N. 1098 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 luglio 2003

Ordinanza  emessa  il  15  luglio  2003  dal  tribunale di Milano nel
procedimento penale a carico di Ospeceva Ina

Straniero  -  Espulsione  amministrativa - Reato di trattenimento nel
  territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento,
  entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto
  obbligatorio  in  flagranza - Attribuzione alla polizia giudiziaria
  di  un  potere  autonomo e superiore rispetto a quello riconosciuto
  alla  autorita' giudiziaria - Disparita' di trattamento rispetto ad
  ipotesi  di  reato  analoghe  o  piu' gravi - Carenza del requisito
  della  necessita'  ed urgenza per l'adozione da parte della polizia
  giudiziaria di provvedimenti provvisori destinati ad incidere sulla
  liberta' personale.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3 e 13, comma terzo.
(GU n.51 del 24-12-2003 )
                            IL TRIBUNALE

    Nel  procedimento  penale  nei  confronti di Ospeceva Ina, nata a
Mosca  in  data 20 aprile 1961, tratto in arresto in flagranza per il
reato  di  cui  all'art.  14,  comma  5-ter,  in  relazione  al comma
5-quinquies,  del  d.lgs.  286/1998, e presentato all'odierna udienza
per  il  giudizio  di  convalida,  venendogli  contestato  di essersi
trattenuto  nel  territorio  dello  Stato  in  violazione dell'ordine
impartito  in  data 1° febbraio 2003 dal Questore di Milano, rilevato
che  l'indagata e' gia' stata posta in liberta' dal p.m., ex art. 121
disp. att. c.p.p., ha pronunciato la seguente ordinanza.
    All'odierna  udienza di convalida il p.m. ha chiesto la convalida
dell'arresto,  sottolineando  come  nel  caso  concreto  si  versi in
ipotesi di arresto obbligatorio in flagranza.
    Il  tribunale,  peraltro,  chiamato a convalidare l'operato della
polizia  giudiziaria sulla base della previsione normativa introdotta
con  l'art. 14,  commi  5-ter  e 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998, non
puo'  non  rilevare  profili  di incostituzionalita' che non appaiono
manifestamente   infondati   e  che  sembra  pertanto  indispensabile
sottoporre al vaglio della Corte costituzionale.
    A)  Ravvisabile  contrasto tra l'art. 14, comma 5-quinquies e gli
artt. 13 e 3 della Costituzione.
    Si  osserva,  in  primo luogo, che, l'art. 13 della Costituzione,
dopo  avere  stabilito  al  primo comma che «la liberta' personale e'
inviolabile»,  ammette  al  secondo  comma che restrizioni alla detta
liberta' (detenzione, ispezione e perquisizione) siano operabili solo
«per  atto  motivato  dell'autorita'  giudiziaria» e, al terzo comma,
consente all'autorita' di pubblica sicurezza, «in casi eccezionali di
necessita'  ed  urgenza» di adottare «provvedimenti provvisori», «che
devono  essere  comunicati (...) all'autorita' giudiziaria» e che «si
intendono  revocati  e  restano  privi  di effetto» «se questa non li
convalida».
    Sembra  corretto  ritenere  che  la  norma  attribuisca alla sola
autorita'  giudiziaria  la  competenza  ad  operare restrizioni della
liberta'  personale,  invece  riservando  all'autorita'  di  pubblica
sicurezza  non  una analoga, seppur piu' limitata competenza, ma solo
il  potere  di intervenire in supplenza ed anticipazione dell'operato
dell'autorita'  giudiziaria  quando questa, per urgenza del caso, non
sia  in  grado  di  intervenire  tempestivamente. Depongono in questa
direzione    la    «provvisorieta»    del    provvedimento   adottato
dall'autorita'  di pubblica sicurezza, provvedimentopercio' destinato
fin  dall'origine  ad essere trasformato e superato da altro atto; la
«eccezionalita»  dei  casi,  evidenziante  la  natura  essenzialmente
derogatoria  dell'intervento  della  polizia  rispetto  al  principio
generale  dell'intervento  dell'autorita'  giudiziaria; la perdita di
ogni  effetto  del  provvedimento adottato dall'autorita' di pubblica
sicurezza,  qualora  questo  non  sia  tempestivamente  comunicato  e
convalidato;   la   stessa  configurazione  dell'atto  dell'autorita'
giudiziaria  come  atto di «convalida», che e' atto, di norma, inteso
come  diretto  all'eliminazione dei vizi insiti in un precedente atto
invalidato.
    Conforto  a  questa  lettura  si rinviene in pronunce della Corte
costituzionale,  della  Corte di cassazione e nella disciplina che il
legislatore ha voluto adottare nel codice di procedura penale.
    La Corte costituzionale ha avuto modo di osservare che:
        vi  e'  una regola, che attribuisce all'autorita' giudiziaria
la  competenza  ad  emettere  provvedimenti coercitivi della liberta'
personale, ed una eccezione, rappresentata dal fatto «in se' previsto
dal   testo   costituzionale,  che  gli  organi  di  polizia  debbono
provvedere   in   sostituzione   dell'autorita'  giudiziaria»  e  che
«l'obbligo  del  decreto  motivato  di  convalida  (...)  e' disposto
nell'art. 13,  comma  terzo della Costituzione per ogni provvedimento
provvisorio   preso   dall'autorita'   di   pubblica   sicurezza   in
sostituzione  de  giudice  e quindi per ogni provvedimento di arresto
(obbligatorio o facoltativo) o di fermo» (Corte cost. 71/173);
        le   finalita'   sottese   all'arresto   in   flagranza  sono
perseguibili     «soltanto    attraverso    l'immediato    intervento
dell'autorita'   di   polizia   in   temporanea  vece  dell'autorita'
giudiziaria,  lontana  normalmente  dalla flagranza o quasi flagranza
dei reati» (Corte cost. n. 89/503).
    La Corte di cassazione ha affermato che:
        nel  caso  di  arresto  in  flagranza (secondo la sentenza 14
luglio  1971, n. 173, della Corte costituzionale) il titolo legittimo
della  detenzione  e' costituito da una fattispecie complessa, in cui
l'attivita'    della   polizia   giudiziaria   deve   collegarsi   al
provvedimento  di  convalida  dell'autorita'  giudiziaria,  il  quale
soltanto  costituisce  l'atto  con cui si esercita il controllo della
legittimita'  dell'operato  della polizia giudiziaria e, ad un tempo,
il  titolo  formale  della detenzione stessa, cui la legge conferisce
efficacia ex tunc (Cass. 73/297).
    Il  sistema  introdotto  dal legislatore con il vigente codice di
procedura  penale  prevede  infine  che la polizia giudiziaria che ha
eseguito l'arresto:
        ne  dia  immediata  notizia  ai pubblico ministero (art. 386,
primo comma, c.p.p.)
        ponga  l'arrestato  a  disposizione del pubblico ministero al
piu'  presto  e  comunque  non  oltre  ventiquattro  ore dall'arresto
(art. 386,  terzo  comma, c.p.p.), a pena di inefficacia dell'arresto
medesimo   (art. 386,  ultimo  comma,  c.p.p.)  e,  correlativamente,
attribuisce  al  pubblico  ministero il potere/dovere di sindacare da
subito l'operato della polizia giudiziaria:
        sotto  il  profilo della legittimita', disponendo l'immediata
liberazione  della  persona  che  sia stata arrestata al di fuori dei
casi consentiti (art. 389 c.p.p.)
        sotto  il  profilo  dell'insussistenza di esigenze cautelari,
disponendo,   anche   in   questo   caso,   l'immediata   liberazione
dell'arrestato (art. 121 disp. att. c.p.p.).
    Anche  le scelte operate dal legislatore nella materia in oggetto
sembrano dunque orientate inequivocabilmente nel senso di configurare
l'operato   della   polizia   giudiziaria   come  mera  anticipazione
dell'attivita'   giuridica   dell'autorita'  giudiziaria,  la  quale,
infatti,  in  tempi tassativamente assai brevi, e' chiamata ad essere
investita  della  questione  e  ad  intervenire  con  le  piu'  ampie
valutazioni,  anche  e  soprattutto  se  dissonanti rispetto a quelle
della polizia medesima.
    Una  lettura  nel  senso  anzidetto appare del resto in linea con
quanto  affermato,  sia  pure con riferimento a problematica diversa,
dalla Corte costituzionale, secondo la quale «la presentazione per il
giudizio  direttissimo  da parte degli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria non rappresenta una attivita' ad iniziativa della polizia
giudiziaria ma una sorta di attivita' delegata del pubblico ministero
che  si esplica sotto il costante controllo di quest'ultimo, al quale
deve  essere  data  immediata  notizia dell'arresto e che e' tenuto a
formulare l'imputazione» (Corte cost. 98/374).
    In   sintesi,  sembra  corretto  concludere  che  sia  il  tenore
letterale della norma, sia l'orientamento interpretativo espresso con
le decisioni citate, sia l'impostazione che l'ordinamento positivo e'
andato  via  via  assumendo  nel  tempo,  soprattutto nell'ambito del
procedimento  penale,  convergono  nell'escludere che l'art. 13 della
Costituzione  attribuisca  all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  un
autonomo  potere  di  limitazione  della  liberta'  personale, mentre
invece  inducono  a  ritenere  che  esso legittimi l'anzidetto potere
esclusivamente   in  quanto  anticipazione  e  supplenza  del  potere
dell'autorita'  giudiziaria:  con l'ovvia, necessaria conseguenza che
all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  non  puo' essere conferito un
potere piu' esteso di quello riconosciuto all'autorita' giudiziaria.
    Ebbene,  nei  confronti di chi sia indagato per il reato previsto
dall'art. 14,   comma   5-ter,  d.lgs.  286/1998,  come  recentemente
modificato,  l'autorita'  giudiziaria  non dispone di alcun potere di
limitazione della liberta' personale in quanto:
        l'illecito  e'  configurato  come  contravvenzione punita con
pena  dell'arresto  da  sei  mesi a un anno e dunque, in quanto tale,
risulta  completamente  estraneo  alla  previsione  degli artt. 272 e
seguenti c.p.p., in materia di misure cautelari;
        non    si    rinvengono   norme   speciali   che   consentano
l'applicazione   di   misura   cautelare  in  deroga  alle  anzidette
disposizioni generali.
    Appare  dunque seriamente ipotizzabile un contrasto dell'art. 14,
d.lgs. 286/1998, come modificato dalla legge 286/1998, nella parte in
cui,   attribuendo  alla  polizia  giudiziaria  il  potere/dovere  di
procedere   all'arresto   (per  giunta  obbligatorio)  dell'indagato,
conferisce  alla  stessa  un  potere  autonomo e superiore rispetto a
quello di cui dispone l'autorita' giudiziaria.
    Non  vale ad escludere la sussistenza di un ravvisabile contrasto
tra   la   norma   in   esame   e  l'art. 13  della  Costituzione  la
considerazione che, attraverso l'attivazione dell'art. 121 disp. att.
c.p.p., la liberta' dell'indagato verrebbe comunque salvaguardata: il
meccanismo  approntato  dalle  disposizioni  del  codice di procedura
penale  e'  si'  congegnato  in  modo  da  determinare  il tempestivo
intervento  dell'autorita' giudiziaria ma certamente non e' idoneo ad
impedire  che  una  sia  pur  temporanea  limitazione  della liberta'
personale abbia luogo: trattandosi di una limitazione che, come si e'
detto,  appare  consentita dalla legge in contrasto con la previsione
dell'art. 13  Cost.,  non  sembra  che  possano avere rilievo «soglie
quantitative»  piu'  o  meno  basse,  soprattutto considerando che la
limitazione  viene  arrecata  nella  forma  piu'  grave, quella della
detenzione.
    Ma,  in verita', si ha perfino ragione di dubitare che l'art. 14,
d.lgs.   286/1998,  introduca  una  implicita  ma  necessaria  deroga
all'art. 121  disp.  att. c.p.p., la' ove dispone che «si procede con
rito   direttissimo».   Invero,  sebbene  non  sia  astrattamente  da
escludere  che  un  giudizio  direttissimo  possa  celebrarsi,  entro
quarantotto  ore,  nei  confronti di indagato rimesso in liberta', si
deve  prendere  atto  del  fatto che la norma non disciplina in alcun
modo come, nei ristrettissimi tempi anzidetti, debba essere formulata
la  contestazione  da  parte  del pubblico ministero, la stessa debba
essere  portata  a  conoscenza  dell'imputato  e  questi debba essere
convenuto  in giudizio: e lascia dunque desumere che la ratio ad essa
sottostante  sia in realta' quella di condurre l'imputato al giudizio
direttissimo in stato di detenzione.
    Ebbene, interpretata in questo senso, la norma risulterebbe ancor
piu' in contrasto con le disposizioni costituzionali perche':
        prevederebbe in sostanza che il pubblico ministero abdichi al
suo  potere/dovere  di  controllare,  almeno  sotto  il profilo della
sussistenza   di   esigenze   cautelari,   l'operato   della  polizia
giudiziaria,   facendogli   in   tal   modo  dismettere  la  funzione
assegnatagli  dalla Costituzione, e, corrispondentemente, esalterebbe
ancor  piu'  l'espansione  dei  poteri della polizia giudiziaria, con
ancora piu' accentuato contrasto con l'art. 13 della Costituzione;
        introdurrebbe  una  grave  disparita'  di  trattamento tra la
persona    che,    arrestata   per   il   reato   in   considerazione
(contravvenzione   punita   con  pena  edittale  non  particolarmente
afflittiva)  e  certamente  non  soggetta  all'applicazione di alcuna
misura   cautelare,   si  vedrebbe  comunque  esposta  alla  concreta
possibilita'  di  necessaria  detenzione fino a quarantotto ore; e la
persona che, arrestata per delitto ben piu' grave ma rientrante nella
disciplina generale, potrebbe confidare in una tempestiva liberazione
sebbene per l'illecito commesso sia astrattamente applicabile perfino
la  custodia in carcere: con conseguente violazione dell'art. 3 della
Costituzione.
    Il  tutto,  si  noti,  in  un  contesto  nel quale le esigenze di
carattere  amministrativo  potrebbero  comunque  essere adeguatamente
salvaguardate,  atteso che, espressamente, la norma stabilisce che al
fine  di  assicurare  l'esecuzione dell'espulsione», il questore puo'
disporre  il  trattenimento  dello  straniero  presso  un  centro  di
permanenza temporanea (art. 14, comma 5-quinquies).
    A)  Ravvisabile  contrasto  tra  l'art. 14,  comma  5-quinquies e
l'art. 3 della Costituzione
    Sotto  diverso  ed  ulteriore profilo la previsione dell'art. 11,
comma 5-quinquies, appare suscettibile di censura.
    La  disposizione  in  esame,  infatti,  introduce  la  previsione
dell'arresto obbligatorio nei confronti di chi sia indagato del reato
previsto dal precedente comma 5-ter.
    Ora, e' ben vero che la valutazione circa la gravita' del fatto e
la conseguente necessita' di procedere comunque all'arresto di chi ne
appaia   responsabile,   e'   valutazione  rimessa  al  discrezionale
apprezzamento  del  legislatore,  come tale sottratto in genere ad un
giudizio  di  costituzionalita' in relazione all'eventuale violazione
dell'art. 3 della Costituzione.
    Nel  caso  di  specie,  peraltro,  il  confronto  tra  le diverse
fattispecie  e'  cosi'  ravvicinato  e  stringente  da  far  apparire
possibile una diversa soluzione.
    Invero,  l'art. 13, comma 13-ter, introduce l'arresto facoltativo
(in  tal  senso  sembra  corretto  intendere l'espressione «e' sempre
consentito»):
        in  relazione al reato previsto dal precedente comma 13, che,
in  quanto  sostanziantesi nella condotta dello straniero espulso che
fa rientro nello Stato ed in quanto punito con pena identica a quella
comminata   al  reato  previsto  dall'art. 14,  comma  5-ter,  appare
valutato   dal   legislatore   di   pari  gravita',  per  sostanziale
omogeneita' della condotta e per identita' di sanzione;
        in  relazione  al reato previsto dal precedente comma 13-bis,
che,  nella  stessa,  evidente  valutazione del legislatore, e' assai
piu'  grave,  trattandosi di trasgressione ad un divieto espresso dal
giudice,  configurato  come  delitto punito con pena della reclusione
fino  a quattro anni e dunque perfino suscettibile di applicazione di
misura cautelare.
    Sembra dunque corretto ritenere che l'art. 14, comma 5-quinquies,
prevedendo  l'arresto  obbligatorio  del  contravventore,  riservi al
medesimo   un  trattamento  decisamente  piu'  afflittivo  di  quello
riservato,  per fatti analoghi o addirittura piu' gravi, nel medesimo
testo   normativo,   senza   che,  dalle  norme,  sia  desumibile  la
sussistenza  di  una  indicazione  di  ragionevolezza  di  una simile
scelta.
    Per i motivi ora esposti, ritiene questo tribunale che sussistano
seri  dubbi  di  legittimita'  della  norma  in esame e che, da cio',
consegua la necessita' di sospensione del procedimento per sottoporre
la questione al giudice delle leggi.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-quinquies, legge
n. 189/2002,  nella  parte  in  cui prevede, per il reato previsto al
comma  5-ter,  l'arresto  obbligatorio  dell'indagato, per violazione
degli artt. 3 e 13, comma terzo della Costituzione;
    Sospende il presente procedimento ed ordina la trasmissione degli
atti alla Corte costituzionale.
        Milano, addi' 15 luglio 2003
                         Il giudice: Busacca
03C1329