N. 1011 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile 2003

Ordinanza   emessa   il   7   aprile   2003   (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  28  ottobre  2003)  dal  tribunale  di  Asti  nel
procedimento penale a carico di Davidova Larisa

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal questore - Inidoneita' delle fattispecie a ledere il
  bene  protetto  dalla  norma  penale  -  Lesione  del  principio di
  offensivita'   -  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza  -
  Ingiustificata  compressione  della liberta' personale - Violazione
  del principio della finalita' rieducativa della pena.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 14,  commi 5-bis  e  5-ter,
  aggiunti dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 2, 3, 13, 25, comma secondo, e 27, comma terzo.
(GU n.48 del 3-12-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha emesso la seguente ordinanza (ex art. 23 legge n. 87/1953) nel
procedimento  a carico di Davidova Larisa, nata a Varascova (Cecenia)
il  19  gennaio  1976, difesa di fiducia dall'avv. Pavarini Paolo del
Foro di Torino, per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, decreto
legislativo n. 286/1998 come modificato dalla legge n. 189/2002.
    Premesso  che  in  data 19 marzo 2003 alle ore 23,20 la prevenuta
veniva   tratta   in   arresto  nella  flagranza  del  reato  di  cui
all'art. 14,  comma  5-ter,  legge  n. 286/1998  (perche' sorpresa in
territorio  nazionale  dopo la scadenza del termine di giorni cinque,
entro   cui   le  era  stato  intimato  dal  questore  di  Asti,  con
provvedimento  del  10  marzo  2003,  notificato  in  pari  data,  di
allontanarsi dall'Italia;
        che   all'udienza   del   20  marzo  2003,  l'arresto  veniva
convalidato  attesa  la  regolarita'  formale  del  provvedimento  di
intimazione  e  la sussistenza degli altri presupposti previsti dalla
legge;
        che  la  difesa  chiedeva  procedersi  nelle  forme  del rito
abbreviato;
        che  nel corso dell'interrogatorio precedente la convalida la
Davidova  dichiarava  di  non  aver  potuto  lasciare  il  territorio
italiano in quanto sprovvista di soldi e di documenti, precisando che
in Cecenia, suo Paese di origine, e' in corso una guerra civile.
    Ritiene  questo  giudice,  chiamato  a giudicare nel merito sulla
sussistenza  e  configurabilita'  della  fattispecie per cui e' stato
operato   l'arresto,   (aldila'   della  valutazione  necessariamente
sommaria  effettuata  in  sede  di convalida dell'operato delle forze
dell'ordine), che l'art. 14, comma 5-bis e ter, legge n. 286/1998 sia
costituzionalmente  illegittimo perche' contrastante con gli artt. 2,
3, 13, 25, comma secondo, e 27, comma terzo, della Costituzione per i
motivi che verranno detti.
    La  fattispecie  penale  di  cui  si  dubita  della  legittimita'
costituzionale  e'  inserita  nell'ambito  del  sistema relativo alla
esecuzione  del decreto di espulsione prefettizio di cui all'art. 13,
comma  2,  legge  n. 286/1998, sistema dalla cui ricostruzione non si
puo'   prescindere   al  fine  di  una  migliore  comprensione  della
questione.
    Una   volta   decretata   da   parte  del  prefetto  l'espulsione
amministrativa  dello  straniero, l'esecuzione della stessa spetta al
questore  che  a norma dell'art. 13, comma 4, deve eseguirla mediante
accompagnamento   alla   frontiera  a  mezzo  della  forza  pubblica.
L'accompagnamento  coattivo  viene previsto dalla legge come il mezzo
principale  e generale per l'esecuzione delle espulsioni, (tranne che
per  alcuni  casi  espressamente  previsti  dall'art. 13, comma 5), e
trattandosi  di  misura  che  incide  sulla  liberta'  personale,  e'
soggetto a convalida da parte della autorita' giurisdizionale.
    Ove   tuttavia   non   sia   possibile   eseguire  immediatamente
l'espulsione  (perche' occorre procedere al soccorso dello straniero,
ad   accertamenti  supplementari  in  ordine  alla  sua  identita'  o
nazionalita' ovvero alla acquisizione di documenti di viaggio, ovvero
vi  sia  indisponibilita'  di  vettore  o di altro mezzo di trasporto
idoneo),  a  norma  dell'art. 14 comma 1, lo straniero, su ordine del
questore,  viene  trattenuto presso un c. p. t. con una procedura che
attesa la sua giurisdizionalizzazione non consente abusi. Il questore
ha  a  disposizione  trenta  giorni  di  tempo  (rinnovabili di altri
trenta)  per  eliminare  le  cause  che avevano impedito l'espulsione
immediata ed eseguirla.
    Se poi, «non e' stato possibile trattenere lo straniero presso un
centro  di  permanenza  temporanea  ...»  il  legislatore  prevede un
sistema   residuale   di   esecuzione   dell'espulsione   consistente
nell'intimazione  da  parte  del  questore  allo straniero espulso di
lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni.
    Il  legislatore  delega,  in  definitiva,  allo  stesso  soggetto
onerato,  l'esecuzione  del  provvedimento  di espulsione, rendendola
coattiva   attraverso   la   previsione   di   una  sanzione  penale.
L'inottemperanza  all'ordine del questore, senza addurre giustificato
motivo  e',  infatti,  sanzionata penalmente con l'applicazione della
pena  dell'arresto  da sei mesi ad un anno e comporta, da parte delle
forze  dell'ordine, l'arresto obbligatorio dell'autore del fatto e il
giudizio per direttissima (art. 14, comma 5-quinquies).
    La  norma  incriminatrice  appare essere legata da un rapporto di
species  ad genum rispetto alla fattispecie di cui all'art. 650 c.p.,
in  cui  la specialita' consiste nel fatto che l'ordine questorile e'
gia' normativamente predeterminato nei presupposti e nel contenuto.
    I  presupposti dell'intimazione entrano a far parte del contenuto
della  stessa,  rendendo  legittimo  l'uso del potere solo se vengono
rispettati. L'ordine questorile deve pertanto, contenere, nella parte
motiva,   l'espresso   riferimento   alle  condizioni  che  ne  hanno
determinato l'emissione.
    Dal  profilo strutturale, il reato in esame presuppone, pertanto,
non solo un preesistente valido decreto di espulsione amministrativa,
ma anche una complessa situazione di fatto, basata a sua volta su due
presupposti:    1)    impossibilita'    di    esecuzione    immediata
dell'espulsione  a  causa  della  sussistenza di una delle condizioni
ostative di cui all'art. 14, comma 1; 2) impossibilita' di trattenere
lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo.
    Delimitato   in   questo  modo  l'ambito  di  operativita'  della
fattispecie penale e la sua connotazione strutturale, l'art. 14 comma
5-bis  e  ter  appare  confliggere  con  gli  artt.  2, 13, 25, comma
secondo, e 27, comma terzo, della Costituzione in quanto in contrasto
con il principio di offensivita' dagli stessi enucleato.
    Il   principio   nullum   crimen  sine  iniuria  trova,  infatti,
fondamento  nella Costituzione che all'art. 25, comma 2, ha costruito
una  nozione  di  reato come illecito tipico, comprensivo anche della
offesa al bene tutelato.
    Ogni  qual volta i diritti inviolabili dell'uomo, fra cui rientra
quello  della  liberta' personale, subiscono limiti in relazione alla
sussistenza  e  alla  necessita'  di tutelare altri diritti con cui i
primi  devono armonizzarsi, il loro sacrificio e' legittimo solo se i
secondi abbiano pari dignita' costituzionale.
    Il  principio  di offensivita' opera, pertanto, su due differenti
livelli:  1)  l'interesse  tutelato  dalla  norma  penale  deve avere
«significativita'  costituzionale»; 2) il reato deve estrinsecarsi in
un  fatto  necessariamente  lesivo,  o quantomeno pericoloso, di tale
interesse.
    Il   principio   in   esame   pone,   pertanto,  un  limite  alla
discrezionalita'  del  legislatore  impedendo  che vengano perseguite
condotte  prive  di  un  reale  disvalore e che il reato possa essere
strutturato a priori ed in astratto in modo tale da non essere lesivo
dell'interesse, oggetto giuridico della norma incriminatrice.
    Nel caso di specie, la norma denunciata e' volta a tutelare ed ha
ad  oggetto  quegli  stessi  interessi,  ordine  pubblico e sicurezza
pubblica, di sicuro rilievo costituzionale, a protezione dei quali e'
emanato  il  provvedimento  di  espulsione  e  rispetto  al  quale la
intimazione costituisce il mezzo di esecuzione.
    La  fattispecie  penale  e'  strutturata, tuttavia, fin dalla sua
previsione astratta, in modo tale da escludere anche in via meramente
ipotetica, la lesione del bene protetto.
    Il reato in questione, infatti, ha come presupposto un decreto di
espulsione  che il legislatore stesso all'art. 14, comma 1, definisce
«non  immediatamente  eseguibile»  a  causa  della sussistenza di una
delle     condizioni    ostative    ivi    espressamente    previste.
L'inottemperanza  all'ordine  questorile  appare, pertanto, fin dalla
sua  previsione  astratta  non idonea a ledere il bene protetto dalla
norma, atteso che e' il legislatore stesso che definisce ineseguibile
il  provvedimento  di  cui  l'intimazione  rappresenta  il  mezzo  di
attuazione.
    La  norma penale, pertanto, cosi' strutturata, appare configurare
un  illecito  di  mera disubbidienza, disancorato dalla lesione di un
qualsiasi bene giuridico; lo straniero espulso, viene infatti, punito
con  l'arresto  per il solo fatto di aver disubbidito all'intimazione
del  questore,  a  prescindere  dal  fatto che gia' a priori manca la
possibilita' concreta di eseguire l'ordine e quindi di ledere il bene
a protezione del quale la norma e' preposta.
    Occorre a tale proposito sottolineare che in base ai principi che
regolano il diritto amministrativo, perche' un ordine impartito dalla
pubblica  amministrazione  sia  vincolante  per  il  destinatario, lo
stesso  deve  essere  eseguibile  e cioe' non devono sussistere cause
ostative  alla sua diretta ed immediata attuazione. Fra i presupposti
dell'esecutivita',  rientra  la cosiddetta «possibilita' materiale» e
cioe'   la  possibilita'  che  l'atto  mandato  ad  esecuzione  possa
effettivamente  realizzare  il  suo  scopo.  L'ordinamento  entra  in
contraddizione  con  se stesso quando ordina di dare esecuzione ad un
provvedimento  che  per  sua  stessa  ammissione non e' eseguibile. A
maggior    ragione    la    contraddizione    sussiste,    diventando
irragionevolezza,  quando  all'ordine di attuazione del provvedimento
non eseguibile viene fatta conseguire, in caso di inottemperanza, una
sanzione penale.
    Il  reato  di  cui  all'art. 14,  comma 5-ter contrasta pertanto,
sotto  questo profilo, anche con gli artt. 13 e 27 comma terzo, della
Costituzione.
    La  compressione  della  liberta'  personale  che  consegue  alla
inottemperanza,  diventa  infatti,  ingiustificata  atteso che non e'
bilanciata  da  alcun  interesse  che  ne giustifichi la limitazione.
Nessuna  finalita'  di  rieducazione  della  pena  puo'  essere, poi,
ravvisata in una sanzione volta a rendere coercibile un comportamento
che  lo  stesso  legislatore  definisce non eseguibile e che a cui la
stessa pubblica amministrazione non e' in grado di far fronte.
    Sulla rilevanza della questione si sottolinea che la prevenuta ha
addotto  quale  causa  giustificativa  all'inottemperanza dell'ordine
questorile,  proprio una di quelle situazioni in presenza delle quali
il  legislatore definisce non immediatamente eseguibile la espulsione
e  cioe'  la  mancanza di documenti di identificazione, precisando di
esserne   stata   sprovvista   fin   dal   suo  ingresso  in  Italia.
L'intimazione  del  questore  del  resto  motiva  la  necessita'  del
provvedimento  facendo  riferimento: all'«impossibilita' di procedere
all'accompagnamento   immediato   alla   frontiera   perche'  occorre
effettuare  accertamenti  supplementari  in  ordine  alla identita' e
nazionalita',  in quanto trattasi di soggetto sprovvisto di documenti
di  riconoscimento  e  quindi  di  viaggio», e all'impossibilita' «di
trattenere  la  straniera presso un centro di permanenza temporanea e
di assistenza».
                              P. Q. M.
    Visto l'art. 23 legge n. 87/1953;
    Solleva la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14,
comma  5-bis  e  ter, decreto legislativo n. 286/1998 come modificato
dalla  legge n. 89/2002 in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, comma
secondo,  e 27, comma terzo, della Costituzione nei termini di cui in
narrativa;
    Dispone la sospensione del procedimento nei confronti di Davidova
Larisa   e   la   immediata   trasmissione   degli  atti  alla  Corte
costituzionale;
    Ordina la notificazione, a cura della cancelleria, della presente
ordinanza   al   Presidente  del  Consiglio  e  la  comunicazione  ai
Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
        Asti, addi' 20 marzo 2003
                        Il giudice: Catalano
03C1235