N. 355 ORDINANZA 27 novembre - 12 dicembre 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Esclusione  probatoria  -  Regime  transitorio -
  Inutilizzabilita'  di  dichiarazioni  rese nel corso delle indagini
  preliminari,  in  mancanza  dell'avviso  (ex art. 64, comma 3, cod.
  proc.  pen.)  e  di  acquisizione  delle  dichiarazioni  stesse  al
  fascicolo  del  dibattimento  alla  data di entrata in vigore della
  legge   n. 63   del   2001   (attuativa   del  giusto  processo)  -
  Irripetibilita'  sopravvenuta  della  prova nel dibattimento (nella
  specie,  per  inidoneita'  fisica  e  mentale  del  dichiarante)  -
  Prospettata irragionevole disparita' di trattamento, con violazione
  del principio del giusto processo - Omessa ricerca di una possibile
  lettura  adeguatrice  delle  norme  -  Manifesta infondatezza della
  questione.
- Cod.  proc. pen., art. 64, comma 3-bis; legge 1° marzo 2001, n. 63,
  art. 26.
- Costituzione, artt. 3, 24, 102 e 111, quinto comma.
(GU n.50 del 17-12-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Giovanni  Maria  FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel   giudizio   di   legittimita'   costituzionale  degli  artt. 64,
comma 3-bis, del codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo
2001,  n. 63  (Modifiche  al  codice  penale e al codice di procedura
penale  in  materia  di  formazione  e  valutazione  della  prova  in
attuazione  della  legge  costituzionale di riforma dell'articolo 111
della  Costituzione),  promosso  con ordinanza del 3 ottobre 2002 dal
Tribunale  di Bari nel procedimento penale a carico di B.V. ed altri,
iscritta  al  n. 129  del  registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 13,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Udito  nella  camera  di consiglio del 29 ottobre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  il  Tribunale di Bari ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 3,  24,  102  e  111,  quinto  comma, della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale degli artt. 64, comma 3-bis,
del  codice di procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63
(Modifiche  al  codice  penale  e  al  codice  di procedura penale in
materia  di  formazione e valutazione della prova in attuazione della
legge    costituzionale    di    riforma    dell'articolo 111   della
Costituzione),  «nella  parte  in  cui,  nella  fase  del giudizio di
merito,  in  mancanza  dell'avvertimento  di cui all'art. 64,comma 3,
lettera c), cod. proc. pen., non e' consentita la utilizzabilita', ai
fini   della   decisione,  delle  dichiarazioni  rese  su  fatti  che
concernono  la  responsabilita'  di  altri  nel  corso delle indagini
preliminari   da   chi  non  si  sia  mai  volontariamente  sottratto
all'interrogatorio  da parte dell'imputato o del suo difensore e che,
alla  data di entrata in vigore della legge n. 63 del 2001, non siano
gia' state acquisite al fascicolo per il dibattimento, allorquando la
relativa  prova  orale non possa espletarsi in dibattimento per cause
obiettive  sopravvenute  ed  imprevedibili  nonche'  della estensione
transitoria di una tale normativa ai procedimenti penali in corso»;
        che  il  giudice rimettente premette, in punto di fatto, che,
nel  corso del dibattimento, non si era potuto procedere all'esame ai
sensi  dell'art. 210  cod.  proc.  pen.  di  persona  imputata  in un
procedimento  connesso  ex art. 12, comma 1, lettera a), del medesimo
codice,   in  quanto  l'esame  di  tale  persona  -  che  aveva  reso
dichiarazioni  accusatorie nel corso delle indagini preliminari - era
divenuto impossibile per sopravvenuta incapacita' fisica e mentale di
tale soggetto;
        che  alla  richiesta  - formulata dal pubblico ministero - di
acquisizione  delle  dichiarazioni  precedentemente  rese  da  quella
persona  si  erano  peraltro  opposti i difensori, facendo leva sulla
specifica  disciplina  al  riguardo  dettata dall'art. 26 della legge
n. 63 del 2001. Trattandosi, infatti, di dichiarazioni rese nel corso
delle indagini preliminari da un concorrente nel reato; e considerato
che  ad  esse non era stato fatto precedere l'avvertimento prescritto
dal  terzo  comma dell'art. 64, lettera c), del novellato art. 64 del
codice  di rito, ne derivava la inutilizzabilita' erga alios di esse,
alla luce del disposto del comma 3-bis della richiamata disposizione:
disposizione  che, a sua volta, in base all'art. 26 della legge n. 63
del 2001, trovava immediata applicazione nei processi in corso, posto
che  le  deroghe a tale principio stabilite nella anzidetta norma non
risultavano   pertinenti   al   caso   di   specie,   trattandosi  di
dichiarazioni non ancora acquisite al fascicolo per il dibattimento;
        che,  alla stregua di tali premesse, risulterebbe compromesso
il  canone  della  ragionevolezza,  in  quanto l'art. 26 della citata
legge  n. 63  del  2001  -  nel  sancire  «una  regola  di esclusione
probatoria,  quale  e' quella della inutilizzabilita' relativa di cui
all'art. 64,  comma 3, cod. proc. pen. anche nei processi in corso ed
in relazione ad atti legittimamente assunti nel rispetto delle regole
processuali  all'epoca  vigenti»  -  non  prevederebbe  alcun rimedio
processuale  nell'ipotesi  di  accertata  impossibilita' oggettiva di
ripetizione dell'atto nel dibattimento di primo grado;
        che  la  disciplina censurata risulterebbe in contrasto anche
con  l'art. 111,  quinto  comma,  della  Costituzione,  in  quanto il
legislatore  ordinario, nel dettare - in attuazione dell'art. 2 della
legge  costituzionale  n. 2  del  1999  -  la  normativa  transitoria
prevista  dall'art. 26  della legge n. 63 del 2001, avrebbe omesso di
prevedere  l'acquisizione  al  fascicolo  per  il  dibattimento delle
dichiarazioni  rese  erga alios nel corso delle indagini, allorquando
«la   prova   orale   sia  divenuta  oggettivamente  irripetibile  in
dibattimento  per cause sopravvenute, senza che il dichiarante si sia
mai sottratto all'interrogatorio dell'imputato o del suo difensore»;
        che  l'art. 26  della  piu'  volte menzionata legge n. 63 del
2001   violerebbe   anche  gli  artt. 3  e  102  della  Costituzione,
considerata  la irragionevole disparita' di trattamento derivante dal
diverso  regime  previsto  dal  comma 5  per il giudizio davanti alla
Corte   di  cassazione,  ed  il  conseguente  «pregiudizio  derivante
all'esercizio  della  funzione giurisdizionale, tesa all'accertamento
della verita»;
        che sussisterebbe - sottolinea ancora il giudice rimettente -
un ulteriore profilo di irragionevole disparita' di trattamento delle
dichiarazioni  rese  in dibattimento dai soggetti di cui all'art. 210
cod. proc. pen., che risultano «pienamente utilizzabili nei confronti
dei concorrenti senza il limite di alcun avvertimento», rispetto alla
ipotesi  in  esame, nella quale la mancanza di avvertimento determina
la  inutilizzabilita'  di  quelle  medesime dichiarazioni, «allorche'
l'esame  ex  art. 210 cod. proc. pen. non si possa svolgere, non gia'
per  libera  scelta  del  dichiarante, bensi' per la sua sopravvenuta
morte o, come nel caso di specie, inabilita»;
        che  le  disposizioni oggetto di impugnativa si porrebbero in
contrasto,  ad avviso del giudice rimettente, anche con gli artt. 111
e  24  della  Carta fondamentale, sul rilievo che il meccanismo della
inutilizzabilita'  previsto  dall'art. 64,  comma 3-bis,  cod.  proc.
pen.,   esteso   alla   fase   dibattimentale   anche   in   caso  di
irripetibilita'   dell'atto,  violerebbe  il  principio  del  «giusto
processo»,   non   soltanto   nei   confronti  dell'imputato  -  «che
ingiustificatamente   avrebbe   vantaggio   dalla  condizione  fisica
impeditiva  del  dichiarante» - ma anche con riguardo alla situazione
delle  persone  offese  dal reato; queste ultime, infatti, vedrebbero
irragionevolmente   compromessa   «la  tutela  giurisdizionale  delle
proprie posizioni soggettive» in dipendenza di un fatto imprevisto ed
imprevedibile, con correlativa lesione diritto di difesa;
        che   sussisterebbe,   infine,  irragionevole  disparita'  di
trattamento  tra  le  dichiarazioni rese dal concorrente nel medesimo
reato  imputato  in  un  procedimento  connesso  e  quelle  rese  dal
coimputato in un procedimento connesso che sia divenuto collaboratore
di  giustizia,  «atteso  che il comma 9 dell'art. 16-quater [del d.l.
15 gennaio  1991, n. 8] come introdotto dalla legge 16 febbraio 2001,
n. 45,  consente  la  valutazione  ai fini di prova dei fatti in essi
affermati delle dichiarazioni rese al P.M. o alla polizia giudiziaria
indipendentemente  dal  rispetto  del dato formale in tutti i casi di
«irripetibilita», quale e' evidentemente la morte o la inabilita' del
dichiarante».
    Considerato che l'impugnativa concerne, in particolare, il regime
intertemporale dettato dall'art. 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63,
attuativa  -  come e' noto - della riforma costituzionale sul «giusto
processo», nella parte in cui, in mancanza dell'avvertimento previsto
dall'art. 64,  comma 3,  lettera c),  del  codice di rito (introdotto
dalla  stessa  legge)  non  consentirebbe la utilizzabilita', ai fini
della  decisione,  delle  dichiarazioni  su  fatti  che concernono la
responsabilita'  di altri, rese nel corso delle indagini preliminari,
da   parte   di   chi   non  si  sia  mai  volontariamente  sottratto
all'interrogatorio  da parte dell'imputato o del suo difensore e che,
alla  data  di entrata in vigore della medesima legge n. 63 del 2001,
non  siano state acquisite al fascicolo per il dibattimento. Epilogo,
quello  teste'  delineato,  che  si realizzerebbe - dando cosi' causa
alla  doglianza  del  giudice  a  quo - anche nella ipotesi in cui la
prova  orale  non  possa  essere  espletata in dibattimento per cause
obiettive  sopravvenute  ed imprevedibili, nella specie rappresentate
dalla sopravvenuta inidoneita' fisica e mentale del dichiarante;
        che,  nella sostanza, la premessa interpretativa da cui muove
il  giudice  rimettente,  si fonda sul rilievo per il quale il regime
«transitorio»  innanzi  citato  consentirebbe  l'utilizzazione  delle
precedenti    dichiarazioni,    raccolte   nel   corso   della   fase
investigativa,  soltanto  nella  ipotesi  in  cui  tali dichiarazioni
fossero  state  gia'  acquisite al fascicolo per il dibattimento alla
data   di  entrata  in  vigore  della  legge  attuativa  del  «giusto
processo»:  limite, questo, che opererebbe in ogni caso, ivi compreso
quello, pur autonomamente disciplinato dall'art. 512 cod. proc. pen.,
che   riguarda,  appunto,  la  possibilita'  di  dare  lettura  delle
dichiarazioni  precedentemente  rese,  in  ipotesi di sopravvenuta ed
imprevedibile impossibilita' di ripetizione;
        che, pertanto, secondo il giudice rimettente, dalla immediata
applicabilita', anche ai processi in corso - fatta salva la specifica
deroga per quelli pendenti nella fase delle indagini preliminari, ove
e'  prevista  la  rinnovazione  dell'esame  dei  dichiaranti, a norma
dell'art. 26,  comma 2,  della  legge  n. 63 del 2001 - della nuova e
profondamente  innovativa  disciplina degli avvertimenti da rivolgere
in  sede  di  interrogatorio e del relativo regime «sanzionatorio» di
inutilizzabilita'   processuale,   discenderebbe  la  preclusione  ad
utilizzare  le  dichiarazioni  a  suo tempo acquisite - ma non ancora
versate  nel  fascicolo  per il dibattimento - sul presupposto che la
«inutilizzabilita»  ex  ante, derivante dalla omissione degli avvisi,
travolgerebbe  la  utilizzazione  ex  post  stabilita in via generale
dall'art. 512 cod. proc. pen.;
        che, peraltro, una siffatta prospettiva interpretativa, oltre
che  non  sostenuta  da  effettivi  argomenti  testuali  (va  notato,
infatti,  che la disciplina dettata dall'art. 512 cod. proc. pen. non
e'  stata  affatto  incisa  dalla  novella), risulterebbe addirittura
paradossale negli effetti, giacche' - attraverso essa - si verrebbe a
delineare  non  gia'  una  disciplina intertemporale, ma un singolare
meccanismo del tutto innovativo che divergerebbe tanto dal precedente
sistema,  quanto  da  quello  «a  regime»,  creando a ben guardare un
sistema  spurio  anche rispetto alla stessa norma transitoria. E' del
tutto evidente, infatti, che, ove fosse fondata la tesi del giudice a
quo, non potrebbe operare neppure lo specifico ed eccezionale rimedio
previsto  dal  comma 2  del  citato art. 26: cio' perche', essendo il
dichiarante   divenuto   processualmente   incapace,   anche   se  il
procedimento  si  fosse  trovato  a  quel  momento  nella  fase delle
indagini  preliminari,  il  pubblico  ministero  non  avrebbe  potuto
rinnovare  l'esame  con  l'avvertimento,  posto che le condizioni del
soggetto  non  lo  avrebbero  comunque  permesso; sicche', neppure la
logica  che  ha  ispirato  tale peculiare norma transitoria - dettata
dall'intendimento  di  «recuperare»,  fin  dove  possibile, il regime
garantista  degli  avvertimenti - avrebbe potuto trovare applicazione
nella specifica ipotesi evocata dal rimettente;
        che,   dunque,   e'   senz'altro   possibile   affermare  che
l'operativita'  dell'art. 512  cod.  proc. pen. non puo' ritenersi in
alcun  modo  compromessa  -  militando in tal senso rilievi di ordine
logico  e  sistematico  - ove sia divenuta impossibile la ripetizione
dell'atto dichiarativo e le originarie dichiarazioni siano state rese
prima  dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 63 del 2001, che ha
introdotto  il  sistema degli avvisi ed il relativo regime di oneri e
sanzioni  processuali  (generando  per di piu' - e il dato assume, ai
fini che qui interessano, non poco risalto - nuove figure di soggetti
dichiaranti);
        che,  d'altra  parte, e' lo stesso giudice a quo a censurare,
perche'  in  contrasto  con  i  principi  sanciti dall'art. 111 della
Costituzione,  una determinata interpretazione della norma impugnata:
senza  pero'  farsi  carico  di  perscrutare una - peraltro agevole -
lettura  adeguatrice  del  sistema;  e  trascurando di rilevare che -
essendo  l'intera  cadenza della disciplina intertemporale, tracciata
dall'art. 26 della legge n. 63 del 2001, volta a preservare al meglio
il valore del contraddittorio - ben si spiega il «silenzio» serbato a
proposito    della    particolare    ipotesi    rappresentata   dalla
impossibilita'  di  ripetizione  dell'atto, poiche' e' proprio questa
una  delle  figure  paradigmatiche in cui il contraddittorio viene ad
essere   legittimamente   derogato,   al   lume  della  stessa  norma
costituzionale;
        che  in  tale  cornice,  infine, non sembra neppure superfluo
sottolineare   come  il  regime  della  irripetibilita'  sopravvenuta
dell'atto,  con  riferimento  alle dichiarazioni precedentemente rese
dall'imputato,  rinvenga  un  referente  normativo  anche all'interno
dell'art. 513  cod. proc. pen; infatti il secondo periodo del comma 2
di  tale  articolo  espressamente prevede che - ove non sia possibile
ottenere  la  presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in
uno   dei  modi  stabiliti  nella  stessa  norma  -  «si  applica  la
disposizione  dell'articolo 512  qualora la impossibilita' dipenda da
fatti  o  circostanze  imprevedibili al momento della dichiarazione»:
con  cio'  rendendo  evidente la «centralita» del modello offerto dal
richiamato  art. 512 del codice di rito, agli effetti del recupero di
dichiarazioni  non  riproponibili  nel contraddittorio dibattimentale
«per  accertata  impossibilita'  di  natura  oggettiva», come appunto
prevede l'art. 111, quinto comma, della Costituzione;
        che,  di  conseguenza,  risultando  senz'altro  possibile una
diversa  interpretazione  del  quadro normativo attinto dal dubbio di
costituzionalita',  la  questione  proposta  deve  essere  dichiarata
manifestamente infondata.
    Visti  gli  artt 26,  secondo  comma,  della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 64, comma 3-bis, del codice
di  procedura penale e 26 della legge 1° marzo 2001, n. 63 (Modifiche
al  codice  penale  e  al  codice  di  procedura penale in materia di
formazione  e  valutazione  della  prova  in  attuazione  della legge
costituzionale  di  riforma  dell'articolo 111  della  Costituzione),
sollevata,  in riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 111, quinto comma,
della   Costituzione,  dal  Tribunale  di  Bari  con  l'ordinanza  in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 novembre 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 12 dicembre 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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