N. 1030 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 marzo 2003
Ordinanza emessa il 26 marzo 2003 (pervenuta alla Corte costituzionale il 31 ottobre 2003) dal tribunale di sorveglianza di Napoli su reclamo proposto da Vadala' Domenico Ordinamento penitenziario - Regime carcerario differenziato - Provvedimenti ministeriali di proroga - Condizione: insussistenza della capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive - Violazione del principio di uguaglianza (per la configurazione di una specifica tipologia di detenuto basata sulla presunta pericolosita' dello stesso) - Carenza dei presupposti di emergenza ed eccezionalita' per l'adozione di tali provvedimenti - Lesione del diritto di difesa - Violazione del principio della finalita' rieducativa della pena - Lesione del principio della necessita' della motivazione congrua del provvedimento. - Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41-bis, comma 2-bis, come novellato dall'art. 2 della legge 23 dicembre 2002, n. 279. - Costituzione, artt. 3, 13, 24, 27, 97 e 113.(GU n.49 del 10-12-2003 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Si e' riunito in camera di consiglio per deliberare sulla domanda di Vadala' Domenico, nato a Bova Marina il 22 gennaio 1949, detenuto presso l'istituto C.P.S. Napoli. (Oggetto: art. 41-bis e 14-ter l.p. Sentito il parere conforme del p.g.; Letti gli atti; Considerato che il prevenuto proponeva reclamo avverso il decreto ministeriale di sottoposizione all'art. 41-bis l.p. del 18 dicembre 2002 con efficacia di un anno, notificato in data 28 dicembre 2002, chiedendo la integrale disapplicazione dello stesso, secondo le motivazioni meglio specificate in memoria, ovvero in via subordinata, la disapplicazione di alcune delle disposizioni in esso contenute; Premesso che Vadala' Domenico risulta in espiazione della pena dell'ergastolo in riferimento alla sentenza 19 gennaio 1999 della Corte Assise Reggio Calabria, per il delitto di omicidio; Preso atto che Vadala' Domenico risulta sottoposto al regime differenziato ex art. 41-bis l.p. dal 1999; Rilevato che il tribunale propone di sollevare ex officio l'eccezione di incostituzionalita' all'art. 41-bis l.p., cosi' come modificato dalla legge n. 279/2002, risoluzione su cui convergono la richiesta del p.g. di udienza nonche' le istanze difensive, come da verbale di udienza in atti; O s s e r v a La Corte costituzionale ha ribadito con ripetute pronunzie, sentenze n. 349 e 410 del 1993, n.351 del 1995, ord. n. 332 del 1994, sent. n. 376 del 1997, la sindacabilita' ad opera del giudice ordinario, nella specie il Tribunale di sorveglianza, del provvedimento ministeriale di applicazione dell'art. 41-bis, comma 2, sia sotto il profilo, della esistenza dei presupposti per tale applicazione e della congruita' della relativa motivazione, sia sotto il profilo del rispetto dei limiti del potere ministeriale, tanto quelli «esterni», collegati al divieto di incidere sul residuo di liberta' personale spettante al detenuto, e dunque pure sugli aspetti dell' esecuzione che toccano la qualita' e la quantita' della pena da scontare o i presupposti per l'applicazione delle misure alternative, tanto quelli «interni», discendenti dal necessario collegamento funzionale tra le restrizioni imposte e le finalita' di tutela dell'ordine e della sicurezza, cui devono essere rivolti i provvedimenti applicativi del regime differenziato, nonche' dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' e dall'obbligo di non vanificare la finalita' rieducativa della pena. La medesima Corte ha altrettanto specificatamente confermato che l'art. 41-bis, l.p., non e' costituzionalmente illegittimo, sempre che venga interpretato nei sensi dalla stessa Corte precisati. Precisa la Corte costituzionale, sentenza n. 349/1993, che «... le medesime ragioni che consentono di escludere la illegittimita' costituzionale della norma in esame, de1imitando l'ambito applicativo ed integrandone il portato con il richiamo a principi generali dell'ordinamento, conducono anche alla conclusione che taluni dei rilievi espressi dai giudici remittenti, pur se rivolti avverso la citata disposizione dell'art. 41-bis, non trovano la loro causa nella norma di legge, bensi' nel solo provvedimento ministeriale di applicazione». La Corte nella sentenza n. 376/1997, puntualizza che la riaffermazione degli accennati limiti «esterni» ed «interni» al potere ministeriale consente di superare le censure prospettate, dando per pacifico che le misure adottate non possono consistere in restrizioni della liberta' personale ulteriori rispetto a quelle che sono gia' insite nel sistema detentivo e dunque esulanti dalla competenza della amministrazione penitenziaria in ordine alla esecuzione della pena, non potendo il regime differenziato tradursi in misure diverse da quelle riconducibili con rapporto di congruita' alle finalita' di ordine e sicurezza proprie del decreto ministeriale, e perche' la stesse non possono, comunque, violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' ne' vanificare la funzione rieducativa della pena. Nell'ambito dei limiti imposti alla applicazione del regime differenziato, la Corte ha piu' volte sottolineato che la genericita' della disposizione normativa, nel riferimento a «motivi» ed «esigenze» di ordine e sicurezza pubblica, va interpretata nel doveroso rispetto del vincolo costituzionale quale volta a far fronte a specifiche esigenze di ordine e di sicurezza essenzialmente discendenti dalla necessita' di impedire collegamenti tra detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali, nonche' tra questi e gli appartenenti alle organizzazioni criminali in stati di liberta', collegamenti che potrebbero realizzarsi attraverso le opportunita' di contatti che l'ordinario regime carcerario consente. Di guisa che i provvedimenti applicativi dell'art. 41-bis devono essere in primo luogo concretamente giustificati in relazione alle predette esigenze di ordine e di sicurezza. Ed ancora, e' valido ribadire che il regime differenziato i fonda non gia' astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna, ma sull'effettivo pericolo di permanenza dei collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati costituiscono soltanto una logica premessa; cosi' come le restrizioni apportate non possono essere liberamente determinate, ma debbono essere - sempre nel limite del divieto di incidere sulla quantita' e sulla qualita' della pena e di trattamenti contrari al senso di umanita' - solo quelle congrue con le specifiche finalita' di ordine e di sicurezza. Ed ancora la Corte, sentenza n. 376/1997, «la mancanza nell'art. 41-bis di indicazioni in ordine alla durata temporale delle restrizioni, non significa che limiti temporali non, debbano essere posti, come in effetti lo sono, dai provvedimenti ministeriali di applicazione». «E poiche', ..., ogni provvedimento deve essere adeguatamente motivato, anche ogni provvedimento di proroga delle misure dovra' recare una autonoma congrua motivazione in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l'ordine e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire; non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, ne' motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualita' le misure disposte». Fatte queste necessarie premesse costituzionali, rileggiamo il quadro normativo attuale. La legge n. 279/2002 detta la nuova normativa penitenziaria «modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, in materia di trattamento penitenziario». La novella riscrive gli articoli 4-bis e 41-bis l.p., nel tentativo di ristrutturare complessivamente l'istituto del regime di massima sicurezza sulla scorta della esperienza finora maturata e nel rispetto dei limiti individuati dalle decisioni della Corte costituzionale. La necessita' dell'intervento, si legge nella relazione a disegno di legge n. 1478 presentato dal Ministro della giustizia, trae origine dalla duplice esigenza di dare contenuto ai vincoli e limitazioni che ne costituiscono la sostanza e, dall'altro, di determinare con esattezza una sistema di regole di inipugnazione per individuare con certezza i soggetti legittimati e ricorrere, l'autorita' competente a decidere e i poteri che la stessa puo' esercitare rispetto al provvedimento impugnato. L'esigenza di una valutazione sulla base di dati raccolti da una esperienza di lungo periodo, che consenta costanza ed efficacia degli interventi giustifica la definitivita' e stabilizzazione della disciplina di cui all'art. 41-bis l.p., ritenuta piu' garantista delle ripetute proroghe a distanza di un decennio dalla sua introduzione, e costituisce la risposta ormai dello Stato alla pericolosita' criminale di organizzazioni, che agiscono con sistemi ormai raffinati e con azioni sempre piu' determinate e violente, che continuano spesso a trovare nel carcere il luogo della loro programmazione. Finalita' piu' che condivisibili, come quella pur esternata, di non trasformare il carcere duro in una afflizione supplementare, obiettivi che difficilmente possono dare origine a dichiarazioni di inaccettabilita'. La stabilzzazione della previsione dell'istituto del regime di massima sicurezza in sostituzione delle continue proroghe non sembra in verita' dover agitare piu' di tanto o dover convogliare discussione e concitazione, come pur accaduto negli ultimi tempi. Si tratta in punto di diritto, di un falso problema legato ad una non attenta interpretazione normativa, dal momento che la «anomalia», se tale puo' definirsi, andava ritrovata nella temporaneita' della disposizione e non nella sua definitivita', apparendo quanto meno poco opportuno, se non proprio controproducente, la effettivita' di una norma « a tempo», sia per la sua perdita di efficacia intimidatoria, sia per la implicita apertura a spazi di, programmazione calcolata. Ossia, la stabilizzazione in quanto tale non ingenera alcun problema giuridico e oggettivamente, neppure socio-politico-culturale, atteso che comunque l'inserimento della disposizione dell'art. 41-bis nel quadro strutturale ordinario dell'ordinamento penitenziario non sta a significare che necessariamente, sempre e comunque, il decreto di applicazione debba essere emesso. La messa a regime non impone la emanazione del decreto ministeriale, quello si necessariamente temporaneo. La definivita' crea certezza di diritto, ed e' sempre preferibile alla precarieta' o emergenzialita', e integra comunque una qualificazione della norma, che e' cosa ben diversa dalla sua capacita' applicativa, che, in quanto subordinata alla necessita' della verifica di terminati presupposti di legge, e' vincolata al rispetto dei parametri costituzionali. Vale a dir che cio' che rileva non e' la disposizione normativa in quanto tale, trattandosi di norma dichiarativa e non impositiva, bensi' il provvedimento ministeriale di applicazione ad personam, quello si' direttamente incidente sulla liberta' personale del detenuto. In un'ottica pedissequamente costituzionalistica sono stati ridisegnati i presupposti applicativi del regime speciale, limitandone gli spazi di riferibilita' ad una rosa ristretta di destinatari, individuati nei «... detenuti o internati per uno dei delitti di cui al primo periodo del presente comma ...» laddove la dizione precedente prevedeva la applicabilita' ai detenuti «per delitti di cui al comma 1 dell'art. 4-bis». Congrua la nuova delimitazione della applicabilita' ai condannati per i delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'art. 4-bis, pur sempre ristretta rispetto alla previsione precedente, e relativa ad una serie di delitti, che il legislatore ritiene in questo particolare momento storico di massimo allarme sociale. Va apprezzata la modifica dell'intero primo comma dell'art. 4-bis nello sforzo di registrazione dei molteplici interventi costituzionali, che nel corso degli anni avevano completamente trasfigurato il dettato normativo originario. Risponde, altresi', alla medesima esigenza di puntualizzazione la autolimitazione inserita nel nuovo comma 2 dell'art. 41-bis, laddove si precisa che il regime differenziato si applica nei confronti dei condannati «... in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva ...». Il novello 41-bis della nuova legge, n. 229/2002 al comma 2-bis recita: «i provvedimenti medesimi hanno durata non inferiore ad un anno e non superiore a due e sono prorogabili - nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, purche' non risulti che la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno». L'espressione non e' delle piu' felici e riporta a pregresse considerazioni di dubbia costituzionalita'. Gia' la Corte costituzionale nella ormai citatissima sentenza n. 376/1997 ribadiva che proprio in forza del vincolo costituzionale era possibile una interpretazione della norma, piu' restrittiva, richiamando sentenze precedenti ed in particolare la n. 349/1993 e la n. 351/1996, superando quel riferimento a generici «motivi» ed «esigenze». Il regime differenziato e' introdotto nel sistema penitenziario per «far fronte a specifiche esigenze di ordine e sicurezza, essenzialmente discendenti dalla necessita' di prevenire ed impedire i collegamenti fra detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali, nonche' fra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in liberta'; collegamenti che potrebbero realizzarsi - come l'esperienza dimostra - attraverso l'utilizzo delle opportunita' di contatti che l'ordinario regime carcerario consente e in certa misura favorisce (l'obiettivo del reinserimento sociale attraverso contatti con l'ambiente esterno)». In particolare, continua la Corte «... i provvedimenti applicativi dell'art. 41-bis l.p. devono in primo luogo essere concretamente giustificati in relazione alle predette esigenze di ordine e sicurezza» di guisa che «il regime differenziato si fonda non gia' astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o dell'imputazione, ma sull'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, di cui i fatti di reato contestati costituiscono solo una logica premessa». Orbene nel nuovo testo di legge deve operarsi una distinzione netta tra il comma n. 2 e il comma n. 2-bis dell'art. 41-bis. Nel comma 2 si legge: «... nei confronti dei detenuti, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva ...». Nel comma 2-bis, nella previsione della possibilita' di proroga del regime differenziato nelle stesse forme per periodi successivi, ciascuno pari ad un anno, si precisa «... purche' non risulti che la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno». L'espressione sembra contrastare con l'art. 3, primo comma della Costituzione nel momento in cui tende alla individuazione di una specifica tipologia di detenuto, imputati e condannati, predeterminati per dettato normativo, suscettibili di sottoposizione ad un regime di esecuzione della pena diverso da quello disposto per la criminalita' ordinaria, fondato in esclusiva sulla presunta esistenza di una capacita' di mantenere contatti con associazioni criminali. Ed ancora con gli artt. 13, 2 comma, e 27, 2 e 3 comma della Costituzione, in quanto la proroga ripetuta e, di fatto, immotivata del decreto esula dai caratteri di urgenza, necessita' e umanita' costituzionalmente rilevanti, e implica in realta' l'adozione di trattamenti penali contrari al senso di umanita', non ispirati a finalita' rieducativi ed, in particolare non individualizzati, ma rivolti a condannati selezionati solo in base al titolo di reato, ponendo sostanzialmente nel nulla un eventuale possibile iter rieducativo. ll pregiudizio interpretativo sulla sussistenza della «capacita' del detenuto di mantenere contatti con associazioni criminali», comporta che, mancando l'accertamento aggiornato sulla continuita' e attualita' di tale capacita', non esisterebbe una sede nella quale possa manifestarsi il venir meno di tale capacita' di contatto. Di guisa che il convincimento che per quella determinata tipologia di detenuto l'esecuzione della pena debba rispondere alla esigenza di prevenzione della sicurezza sociale, prima che alla finalita' rieducativi del reo, e quindi rispondere essenzialmente alla funzione di contenimento prima che di rieducazione, contrasta con l'art. 27, terzo comma della Costituzione, che impone di attuare o almeno proporre l'osservazione e il trattamento anche nei confronti di soggetti gravemente compromessi con la criminalita' e di realizzare la conoscenza individualizzata di tali soggetti. Ed ancora con il diritto alla difesa tutelato dall'art. 24 della Costituzione, laddove introduce la previsione della prova negativa del venire meno della capacita' di mantenere contatti con le organizzazioni criminali. In caso di proroga, cosi' come dal dettato del comma 2-bis del nuovo art. 41-bis, la impossibilita' soggettiva e oggettiva della prova negativa sul venir meno della capacita' di mantere contatti da parte del detenuto, integra una ipotesi di intervento amministrativo apodittico del tutto indipendente da situazioni accertate di emergenza ed eccezionalita', dettagliatamente motivate secondo una verifica costante degli sviluppi della situazione, in contrasto altresi', con gli artt. 97, primo comma e 113 primo e secondo comma, laddove la carenza di una esauriente motivazione del provvedimento applicativo del piu' rigoroso regime penitenziario non consente al destinatario la possibilita' di tutelare in modo adeguato i suoi diritti in sede giurisdizionale. In verita' c'e' da precisare che la Corte costituzionale ha gia' risposto in parte a tale eccezione di incostituzionalita', laddove nella sentenza n. 376/1997 precisava che «la riaffermazione degli accennati limiti "esterni" ed "interni" al potere ministeriale consente di superare altresi' le censure di violazione dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione, poiche' le misure adottate non possono consistere in restrizioni della liberta' personale ulteriori rispetto a quelle che sono gia' insite nello stato di detenzione, e dunque esulanti dalla competenza dell'amministrazione penitenziaria in ordine alla esecuzione della pena; dell'art. 3, primo comma, Cost., poiche' il regime differenziato non puo' constare di misure diverse da quelle riconducibili con rapporto di congruita' alle finalita' di ordine pubblico e proprie del provvedimento ministeriale; dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, poiche' le misure disposte non possono comunque violare il divieto di trattamenti contrari al senso di umanita' ne' vanificare la finalita' rieducativa della pena». Ed ancora la Corte nella medesima sentenza n. 376/1997: «Di conseguenza, da un lato, il regime differenziato si fonda non gia' astrattamente sul titolo del reato oggetto della condanna o dell'imputazione, ma sull'effettivo pericolo della permanenza di collegamenti, di cui i fatti di reato concretamente contestati costituiscono solo una logica premessa. Non vi e' dunque una categoria di detenuti, individuati a priori in base al titolo del reato, sottoposti ad un regime differenziato, ma solo singoli detenuti o imputati per delitti di criminalita' organizzata, che l'amministrazione ritenga, motivatamente e sotto il controllo dei Tribunali di sorveglianza, in grado di partecipare, attraverso i loro collegamenti interni ed esterni alle organizzazioni criminali e alle loro attivita». E' poiche' - come questa Corte ha gia' chiarito (sentenza n. 349/1993) - ogni provvedimento deve essere adeguatamente motivato, anche ogni provvedimento di proroga deve essere adeguatamente motivato in ordine alla permanenza attuale dei pericoli per l'ordine pubblico e la sicurezza che le misure medesime mirano a prevenire non possono ammettersi semplici proroghe immotivate del regime differenziato, ne' motivazioni apparenti o stereotipe, inidonee a giustificare in termini di attualita' le misure disposte». Orbene il nuovo testo dell'art. 41-bis comma 2-bis ripropone il problema che la Corte aveva in parte superato, reintroducendo nel sistema la prova negativa sul venir meno di quella capacita' del detenuto di mantenere contatti con associazioni criminali; capacita' che continua ad esistere nel convincimento dell'amministrazione, e che si presume strettamente correlata alla particolare tipologia di detenuto e di reato commesso. Ritorna la individuazione dei destinatari dei provvedimenti restrittivi, ex art. 41-bis, operata sulla base del titolo del reato, che comporta la presunzione della esistenza della capacita' di tenere contatti con associazioni criminali, anche dall'interno dell'istituto carcerario. Precisava la Corte nella sentenza n. 349/1993. «Deve ritenersi implicito, anche in assenza di una espressa previsione della norma, che i provvedimenti ministeriali debbano comunque recare una puntuale motivazione per ciascuno dei detenuti cui sono rivolti (in modo da consentire poi all'interessato una effettiva tutela giurisdizionale), che non possano disporre trattamenti contrari al senso di umanita', e, infine, che debbano dar conto dei motivi di una eventuale deroga del trattamento rispetto alle finalita' rieducative della della pena». Trattasi di una esperienza legislativa gia' vissuta e superata, attraverso interventi giurisdizionali di denunzie di incostituzionalita', che anche senza confluire in una dichiarazione di illegittimita' costituzionale, hanno avuto il merito di influenzare le successive novelle legislative. Sul punto, in particolare, ricordiamo la primaria dizione dell'art. 4-bis cosi' come introdotto dalla legge 203/1991, nella parte in cui prevedeva che le istanze di misure alternative dei condannati per determinati gravi delitti potessero trovare accoglimento solo fossero stati acquisiti elementi tali da far escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva. La eccezione di incostituzionalita' venne sollevata sulla base della esistenza di un verosimile contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per impossibilita' della difesa di dare la prova negativa della esclusione dell'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata. La successiva legge n. 356/1992 interviene a far luce sul dubbio dettato normativo, determinando quella che ancora oggi e' la disposizione vigente, ossia che «... i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva».. Resta da precisare che al di la' della contiguita' interpretative, comunque le due posizioni esaminate, ex artt. 4-bis e 41-bis l.p., si fondano su presupposti logistici e procedurali differenti. Nell'ipotesi richiamata, di cui all'art. 4-bis l.p. siamo in sede di procedimento giurisdizionale dinanzi all'autorita' giudiziaria e quindi la formazione della prova risponde ai canoni procedurali propri del procedimento penale, quand'anche in sede di procedimento in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 127, 666 e 678 c.p.p. Nel caso in oggetto, invece, l'esame riflette l'emanazione di un provvedimento amministrativo, il decreto ministeriale emesso ai sensi dell'art. 41-bis l.p., che deve rispondere a precisi e puntuali requisiti di logicita', ragionevolezza e costituzionalita', tali da superare il vaglio di legittimita' in sede del ricorso giurisdizionale presentato dal detenuto interessato innanzi il tribunale di sorveglianza competente. Il provvedimento ministeriale di applicazione del regime differenziato ex art. 41-bis deve essere motivato, lo ha ribadito piu' volte la Corte costituzionale, cosi' come adeguatamente e opportunamente motivati devono essere anche i provvedimenti di proroga del regime differenziato ex art. 41-bis l.p. Evidentemente l'amministrazione ha le sue fonti di conoscenza, tra le quali il legislatore del 2002 ha voluto inserire anche il pubblico ministero presso il giudice che procede, come dal dettato del comma 2 bis dell'art. 41-bis. Evidentemente le motivazioni riportate nei decreti ministeriali si fondano sulle informazioni fornite da tali fonti di conoscenza, e traggono elementi di valutazione negativa della pericolosita' del detenuto da quelle medesime fonti. Rebus sic stantibus, appare inverosimile che le stesse fonti di prova che forniscono gli «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale ...». di cui al punto 2 dell'art. 41-bis, quegli elementi necessari alla primaria emissione del provvedimento, possano, in sede di proroga del provvedimento ex art. 41-bis l.p., fornire elementi da cui risulti che ... «la capacita' del detenuto di mantenere contatti con associazioni criminali sia venuta meno». Nella fase di formazione e promanazione del provvedimento restrittivo, ancora non e' presente la parte interessata che compare solo in sede del ricorso al tribunale di sorveglianza, e solo allora potra' far valere il proprio diritto di difesa e la sua prova processuale. Nella fase strettamente amministrativa, l'unico limite all'attivita' amministrativa e' proprio quella esigenza costituzionale piu' volte richiamata dalla Corte sulla necessita' della motivazione del provvedimento, motivazione congrua e non apparente, in rispondenza alle esigenze cotituzionali salvaguardate dagli artt. 97 e 113 della Costituzione, che nel caso di specie si integrano direttamente con le tutele costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 27 della Costituzione, laddove a fronte del potere dell'amministrazione, fondato sulle ragioni di sicurezza inerenti la vita carceraria, e pur non opponendovisi un diritto di liberta' personale, gia' compresso dallo stato di detenzione, stanno in ogni caso precisi ed violabili diritti della personalita' spettanti al detenuto; e le misure di attuazione del regime carcerario devono essere in ogni caso rispettose dei diritti del detenuto. Paradossalmente, il nuovo dettato legislativo finisce per l'instaurare un sistema diabolico, in base al quale l'applicazione del regime differenziato finisce con l'essere prorogabile che a mezzo un decreto ministeriale privo della parte documentale, relativa alla motivazione sulla sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, atteso che per la proroga, il dettato legislativo non prescrive idonea motivazione, in positivo, comprovante l'esistenza di una realta', certa, concreta ed essenziale ai fini dell'emissione del provvedimento. L'espressione normativa e' fin troppo puntuale, laddove prescrive che i provvedimenti sono prorogabili nelle stesse forme per periodi successivi ..., purche' non risulti che la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali sia venuta meno. Viene cristallizzata la proroga ripetuta e immotivata del decreto, di fatto scardinata dalla necessita' di idonea e opportuna motivazione, stante la materiale nonche' giuridica impossibilita' di fornire la prova del «venir meno» della capacita' di mantenere contatti con associazioni criminali. Fino alla vigenza del precedente dettato normativo, in sede di giudizio di legittimita' del provvedimento ministeriale innanzi il tribunale di sorveglianza, venivano presi in considerazioni assoluta tutti gli elementi di novita', di attualizzazione della pericolosita' del del detenuto, che nel decreto ministeriale venivano evidenziati come supporto giuridico della proroga del regime differenziato. Paradossalmente, nei nuovi giudizi di legittimita' innanzi questo giudice, in sede di proroga del regime ex art. 41-bis l.p., si dovra' e si potra' soprassedere da qualunque valutazione inerente la nuova e aggiornata motivazione, atteso che la norma stessa non ne fa piu' richiesta. La novella disposizione introduce un regime differenziato che, in sede di proroga, opera indipendentemente e al di la' di situazioni di eccezionalita' o emergenza, ne' risulta ancorato ad atteggiamenti particolarmente significativi del detenuto, comunque riconducibili alla sua pericolosita' sociale, alla sua capacita' a delinquere, alla condotta intramuraria ovvero ai suoi rapporti con il mondo esterno. Ritorna attraverso il dettato normativo la tipizzazione del detenuto, «speciale», in quanto imputato o condannato per uno o piu' reati indicati nell'artt. 4-bis l.p., tipizzazione che, al limite; potrebbe trovare una sua «ratio» nella particolare pericolosita' sociale dimostrata da taluni soggetti, refrattari a qualsiasi trattamento rieducativo, e cosi' spiccatamente pericolosi da rendere indispensabile l'adozione di un regime carcerario differenziato nei loro confronti, ma che in quanto tale, pero', trova spazio e ragione giuridica solo se ancorata a precisi e predeterminati parametri di eccezionalita', oggettiva e soggettiva comunque riversati in una severa e dettagliata motivazione sulla verifica costante e continua della sussistenza della pericolosita' del soggetto. Ritorna quel concetto di pericolosita' sociale presunta che il legislatore aveva voluto allontanare dal quadro giudiziario con la introduzione nell'ambito dell'ordinamento penitenziario dell'art. 31 della 1. 663/1986, nella parte in cui richiedeva prima della esecuzione di una misura di sicurezza la pronunzia del giudice di sorveglianza sull'accertamento dell'attualita' della pericolosita' sociale. Ne' la riconosciuta possibilita' di impugnazione del decreto dinanzi al giudice ordinario, nel rispetto dell'art. 113, primo comma Costituzione, e' sufficiente a colmare il disagio legislativo. La situazione creata dalla proroga immotivata del regime differenziato, infatti, non puo' non creare seri ostacoli a quel diritto di difesa, sancito come «inviolabile in ogni stato e grado del procedimento» dall'art. 24 Costituzione. Difesa che, ne' in diritto ne' in fatto, trova possibilita' di esplicazione di fronte al ripetersi, monotono e immotivato di contestazioni consolidate nella loro storicita', di fronte a decreti ministeriali in cui l'unico elemento innovativo risulta essere l'adeguamento alle ultime novelle legislative. Da cio', la conclusione che le limitazioni imposte alla liberta' personale «residua», conseguente alla gia' vissuta reclusione, derivino esclusivamente e direttamente dalla necessita' di evitare che le opportunita' trattamentali e gli altri istituti previsti dall'ordinamento penitenziario possano essere utilizzati per il mantenimento di rapporti con l'esterno e per la comunicazione di notizie e messaggi. Pertanto la lettera del nuovo art. 41-bis l.p., cosi' come novellato dalla legge n. 279/2002, appare chiaramente in contrasto con molti dei principi richiamati ripetutamente dalla Corte costituzionale, sia in ordine all'attualita' delle circostanze che inducono alla emissione del decreto ministeriale sia in ordine alle motivazioni che accompagnano l'emissione stessa. Nel caso di specie, atteso che Vadala' Domenico risulta essere sottoposto al regime differenziato ai sensi dell'art. 41-bis l.p. dal 1999, appare quanto meno pretestuoso leggere che le limitazioni imposte sono dettate dalla necessita' di evitare l'utilizzazione degli istituti trattamentali per mantenere rapporti con l'esterno, laddove contemporaneamente si contesta la sussistenza e l'attualita' dei collegamenti con l'esterno e con gruppi malavitosi, nonostante il regime differenziato. Delle due l'una: o non e' ipotizzabile il collegamento o la sottoposizione al regime ex art. 41-bis l.p. non sortisce gli effetti desiderati. Sul punto, cosi' come sugli altri richiamati, la motivazione del decreto impugnato e' del tutto inesistente, mentre, invece, rileva l'indebolimento progressivo delle circostanze poste a sostegno degli ultimi decreti di proroga del regime restrittivo. Per questi motivi l'art. 41-bis, comma 2-bis, come novellati dalla legge n. .279/2002, appare in contrasto con gli artt. 3, 1 comma, 13, 1 e 2 comma, 24, 2 comma, 27, 3 comma, 97, 1 comma e 113, 1 e 2 comma, Costituzione. Sentito il conforme parere del p.g.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 3, 13, 24, 27, 97 e 113 della Costituzione, dell'art. 41-bis, comma 2-bis, l.p., come novellato dall'art. 2 della legge 23 Dicembre 2002 n. 279, laddove prescrive che i provvedimenti di proroga del regime differenziato ex art. 41-bis l.p. sono prorogabili, «purche' non risulti che la capacita' del detenuto o dell'internato di mantenere contatti con associazioni criminali, terroristiche o eversive sia venuta meno.». Sospende la procedura in corso. Dispone trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale previa comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento e rituali notifiche e comunicazioni. Manda alla cancelleria per adempimenti. Napoli addi', 17 marzo 2003 Il Presidente estensore: Di Giovanni 03C1264