i quali a loro volta discendevano da
una  serie  di  operazioni  di  trasformazione  degli  enti  pubblici
creditizi   presi  in  considerazione  dalla  riforma  del  1990:  le
fondazioni,  dunque,  non sono entita' create dalla legge utilizzando
patrimoni  privati,  ma  sono  il  portato  di  scelte legislative di
modificazione  del regime giuridico di preesistenti enti pubblici, il
che   rende   pienamente  legittimo  che  la  legge  regoli  i  fini,
l'organizzazione   e   l'utilizzazione   del   patrimonio  di  queste
strutture,  appunto  per  la  loro  derivazione  da  enti  di  natura
pubblicistica.  Cio'  -  si  aggiunge  -  e' coerente con una visione
sostanziale  del  problema,  come  del  resto  su  una valutazione di
sostanza  si  fondano, da un lato, la giurisprudenza costituzionale -
cosi',  nella  questione della natura delle IPAB (sentenza n. 396 del
1988)  -  e, dall'altro, la normativa comunitaria - nella definizione
di  «organismo  di  diritto  pubblico» ai fini della disciplina degli
appalti pubblici -.
    La   ricorrente   sostiene  dunque  (a)  che  le  fondazioni  non
costituiscono  veri soggetti di autonomia privata a pieno titolo, (b)
che il giudizio rimesso alla Corte deve svolgersi non gia' secondo il
riparto  di  competenze  vigente  al  tempo dell'emanazione del testo
originario del d.lgs. n. 153, bensi' secondo il quadro costituzionale
delineato  dal  nuovo  Titolo V, vigente al tempo della legge oggetto
della  odierna  questione,  e  (c)  che  non  potrebbe  ammettersi un
intervento  normativo  come  quello  censurato  neppure attraverso la
giustificazione  della  «cedevolezza»,  mancando  comunque  il titolo
dell'intervento statale in materia.
    Su queste premesse, la Regione Emilia-Romagna passa a contraddire
le  singole  argomentazioni dell'Avvocatura dello Stato: 1) quanto al
preteso  fondamento costituzionale della disciplina nella funzione di
«tutela  del  risparmio»  in  generale  (art. 117, secondo comma), la
Regione  osserva  che  nessuna  delle disposizioni impugnate concerne
questo  obiettivo;  2) quanto alla asserita connotazione di normativa
di  principio,  la  Regione richiama la giurisprudenza costituzionale
circa il perdurante periodo «transitorio» (sentenza n. 341 del 2001),
che  equivale  ad  assimilare  tuttora,  e  fino al completamento del
processo  di  dismissione delle partecipazioni azionarie nelle banche
«conferitarie»,  le  fondazioni  a  enti creditizi, precisamente alle
preesistenti  casse  di  risparmio  dalle  quali  esse  hanno  tratto
origine:  con  la  conseguenza  percio'  che nella materia omonima ex
art. 117,  terzo comma, della Costituzione rientrano necessariamente,
oltre   alle   «aziende   di   credito  a  carattere  regionale»  ivi
testualmente   menzionate,   altresi'  le  corrispondenti  fondazioni
bancarie,  e  che  lo  Stato  e'  abilitato  a  porre  esclusivamente
disposizioni  di  principio,  mentre  le  norme  impugnate  rivestono
evidentemente  carattere  di  estremo  dettaglio  e regolano l'intera
materia  senza  lasciare  alcun margine per diverse determinazioni da
parte  delle  Regioni;  3) quanto all'argomento che le esigenze delle
Regioni sarebbero comunque garantite dalla previsione, nell'organo di
indirizzo   delle   fondazioni,  di  una  «prevalente  e  qualificata
rappresentanza  degli  enti, diversi dallo Stato, di cui all'art. 114
della Costituzione», secondo il disposto dell'art. 11, comma 4, della
legge  n. 448  impugnata,  la ricorrente sottolinea che qui non e' in
gioco  il  grado di «soddisfazione» che alle Regioni puo' derivare da
una  rappresentanza  nell'organo  di  indirizzo,  ma  il rispetto del
riparto  costituzionale delle competenze legislative, che comprendono
anche  la  disciplina della composizione degli enti in questione; non
senza  ribadire  che  le attivita' alle quali per legge le fondazioni
sono  deputate  rientrano  in larghissima misura nelle competenze, di
natura  concorrente ovvero residuale, delle Regioni stesse, cosicche'
l'argomento dell'Avvocatura circa l'attribuzione allo Stato di alcuni
settori   materiali   di   attivita'  delle  fondazioni,  ad  esempio
l'istruzione,  se  per  un  verso non e' pertinente, per un altro non
muta  comunque  le  conclusioni  raggiunte  circa il collegamento tra
campo  d'azione  degli  enti e competenze regionali, collegamento che
era stato del resto gia' prefigurato nella citata sentenza n. 341 del
2001;  4)  quanto  al potere regolamentare assegnato all'Autorita' di
vigilanza,  esso  lede  direttamente  il  disposto  del  sesto  comma
dell'invocato   art. 117   della   Costituzione,   che  in  tanto  lo
ammetterebbe  in  quanto  fosse ravvisabile un ambito di legislazione
statale  esclusiva,  il  che  non e' sostenibile; 5) quanto infine al
potere   di   vigilanza,   dopo  l'attribuzione  alle  Regioni  della
competenza  concorrente su «casse di risparmio [e] aziende di credito
a carattere regionale», nel perdurante periodo transitorio, in cui le
fondazioni  sono  attratte  nell'ambito  del  settore  creditizio,  i
compiti  di  vigilanza  avrebbero  dovuto  essere corrispondentemente
attribuiti  alle Regioni, in rapporto di naturale consecuzione con la
spettanza  della  potesta' regolamentare, che si collega al potere di
«allocare   le   funzioni   amministrative,  alle  quali  si  collega
naturaliter la potesta' regolamentare».
    5.4. - La  Regione  Umbria,  infine,  ha depositato anch'essa una
memoria,  di  contenuto  identico  a  quello  dell'atto della Regione
Emilia-Romagna, data la comune rappresentanza e difesa in giudizio.

                       Considerato in diritto

    1. - Le   regioni   Marche,  Toscana,  Emilia-Romagna  e  Umbria,
nell'impugnare  numerose  disposizioni  della legge 28 dicembre 2001,
n. 448  [Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria 2002)], contestano tra
l'altro  l'art. 11  di  tale  legge (Modifiche al decreto legislativo
17 maggio  1999,  n. 153,  in  materia di fondazioni). Per ragioni di
omogeneita'   di   materia,   la   trattazione   della  questione  di
costituzionalita'  indicata  viene  separata  da  quella delle altre,
sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni.
    2. - L'articolo  di legge in questione incide su numerosi aspetti
della disciplina delle fondazioni di origine bancaria, in particolare
in  tema  di:  campi  materiali  di intervento (i settori «ammessi» e
«rilevanti»);  regole di composizione dell'organo di indirizzo; cause
di   incompatibilita';  modalita'  di  gestione  e  destinazione  del
patrimonio;  definizione della nozione di «controllo» di una societa'
bancaria  da  parte  di  una  fondazione;  «periodo  transitorio», in
relazione   alle   prescritte  dismissioni  delle  partecipazioni  di
controllo  in  societa'  bancarie;  poteri  di vigilanza; adeguamento
degli  statuti  alle  nuove disposizioni legislative e ricostituzione
degli organi delle fondazioni conseguenti alle modifiche statutarie.
    Con   argomenti   sostanzialmente   analoghi,  tutte  le  Regioni
ricorrenti   sostengono  che  le  disposizioni  della  legge  statale
impugnata intervengono con norme di dettaglio in una materia - quella
delle  «casse  di  risparmio,  casse  rurali,  aziende  di  credito a
carattere   regionale»   -   che   l'art. 117,   terzo  comma,  della
Costituzione  assegna  alla  legislazione  concorrente  regionale. La
competenza  legislativa regionale in materia di fondazioni di origine
bancaria,  ad  avviso  delle ricorrenti, discenderebbe altresi' dalla
circostanza  che  tali fondazioni sono chiamate dalla legge a operare
in  settori  materiali  affidati  costituzionalmente  alla cura della
legislazione  regionale (concorrente, o, per la sola Regione Toscana,
esclusiva, secondo l'art. 117, quarto comma, della Costituzione).
    Una  particolare  censura  e'  poi  rivolta  ai  commi 1 e 14 del
denunciato  art. 11, i quali riconoscono all'Autorita' di vigilanza -
attualmente  il Ministro dell'economia e delle finanze - una potesta'
regolamentare  che,  operando, in ipotesi, in materia di legislazione
regionale,  violerebbe  la riserva di potesta' regolamentare disposta
dall'art. 117, sesto comma, della Costituzione a favore delle Regioni
in  tutte  le  materie  non di competenza legislativa esclusiva dello
Stato.
    3. - Data  la  loro sostanziale identita', i quattro ricorsi, per
la  parte  attinente all'art. 11 della legge n. 448 del 2001, possono
riunirsi  per  essere  trattati  congiuntamente  e  decisi  con unica
sentenza.
    4. - I ricorsi in esame non sono fondati.
    5. - Tutte le censure si basano sul presupposto che le fondazioni
di   origine   bancaria   siano   tuttora   soggetti   caratterizzati
dall'appartenenza  all'organizzazione  del  credito  e del risparmio.
Tale  presupposto  non  e'  oggi piu' sostenibile, tenuto conto degli
sviluppi della legislazione in materia a partire dal 1990.
    La  legge  30 luglio  1990,  n. 218  (Disposizioni  in materia di
ristrutturazione   e  integrazione  patrimoniale  degli  istituti  di
credito  di  diritto  pubblico),  e il successivo decreto legislativo
20 novembre  1990, n. 356 (Disposizioni per la ristrutturazione e per
la disciplina del gruppo creditizio), hanno dato avvio a una profonda
trasformazione   e   riorganizzazione  del  settore  bancario,  anche
attraverso  la  trasformazione delle banche pubbliche in societa' per
azioni.  Nelle sue linee generali, il procedimento giuridico previsto
si  e'  basato  (a)  sul cosiddetto «scorporo» della azienda bancaria
dagli  originari enti creditizi; (b) sulla scissione di questi ultimi
in  due  soggetti:  gli  «enti  conferenti» e le «societa' per azioni
conferitarie»  e  (c)  sul  «conferimento» dell'azienda bancaria alla
societa'  per  azioni  conferitaria  da parte dell'ente conferente. A
quest'ultimo,  una volta operato il conferimento, era affidata (1) la
gestione  del  pacchetto  azionario,  da esso detenuto nella societa'
conferitaria,  oltre  (2)  all'azione  - tradizionale per le Casse di
risparmio  -  nel  campo  della  promozione  dello  sviluppo sociale,
culturale ed economico.
    Questa  procedura,  che  ha  attivato  una fase di trasformazione
degli enti pubblici creditizi condotta essenzialmente dall'interno di
essi, senza intromissioni nel capitale prima degli enti bancari e poi
delle  societa'  bancarie,  ha  comportato,  in un primo momento, uno
stretto  legame  sostanziale  tra  «soggetti  conferenti» e «soggetti
conferitari»,   pur   distinti   giuridicamente.   Sebbene  gli  enti
conferenti  dovessero - soprattutto per la caratterizzazione ricevuta
con  l'art. 12  del decreto legislativo n. 356 del 1990 - concentrare
le proprie risorse nel perseguimento dei fini di interesse pubblico e
utilita'   sociale  stabiliti  nei  loro  statuti,  e  non  potessero
esercitare direttamente l'impresa bancaria, essi erano principalmente
i  titolari  del  capitale  della  societa'  per azioni conferitaria,
potendo  mantenere  la partecipazione di controllo, in vista peraltro
delle operazioni di ristrutturazione del capitale e di dismissione di
partecipazioni,  attraverso  le procedure degli artt. 1-7 del decreto
legislativo.   Era   prevista,   sia   pure   transitoriamente,   una
«continuita'   operativa»  tra  i  due  soggetti  [art. 12,  comma 1,
lettera c)],  assicurata  dalla  previsione  nello  statuto dell'ente
conferente  della  nomina  di  membri del suo comitato di gestione (o
equivalente)   nel   consiglio   di  amministrazione  della  societa'
conferitaria  e  di  componenti  l'organo  di  controllo nel collegio
sindacale   della  societa'  stessa.  Agli  enti  conferenti,  aventi
capacita'  di  diritto pubblico e di diritto privato, si continuavano
ad  applicare  le  disposizioni  di  legge relative alle procedure di
nomina degli organi amministrativi e di controllo (in particolare, la
nomina governativa del presidente e del vicepresidente). Su tali enti
veniva  mantenuta  la preesistente vigilanza del Ministro del tesoro,
prevista  per  gli  enti  pubblici  creditizi.  Al Ministro, inoltre,
dovevano  essere  sottoposte,  per l'approvazione, le modifiche degli
statuti.  Riassuntivamente e coerentemente, il Titolo III del decreto
legislativo  n. 356  poteva  essere  intestato  agli  «enti  pubblici
conferenti»  che,  come  questa Corte ha riconosciuto con la sentenza
n. 163 del 1995, potevano considerarsi quali elementi costitutivi del
sistema creditizio allora esistente.
    Al  processo  di  separazione fu dato impulso con norme dettate e
prescrizioni  impartite  nel 1994, volte a promuovere le procedure di
dismissione  di  partecipazioni  degli enti pubblici conferenti nelle
societa'  per  azioni  conferitarie: il decreto-legge 31 maggio 1994,
n. 332  (Norme  per l'accelerazione delle procedure di dismissione di
partecipazioni  dello  Stato  e  degli  enti pubblici in societa' per
azioni),  convertito  con  modificazioni  dalla legge 30 luglio 1994,
n. 474,  e  la direttiva del Ministro del Tesoro del 18 novembre 1994
(Criteri   e   procedure  per  le  dismissioni  delle  partecipazioni
deliberate  dagli  enti  conferenti  di  cui  all'art. 11 del decreto
legislativo 20 novembre 1990, n. 356, nonche' per la diversificazione
del   rischio  degli  investimenti  effettuati  dagli  stessi  enti).
Quest'ultimo  provvedimento  in particolare, adottato nell'ambito del
potere  di  vigilanza  governativa  sugli  enti conferenti, mirava al
duplice   e   connesso   scopo   di   concentrarne   l'attivita'  nel
perseguimento  delle  finalita'  a  essi  assegnate  nei  settori  di
intervento  di  interesse  e  utilita'  sociale  e, correlativamente,
restando  esclusa la gestione della societa' conferitaria, di ridurre
progressivamente  la partecipazione detenuta in quest'ultima, tramite
dismissioni  destinate  a  ridurne  la  consistenza  a  non  piu' del
cinquanta   per   cento  del  proprio  patrimonio,  nei  cinque  anni
successivi.
    Con  la  legge  di  delega  23 dicembre  1998,  n. 461 (Delega al
Governo  per il riordino della disciplina civilistica e fiscale degli
enti conferenti, di cui all'art. 11, comma 1, del decreto legislativo
20 novembre 1990, n. 356, e della disciplina fiscale delle operazioni
di  ristrutturazione  bancaria), e il conseguente decreto legislativo
17 maggio  1999,  n. 153 (Disciplina civilistica e fiscale degli enti
conferenti  di  cui  all'art. 11,  comma 1,  del  decreto legislativo
20 novembre  1990,  n. 356,  e disciplina fiscale delle operazioni di
ristrutturazione   bancaria,   a   norma   dell'art. 1   della  legge
23 dicembre  1998,  n. 461), la trasformazione della natura giuridica
degli originari enti conferenti puo' dirsi normativamente realizzata.
Essi  -  quali enti pubblici gestori della partecipazione al capitale
delle  societa'  conferitarie  -  cessano  di esistere come tali, dal
momento  dell'approvazione, entro centoottanta giorni dall'entrata in
vigore  del  d.lgs.  n. 153 [art. 2, comma 1, lettera l), della legge
n. 461], delle modifiche statutarie rese necessarie per l'adeguamento
alle  nuove  disposizioni  e  vengono  trasformati  in  «fondazioni»,
«persone  giuridiche  private  senza  fine  di lucro, dotate di piena
autonomia  statutaria  e  gestionale»  che «perseguono esclusivamente
scopi  di  utilita'  sociale e di promozione dello sviluppo economico
secondo  quanto  previsto dai rispettivi statuti» (art. 2 del decreto
legislativo  n. 153  del  1999).  Il  patrimonio  delle fondazioni e'
espressamente  vincolato agli scopi statutari (art. 5, comma 1, dello
stesso decreto).
    A  tali  soggetti, costituiti in fondazioni disciplinate da norme
specifiche,   e'   espressamente  precluso  l'esercizio  di  funzioni
creditizie  ed  e' altresi' esclusa qualsiasi forma di finanziamento,
di  erogazione o di sovvenzione, diretti o indiretti, a enti con fini
di  lucro o in favore di imprese di qualsiasi natura, con l'eccezione
delle  imprese  strumentali ai propri fini statutari (oltre che delle
cooperative  sociali  di  cui  alla  legge  n. 381 del 1991) (art. 3,
comma 2). Salvo quindi che in enti e societa' che abbiano per oggetto
esclusivo  l'esercizio  di  imprese  strumentali,  in  tutte le altre
ipotesi, comprendenti dunque anche le societa' bancarie conferitarie,
sono  vietate  le  partecipazioni  di  controllo  (art. 6,  comma 1).
Pertanto, le fondazioni, a partire dall'entrata in vigore del decreto
legislativo  n. 153,  non  possono  acquisire nuove partecipazioni di
controllo  in  societa' diverse da quelle anzidette, ne' conservarle,
ove  gia'  detenute  nelle  societa' stesse (art. 6, comma 4). Quanto
alla  detenzione  delle  partecipazioni  di  controllo nelle societa'
bancarie conferitarie, l'art. 25, con norma transitoria stabilita «ai
fini  della  loro  dismissione»,  prevedeva  peraltro  un  periodo di
tolleranza  di  quattro  anni  dalla  entrata  in  vigore del decreto
legislativo   Ove   il  quadriennio  fosse  decorso  inutilmente,  il
menzionato   art. 25   disponeva   che   le   dismissioni,   comunque
obbligatorie, potessero avvenire in un ulteriore periodo di non oltre
due  anni,  con  la  perdita,  tuttavia,  delle agevolazioni fiscali,
secondo quanto previsto dall'art. 12, comma 3.
    Alla  suddetta  trasformazione  giuridica della natura dell'ente,
alla  destinazione  delle sue attivita' a scopi esclusivi di utilita'
sociale  e  di  promozione  dello  sviluppo  economico, con la totale
separazione  funzionale  dall'attivita'  creditizia,  e al divieto di
partecipazioni  di  controllo  nel  capitale  di  societa'  esercenti
l'attivita'  bancaria,  si  accompagna  infine  un rigoroso regime di
incompatibilita'  tra  cariche,  rispettivamente,  nella fondazione e
nella  societa' bancaria conferitaria [art. 4, comma 1, lettera g), e
comma 3].
    6.1. - Il  quadro  normativo teste' delineato mostra con evidenza
che  le  fondazioni  sorte  dalla trasformazione degli originari enti
pubblici  conferenti  (solo  impropriamente  indicate, nel linguaggio
comune e non in quello del legislatore, con l'espressione «fondazioni
bancarie»),  secondo  la  legislazione  vigente,  non  sono  piu' - a
differenza  degli  originari  «enti  pubblici  conferenti» - elementi
costitutivi dell'ordinamento del credito e del risparmio, al quale e'
riconducibile  la competenza legislativa che l'art. 117, terzo comma,
della  Costituzione  riconosce  alle  Regioni in materia di «casse di
risparmio,  casse  rurali, aziende di credito a carattere regionale».
L'evoluzione   legislativa  ha  spezzato  quel  «vincolo  genetico  e
funzionale»,  di  cui parlano le sentenze n. 341 e n. 342 del 2001 di
questa   Corte,   vincolo  che  in  origine  legava  l'ente  pubblico
conferente  e  la  societa'  bancaria,  e  ha  trasformato  la natura
giuridica del primo in quella di persona giuridica privata senza fine
di  lucro  (art. 2,  comma 1,  del d.lgs. n. 153) della cui natura il
controllo  della societa' bancaria, o anche solo la partecipazione al
suo  capitale,  non  e'  piu'  elemento  caratterizzante.  Con questa
trasformazione,  muta  la  collocazione  nel  riparto materiale delle
competenze  legislative  tracciato  dall'art. 117 della Costituzione.
Ne'  le  disposizioni  legislative impugnate, che pure modificano per
aspetti  rilevanti  il decreto legislativo n. 153 del 1999, sono tali
da  ricondurre  le  fondazioni all'ordinamento al quale appartenevano
gli enti pubblici conferenti.
    Tanto  basta  per  escludere  la  fondatezza  della pretesa delle
quattro   Regioni   ricorrenti,  di  vedere  annullate  le  impugnate
disposizioni  della  legge  dello  Stato  in materia di fondazioni di
origine   bancaria,   in  conseguenza  della  competenza  legislativa
concorrente loro riconosciuta relativamente alle «casse di risparmio,
casse  rurali,  aziende  di credito a carattere regionale». L'art. 11
della legge n. 448 del 2001 opera infatti non in questa materia ma in
quella  dell'«ordinamento  civile»,  comprendente la disciplina delle
persone  giuridiche di diritto privato che l'art. 117, secondo comma,
della  Costituzione  assegna  alla  competenza  legislativa esclusiva
dello Stato.
    6.2. - Da  questa considerazione discende altresi' l'infondatezza
della  censura  mossa  specificamente  ai commi 1 e 14 del denunciato
art. 11,  nella  parte  in  cui  riconoscono  potesta'  regolamentare
all'Autorita'  di  vigilanza.  Una  volta ricondotta la disciplina in
esame a una materia compresa nel secondo comma dell'art. 117, cade la
possibilita'  per  le  Regioni  di  argomentare la propria competenza
regolamentare,   esistente,  secondo  il  sesto  comma  dello  stesso
art. 117,  nelle  materie diverse da quelle assegnate alla competenza
legislativa   esclusiva  dello  Stato.  Con  il  medesimo  ordine  di
considerazioni,  il  Consiglio  di  Stato (Sezione consultiva per gli
atti  normativi,  1° luglio  2002),  del  resto,  ha  riconosciuto la
legittimita'  e  definito  i limiti del potere regolamentare previsto
dall'impugnato comma 14 dell'art. 11 della legge n. 448 del 2001.
    6.3. - E'  bensi'  vero che questa Corte, chiamata a pronunciarsi
sul  potere  di  vigilanza  sugli  enti  che  avevano  effettuato  il
conferimento  dell'azienda  bancaria  alla  societa'  per  azioni, in
giudizi  promossi  da  Regioni  ad autonomia speciale anche in base a
norme  statutarie corrispondenti a quella costituzionale invocata nel
presente giudizio, con le gia' ricordate sentenze n. 341 e n. 342 del
2001  ha riconosciuto, in relazione al momento in cui esse sono state
pronunciate,  la  perdurante  qualificazione  quali enti creditizi di
tali   soggetti.   Le  Regioni  ricorrenti  non  mancano  percio'  di
appoggiare  le  proprie  argomentazioni  su  queste  recenti pronunce
costituzionali.
    Nel  periodo  transitorio  delle  operazioni  di ristrutturazione
bancaria,  secondo  le  citate  pronunce,  la  qualificazione di ente
creditizio  e'  stata  ritenuta  plausibile, in base al mancato venir
meno,  in  concreto,  del  vincolo  genetico  e  funzionale  tra enti
conferenti  e societa' bancarie conferitarie, vincolo nel quale si e'
ritenuto   trovare   giustificazione  la  vigilanza  transitoriamente
attribuita  dalla  legge  [fino  alla  istituzione della autorita' di
controllo  sulle  persone giuridiche e anche successivamente, finche'
perduri  la partecipazione di controllo in societa' bancarie, secondo
la  previsione  dell'art. 2,  comma 1, lettera i), della legge n. 461
del 1998] al Ministro del tesoro. La Corte ha ritenuto che la perdita
di   tale  qualificazione  fosse  destinata  a  verificarsi  solo  al
compimento   della   trasformazione,   con   la   dismissione   della
partecipazione rilevante nella societa' bancaria conferitaria e delle
altre  partecipazioni  non piu' consentite [oltre che - si aggiungeva
in quella circostanza - con l'adeguamento degli statuti e la relativa
approvazione,  gia'  realizzatisi nella generalita' dei casi, a norma
della  lettera l)  del  comma 1  dell'art. 2  della  legge n. 461 del
1998],  con la conseguenza che il potere di vigilanza, in forza delle
disposizioni  statutarie  che attribuiscono alle Regioni ad autonomia
speciale  competenza  in  materia  di  enti creditizi, dovesse essere
riconosciuto alle Regioni stesse.
    Sennonche'   il  valore  di  queste  considerazioni,  dettate  in
relazione   alla   spettanza   del  potere  di  vigilanza,  non  puo'
proiettarsi  oltre  la  fase ordinaria di ristrutturazione degli enti
conferenti  -  fondazioni  di  origine bancaria. Le sentenze n. 341 e
n. 342   del   2001   cadono   nel  mezzo  del  quadriennio  previsto
dall'art. 25   del   d.lgs.   n. 153   come   periodo   normale   per
l'adeguamento,  cui poteva seguire un biennio supplementare, nel caso
di  mancata  dismissione  delle partecipazioni nel periodo ordinario,
peraltro  sanzionata,  come gia' rilevato, dalla perdita dei benefici
tributari  previsti  viceversa  per  gli  enti  che  avessero operato
tempestivamente.
    Nel  momento  presente, in cui il quadriennio si e' compiuto, non
c'e'  ragione  per  ritenere  ulteriormente  perdurante  l'originaria
qualificazione  degli enti conferenti, quali elementi del sistema del
credito  e  del risparmio, anche perche', a ritenere il contrario, si
determinerebbe  la  conseguenza  di rimettere ad adempimenti concreti
dei  singoli  enti  la  piena  e  generale operativita' della riforma
realizzata  dalla  legge;  con  l'assurdo  ulteriore  effetto  che la
competenza  legislativa  dello  Stato  e  delle  Regioni  verrebbe  a
determinarsi  non in generale, ma in relazione all'effettivo rapporto
di  partecipazione  al  capitale  della societa' bancaria in cui ogni
ente  si  trovasse e finirebbe per dipendere non dalla legge ma dagli
adempimenti  concreti,  attuativi della legge, rimessi all'iniziativa
degli enti stessi.
    Nella  specie,  si  e' di fronte a una fase di transizione il cui
completamento    e'   rimesso   all'attuazione   delle   prescrizioni
legislative  che  e'  demandata  all'attivita'  degli enti di origine
bancaria,  sotto  la vigilanza ministeriale. Ma a questa Corte spetta
il    giudizio    di   legittimita'   costituzionale   della   legge,
indipendentemente  dagli  atti  concreti  di applicazione della legge
medesima.  Essa  non  puo'  trascurare  la circostanza che il termine
previsto  per  l'adeguamento e' ormai decorso (e, si puo' aggiungere,
da  quanto  risulta  in  fatto,  rispettato  da  parte  della  grande
maggioranza degli enti interessati).
    A  differenza  di  quanto ebbe a decidere nel 2001, la Corte oggi
non  puo'  dunque  non  dare  rilievo  alla  conclusione  del periodo
ordinario  assegnato  agli  enti per gli adempimenti conseguenti alla
decisione  legislativa  di  separare  gli  enti  medesimi dal sistema
creditizio,  ancorche'  il legislatore stesso abbia previsto proroghe
per  far  fronte  a  situazioni particolari (si vedano il comma 1-bis
dell'art. 25  del d.lgs. n. 153, introdotto dal comma 13 dell'art. 11
della  legge  n. 448  del 2001; il comma 3-bis del medesimo articolo,
introdotto dall'art. 80, comma 20, lettera b), della legge n. 289 del
2002;  e,  da ultimo, le modifiche apportate ai commi 1 e 3-bis dello
stesso  art. 25,  a  opera  del decreto-legge 24 giugno 2003, n. 143,
convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 212).
    Cio' che conta ormai, in definitiva, ai fini della determinazione
della  portata  da  assegnare al riparto delle competenze legislative
delineato  nell'art. 117,  secondo e terzo comma, della Costituzione,
e' la qualificazione degli enti in questione quali fondazioni-persone
giuridiche  private, data dall'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 153 del
1999,  piu'  volte citato, indipendentemente dall'eventuale perdurare
di loro coinvolgimenti in partecipazioni bancarie che la legge ancora
consenta  per  ragioni particolari, accanto all'esercizio prioritario
delle  proprie  funzioni  finalizzate al perseguimento degli scopi di
utilita'  sociale  e di sviluppo economico, secondo le previsioni dei
loro statuti.
    7. - Le  Regioni  Toscana, Emilia-Romagna e Umbria fanno altresi'
valere,    a    favore    della   propria   competenza   legislativa,
l'indiscutibile  circostanza che le fondazioni di origine bancaria, a
norma  dell'art. 2,  comma 2, del d.lgs. n. 153, tanto nella versione
originaria quanto in quella modificata dal comma 3 dell'art. 11 della
legge  n. 448  del  2001,  operano  per  scopi di utilita' sociale in
materie,   relativamente   a  molte  delle  quali  esiste  competenza
legislativa  regionale,  alla  stregua  del  terzo e del quarto comma
dell'art. 117.  Da  questa  constatazione viene tratta la conseguenza
che  al legislatore statale sarebbe precluso organizzare le modalita'
di  esercizio delle funzioni in questione. Le fondazioni, che vengono
cosi'  ritenute essere modalita' organizzative di esercizio di queste
ultime,  rientrerebbero  percio'  nell'ambito  della competenza delle
leggi  regionali,  almeno  per  le materie che a tale competenza sono
riconducibili.
    Questo  modo di ragionare presuppone che le fondazioni di origine
bancaria  e  le  loro  attivita' rientrino in una nozione, per quanto
lata   sia,   di  pubblica  amministrazione  in  senso  soggettivo  e
oggettivo.  Dopo  il  d.lgs.  n. 153,  questo presupposto non e' piu'
sostenibile.  La  loro  definizione quali persone giuridiche private,
dotate  di piena autonomia statutaria e gestionale; il riconoscimento
del carattere dell'utilita' sociale agli scopi da esse perseguiti; la
precisazione, contenuta nell'art. 2, comma 1, lettera a), della legge
n. 461  del  1998,  che,  quali che siano le attivita' effettivamente
svolte dalle fondazioni, «restano fermi compiti e funzioni attribuiti
dalla  legge  ad altre istituzioni», innanzitutto agli enti pubblici,
collocano - anche in considerazione di quanto dispone ora l'art. 118,
quarto  comma, della Costituzione - le fondazioni di origine bancaria
tra i soggetti dell'organizzazione delle «liberta' sociali» (sentenza
n. 50 del 1998), non delle funzioni pubbliche, ancorche' entro limiti
e  controlli  compatibili  con  tale  loro  carattere.  Non e' dunque
possibile  invocare  le  funzioni  attribuite  alla  competenza delle
Regioni   per   rivendicare   a   esse   il   potere   di   ingerenza
nell'organizzazione  di soggetti che appartengono a un ambito diverso
da quello pubblicistico che e' il loro.
    Cio'  non  toglie, naturalmente, che nei confronti dell'attivita'
delle  fondazioni  di  origine  bancaria, come di quella di qualunque
altro  soggetto  dell'«ordinamento  civile»,  valgano  anche le norme
regionali,   emanate   nell'ambito   delle   proprie  competenze  per
disciplinare  i  diversi  settori  dell'attivita'  nei  quali  queste
istituzioni, secondo i propri statuti, operano.
    8. - Per   queste   considerazioni,   tutte   le   censure  mosse
all'art. 11  della  legge  n. 448  del  2001  dalle  Regioni  Marche,
Toscana,  Emilia-Romagna  e  Umbria  con i ricorsi in epigrafe devono
essere dichiarate non fondate.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimita'
costituzionale della legge 28 dicembre 2001, n. 448 [Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria   2002)],   sollevate   dalle  Regioni  Marche,  Toscana,
Emilia-Romagna e Umbria con i ricorsi indicati in epigrafe;
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 11  della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 [Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge
finanziaria  2002)],  sollevate,  in riferimento all'art. 117, terzo,
quarto  e  sesto  comma,  della  Costituzione,  dalle Regioni Marche,
Toscana, Emilia-Romagna e Umbria, con i ricorsi in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                      Il redattore: Zagrebelsky
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 29 settembre 2003.
                      Il cancelliere:Fruscella
03C1087