N. 362 SENTENZA 10 - 19 dicembre 2003

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Aree  demaniali  statali  -  Trasferimento  ai  Comuni per successiva
  cessione  ai  privati  -  Ricorsi  delle  Regioni  Marche, Toscana,
  Campania  ed  Emilia-Romagna  -  Lamentata  lesione  della potesta'
  legislativa  regionale,  esclusiva  e concorrente - Abrogazione, in
  pendenza   di   giudizio,   della  norma  censurata,  con  espressa
  previsione di inefficacia degli atti e dei provvedimenti adottati -
  Cessazione della materia del contendere.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 71.
- Costituzione, artt. 3, 9, 114, 117.
Aree  demaniali  statali  -  Trasferimento  ai  Comuni per successiva
  cessione   ai   privati   -  Ricorso  della  Regione  Basilicata  -
  Abrogazione  della  norma  che  rende applicabile la disciplina nel
  territorio della Regione - Cessazione della materia del contendere.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 27, comma 16.
- Costituzione, artt. 5, 114, 117, terzo comma.
Aree  demaniali  statali  -  Misura  delle sanzioni pecuniarie per il
  ritardato  o  mancato  pagamento  dei  contributi  di costruzione -
  Ricorso della Regione Basilicata - Lamentata lesione della potesta'
  legislativa   regionale  in  materia  edilizia  -  Riconducibilita'
  dell'edilizia  nella  materia  «governo del territorio», oggetto di
  legislazione  concorrente -  Natura di principio fondamentale della
  disciplina censurata - Non fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 27, comma 17.
- Costituzione, artt. 5, 114, 117, terzo comma.
Aree  demaniali  statali  -  Misura  delle sanzioni pecuniarie per il
  ritardato  o  mancato  pagamento  dei  contributi  di costruzione -
  Ricorso  della  Regione  Basilicata  -  Asserita irragionevolezza -
  Censura  generica  e  apodittica - Manifesta inammissibilita' della
  questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 27, comma 17.
- Costituzione, art. 3.
(GU n.51 del 24-12-2003 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 71 e 27,
commi 16 e 17, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per
la  formazione  del  bilancio  annuale  -  Legge  finanziaria  2002),
promossi  con  ricorsi  delle  Regioni  Marche,  Toscana, Basilicata,
Campania  e  Emilia-Romagna  notificati  il  22,  il  26,  il 22 e il
27 febbraio  2002,  depositati in cancelleria il 28 febbraio e il 1°,
il  6,  il 7 e l'8 marzo successivi ed iscritti ai numeri 10, 12, 20,
22 e 23 del registro ricorsi 2002.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  17  giugno 2003  il  giudice
relatore Franco Bile;
    Uditi  gli  avvocati  Stefano Grassi per la Regione Marche, Fabio
Lorenzoni  per  la  Regione  Toscana,  Massimo Luciani per la Regione
Basilicata,  Vincenzo  Cocozza  per la Regione Campania, Giandomenico
Falcon  per  la Regione Emilia-Romagna e l'avvocato dello Stato Paolo
Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1. - Con  il  ricorso  n. 10  del 2002 la Regione Marche ha - fra
l'altro  -  impugnato in via principale nei confronti dello Stato, ai
sensi  dell'art. 127,  secondo  comma,  della Costituzione, l'art. 71
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002), sostenendo che esso -
laddove  (sotto  la rubrica «Disposizioni in materia di trasferimento
di  beni  demaniali»)  prevede che «le disposizioni di cui alla legge
5 febbraio   1992,  n. 177,  concernente  il  trasferimento  di  beni
demaniali  al  patrimonio  disponibile  dei  comuni  e  la successiva
cessione ai privati, si applicano anche alle aree demaniali ricadenti
nel  territorio  nazionale non destinate all'esercizio della funzione
pubblica  e  su cui siano state eseguite opere di urbanizzazione e di
costruzione  in epoca anteriore al 31 dicembre 1990» - sarebbe lesivo
dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
    Premette  la ricorrente: a) che la disposizione impugnata sarebbe
direttamente  connessa  con  la  legge 5 febbraio 1992, n. 177 (Norme
riguardanti aree demaniali nelle province di Belluno, Como, Bergamo e
Rovigo,  per  il trasferimento al patrimonio disponibile e successiva
cessione a privati) che ha dettato (agli artt. 1 e 2) una specifica e
minuziosa   disciplina   relativa   al  trasferimento  al  patrimonio
disponibile  di ciascun comune interessato, in vista della successiva
cessione  di tali beni ai «privati possessori», delle «aree demaniali
ricadenti  nel  territorio  della  provincia  di Belluno, nonche' dei
comuni  di  Solico  in  provincia di Como, di Seriate in provincia di
Bergamo  e  di  Guarda  Veneta,  Polesella  e Papozze in provincia di
Rovigo, su cui siano state eseguite in epoca anteriore al 31 dicembre
1983  opere di urbanizzazione da parte di enti o privati cittadini, a
seguito  di regolare concessione o anche in assenza di titolo alcuno,
e quelle ancorche' non edificate, ma comunque in possesso pacifico di
privati»;  b) che l'art. 6 di detta legge ha stabilito che l'acquisto
delle  aree  «ha  valore  di  sanatoria agli effetti urbanistici e fa
venir  meno  le pretese dello Stato per canoni pregressi ed in genere
per   compensi   richiesti   a   qualsiasi   titolo   in   dipendenza
dell'occupazione delle aree».
    Dopo  tale  premessa,  la ricorrente ricorda che l'art. 117 della
Costituzione   -   nel  testo  innovato  dalla  legge  costituzionale
18 ottobre  2001,  n. 3  (Modifiche  al  titolo V della parte seconda
della  Costituzione)  -  ha ricompreso nell'ambito della legislazione
concorrente  delle  Regioni  la  materia  relativa  al  «governo  del
territorio»  ed  ha  stabilito  che  nelle  materie  di  legislazione
concorrente  spetta  alle  Regioni la potesta' legislativa, salvo che
per  la  determinazione  dei  principi  fondamentali,  riservata alla
legislazione dello Stato.
    Conseguentemente,  sarebbe  evidente  che  l'art. 71  della legge
n. 448 del 2001, nella parte in cui prevede un possibile passaggio di
beni  del  demanio  statale al patrimonio disponibile dei comuni, con
valore  di  sanatoria  agli effetti urbanistici degli abusi commessi,
contrasta con le competenze regionali costituzionalmente garantite in
materia  di  governo  del  territorio,  in  quanto  estenderebbe  una
disciplina di estremo dettaglio - originariamente limitata ad alcune,
specifiche  aree  demaniali site nelle indicate Province - a tutte le
ipotesi  di trasferimento di «aree demaniali ricadenti nel territorio
nazionale  non  destinate  all'esercizio della funzione pubblica e su
cui  siano  state eseguite opere di urbanizzazione e ricostruzione in
epoca  anteriore  al 31 dicembre 1990». Detta sanatoria acquisterebbe
ora  il  significato  e le dimensioni di una sanatoria generalizzata,
destinata  ad  esplicare  effetto  sul territorio di ciascuna singola
Regione,  in  tal  modo  incidendo illegittimamente sull'esercizio di
competenze  costituzionalmente  garantite  alle  Regioni, giacche' la
potesta' legislativa regionale in materia di «governo del territorio»
sarebbe  caratterizzata  da  una sfera di autonomia non eliminabile o
indebitamente    comprimibile    dal   legislatore   nazionale,   cui
competerebbe  solo  di  stabilire  i  «principi  fondamentali»  della
materia.
    Viceversa,  la  norma  statale  impugnata per il suo carattere di
assoluto  dettaglio sacrificherebbe «in maniera del tutto illegittima
ed  incoerente,  quel  contenuto  minimo  dell'autonomia  legislativa
regionale....»  che  il  legislatore statale nelle materie attribuite
alla  competenza  legislativa  concorrente delle Regioni non potrebbe
comprimere  od  eliminare,  tenuto  conto che i principi fondamentali
stabiliti  dalle  leggi-quadro  nazionali  devono avere un livello di
maggior  astrattezza rispetto alle regole positivamente stabilite dal
legislatore regionale.
    1.1. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato memoria,
nella  quale  ha chiesto rigettarsi il ricorso, limitandosi a dedurre
che la norma censurata «per evitare effetti indesiderati di sanatoria
urbanistica  su  siti demaniali protetti, in attuazione di un preciso
impegno   governativo   in   tal   senso,   e'  stata  abrogata»  con
l'art. 16-bis    del   decreto   legge   28 dicembre   2001,   n. 452
(Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione,
di  smaltimento  di  oli  usati,  di  giochi e scommesse, nonche' sui
rimborsi   IVA,  sulla  pubblicita'  effettuata  con  veicoli,  sulle
contabili  speciali,  sui  generi  di monopolio, sul trasferimento di
beni  demaniali,  sulla  giustizia  tributaria, sul funzionamento del
servizio  nazionale  della riscossione dei tributi e su contributi ad
enti ed associazioni), convertito in legge 27 febbraio 2002.
    1.2. - Con   memoria   depositata   nell'imminenza   dell'udienza
pubblica,  la  Regione,  prendendo  atto dell'abrogazione della norma
censurata,   ha   sostenuto   che  sarebbe  cessata  la  materia  del
contendere.
    2. - Con  il  ricorso  n. 12 del 2002 la Regione Toscana ha - fra
l'altro  -  impugnato  anch'essa, nei confronti dello Stato l'art. 71
della  legge  n. 448  del 2001, per violazione dell'art. 117, terzo e
quarto comma, della Costituzione.
    Anche in questo ricorso, la ricorrente - dopo avere richiamato il
contenuto   della  legge  n. 177  del  1992,  particolarmente  quanto
all'art. 6,  nonche'  ricordato  il  disposto della norma censurata -
sostiene che la conseguente previsione di una generalizzata sanatoria
agli  effetti  urbanistici  degli  abusi  commessi sarebbe fortemente
lesiva  delle  attribuzioni regionali costituzionalmente garantite in
materia  di  edilizia,  la quale rientra tra le materie affidate alla
potesta'  legislativa  esclusiva  delle  Regioni.  Sulla premessa che
nella   previgente  formulazione  dell'art. 117  della  Costituzione,
l'edilizia  era  compresa  tra  le  materie  sottoposte  a competenza
concorrente   delle  Regioni,  in  quanto  si  collocava  all'interno
dell'urbanistica  e  che,  invece,  con  la  riforma  di  detta norma
costituzionale   tutte  le  materie  contemplate  nel  vecchio  testo
sarebbero   state   attribuite   in  via  esclusiva  alla  competenza
regionale,  ai  sensi dell'art. 117, quarto comma, si assume che tale
competenza sarebbe stata lesa.
    Inoltre,  la  norma  violerebbe  anche  la competenza concorrente
regionale  in  materia  di governo del territorio e di valorizzazione
dei beni ambientali, una volta considerato che consente l'alienazione
del  demanio  marittimo  oggi  in  concessione  ai  privati  per fini
turistico-ricettivi  e  che la sanatoria degli abusi edilizi suddetta
permette   di   condonare  abusi  commessi  sulle  coste  che  invece
dovrebbero essere valorizzate e protette anche per la prevenzione dei
rischi  idrogeologici.  Tali aspetti rientrerebbero nelle materie del
governo  del  territorio  e della valorizzazione dei beni ambientali,
attribuite  alla potesta' legislativa concorrente, con la conseguenza
che lo Stato dovrebbe limitarsi alla sola determinazione dei principi
fondamentali.
    Viceversa,   la   norma   impugnata   non   conterrebbe  principi
fondamentali  -  da  intendersi come criteri di carattere generale ai
quali  si  ispira  la disciplina nazionale della materia - bensi' una
previsione  specifica,  di  dettaglio,  riferita  ad  un  particolare
aspetto  della  materia.  Simile disciplina sarebbe ormai preclusa al
legislatore  statale,  per  effetto  del nuovo rapporto Stato-Regioni
delineato   dal  terzo  comma  dell'art. 117  della  Costituzione  in
riferimento all'ambito della potesta' legislativa concorrente.
    2.1. - Anche  in  questo  giudizio si e' costituito il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura  generale dello
Stato,  che  ha  depositato memoria, rilevando l'avvenuta abrogazione
della  norma  impugnata  da  parte dell'art. 16-bis del decreto-legge
n. 452  del  2001  e  deducendo l'inammissibilita' del ricorso, sulla
premessa  che  la  norma  abrogativa ha previsto, altresi', che siano
privi  di  effetti  tutti  gli  atti  e i provvedimenti eventualmente
adottati in applicazione del citato art. 71, cosi' facendo venir meno
ogni  efficacia  della norma, anche nel periodo intercorso tra la sua
emanazione e la definitiva abrogazione.
    2.2. - Con   memoria   depositata   nell'imminenza   dell'udienza
pubblica,  la Regione, prendendo atto dell'avvenuta abrogazione della
norma  censurata,  ha  sostenuto  che  il  ricorso  sarebbe  divenuto
inammissibile.
    3. - Con  il ricorso n. 22 del 2002, anche la Regione Campania ha
impugnato,  nei  confronti dello Stato, il citato art. 71 della legge
n. 448  del  2001,  per  violazione degli artt. 3, 9, 114 e 117 della
Costituzione,  «nonche'  dei  principi  di  ragionevolezza e di leale
cooperazione  fra  Stato  e  regione  e  per  lesione  della sfera di
competenza della regione».
    Nel  ricorso - sulla premessa del carattere di straordinarieta' e
del significato derogatorio della disciplina legislativa estesa dalla
norma impugnata a tutto il territorio nazionale - si sostiene: a) che
gli  artt. 114  e  117, secondo comma, Cost. ed il principio di leale
collaborazione   sarebbero   violati,   in   quanto   -  non  essendo
riconducibile la materia alla quale si riferiscono la norma impugnata
e  quella  cui essa fa rinvio (estendendone l'applicazione) ad alcuna
di  quelle  di  cui  al  catalogo  del  secondo comma dell'art. 117 -
l'intervento  legislativo  dello  Stato  si  sarebbe  verificato «con
disposto  compiuto  ed  esaustivo»,  in un ambito materiale in cui lo
Stato  non  avrebbe  competenza; b) che l'art. 117 sarebbe violato in
riferimento  al quarto comma, in quanto la materia urbanistica, sulla
quale inciderebbe la norma impugnata si dovrebbe considerare estranea
a  quella  del «governo del territorio» e, dunque, la norma impugnata
sarebbe   intervenuta  su  una  materia  attribuita  alla  competenza
esclusiva  delle Regioni; c) che l'art. 117 sarebbe invece violato in
relazione   al   terzo  comma,  qualora  la  materia  urbanistica  si
considerasse  coincidente  con  quella  del «governo del territorio»,
giacche'  la  previsione  impugnata recherebbe non gia' un «principio
fondamentale   della  materia»,  bensi'  un'analitica  disciplina  di
dettaglio,  come  confermerebbe  anche  il  fatto  che si riferisce a
situazioni   pregresse   e,  quindi,  in  quanto  gia'  verificatesi,
determinate  e  concrete; d) che il principio di ragionevolezza - che
la  Regione  ritiene di essere legittimata a dedurre in base al nuovo
art. 127  Cost.,  in  quanto  Stato  e  Regione  avrebbero  ormai una
posizione  paritaria  agli  effetti  dei  vizi  deducibili -  sarebbe
violato:  d1) in quanto l'automatica estensione all'intero territorio
nazionale  di una disciplina eccezionale nata per essere applicata in
un  ambito  territoriale  limitato,  e  qualificata dalla esigenza di
risolvere   una   situazione  contingente  collegata  a  quell'ambito
territoriale,   sarebbe   priva   di   giustificazione,  perche'  non
considererebbe  le differenze tra luoghi e tra situazioni, unificando
«tutto   in   un   disastroso  regime  di  sanatoria  indiscriminata,
realizzata  anche con potesta' straordinarie in deroga alle normative
vigenti, con ricadute di estrema gravita' sul piano urbanistico e, in
genere,  sul valore stesso della legalita»; d2) ed in quanto privo di
qualunque   giustificazione   sarebbe   lo  spostamento  del  termine
contemplato  per  il  compimento  delle  opere  di  urbanizzazione  e
costruzione,  che  dall'originario  31 dicembre 1983 viene portato al
31 dicembre 1990; e) che l'art. 9 della Costituzione sarebbe violato,
in  quanto  la  norma  censurata  permetterebbe  il  consolidarsi  di
situazioni  illegali (peraltro diffuse) in aree di particolare pregio
paesaggistico  e  comprimerebbe  la  competenza  della  Regione nella
«valorizzazione  dei  beni  ambientali», impedendo scelte di recupero
ambientale   e  vanificando,  nel  momento  in  cui  si  consente  la
sottrazione  di  quei  beni  alla disponibilita' e al controllo della
mano pubblica, la regolazione regionale in quelle aree.
    3.1. - Anche  in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
che  ha  depositato  memoria  di  identico  tenore  rispetto a quanto
dedotto   sull'impugnazione   della  norma  censurata  nella  memoria
depositata nel giudizio, di cui al ricorso n. 12 del 2002.
    4. - Con   il   ricorso   n. 23   del   2002   anche  la  Regione
Emilia-Romagna  ha  -  fra  l'altro  - impugnato, nei confronti dello
Stato, il citato art. 71 della legge n. 448 del 2001, peraltro in via
soltanto cautelativa (per l'ipotesi dell'eventuale rinvio per riesame
della  legge di conversione al Parlamento), in ragione del fatto che,
pur  essendo  a conoscenza della sua intervenuta abrogazione da parte
dell'art. 16-bis della legge di conversione del d.l. n. 452 del 2001,
con  la  previsione  che  sono  posti  nel  nulla gli effetti da essa
prodotti,  la  norma abrogativa non era al momento del ricorso ancora
promulgata.
    Le  ragioni della censura sono articolate assumendo la violazione
dell'art. 117  Cost.,  giacche'  la norma impugnata non costituirebbe
«certo  espressione  di  un  intervento  "di principio" nella materia
"governo del territorio", ma una arbitraria intrusione nella politica
urbanistica  regionale,  che  favorisce  i  fenomeni  di speculazione
abusiva    in    aree    demaniali    spesso    di   ingente   valore
paesistico-ambientale» e farebbe venir meno «le funzioni pubbliche di
controllo  e  di pianificazione urbanistica e paesistica» ed inoltre,
«se  pure  si  dovesse ammettere che permangono quelle dei comuni, si
mettono nel nulla le responsabilita' e le funzioni delle Regioni».
    4.1. - Anche  in questo giudizio e' intervenuto il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
che  ha  depositato  memoria  di  identico  tenore  rispetto a quanto
dedotto   sull'impugnazione   della  norma  censurata  nella  memoria
depositata nel giudizio di cui al ricorso n. 12 del 2002.
    4.2. - Con   memoria   depositata   nell'imminenza   dell'udienza
pubblica,   la   Regione   ha   preso  atto  dell'effettiva  avvenuta
abrogazione  della  norma censurata e ha sostenuto che sarebbe venuto
meno l'interesse ad una decisione sul merito del ricorso.
    5. - Con  il  ricorso  n. 20 del 2002, la Regione Basilicata ha -
fra  l'altro  -  impugnato,  nei  confronti  dello  Stato, l'art. 27,
commi 16  e  17,  della  legge  n. 448 del 2001, per violazione degli
artt. 3, 5, 114 e 117 della Costituzione.
    Il  ricorso  premette  alcune  considerazioni  generali, riferite
anche alle altre censure (delle quali non si da' conto in questa sede
e  su  cui questa Corte ha deciso con altre pronunce) e precisamente:
a)  che  la  legge  finanziaria,  di cui fa parte la norma censurata,
sarebbe  in  generale  «un esempio emblematico della tendenza (...) a
tenere in sostanziale non cale la profonda riforma del Titolo V della
Costituzione»,     in    quanto,    nonostante    il    rovesciamento
dell'enumerazione  delle  competenze  legislative,  lo  Stato avrebbe
seguitato   a   legiferare   come   se  nulla  fosse  avvenuto,  vuoi
intervenendo  con  propri  atti  anche  in  materie assoggettate alla
competenza  esclusiva  delle Regioni, vuoi adottando una normativa di
dettaglio nelle materie di competenza concorrente.
    Sotto  questo secondo aspetto, la ricorrente sottolinea anzitutto
che  il  nuovo  art. 117  Cost.  ha  inteso  equiparare pienamente le
Regioni   e   lo   Stato   quanto  alla  titolarita'  della  funzione
legislativa,  sicche',  ormai,  salve  le  peculiarita' espressamente
previste,  legge statale e legge regionale sono in posizione di piena
equiordinazione  ed hanno la stessa dignita', costituendo al medesimo
titolo  modalita'  di pieno esercizio della funzione legislativa. Con
riferimento  alle  materie  affidate  alla competenza concorrente, lo
Stato   non   potrebbe   intervenire  con  norme  di  dettaglio,  pur
disponendone  la  cedevolezza  (cioe'  la  derogabilita'  da parte di
successive  leggi  regionali),  giacche'  tale  possibilita'  sarebbe
assolutamente  esclusa,  di fronte al tenore testuale del terzo comma
dell'art. 117,  la cui formulazione - affatto inequivoca nel limitare
l'intervento  della  legge statale alla normazione di principio - non
lascerebbe ormai alcuno spazio alla prassi affermatasi nel vigore del
previgente  testo  costituzionale, secondo la quale l'adozione di una
normativa    statale   di   dettaglio   poteva   trovare   fondamento
nell'interesse nazionale.
    In   proposito,   per   comprendere  il  cambiamento  del  quadro
costituzionale,  dopo  la riforma del Titolo V, andrebbe considerato:
a)  che,  secondo  il  vecchio  testo  dell'art. 117 Cost. la Regione
poteva  emanare  norme legislative in varie materie, nel rispetto dei
«limiti  stabiliti dalle leggi dello Stato», oltre che dell'interesse
nazionale   e  di  quello  delle  altre  Regioni,  e,  quindi,  norme
legislative  di  dettaglio;  b)  che  l'art. 17, comma 4, della legge
16 maggio  1970,  n. 281  (Provvedimenti  finanziari per l'attuazione
delle   Regioni  a  statuto  ordinario),  stabiliva  che  le  Regioni
avrebbero  potuto  legiferare  anche  in  assenza delle leggi statali
identificative  dei  principi  fondamentali  (cioe' delle c.d. «leggi
cornice»),  ma  nel  rispetto  dei  principi  comunque desumibili dal
complesso  della legislazione statale; c) che, comunque, si ammetteva
che  lo  Stato  potesse  adottare  anche norme puntuali di dettaglio,
fintanto  che  la  Regione  non  avesse  provveduto  ad  adeguare  la
normativa di sua competenza ai nuovi principi dettati dal Parlamento.
    La situazione sarebbe ora diversa, dopo la modifica del Titolo V,
giacche',  mentre  prima  i  principi  fondamentali erano qualificati
espressamente  come un inevitabile limite delle leggi regionali e per
tale  ragione  si  era consentito che potessero desumersi da tutte le
leggi  vigenti,  anche in mancanza di vere e proprie «leggi cornice»,
ora,  essendo  riservata  allo  Stato  solo  la  determinazione della
normativa di principio, non sarebbe ammesso un intervento legislativo
statale  con  normazione di dettaglio, per quanto cedevole essa possa
essere. L'art. 117, comma 3, infatti, affida espressamente allo Stato
la fissazione dei principi fondamentali.
    D'altro  canto,  ove pure si reputasse sopravvissuto, l'interesse
nazionale  potrebbe  consentire,  oramai,  soltanto  l'esercizio  dei
poteri  sostitutivi  ai  sensi  dell'art. 120,  secondo  comma, della
Costituzione,  ma  non  l'adozione  di  una  normativa di dettaglio a
prescindere   da   qualsivoglia   inerzia   regionale.   Quest'ultima
violerebbe  «l'intero (nuovo) disegno costituzionale delle autonomie»
e sarebbe «anche manifestamente irragionevole (e percio' in contrasto
con  l'art. 3,  nel  suo  rapporto  con  gli artt. 5, 114 e 117 della
Costituzione), poiche', in presenza della garanzia costituzionale dei
poteri  sostitutivi statali, non vi e' alcuna ragione di ricorrere ad
una normazione con siffatto contenuto».
    La  disposizione  impugnata  (come  le  altre censurate e qui non
considerate),  invece,  avrebbero dettato proprio «norme di analitico
dettaglio»  e,  peraltro,  senza  nemmeno  la  previsione  della loro
cedevolezza, cosa che avrebbe reso illegittima la norma anche secondo
i previdenti parametri costituzionali.
    Con  specifico  riferimento  alla  norma  censurata,  dopo averne
richiamato i contenuti, il ricorso specifica la doglianza, osservando
che  essa  sarebbe  intervenuta  con  previsioni di dettaglio, in una
materia  (quella  dell'edilizia)  che sarebbe assegnata alla potesta'
legislativa  concorrente  delle  Regioni, con conseguente superamento
del  limite  della  fissazione  dei  principi  fondamentali  per essa
stabilito dalla Costituzione, che impedisce alla legge dello Stato di
spingersi oltre.
    Inoltre,  avendo  il  legislatore  disposto  la  modificazione di
alcune  prescrizioni  del  d.P.R.  6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico
delle  disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia),
recante  il  testo  unico  delle  norme  in materia edilizia - la cui
entrata  in  vigore  e' stata ripetutamente procrastinata, anche allo
scopo di consentire la sua armonizzazione con la revisione del Titolo
V   della  Costituzione,  della  quale,  come  avrebbe  osservato  la
dottrina,  non  sarebbe  rispettoso  - la censurata normativa sarebbe
anche  intimamente  contraddittoria  e  irrazionale,  «in  quanto (in
violazione  degli  artt. 3  e  5  della  Costituzione,  in una con le
disposizioni  del  Titolo  V)  irrispettosa di una scelta prudenziale
suggerita   proprio   dall'entrata   in   vigore  delle  nuove  norme
costituzionali».
    5.1. - Anche  in  questo  giudizio si e' costituito il Presidente
del  Consiglio  dei  ministri,  tramite  l'Avvocatura  generale dello
Stato,  che  ha  depositato  memoria,  nella  quale, sulla censura in
oggetto si limita ad osservare che «l'art. 27 della legge finanziaria
riguarda  le  disposizioni finanziarie per gli enti locali» e che «la
materia  disciplinata,  a differenza di quanto sostenuto nel ricorso,
non  riguarda,  quindi,  (come  si  evince chiaramente dall'integrale
lettura  della  norma)  l'edilizia,  ma la perequazione delle risorse
finanziarie  che  rientra  nell'ambito  della  legislazione esclusiva
dello Stato».
    5.2. - Con   memoria  depositata  nell'imminenza  della  pubblica
udienza,  la  Regione,  oltre  a  ribadire  le  premesse generali del
ricorso in punto di normativa di dettaglio dopo la riforma del Titolo
V,  con  specifico  riferimento  alle  censure  relative all'art. 27,
commi 16  e  17,  insiste nella prospettazione circa l'inerenza della
disciplina  al  «governo  del  territorio» e sostiene (riferendosi al
comma 17)   che   anche   a   voler  qualificare  «il  contributo  di
edificazione»  come  «tributo»la norma inciderebbe comunque in quella
materia,  poiche'  le  previsioni in ordine a contributo condizionano
l'esercizio  della  facolta'  di  edificare,  inerente  al diritto di
proprieta'.

                       Considerato in diritto

    1. - La  presente decisione riguarda - fra le questioni poste dai
ricorsi   n. 10,  12,  20,  22  e  23  del  2002,  relative  a  varie
disposizioni  della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per
la  formazione  del bilancio annuale - Legge finanziaria 2002) - solo
quelle concernenti l'art. 71 e l'art. 27, commi 16 e 17.
    1.1. - Le  Regioni  Marche,  Toscana,  Campania ed Emilia-Romagna
(rispettivamente  con  i  ricorsi n. 10, 12, 22 e 23) hanno impugnato
l'art. 71  della  legge  n. 448  del  2001,  che  ha esteso alle aree
demaniali  statali  site  in  tutto  il  territorio  nazionale, e non
destinate  all'esercizio  della funzione pubblica, il regime previsto
dalla legge 5 febbraio 1992, n. 177 (Norme riguardanti aree demaniali
nelle   province   di   Belluno,  Como,  Bergamo  e  Rovigo,  per  il
trasferimento  al  patrimonio  disponibile  e  successiva  cessione a
privati),  in  tema  di  trasferimento  ai  comuni, per la successiva
cessione  ai  privati  che  avessero  costruito  su  di esse, di aree
demaniali ubicate nella Provincia di Belluno e in taluni comuni delle
Province  di  Como,  Bergamo e Rovigo, con conseguente sanatoria agli
effetti  urbanistici  e  cessazione  di  ogni  pretesa  per  canoni o
compensi per occupazione.
    La  Regione  Marche  deduce  - in riferimento all'art. 117, terzo
comma,  della  Costituzione  -  la lesione della potesta' legislativa
concorrente  regionale in materia di «governo del territorio», atteso
il  carattere di dettaglio della disciplina di cui la norma impugnata
ha disposto l'estensione.
    La  Regione  Toscana deduce - in riferimento all'art. 117, quarto
comma,  della  Costituzione  -  la lesione della potesta' legislativa
esclusiva  regionale  in  materia  edilizia, nonche' - in riferimento
all'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione  - la lesione della
potesta' legislativa concorrente regionale nelle materie del «governo
del territorio» e della «valorizzazione dei beni ambientali».
    La   Regione   Campania  propone  una  duplice  censura.  In  via
principale, deduce - in riferimento all'art. 114 della Costituzione -
che  lo  Stato  ha  legiferato  in  ambito estraneo alla sua potesta'
legislativa  e - in riferimento all'art. 117, secondo e quarto comma,
della  Costituzione  -  che  e'  stata  lesa  la potesta' legislativa
esclusiva  regionale  in  materia  urbanistica.  In  via subordinata,
deduce  poi - in riferimento agli artt. 114 e 117, terzo comma, della
Costituzione  -  la  lesione  della  potesta' legislativa concorrente
regionale  nelle  stesse  materie  individuate dalla Regione Toscana,
nonche'  -  in  riferimento  agli  artt. 9  e  3 della Costituzione -
rispettivamente,  l'incidenza  negativa  della  norma impugnata sulla
tutela   del   paesaggio   e  del  patrimonio  artistico,  e  la  sua
irrragionevolezza.
    La   Regione   Emilia-Romagna  infine  deduce  -  in  riferimento
all'art. 117,  terzo  comma,  della  Costituzione  - la lesione della
potesta' legislativa concorrente regionale in materia di «governo del
territorio».
    1.2. - Dal suo canto la Regione Basilicata, con il ricorso n. 20,
ha  impugnato  i  commi 16  e  17 dell'art. 27 della legge n. 448 del
2001,  che  modificano  -  rispettivamente - l'art. 3, comma 1, della
legge  n. 177 del 1992, ricordata al paragrafo precedente, in tema di
determinazione  del  prezzo  di  cessione  delle aree demaniali, e le
lettere a),   b)   e   c)  del  comma 2  dell'art. 42  del  d.P.R.  6
giugno 2001,  n. 380  (Testo  unico  delle disposizioni legislative e
regolamentari  in materia edilizia), in tema di misura delle sanzioni
pecuniarie  determinate  dalle  Regioni  per  il  ritardato o mancato
pagamento dei contributi di costruzione.
    Secondo  la  ricorrente,  le  norme impugnate contrastano con gli
artt. 5,  114  e  117,  terzo  comma,  della  Costituzione, in quanto
violano  la  potesta'  legislativa  regionale  in  materia  edilizia.
Inoltre la Regione ritiene che il comma 17 violi anche l'art. 3 della
Costituzione,  in  quanto irragionevolmente modifica una disposizione
del  d.P.R.  n. 380  del  2001,  la  cui  entrata in vigore era stata
procrastinata  essendo  dubbia  la  sua conformita' al nuovo Titolo V
della Parte II della Costituzione.
    2. - I  giudizi,  per  la parte relativa alle questioni indicate,
possono essere riuniti, avendo ad oggetto l'impugnazione della stessa
norma  (ricorsi  n. 10,  12,  22  e  23) ovvero concernendo questioni
variamente connesse (ricorso n. 20).
    3. - Per quanto concerne l'art. 71 della legge n. 448 del 2001 la
materia del contendere e' cessata.
    Infatti,  in  pendenza  dei  giudizi, la norma impugnata e' stata
abrogata  dall'art. 16-bis,  comma 1,  del  decreto-legge 28 dicembre
2001,  n. 452 (Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per
autotrazione,  di  smaltimento  di  oli usati, di giochi e scommesse,
nonche'  sui  rimborsi IVA, sulla pubblicita' effettuata con veicoli,
sulle  contabili speciali, sui generi di monopolio, sul trasferimento
di  beni demaniali, sulla giustizia tributaria, sul funzionamento del
servizio  nazionale  della riscossione dei tributi e su contributi ad
enti     ed     associazioni),     introdotto    dalla    legge    di
conversione 27 febbraio 2002, n. 16. Inoltre lo stesso art. 16-bis ha
disposto  al  comma 2  che  sono  privi di effetti tutti gli atti e i
provvedimenti adottati in applicazione della norma abrogata.
    Tale  abrogazione - accompagnata dalla citata espressa previsione
di  inefficacia  -  non lascia alcuno spazio idoneo a configurare una
persistente  ragione  di  contesa fra le parti, come del resto alcune
fra   le   Regioni   ricorrenti   hanno   avvertito  con  le  memorie
illustrative.
    4. - Anche  per  la  questione  relativa al comma 16 dell'art. 27
della  legge  n. 448  del 2001, proposta dalla Regione Basilicata, la
materia del contendere e' cessata.
    La  norma  impugnata ha modificato l'art. 3, comma 1, della legge
n. 177  del  1992,  che  disciplinava la determinazione del prezzo di
cessione  delle  aree  demaniali considerate dall'art. 1 della stessa
legge,  localizzate  - come rilevato - nel territorio della Provincia
di  Belluno  e  in  taluni  comuni  delle Province di Como, Bergamo e
Rovigo.  L'estensione,  a  certe  condizioni,  della disciplina della
cessione   di  tali  aree  all'intero  territorio  nazionale,  recata
dall'art. 71   della   legge  n. 448  del  2001,  aveva  reso  quella
disciplina  applicabile anche alla Basilicata, onde l'interesse della
Regione  a  ricorrere contro la norma. Ma - a seguito della ricordata
abrogazione  dell'art. 71 ad opera dell'art. 16-bis del decreto-legge
n. 452  del  2001,  introdotto  dalla  legge di conversione n. 16 del
2002,   con   espressa   previsione   di  inefficacia  degli  atti  e
provvedimenti  eventualmente  adottati  in base alla norma abrogata -
l'ambito  spaziale  di  applicabilita' della legge n. 177 del 1992 e'
ritornato  quello  originario,  limitato  a  territori  diversi dalla
Basilicata.
    Pertanto la materia del contendere e' cessata.
    5. - Il  comma 17  dell'art. 27  della  legge  n. 448 del 2001 e'
impugnato  dalla  Regione  Basilicata  anzitutto  in riferimento agli
artt. 5, 114 e 117, terzo comma, della Costituzione, sotto il profilo
che esso viola la potesta' legislativa regionale in tema di edilizia.
    La questione e' infondata.
    La  norma censurata modifica parzialmente il comma 2 dell'art. 42
del  testo  unico  delle  disposizioni legislative e regolamentari in
materia   edilizia,   approvato  con  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n. 380  del  2001,  concernente  la misura delle sanzioni
pecuniarie  determinate  dalle  Regioni  per  il  ritardato o mancato
versamento del contributo di costruzione.
    Questo  contributo  -  denominato «contributo di concessione» nel
previgente  regime  di  cui  all'art. 3 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47    (Norme    in    materia    di    controllo    dell'attivita'
urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
edilizie)  - e' ora disciplinato dall'art. 16 del citato testo unico,
che  lo considera un effetto del rilascio del permesso di costruire e
lo  commisura  all'incidenza degli oneri di urbanizzazione e al costo
di costruzione.
    In  origine  l'art. 42  del testo unico - premesso al primo comma
che  «le  regioni  determinano le sanzioni per il ritardato o mancato
versamento  del  contributo  di costruzione in misura non inferiore a
quanto  previsto  nel  presente articolo e non superiore al doppio» -
distingueva al secondo comma, lettere a), b) e c), tre diverse misure
(minime)   di   aumento   percentuale  dell'importo  del  contributo,
correlate alla durata del ritardo. Queste percentuali di aumento sono
state  tutte  ridotte  dalle  modifiche  apportate  dalla  norma oggi
impugnata.
    5.1. - La  norma in esame non puo' essere ritenuta espressione di
una   materia  oggetto  di  competenza  legislativa  residuale  della
Regione,  ai  sensi  dell'art. 117, quarto comma, della Costituzione:
essa  infatti  incide sulla materia del «governo del territorio», dal
comma 3  del  medesimo  articolo attribuita alla potesta' legislativa
concorrente   dello   Stato   (per  la  determinazione  dei  principi
fondamentali)   e   delle  Regioni  (per  ogni  altro  aspetto  della
disciplina).
    Questa Corte ha recentemente affermato (sentenza n. 303 del 2003,
n. 11.1.  del  «Considerato  in  diritto») che di siffatta materia fa
parte  l'urbanistica,  cui  storicamente appartiene la disciplina dei
titoli  abilitativi  ad  edificare.  Secondo  tale  sentenza,  «se si
considera  che  altre  materie  o funzioni di competenza concorrente,
quali  porti  e  aeroporti  civili,  grandi  reti  di  trasporto e di
navigazione,   produzione,   trasporto   e   distribuzione  nazionale
dell'energia,  sono  specificamente  individuate  nello  stesso terzo
comma  dell'art. 117  Cost.  e  non rientrano quindi nel "governo del
territorio",  appare  del  tutto  implausibile  che  dalla competenza
statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti
cosi'  rilevanti,  quali  quelli  connessi  all'urbanistica, e che il
"governo  del  territorio" sia stato ridotto a poco piu' di un guscio
vuoto».
    Nella  medesima prospettiva, anche l'ambito di materia costituito
dall'edilizia va ricondotto al «governo del territorio». Del resto la
formula  adoperata dal legislatore della revisione costituzionale del
2001  riecheggia  significativamente  quelle con le quali, nella piu'
recente  evoluzione  della  legislazione  ordinaria,  l'urbanistica e
l'edilizia  sono  state  considerate  unitariamente  (v.  art. 34 del
decreto  legislativo  31 marzo  1998,  n. 80,  Nuove  disposizioni in
materia   di   organizzazione   e   di   rapporti   di  lavoro  nelle
amministrazioni  pubbliche,  di  giurisdizione  sulle controversie di
lavoro  e  di  giurisdizione  amministrativa,  emanate  in attuazione
dell'art. 11,  comma 4,  della legge 15 marzo 1997, n. 59, modificato
dall'art. 7  della  legge  21 luglio  2000,  n. 205,  Disposizioni in
materia di giustizia amministrativa).
    5.2. - Questi   rilievi   comportano  l'infondatezza  della  tesi
sostenuta  dall'Avvocatura generale dello Stato, secondo cui la norma
impugnata   sarebbe   invece  espressione  della  competenza  statale
esclusiva  in  tema  di  «perequazione delle risorse finanziarie», ai
sensi  dell'art. 117,  comma 2,  lettera e),  della  Costituzione, in
quanto  l'art. 27 della legge n. 448 del 2001, come risulta anche dal
tenore   letterale   della   sua   rubrica,   conterrebbe  unicamente
disposizioni finanziarie per gli enti locali.
    Infatti - a prescindere dall'irrilevanza della formulazione della
rubrica  del  citato  articolo  e della sua collocazione in una legge
finanziaria  -  il  contenuto  della  norma  non  ha alcuna finalita'
perequativa,  mirando  solo ad attenuare le conseguenze sanzionatorie
del ritardato o mancato pagamento del contributo di costruzione.
    5.3. - Per   risolvere   l'indicata   questione  di  legittimita'
costituzionale  occorre pertanto verificare se nella specie sia stato
rispettato  il  criterio  per  cui,  nelle  materie  di  legislazione
concorrente,  la normativa statale deve limitarsi alla determinazione
dei   principi   fondamentali,   spettando  invece  alle  Regioni  la
regolamentazione di dettaglio.
    Nel   testo   originario,   l'art. 42   del   testo  unico  delle
disposizioni  legislative e regolamentari in materia edilizia (d.P.R.
n. 380  del  2001)  non  eccedeva  l'ambito  della  determinazione di
principi  fondamentali,  sia  quando  sceglieva  di  colpire  con una
sanzione  pecuniaria  il ritardato o mancato pagamento del contributo
di   costruzione,  sia  quando  demandava  alla  legge  regionale  di
stabilirne  discrezionalmente  l'importo,  all'uopo  individuando tre
fasce  di  inadempimento secondo la durata del ritardo e fissando per
ciascuna  di  esse  un ammontare minimo ed uno massimo costituito dal
suo doppio.
    E'  bensi'  vero che nella nuova versione dell'art. 42 risultante
dalla  modifica  disposta  dalla  legge impugnata - per effetto della
riduzione  dei  valori  minimi di ciascuna fascia, che indirettamente
incide  anche  sui  valori massimi - l'ambito entro il quale la legge
regionale  determina  la misura delle sanzioni risulta oggettivamente
piu' angusto rispetto al passato.
    Ma si tratta di una modificazione meramente quantitativa, che non
tocca  la  struttura  della  norma, che pertanto continua - anche nel
nuovo testo - ad esprimere principi fondamentali.
    5.4. - La  censura  relativa  all'art. 3  della  Costituzione  e'
manifestamente  inammissibile per genericita': essa infatti si limita
all'apodittico  assunto secondo cui sarebbe irragionevole la modifica
di  una  disposizione  del  testo  unico  in materia edilizia (d.P.R.
n. 380  del 2001), non ancora entrato in vigore per la sua (asserita)
dubbia  armonizzazione  con  il  nuovo  Titolo V della Parte II della
Costituzione.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata  a  separate  pronunzie  ogni decisione sulle ulteriori
questioni  di  legittimita'  costituzionale  della  legge 28 dicembre
2001,  n. 448  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale -
Legge finanziaria 2002);
    Riuniti  i  giudizi,  relativamente  alle  questioni  di cui agli
artt. 71 e 27, commi 16 e 17, della legge n. 448 del 2001;
    Dichiara  cessata  la  materia  del  contendere  in  ordine  alla
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 71 della legge
n. 448  del  2001, proposta dalla Regione Marche con il ricorso n. 10
del  2002, dalla Regione Toscana con il ricorso n. 12 del 2002, dalla
Regione  Campania  con  il  ricorso  n. 22  del 2002, e dalla Regione
Emilia-Romagna con il ricorso n. 23 del 2002;
    Dichiara  cessata  la  materia  del  contendere  in  ordine  alla
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 27,  comma 16,
della legge n. 448 del 2001, proposta dalla Regione Basilicata con il
ricorso n. 20 del 2002;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 27,  comma 17,  della  legge  n. 448  del 2001, proposta in
riferimento agli art. 5, 114 e 117, comma 3, della Costituzione dalla
Regione Basilicata con il ricorso n. 20 del 2002;
    Dichiara    manifestamente    inammissibile   la   questione   di
legittimita'   costituzionale  dell'art. 27,  comma 17,  della  legge
n. 448   del   2001,   proposta   in   riferimento  all'art. 3  della
Costituzione dalla Regione Basilicata con il ricorso n. 20 del 2002.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 dicembre 2003.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Bile
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 19 dicembre 2003.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
03C1356