N. 841 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 giugno 2003

Ordinanza  emessa  il  11 giugno  2003  dal  tribunale  di Torino nel
procedimento penale a carico di De Lao Moran Gennaro

Processo penale - Regressione del procedimento - Custodia cautelare -
  Periodi  di  custodia  sofferti  in  fasi diverse - Computo ai fini
  della  determinazione  dei  termini  massimi di fase - Esclusione -
  Indicazione solo numerica dei parametri costituzionali.
- Cod. proc. pen., art. 303, comma 2.
- Costituzione artt. 3 e 13.
(GU n.43 del 29-10-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sull'appello presentato
dalla  difesa  di  De  Lao  Moran Gennaro, nato a Guayas (Ecuador) il
23 maggio  1970,  avverso  l'ordinanza  del 30 aprile 2003 con cui la
Corte  d'appello di Torino ha respinto l'istanza di scarcerazione per
decorrenza  dei  termini  previsti  dagli  artt. 303, comma 2, e 304,
comma 6, c.p.p.
    Rilevata la ritualita' dell'impugnazione.

                            O s s e r v a

    1.  - De Lao Moran Gennaro - in custodia cautelare in carcere dal
4 maggio  2001  per  il  reato di cui agli artt. 110 c.p., 73 comma 1
decreto  del  Presidente  della Repubblica n. 309/1990 - con sentenza
del  g.u.p.  del  Tribunale  di  Torino  del  2 maggio  2002 e' stato
condannato  alla  pena  di anni 6, mesi 8, giorni 20 di reclusione ed
euro  40.000  di multa. Successivamente la Corte d'appello di Torino,
con  sentenza del 27 novembre 2002, avendo dichiarato la nullita' del
provvedimento che ha disposto il giudizio di primo grado, ha rinviato
gli  atti  al  giudice  delle  indagini  preliminari.  Avverso questa
sentenza  la difesa ha proposto ricorso, e la Corte di cassazione con
sentenza del 15 maggio 2003 ha rimesso gli atti al p.m.
    Il 28 aprile 2003 la difesa - premesso:
        a)  che si e' verificata la regressione del procedimento alla
fase delle indagini preliminari;
        b)  che  la Corte costituzionale con sentenza n. 292 del 1998
ed  ordinanza  n. 529 del 2000 ha ritenuto applicabile anche a questa
ipotesi l'art. 304 comma 6, c.p.p.;
        c) che il 3 maggio 2003 sarebbe decorso il doppio del termine
di  fase previsto dall'art. 303, comma 1 lettera a) n. 3, c.p.p. - ha
chiesto la scarcerazione del De Lao.
    La  Corte  d'appello  di  Torino  con  l'ordinanza  impugnata  ha
respinto  l'istanza,  argomentando  che  «il  richiamo della difesa a
quanto  previsto  dall'art. 304  comma 6 deve ritenersi inconferente,
trattandosi di fattispecie relativa al caso in cui sia stata disposta
la sospensione dei termini della custodia cautelare».
    Nell'attuale  appello  la  difesa definisce «raggelante» il fatto
che  la  Corte d'appello abbia qualificato «inconferente» il richiamo
all'art. 304   comma   6  c.p.p.,  in  considerazione  che  la  Corte
costituzionale  -  piu' volte chiamata a pronunciarsi sulla questione
di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 303  comma  4 c.p.p. - ha
sempre  statuito  che  la disciplina del comma 6 dell'art. 304 c.p.p.
vale  non  solo  nei  casi  di  sospensione,  ma  anche  in quelli di
decorrenza  ex  novo  dei  termini  nell'ipotesi  di  regressione del
procedimento.
    2. - Osserva  il Tribunale che la decisione della Corte d'appello
di  Torino  costituisce  l'ennesima  «prova» che la questione su come
calcolare  i termini della custodia cautelare nel caso di regressione
del  procedimento  non  sia  ancora  risolta, nonostante la cospicua,
costante ed univoca giurisprudenza costituzionale formatasi su questo
punto.
    Il problema e' noto e puo' essere brevemente sintetizzato.
    Con  sentenza  (n. 292  del  18  luglio  1998) «interpretativa di
rigetto»  la  Corte costituzionale ha ritenuto che l'art. 304 comma 6
«deve  essere interpretato nel senso che il superamento di un periodo
di custodia pari al doppio del termine stabilito per la fase presa in
considerazione  determina  la perdita di efficacia della custodia sia
se  quel termine e' stato sospeso o prorogato, sia se e' cominciato a
decorrere nuovamente in seguito a regressione del processo».
    Dopo  questa  pronuncia  presso  la  Corte  di  cassazione  si e'
determinato  un  contrasto  sul  metodo  da  seguire  nel calcolo del
termine  finale in caso di regressione. Per dirimere questo contrasto
sono  intervenute  le  sezioni  unite  (Sez.  un.,  19  gennaio 2000,
Musitano)  le  quali,  pur  dichiarando espressamente di aderire alla
decisione  della Corte costituzionale, muovendosi dal presupposto che
quest'ultima  non  aveva indicato il sistema del computo dei termini,
hanno affermato che nel caso di regressione i termini di durata della
custodia  cautelare  decorrono dalla data della decisione che dispone
il  regresso  e,  ai  fini  del calcolo della durata massima di fase,
vanno  computati  esclusivamente  i  periodi  di  custodia  cautelare
trascorsi nella stessa fase.
    Questa decisione delle sezioni unite e' stata stigmatizzata dalla
Corte  costituzionale  (ordinanza  n. 529  del 22 novembre 2000) che,
premesso  che  la  sentenza  n. 92  del  1998 in maniera chiara aveva
indicato il criterio del cumulo di tutto il periodo di detenzione, ha
ribadito  che l'interpretazione dell'art. 304 comma 6 (secondo cui la
custodia  cautelare  perde  efficacia allorquando la sua durata abbia
superato  un periodo pari al doppio del termine stabilito per la fase
presa  in  considerazione,  anche  nel  caso  in cui quel termine sia
cominciato  nuovamente  a  decorrere  a seguito della regressione del
processo) «deve essere ritenuta costituzionalmente obbligata in forza
del valore espresso dall'art. 13 della Costituzione».
    Ultimamente   le   sezioni  unite  (Sez.  un.,  10  luglio  2002,
D'Agostino),  rilevato  che l'art. 303, comma 2, c.p.p. ªimpedisce di
addizionare,  nel  calcolo  del  doppio  del  termine finale di fase,
periodi  di  detenzione sofferti in fasi o gradi diversi da quelli in
cui  il procedimento e' regredito» e che non e' piu' possibile - alla
luce  di  quanto precisato dalla Corte costituzionale con l'ordinanza
n. 529   del   2000   -   affermare   con  certezza  la  legittimita'
costituzionale  del criterio di calcolo imposto da detta norma, hanno
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  sull'art. 303
comma  2,  c.p.p., chiedendo «alla Corte costituzionale, nel rispetto
delle  reciproche  attribuzioni,  di  intervenire  sulla disposizione
indicata  con  una  pronuncia  caducatoria»  (e,  quindi, non con una
semplice sentenza interpretativa di rigetto).
    A  tutt'oggi non risulta che la Corte costituzionale abbia deciso
la suindicata questione di legittimita' costituzionale.
    3.  -  Come  si  nota facilmente l'ultima decisione delle sezioni
unite fondata su due premesse:
        a)   che  l'interpretazione  letterale  e  logico-sistematica
dell'art. 303  comma 2 c.p.p. non consente interpretazioni diverse da
quella data dalle sezioni unite nella sentenza del 19 gennaio 2000;
        b)  che  detta  interpretazione  alla luce di quanto disposto
dalla  Corte  costituzionale  nella  ordinanza n. 529 del 22 novembre
2000 e' di dubbia legittimita' costituzionale.
    Questo Tribunale condivide entrambe le premesse.
    Ne  consegue  che,  essendo la questione rilevante e (certamente)
non  manifestamente  infondata,  gli  atti  vanno  rimessi alla Corte
costituzionale.
    E'  vero,  infatti,  che  e'  obbligo  del  magistrato  ordinario
scegliere  tra  piu'  interpretazioni  ugualmente  possibili  di  una
disposizione    legislativa   quella   piu'   conforme   al   dettato
costituzionale,    ma    tale    obbligo    presuppone    che   anche
l'interpretazione  conforme  ai  principi  costituzionali sia - sulla
base  di  corretti canoni ermeneutici - possibile. Se cio' non fosse,
il  giudice  ordinario  e' tenuto a rimettere la questione al giudice
delle leggi.
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 303,
comma  2, c.p.p, - in relazione agli artt. 3 e 13 Cost. - nella parte
in cui prevede, nel caso in cui il procedimento regredisca a una fase
o  a  un grado di giudizio diversi, che «dalla data del provvedimento
che dispone il regresso ... decorrono di nuovo i termini previsti dal
comma  1,  relativamente  a ciascuno stato o grado del procedimento»,
invece  che  prevedere,  cosi'  come  previsto  nell'art. 304 comma 6
c.p.p.,  che  detti termini non cominciano nuovamente a decorrere, in
quanto  «la  durata  (complessiva)  della custodia cautelare non puo'
superare il doppio dei termini previsti dall'art. 303, comma 1»;
    Sospende il procedimento e dispone l'immediata trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale;
    Manda  alla  cancelleria  gli  adempimenti  previsti dall'art. 23
legge n. 87/1953.
    Cosi'  deciso  in  Torino  all'esito  dell'udienza  camerale  del
9 giugno 2003.
                      Il Presidente: Palmisano
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