N. 977 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 novembre - 6 dicembre 2002
Ordinanze da 977 a 979 - di contenuto sostanzialmente identico - emesse l'11, il 13 novembre e il 6 dicembre 2002 (pervenute alla Corte costituzionale il 23 ottobre 2003) dal Tribunale di Prato nei procedimenti penali a carico di: Patrutesco Catalin Gabriel (R.O. 977/2003); Baha Bouaza (RO. 978/2003); Same Samir (R.O. 979/2003). Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento, entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto obbligatorio in flagranza - Carenza del requisito della necessita' ed urgenza per l'adozione da parte della polizia giudiziaria di provvedimenti provvisori destinati ad incidere sulla liberta' personale. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto dalla legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione art. 13, comma terzo.(GU n.47 del 26-11-2003 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel giudizio di convalida relativo all'arresto effettuato, ai sensi dell'art. 14, comma 5-quinquies della legge 30 luglio 2002, n. 189 (modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), in relazione al reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della stessa legge, nei confronti di Patrutesco Catalin Gabriel, nato a Drobeta Turnu Severin - Mh-Romania il 15 luglio 1982; Fatto e diritto Patrutescu Catalin Gabriel e' stato tratto in arresto da personale della stazione carabinieri di Prato, in data 10 novembre 2002, in relazione al reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002, n. 189. Il pubblico ministero ha richiesto la convalida dell'arresto in data 11 novembre 2002. Come s'e' detto, l'arresto e' stato operato in base all'art. 14, comma 5-quinquies della legge citata, il quale prevede per i fatti di cui a commi 5-ter e 5-quater l'arresto obbligatorio in flagranza di reato dell'autore del fatto e si procede con rito direttissimo. Tale disciplina, applicabile al caso di specie e rilevante ai fini della decisione sulla convalida dell'arresto - giacche', difettando la norma di copertura, l'operata restrizione della liberta' personale sarebbe sfornita di titolo giuridico e non potrebbe superare il vaglio di questo giudice -, non si sottrae al dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione ai parametri costituzionali e per le ragioni che seguono. Violazione dell'art. 13, comma terzo Cost. La possibilita' di derogare alla regola generale dettata dal secondo comma dell'art. 13, che impone il preventivo intervento dell'autorita' giudiziaria in materia di restrizione della liberta' personale, si collega, alla stregua dell'art. 13, comma terzo Cost., alla verifica della sussistenza di «casi eccezionali di necessita' e urgenza» (di recente, si veda Corte cost. n. 503/1989). Gli estremi della necessita' e dell'urgenza, secondo le indicazioni della Corte costituzionale, possono essere considerati in relazione all'esigenza di acquisizione e di conservazione delle prove (Corte cost. n. 3/1972; n. 79/1982) nonche' all'assoggettabilita' dell'arrestato a giudizio direttissimo (Corte cost. n. 126/1972; n. 173/1971), finalita' tutte perseguibili attraverso l'immediato intervento dell'autorita' di polizia in temporanea vece dell'autorita' giudiziaria. Tali esigenze sono, per un verso, insussistenti, per altro verso, legate ad un quadro normativo radicalmente mutato. Non sono, in effetti, ragionevolmente configurabili esigenze probatorie in relazione al fatto illecito commesso dalla straniero che, nonostante l'espulsione, sia rientrato nel territorio dello Stato e destinate ad essere soddisfatte nel breve lasso di tempo che deve intercorrere tra l'arresto e l'immediata liberazione imposta dall'art. 121 disp. att. c.p.c. Quanto alla connessione tra arresto e giudizio direttissimo, va rilevato che sino all'entrata in vigore del nuovo c.p.p. l'ipotesi normale era quella del giudizio direttissimo nei confronti di imputato in vinculis: art. 502 del c.p.p. Cio' era tanto vero che il primo comma dell'art. 502 disponeva che, qualora il tribunale non fosse attualmente impegnato in udienza penale, il Procuratore della Repubblica disponeva perche' l'arresto fosse mantenuto. Con l'introduzione del terzo comma dell'art. 502 c.p.p. 1930, ad opera dell'art. 17 della legge 12 agosto 1982, n. 532, che prevede l'applicabilita' del giudizio direttissimo anche nel caso in cui l'arrestato, dopo essere stato presentato all'udienza, fosse stato liberato ai sensi dell'art. 263-ter, il sistema non venne completamente scardinato, in quanto, come reso palese dalla lettera della norma comunque era necessario che l'imputato fosse stato presentato all'udienza prima della liberazione ad opera del tribunale della liberta'. Soltanto nei casi, definiti atipici, di giudizio direttissimo previsti dalle leggi speciali, l'imputato non era in stato di arresto. In devinitiva, esisteva ordinariamente uno stretto collegamento tra arresto e giudizio direttissimo. Il vigente codice di rito ha scisso i due momenti, imponendo al p.m., pur in presenza dei presupposti per procedere al giudizio direttissimo, di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, quando ritiene di non dovere richiedere l'appliczione di misure coercitive (art. 121 dist. att. c.p.p.). Non casualmente, con previsione innovativa se se ne coglie l'operativita' generale dell'art. 450, comma 2 c.p.p. contempla espressamente la possibilita' di celebrare il giudizio direttissimo nei confronti dell'imputato libero. In astratto, nulla esclude, s'intende, che il legislatore, in specifici settori, possa reintrodurre un arresto strumentale alla celebarazione di un giudizio direttissimo, altrimenti difficilmente realizzabile nei confronti di soggetti che, ove non ristretti, potrebbero agevolmente far perdere le proprie tracce. Ma tale obiettivo, ove pure intuibile nelle intenzioni del legislatore che ha emanato le norme che ne occupano, non si e' tradotto in atto, in quanto le innovazioni normative del 2002, non hanno alterato la struttura portante del codice di procedura penale, con la conseguenza che il p.m., al quale l'esecuzione dell'arresto va comunicata immediatamente (art. 386, comma 1 c.p.p.) e a disposizione del quale l'arrestato deve essere posto al piu' presto e comunque non oltre le ventiquattro ore (art. 386, comma 3 c.p.p.), ha l'obbligo di disporre l'immediata liberazione, con la conseguenza che, solo disattendendo il chiaro precetto normativo dell'art. 121 disp. att. c.p.p., e' possibile celebrare un giudizio direttissimo nei confronti di un imputato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002, n. 189, ristretto nella propria liberta'. Se cosi' e', deve escluderwi che la misura dell'arresto sia sorretta dal nesso di strumentalita' rispetto alla celebarzione del giudizio direttissimo. Le condizioni sovra esposte rilevano, inoltre, che la misura dell'arresto non e' funzionale neppure all'esecuzione di una nuova espulsione prevista dall'art. 14, comma 5-ter legge citata. Tale conclusione riposa sulla mancata previsione di qualunque meccanismo di coordinamento fra le iniziative dell'Autorita' amministrativa chiamata a disporre e a dare attuazione all'espulsione e l'Autorita' giudiziaria, investita del giudizio sulla convalida dell'arresto e, ancor prima, del dovere di porre immediatamente in liberta' l'arrestato nei confronti del quale non sia, come nella specie, possibile richiedere fondatamente l'applicazione di misure coercitive. Va aggiunto che, assente nella struttura normativa, l'indicato coordinamento non puo' realizzarsi, di fatto, attraverso la mancata adozione del provvedimento imposto dall'art. 121 disp. att. c.p.p. sino al giudizio di convalida, in quanto cio' si tradurrebbe nell'ingiustificata disapplicazone di una norma vigente posta a presidio di un fondamentale diritto di liberta'. Ne' e' raggionevolmente pensabile che, nel brevissimo lasso di tempo imposto al p.m. per porre in liberta' l'arrestato, possano essere adottati i provvedimenti con i quali si dispone che quest'ultimo sia accompagnato immediatamente alla frontiera o sia trattenuto presso un centro di permaneza. Difetta, pertanto, in radice di requisito della necessita' dell'arresto rispetto a qualunque obiettivo di rilevanza pubblicistica tale da giustificare la sia pur temporalmente limitata restrizione della liberta' personale. Proprio il limite di pena previsto, inidoneo a giustificare l'adozione di qualunque misura coercitiva, ai sensi dell'art. 28 c.p.p., dimostra, infatti, il limitato rilievo che, nell'intendimento del legislatore, il fatto, di per se' considerato, riveste in termini di tutela della collettivita' (e, infatti, proprio la reiterazione della condotta, giustifica il ben piu' elevato limite di pena di cui all'art. 14, comma 5-quater della legge 30 luglio 2002, n. 189).
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione all'art. 13, terzo comma Cost.; Dispone, altresi', che a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Prato, addi' 11 novembre 2002 Il giudice: Liguori 03C1253