N. 94 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 16 dicembre 2003

Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
cancelleria il 16 dicembre 2003 (della regione Emilia-Romagna)

Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di  cui  alla  legge  n. 30/2003  -  Organizzazione e
  disciplina  del  mercato  del  lavoro  - Individuazione di un unico
  regime  di  autorizzazione per i soggetti che svolgano attivita' di
  somministrazione  di  lavoro,  intermediazione, ricerca e selezione
  del   personale,   supporto  alla  ricollocazione  professionale  -
  Identificazione  di  forme  di  coordinamento  e  raccordo  tra gli
  operatori  pubblici  o privati, al fine di un miglior funzionamento
  del  mercato  del  lavoro  - Ricorso della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata  lesione  della sfera di competenza regionale in materia
  di  tutela  e  sicurezza  del  lavoro,  mediante  adozione  di  una
  disciplina analitica e dettagliata - Eccesso di delega.
- Decreto  legislativo  10 settembre  2003,  n. 276, art. 3, comma 2,
  lett. a) e c).
- Costituzione, artt. 76 e 117.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del   lavoro,   di   cui   alla   legge   n. 30/2003  -  Disciplina
  dell'autorizzazione  all'intermediazione  ed  interposizione  nella
  somministrazione   di   lavoro  -  Costituzione  di  apposito  albo
  nazionale   delle   agenzie   per   il  lavoro  «autorizzate»  allo
  svolgimento   di   tali   attivita'   -   Ricorso   della   Regione
  Emilia-Romagna  -  Denunciata  lesione  della  sfera  di competenza
  regionale  in materia di tutela e sicurezza del lavoro - Violazione
  del principio di leale collaborazione - Eccesso di delega.
- Decreto  legislativo  10 settembre  2003, n. 276, artt. 2, comma 1,
  lett. e), 4, commi da 1 a 6.
- Costituzione, artt. 76, 117, commi 2, 4 e 6 e 118, commi 1 e 2.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di  cui  alla  legge n. 30/2003 Previsione del potere
  delle  Regioni  e  Province  autonome  di  concedere autorizzazioni
  all'intermediazione  ed  interposizione  del  mercato  del  lavoro,
  esclusivamente in riferimento al proprio territorio - Ricorso della
  Regione   Emilia-Romagna   -  Denunciata  lesione  della  sfera  di
  competenza  regionale in materia di tutela e sicurezza del lavoro -
  Irragionevolezza  -  Incidenza sui principi di imparzialita' e buon
  andamento della pubblica amministrazione.
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, comma 6.
- Costituzione, artt. 3, 97, 117, commi 3 e 4, e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di cui alla legge n. 30/2003 Individuazione di regimi
  di  autorizzazione  con  riferimento  a  particolari  categorie  di
  soggetti  -  Divieto ai consulenti del lavoro di svolgere attivita'
  di  intermediazione  individualmente  o  in forma diversa da quanto
  indicato  dagli  artt. 4,  5  e  6,  comma 3 - Previsione di poteri
  regolamentari  ministeriali  in  materia  -  Ricorso  della Regione
  Emilia-Romagna  -  Denunciata  lesione  della  sfera  di competenza
  regionale  in  materia  di  tutela e sicurezza del lavoro, mediante
  adozione  di disciplina analitica e di dettaglio - Irragionevolezza
  -  Incidenza  sui  principi di imparzialita' e buon andamento della
  pubblica amministrazione - Eccesso di delega.
- Decreto  legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 6, commi 1, 2,
  3, 4, 5, 7 e 8.
- Costituzione, artt. 3, 76, 97, 117 e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di  cui  alla legge n. 30/2003 - Obbligo a carico dei
  soggetti  autorizzati alla somministrazione di lavoro di versare ai
  fondi,  di  cui al comma 4, un contributo pari al 4 per cento della
  retribuzione  corrisposta  ai  lavoratori  assunti  con contratto a
  tempo  determinato  o indeterminato per l'esercizio di attivita' di
  somministrazione   -   Ricorso   della   Regione  Emilia-Romagna  -
  Denunciata  lesione  della sfera di competenza regionale in materia
  di  tutela e sicurezza del lavoro - Assenza di coinvolgimento delle
  Regioni - Violazione del principio di leale collaborazione.
- Decreto  legislativo  10 settembre 2003, n. 276, art. 12, commi 3 e
  5.
- Costituzione, artt. 117 e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Misure di incentivazione
  del  raccordo  pubblico  e  privato  -  Inserimento  dei lavoratori
  «svantaggiati»  - Ricorso della Regione Emilia-Romagna - Denunciata
  violazione della sfera di competenza regionale in materia di tutela
  e  sicurezza  del lavoro - Ingiustificato deteriore trattamento dei
  lavoratori «svantaggiati» - Eccesso di delega.
- Decreto  legislativo  10 settembre 2003, n. 276, art. 13, commi 1 e
  6.
- Costituzione, artt. 3, 76, 117 e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di  cui  alla  legge  n. 30/2003  -  Inserimento  dei
  lavoratori «svantaggiati» - Previsione della stipula di convenzioni
  da  parte dei servizi di cui all'art. 6, comma 1, legge n. 68/1999,
  con  le associazioni sindacali dei datori di lavoro, dei lavoratori
  per  il compimento di commesse di lavoro alle cooperative - Ricorso
  della  Regione  Emilia-Romagna  - Denunciata lesione della sfera di
  competenza  regionale in materia di tutela e sicurezza del lavoro -
  Eccesso di delega.
- Decreto  legislativo  10 settembre 2003, n. 276, art. 14, commi 1 e
  2.
- Costituzione, artt. 76, 117 e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina del rapporto
  di  lavoro  in  corso  di  somministrazione  - Previsione della non
  applicabilita'   della   disciplina   in   materia   di  assunzioni
  obbligatorie e della riserva di cui all'art. 4-bis, comma 3, d.lgs.
  n. 181/2000  -  Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna - Denunciata
  violazione  della  sfera  di  competenza  regionale,  in materia di
  tutela  e  sicurezza  del  lavoro  -  Irragionevolezza - Eccesso di
  delega - Incidenza sul diritto al lavoro.
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 22, comma 6.
- Costituzione, artt. 3, 4, 76, 117 e 118.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di  cui  alla  legge  n. 30/2003  -  Apprendistato  -
  Apprendistato   «professionalizzante»   per  l'acquisizione  di  un
  diploma  o  per  percorsi  di altra formazione - Ripartizione delle
  professioni  -  Incentivi  economici  e  normativi  e  disposizioni
  previdenziali  relative  al  contratto  di apprenditorato - Ricorso
  della  Regione  Emilia-Romagna  - Denunciata lesione della sfera di
  competenza  regionale in materia di tutela e sicurezza del lavoro e
  di formazione professionale.
- Decreto  legislativo  10 settembre 2003, n. 276, artt. 48, comma 4,
  49, comma 5, 50, comma 3.
- Costituzione, art. 117.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro,  di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei crediti
  formativi  -  Definizione  della  modalita'  di riconoscimento, con
  decreto  del  Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali, di
  concerto  con il Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della
  ricerca,  previa  intesa  con  le  Regioni e le province autonome -
  Ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna  - Denunciata lesione della
  sfera  di competenza regionale in materia di tutela e sicurezza del
  lavoro e di formazione professionale - Eccesso di delega.
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 51.
- Costituzione, artt. 51, 76 e 117, comma 6.
Lavoro - Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato
  del  lavoro, di cui alla legge n. 30/2003 - Disciplina dei tirocini
  estivi  di  orientamento  -  Ricorso della Regione Emilia-Romagna -
  Denunciata  violazione  della  sfera  di  competenza  regionale  in
  materia di formazione professionale.
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, art. 60.
- Costituzione, art. 117, comma 4.
(GU n.5 del 4-2-2004 )
    Ricorso  della  regione Emilia-Romagna, in persona del presidente
della  giunta  regionale  pro  tempore  Vasco Errani, autorizzato con
deliberazione  della giunta regionale 1° dicembre 2003, n. 2472 (doc.
1), rappresentata e difesa come da procura rogata dal notaio Federico
Stame  del  Collegio di Bologna n. 47789 di rep. del 2 dicembre 2003,
dagli  avvocati  prof. Giandomenico Falcon e Luigi Manzi di Roma, con
domicilio  eletto  in  Roma  presso  lo  studio  dell'avv. Manzi, via
Confalonieri, n. 5;

    Contro   il   Presidente   del  Consiglio  dei  ministri  per  la
dichiarazione   di   illegittimita'   costituzionale  del  d.lgs.  10
settembre  2003,  n. 276,  attuazione  delle  deleghe  in  materia di
occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003,
n. 30, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2003,
suppl.  ord.  n. 159,  con  riferimento  alle  seguenti disposizioni:
art. 2,  comma 1, lettera e); art. 3, comma 2, lett. a) e c); art. 4,
commi  da  1 a 6, e art. 6 comma 6, in parte qua; art. 6, commi 1, 2,
3,  4, 5, 7 e 8; art. 12, commi 1, 2, 3, 4 e 5; art. 13, commi 1 e 6;
art.  14,  commi  1,  2; art. 22, comma 6; art. 48, comma 4; art. 49,
comma  5; art. 50, comma 3; art. 51, comma 2; art. 60, per violazione
degli  articoli  3,  4,  76,  97,  117,  118 della Costituzione e del
principio  di  leale  collaborazione,  nei  modi  e  per i profili di
seguito illustrati.

                              F a t t o

    Il  d.lgs.  10  settembre  2003,  n. 276,  oggetto della presente
impugnazione, costituisce esercizio della delega conferita al Governo
dalla legge 14 febbraio 2003, n. 30.
    Nonostante  il  legislatore  delegante  richiamasse il Governo al
rispetto  delle  competenze  regionali,  alcuni  principi  e  criteri
direttivi  contenuti  in  quelle  disposizioni ledevano le competenze
costituzionali delle regioni, e per questo questa regione ha proposto
il  ricorso  n. 43/2003, pendente avanti a codesta Corte. La presente
impugnazione  costituisce  dunque  lo  sviluppo  del contenzioso gia'
instaurato avverso la legge di delega.
    Come  esposto  gia' nel ricorso avverso la legge di delega, nello
stesso  vigore  del  vecchio  titolo  V  era  stato riconosciuto alle
regioni  un  ruolo  importante  nella materia del mercato del lavoro.
Infatti, il d.lgs. n. 469/97 aveva conferito alle regioni e agli enti
locali,  in  attuazione  della  legge n. 59/1997, «funzioni e compiti
relativi  al  collocamento  e  alle  politiche attive del lavoro». In
particolare, mentre allo Stato venivano mantenute solo le funzioni di
«vigilanza in materia di lavoro, dei flussi di entrata dei lavoratori
non   appartenenti   all'Unione   europea,  nonche'  procedimenti  di
autorizzazione    per    attivita'    lavorativa    all'estero»,   di
«conciliazione  delle  controversie di lavoro individuali e plurime»,
di   «risoluzione   delle   controversie   collettive   di  rilevanza
pluriregionale»,  di  «conduzione coordinata ed integrata del Sistema
informativo lavoro» e di «raccordo con gli organismi internazionali e
coordinamento  dei  rapporti con l'Unione europea» (art. 1, comma 3),
venivano  conferite  alle  regioni  tutte  le  funzioni  relative  al
collocamento  (art. 2,  comma  1:  fra  queste,  la  «preselezione ed
incontro  tra domanda ed offerta di lavoro» e le «iniziative volte ad
incrementare  l'occupazione e ad incentivare l'incontro tra domanda e
offerta di lavoro anche con riferimento all'occupazione femminile») e
alla  politica  attiva  del lavoro, fra le quali, «in particolare: a)
programmazione  e  coordinamento  di iniziative volte ad incrementare
l'occupazione  e  ad  incentivare l'incontro tra domanda e offerta di
lavoro   anche   con   riferimento   all'occupazione   femminile;  b)
collaborazione alla elaborazione di progetti relativi all'occupazione
di  soggetti  tossicodipendenti  ed  ex detenuti; c) programmazione e
coordinamento  di  iniziative  volte  a  favorire l'occupazione degli
iscritti  alle  liste  di collocamento con particolare riferimento ai
soggetti  destinatari  di  riserva  di cui all'art. 25 della legge 23
luglio   1991,   n. 223;  d)  programmazione  e  coordinamento  delle
iniziative finalizzate al reimpiego dei lavoratori posti in mobilita'
e all'inserimento lavorativo di categorie svantaggiate; e) indirizzo,
programmazione  e verifica dei tirocini formativi e di orientamento e
borse  di  lavoro; f) indirizzo, programmazione e verifica dei lavori
socialmente   utili   ai   sensi   delle  normative  in  materia;  g)
compilazione  e tenuta della lista di mobilita' dei lavoratori previa
analisi tecnica».
    Come   riconosciuto  anche  dalla  giurisprudenza  costituzionale
(nelle  sentenze  n. 74/2001  e 125/2003), la ratio ispiratrice della
delega  di  cui  alla  legge  Bassanini  risiedeva  «nell'esigenza di
superare  la dissociazione tra le funzioni relative al collocamento e
alle  politiche  attive  del  lavoro  -  di  spettanza statale - e le
funzioni  in  materia  di  formazione  del  lavoro  -  di  competenza
regionale»  (sent.  n. 125/2003,  punto 2 del Diritto). Dunque, in un
contesto  costituzionale in cui le regioni avevano competenza solo in
materia  di  formazione  professionale,  si  era  comunque arrivati a
concetrare  nelle  regioni  quasi tutte le funzioni amministrative in
materia di mercato del lavoro.
    Si  noti,  inoltre,  che  in  base all'art. 4 d.lgs. n. 469/1997,
«l'organizzazione  amministrativa  e  le modalita' di esercizio delle
funzioni  e  dei  compiti  conferiti  ai  sensi del presente decreto»
dovevano   essere   disciplinate,   «anche   al  fine  di  assicurare
l'integrazione  tra  i servizi per l'impiego, le politiche attive del
lavoro  e le politiche formative, con legge regionale», pero' in base
a  criteri direttivi posti dallo stesso art. 4, alcuni dei quali sono
stati dichiarati illegittimi dalla Corte costituzionale (con la sent.
n. 74/2001), in quanto lesivi dell'autonomia organizzativa regionale.
    La  posizione  costituzionale  delle regioni nella materia e' poi
stata  riconosciuta  e  rafforzata,  come  e'  ben  noto, dalla legge
costituzionale  n. 3/2001,  che  ha  attribuito  ad  esse  competenza
concorrente  in  materia  di  «tutela  e sicurezza del lavoro», ed ha
rafforzato   la   competenza   regionale  in  materia  di  formazione
professionale, attribuendole carattere pieno.
    E'  in  tale  situazione  che e' intervenuta la legge 14 febbraio
2003,  n. 30,  con  la  quale il Parlamento ha delegato il Governo ad
operare   una   complessiva   riorganizzazione   degli  strumenti  di
intervento  in  materia  di mercato del lavoro, quali stabiliti dalla
precedente legislazione.
    Come  sopra  accennato,  essa e' stata impugnata dalla ricorrente
regione nelle disposizioni che incidono sulle competenze regionali in
materia di tutela e sicurezza del lavoro e di istruzione e formazione
professionale, ed in particolare nell'art. 1 (relativo ai servizi per
l'impiego  e  all'intermediazione nella somministrazione di lavoro) e
nell'art.   2   (relativo  al  riordino  dei  contratti  a  contenuto
formativo).
    La  legge  n. 30/2003  e' ora attuata dal d.lgs. n. 276/2003, che
costituisce un ampio intervento nella materia del mercato del lavoro,
composto  di  ben ottantasei articoli. Tuttavia, tale decreto non da'
attuazione  a  tutti  i  criteri  di  cui  agli  artt. 1  e  2, legge
n. 30/2003   (che,   peraltro,   prevedevano   «uno  o  piu'  decreti
legislativi»)  ma, d'altro canto, contiene norme non riconducibili ad
alcuna norma di delega.
    In  particolare,  il  d.lgs.  n. 276/2003,  dopo  un primo titolo
recante   disposizioni   generali,   contiene   un   secondo   titolo
sull'organizzazione  e  disciplina  del  mercato del lavoro, un terzo
titolo  su  somministrazione di lavoro, appalto di servizi, distacco,
un quarto titolo recante disposizioni in materia di gruppi di impresa
e   trasferimento   d'azienda,   un  quinto  titolo  sulle  tipologie
contrattuali a orario ridotto, modulato o flessibile, un sesto titolo
su  apprendistato  e  contratto  di inserimento, un settimo titolo su
tipologie  contrattuali  a  progetto  e occasionali, un titolo ottavo
sulle   procedure  di  certificazione  ed  un  titolo  nono,  recante
disposizioni transitorie e finali.
    Alcune  di  queste discipline attengono all'ordinamento civile e,
dunque,  non incidono su competenze regionali. Altre, invece, toccano
direttamente  le  materie  sopra  indicate, spettanti alla competenza
concorrente  (tutela  e  sicurezza  del  lavoro)  o piena (formazione
professionale)  delle  regioni.  Diverse  norme  in  esse  contenute,
tuttavia,  non  rispettano  le  competenze  regionali:  perche' hanno
carattere  dettagliato  in materie di competenza concorrente, perche'
attribuiscono  funzioni  amministrative  allo  Stato  in  assenza  di
esigenze  unitarie (o, comunque, senza coinvolgimento delle regioni),
perche'  prevedono  poteri  statali  sostanzialmente regolamentari in
materie  di  competenza regionale, perche' limitano e condizionano lo
svolgimento  delle  competenze regionali, perche' affidano alle parti
sociali  funzioni  che  dovrebbero  spettare  alle  regioni,  perche'
eccedono  la  delega  attribuita  o  per  gli  altri  motivi  che  si
illustreranno.
    Tali   norme,   percio',   risultano  lesive  per  le  regioni  e
costituzionalmente illegittime per i seguenti motivi di

                            D i r i t t o

    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 2, lett. a)
e c), per violazione dell'art. 76 e dell'art. 117, comma 3, Cost.
    L'art.  3  e'  la  prima disposizione del titolo organizzazione e
disciplina  del  mercato  del lavoro. Il comma 2 di tale disposizione
statuisce,  nella  sua  parte  iniziale,  che  restano  «ferme ... le
competenze  delle  regioni in materia di regolazione e organizzazione
del  mercato  del  lavoro  regionale»:  ma  in realta', la successiva
disciplina  delle  autorizzazioni (artt. 4, 5 e 6) rende evidente che
la  clausola di salvaguardia di cui all'art. 3, comma 2, ha carattere
di mera formula di stile.
    Del   resto,  lo  stesso  comma  in  cui  la  presunta  norma  di
salvaguardia e' contenuta provvede poi a smentirla, disponendo subito
dopo  che,  «per  realizzare  l'obiettivo di cui al comma 1: a) viene
identificato  un  unico  regime  di autorizzazione per i soggetti che
svolgono  attivita'  di  somministrazione di lavoro, intermediazione,
ricerca  e  selezione  del  personale,  supporto  alla ricollocazione
professionale;  ... c) vengono identificate le forme di coordinamento
e  raccordo  tra  gli  operatori,  pubblici  o privati, al fine di un
migliore funzionamento del mercato del lavoro».
    Queste  norme  rivelano che scopo del legislatore delegato non e'
dettare  principi  fondamentali (in materia di tutela del lavoro), in
vista   della   successiva   attuazione  regionale,  ma  dettare  una
disciplina completa, che «identifichi» il regime di autorizzazione e,
addirittura,  le  forme  di  coordinamento  di  cui  sopra:  cio' che
rappresenta   ad  avviso  della  ricorrente  regione  una  violazione
dell'art. 117, comma 3, Cost.
    La   lettera   c),   inoltre,   viola   l'art. 76  (e  di  nuovo,
indirettamente,  l'art. 117,  comma  3), in quanto l'art. 1, comma 2,
lett.  f) della legge n. 30/2003 prevedeva non l'«identificazione» ma
l'«incentivazione   delle  forme  di  coordinamento  e  raccordo  tra
operatori  privati  e  operatori  pubblici  ...  nel  rispetto  delle
competenze delle regioni e delle province».
    2.  - Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera
e),  dell'art. 4,  commi  da  1  a  6,  per  violazione dell'art. 76,
dell'art. 117, commi 3, 4 e 6, e dell'art. 118, commi 1 e 2, Cost., e
del  principio di leale collaborazione. Illegittimita' costituzionale
dell'art. 6,   comma   6,   nella  parte  in  cui  limita  il  potere
autorizzatorio   regionale   alle  attivita'  svolte»  con  esclusivo
riferimento al proprio territorio».
    L'art. 2  reca  definizioni  dei  vari  istituti  che  vengono in
rilievo  ai  fini  del  decreto  legislativo.  La  lett. e) definisce
«autorizzazione»  come  il  «provvedimento mediante il quale lo Stato
abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati «agenzie
per  il lavoro», allo svolgimento delle attivita' di cui alle lettere
da a) a d)».
    L'art. 4  disciplina  le  autorizzazioni  delle  agenzie  per  il
lavoro.  I  commi  1,  2,  3,  4 e 6 contengono norme di dettaglio in
materia  di  tutela del lavoro e di formazione (dato che le attivita'
autorizzate  comprendono  anche  la  formazione:  v. l'art. 2, d.lgs.
n. 276/2003), e percio' violano l'art. 117, commi 3 e 4, Cost.
    Il comma 5, secondo cui «Il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali,  con  decreto  da  emanare entro trenta giorni dalla data di
entrata  in  vigore  del  presente decreto legislativo, stabilisce le
modalita'  della  presentazione  della richiesta di autorizzazione di
cui  al  comma  2,  i  criteri per la verifica del corretto andamento
della   attivita'   svolta  cui  e'  subordinato  il  rilascio  della
autorizzazione  a  tempo  indeterminato,  i criteri e le modalita' di
revoca della autorizzazione, nonche' ogni altro profilo relativo alla
organizzazione,  e  alle  modalita'  di funzionamento dell'albo delle
agenzie  per  il  lavoro»,  prevede un potere statale sostanzialmente
regolamentare,  in  violazione  dell'art. 117, comma 6, Cost. Che per
determinare  il  carattere  normativo  di  un  atto  debba  usarsi un
criterio  «sostanziale»  sembra evidente - pena la vanificazione o il
facile  aggiramento  della  norma  costituzionale  -  ed  e' comunque
confermato  dalla  sent.  di codesta Corte costituzionale n. 88/2003,
punto  3 del Diritto, che lo ha espressamente utilizzato. Comunque la
disposizione  viola  anche  l'art. 117,  comma  3, perche' rimette al
Ministro  di  dettare  una  disciplina  sicuramente  di dettaglio, di
competenza regionale.
    Inoltre, la previsione di poteri regolamentari ministeriali viola
l'art. 76,  perche'  essi  non  sono  specificamente  previsti  dalla
delega.  Il Parlamento ha delegato un potere legislativo al Governo e
questo non puo' a sua volta delegare un potere normativo attuativo ad
un  ministro  delegata  potestas non potest delegari. In questo modo,
fra  l'altro,  si  elude il principio per cui il potere regolamentare
dei  ministri  richiede  una specifica base legislativa e si consente
l'elusione  del termine fissato per la delega. Il vizio si traduce in
lesione  delle  prerogative  delle  regioni,  che  sono  costrette ad
esercitare le proprie competenze in un quadro incostituzionale.
    Infine, l'art. 4, commi 1 e 2, dando seguito all'art. 2, comma 1,
lett. e), attribuisce al Ministero del lavoro funzioni amministrative
(di  tenuta  dell'albo  delle  agenzie  per  il  lavoro e di rilascio
dell'autorizzazione).  Nelle materie di cui all'art. 117, comma 3, lo
Stato,   come   noto,   dovrebbe   limitarsi  a  dettare  i  principi
fondamentali,  lasciando  alle  regioni  la disciplina di dettaglio e
l'allocazione  delle  funzioni  amministrative, salvo che le esigenze
unitarie  impongano di trattenere al livello centrale alcune funzioni
(nel  qual  caso  la  Corte  ha  ammesso  anche  norme  di  dettaglio
cedevoli):   con  la  precisazione  che  la  deroga  alla  competenza
legislativa  regionale  puo'  giustificarsi  «solo  se la valutazione
dell'interesse   pubblico   sottostante  all'assunzione  di  funzioni
regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta
da   irragionevolezza  alla  stregua  di  uno  scrutinio  stretto  di
costituzionalita',  e  sia  oggetto  di  un  accordo stipulato con la
regione  interessata»,  e  che  «l'esigenza di esercizio unitario che
consente  di  attrarre,  insieme  alla funzione amministrativa, anche
quella   legislativa,   puo'   aspirare   a  superare  il  vaglio  di
legittimita'  costituzionale  solo  in presenza di una disciplina che
prefiguri  un  iter  in  cui  assumano il dovuto risalto le attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono  essere  condotte  in  base  al  principio  di  lealta» (sent.
n. 303/2003, punto 2.2 del Diritto).
    Pare  evidente  che  non esistono esigenze unitarie che impongano
una   gestione   centralizzata   delle   funzioni  amministrative  in
questione,  dato  che  la verifica dell'esistenza dei requisiti delle
agenzie  (che,  tra l'altro, costituisce attivita' di puro riscontro,
dei  parametri  di legge) e la tenuta dell'albo possono essere svolte
adeguatamente  dalle  regioni  (o,  eventualmente,  dagli enti locali
individuati  dalle  regioni),  nel rispetto dei principi fondamentali
statali  e  delle  proprie  norme  di  dettaglio.  Al  contrario,  la
necessita'  di  rivolgersi al centro per ottenere l'autorizzazione di
cui all'art. 4 costituisce una inutile complicazione per le agenzie.
    Ne'   puo'   essere   obbiettato   che   la   competenza  statale
all'autorizzazione  sia  resa  necessaria  dal  fatto  che essa debba
valere   per   l'intero   territorio  nazionale,  dato  che  e'  anzi
caratteristico  dei sistemi decentrati che i provvedimenti assunti da
ciascuno  degli  enti  territoriali competenti sia riconosciuto dagli
altri  come  se  fosse  proprio:  e,  del resto, proprio a cio' serve
l'opera  unificatrice  delle  regole  che  lo Stato compie dettando i
principi fondamentali.
    Tra  i  principi  fondamentali di un sistema decentrato vi e', in
primo  luogo,  quello  della validita' nazionale delle autorizzazioni
concesse.  Si  tratta  d'altronde di un principio che non ha nulla di
speciale,  ed  opera  gia'  nell'ordinamento  in  una  pluralita'  di
situazioni,  sia  nel  sistema  regionale  (si  pensi  ai  titoli  di
formazione  professionale)  sia  al  di fuori di esso: nessuno ha mai
supposto,  ad  esempio,  che  la  patente  di guida rilasciata da una
autorita'  locale  non valga percio' al di fuori della circoscrizione
di questa.
    Dunque,   le   norme  in  questione  violano  sia  la  competenza
legislativa  regionale  ad  allocare le funzioni amministrative (art.
118,  comma  2),  sia il principio di sussidiarieta' (art. 118, comma
1).
    Comunque, se anche si ritenesse esistente un'esigenza unitaria, i
commi  1  e  2 dell'art. 4 sarebbero comunque illegittimi, in base ai
principi  di  cui alla sent. n. 303/2003, perche' le regioni non sono
chiamate  a  dare  l'intesa nel momento dell'esercizio della funzione
amministrativa.
    Si  noti  fra  l'altro che, se e' vero che nel precedente assetto
costituzionale  l'art. 10, d.lgs. n. 469/1997 prevedeva la competenza
ministeriale  all'autorizzazione (e all'accreditamento), tuttavia era
contemplato   un   parere   regionale  (comma  5):  l'art. 4,  d.lgs.
n. 276/2003, invece, paradossalmente vorrebbe estromettere le regioni
proprio  quando  esse  hanno  una riconosciuta ed espressa competenza
costituzionale   in  una  materia.  Si  noti  che  la  lesione  della
competenza  regionale  non viene certo meno per il fatto che - tranne
per quanto riguarda l'attivita' di somministrazione - l'art. 6, comma
6,  prevede che «l'autorizzazione allo svolgimento delle attivita' di
cui  all'art.  2,  comma 1  lettere  b), c), d), puo' essere concessa
dalle  regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al
proprio  territorio  e  previo  accertamento  della  sussistenza  dei
requisiti  di  cui agli artt. 4 e 5, fatta eccezione per il requisito
di  cui  all'art.  5,  comma  4, lettera b)», cioe' del requisito che
«l'attivita'  interessi  un ambito distribuito sull'intero territorio
nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni».
    Infatti,   l'art. 6,   comma  6,  attribuisce  alle  regioni  una
competenza autorizzatoria non solo limitata nell'oggetto (riferendosi
alle  attivita' di intermediazione, ricerca e selezione del personale
e   supporto   alla  ricollocazione  professionale),  ma  soprattutto
limitata  in relazione ai soggetti autorizzabili, che sono i soggetti
che operino esclusivamente sul territorio regionale.
    Inoltre, la norma e' del tutto irragionevole in quanto le regioni
non  potrebbero autorizzare anche agenzie che, in ipotesi, ricerchino
in loco personale per un'impresa avente sede in altra regione: ma non
si  vede  quale  sia  l'esigenza  unitaria  che  rende  necessaria la
competenza  statale per autorizzare agenzie che, come e' naturale per
il  tipo  di attivita' svolta, collaborino con soggetti situati anche
in  altre  regioni. Essa e' irragionevole anche perche', tenuto conto
dell'art. 5,  comma  4,  lett.  b),  sembra  esserci un «vuoto» nella
disciplina  statale, nel senso che, se una agenzia volesse operare in
due  regioni,  non  vi  potrebbe  essere  autorizzazione  statale ne'
regionale.
    Tale  previsione  e'  comunque  il  complemento  dell'altra,  qui
contestata,  che  riserva allo Stato le autorizzazioni «generali». Ed
anzi,  il  limitato  riconoscimento della competenza regionale mostra
piu' concretamente l'illegittimita' e l'irrazionalita' della maggiore
competenza statale.
    Ne  risulta  evidente,  infatti, che ai fini della autorizzazione
locale  le  regioni  procedono  alla verifica degli stessi requisiti:
sicche'  l'esistenza  di  piu'  apparati amministrativi dello Stato e
delle regioni risulta completamente duplicativa e smentisce qualunque
profilo «unitario» dell'attivita' statale.
    La  distinzione  tra  le autorizzazioni «nazionali» di competenza
statale    e    quelle    «locali»   di   competenza   regionale   e'
costituzionalmente  illegittima, ma sia consentito di osservare anche
che essa traduce una concezione arcaica dell'organizzazione pubblica,
superata  nella  Costituzione  sia dal principio di sussidiarieta' di
cui  all'art. 118 che dal principio di articolazione della Repubblica
di cui all'art. 114 della Costituzione.
    Nelle materie concorrenti e residuali l'amministrazione regionale
non  e' l'amministrazione di cio' che interessa solo alla regione, ma
e'  l'amministrazione  della Repubblica in tale materia. L'attrazione
al  centro  di  tale  amministrazione  non  e'  ammessa  se  non  per
attivita', che debbano essere svolte unitariamente, alle condizioni e
con  le  cautele di cui alla sentenza di codesta Corte costituzionale
n. 303 del 2003. Ma e' evidente che in questo caso, al centro, non si
farebbe  che  verificare  domande proposte da enti che hanno una sede
locale,   in   relazione   all'esistenza   di   requisiti   oggettivi
verificabili  esattamente allo stesso modo da un ufficio statale e da
un  ufficio  regionale.  Ne  risulta  che anche l'art. 6, comma 6, e'
affetto da illegittimita' costituzionale nella parte in cui limita il
potere  autorizzatorio regionale alle attivita' svolte «con esclusivo
riferimento al proprio territorio».
    Per  completezza  si  osserva  che  tutte le norme sopra indicate
violano  anche l'art. 76, dato che la legge n. 30/2003 aveva delegato
il  Governo  a  dettare «principi fondamentali» (art. 1, comma 1) nel
«rispetto  delle  competenze  previste  dalla legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3» (comma 2, lett. b), n. 1).
    3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, 2, 3, 4,
5,  7  e  8  per  violazione  degli  artt.  3,  97,  117  e 118 della
Costituzione.
    L'art. 6 disciplina regimi particolari di autorizzazione.
    Il  comma  1 dispone che «sono autorizzate allo svolgimento della
attivita'  di  intermediazione  le  universita'  pubbliche e private,
comprese  le  fondazioni  universitarie che hanno come oggetto l'alta
formazione  con  specifico riferimento alle problematiche del mercato
del  lavoro,  a  condizione  che svolgano la predetta attivita' senza
finalita'  di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione
alla  borsa  continua  nazionale  del lavoro, nonche' l'invio di ogni
informazione  relativa  al  funzionamento  del  mercato del lavoro ai
sensi di quanto disposto al successivo art. 17». Similmente, il comma
3  prevede  che  «sono  altresi'  autorizzate  allo svolgimento della
attivita'  di  intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e
dei  prestatori  di  lavoro comparativamente piu' rappresentative che
siano  firmatarie  di  contratti  collettivi  nazionali di lavoro, le
associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza
nazionale  e  aventi  come  oggetto  sociale la tutela e l'assistenza
delle  attivita'  imprenditoriali,  del lavoro o delle disabilita', e
gli  enti bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di
cui alle lettere c), d), e), f), g), di cui all'art. 5, comma 1».
    Tali  norme  sembrano  autorizzare  direttamente allo svolgimento
dell'attivita' di intermediazione i soggetti da esse indicati. Questa
interpretazione e' suggerita anche dal fatto che, in base al comma 2,
«sono  altresi'  autorizzati  allo  svolgimento  della  attivita'  di
intermediazione,  secondo  le procedure di cui all'art. 4 o di cui al
comma  6  del  presente articolo, i comuni, le camere di commmercio e
gli  istituti  di  scuola  secondaria  di  secondo  grado,  statali e
paritari,  a  condizione  che  svolgano  la  predetta attivita' senza
finalita'  di  lucro  e  che siano rispettati i requisiti di cui alle
lettere c), f) e g), di cui all'art. 5, comma 1». Il comma 2, dunque,
a  differenza  dei commi 1 e 3, richiama espressamente le norme sulle
procedure   autorizzatorie,   per  cui  esso  di  certo  non  dispone
un'autorizzazione ope legis.
    Un  regime  ancora diverso pare delineato dal comma 4, secondo il
quale  «l'ordine  nazionale  dei  consulenti del lavoro puo' chiedere
l'iscrizione  all'albo di cui all'art. 4 di una apposita fondazione o
di   altro   soggetto  giuridico  dotato  di  personalita'  giuridica
costituito  nell'ambito  del  Consiglio  nazionale dei consulenti del
lavoro  per  lo  svolgimento  a  livello  nazionale  di  attivita' di
intermediazione».  La disposizione afferma altresi' che «l'iscrizione
e'  subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d),
e),  f),  g) di cui all'art. 5, comma 1». Ma la norma, che prevede la
domanda   di   iscrizione   all'albo,   non  parla  espressamente  di
un'autorizzazione.
    I   commi   1   e   3,  qualora  intesi  nel  senso  di  disporre
un'autorizzazione  ope  legis,  sono illegittimi, in primo luogo, per
violazione  degli  artt. 3  e  97  Cost., in quanto: non e' chiara la
ragione   per   cui   i   soggetti  ivi  indicati  siano  autorizzati
direttamente  a  svolgere  attivita'  diverse  da quelle che svolgono
abitualmente  (nel  caso  delle  universita',  questo e' evidente; ma
anche i sindacati si occupano istituzionalmente di rapporti di lavoro
gia'  costituiti e non d'intermediazione); agli stessi soggetti viene
irragionevolmente data un'autorizzazione generale, apparentemente non
limitata  ai  settori  in cui essi operano o alla loro circoscrizione
territoriale di competenza o, nel caso delle universita', agli utenti
di  esse;  ne'  sono  previsti controlli dei requisiti richiesti. Non
essendovi strumenti amministrativi di autorizzazione, eventuali abusi
o irregolarita' resterebbero privi di sanzione.
    Il  vizio  si traduce in lesione delle prerogative delle regioni,
che sono costrette ad esercitare le proprie competenze legislative ed
amministrative in un quadro incostituzionale.
    Inoltre le disposizioni in questione hanno contenuto dettagliato,
anzi   si  configurano  come  disposizioni-provvedimento  (benche'  i
destinatari   non  siano  specificamente  indicati),  con  violazione
dell'art. 117,  commi  3  e  4  (dato che l'intermediazione comprende
attivita'  formative).  Infine,  esse  violano  l'art. 118, in quanto
funzioni  sostanzialmente  amministrative vengono svolte al centro in
assenza di esigenze unitarie.
    L'art. 6,  comma 2, che riguarda i comuni, le camere di commercio
e  le  scuole,  anche paritarie, e' illegittimo innanzi tutto perche'
richiama  le procedure di cui all'art. 4 ed all'art. 6, comma 6, gia'
censurati  per  i  motivi  sopra illustrati. La norma viola anche gli
artt.  3  (principio  di  ragionevolezza)  e 97 Cost. perche' prevede
un'autorizzazione generale, apparentemente non limitata ai settori in
cui  i  soggetti  operano  alla  loro  circoscrizione territoriale di
competenza  o,  nel caso delle scuole, agli utenti di esse, e perche'
non  richiede  il  possesso del requisito di cui all'art. 5, comma 1,
lettera d).
    Il  vizio  si traduce in lesione delle prerogative delle regioni,
che sono costrette ad esercitare le proprie competenze legislative ed
amministrative in un quadro incostituzionale.
    L'art. 6,  comma  4 e 5, sono illegittimi in quanto richiamano la
procedura di cui all'art. 4 ed in quanto hanno carattere dettagliato.
    L'art. 6,  comma  7,  illegittimo  in  quanto  disciplina in modo
puntuale la procedura del rilascio dell'autorizzazione da parte della
regione, in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4. L'art. 6, comma 8,
viola   l'art. 117,   comma   6,  Cost.  perche'  prevede  un  potere
ministeriale  sostanzialmente  regolamentare (seppur da esercitare su
intesa   della   Conferenza   unificata)  in  materia  di  competenza
regionale,  al  fine  di definire «le modalita' di costituzione della
apposita  sezione  regionale  dell'albo  di cui all'art. 4, comma 1 e
delle  procedure  ad essa connesse». Inoltre, la previsione di poteri
regolamentari  ministeriali  viola  l'art. 76,  perche' essi non sono
specificamente  previsti  dalla delega: su cio' si puo' rinviare alle
considerazioni svolte in relazione all'art. 4, comma 5.
    4)  Illegittimita'  costituzionale dell'art. 12, commi 3 e 5, per
violazione  degli  artt. 117  e  118  Cost.  e del principio di leale
collaborazione.
    L'art. 12  pone l'obbligo, a carico dei soggetti autorizzati alla
somministrazione di lavoro, di «versare ai fondi di cui al comma 4 un
contributo  pari  al  4  per  cento della retribuzione corrisposta ai
lavoratori  assunti con contratto a tempo determinato per l'esercizio
di attivita' di somministrazione». Le risorse sono destinate a favore
dei  lavoratori  stessi,  in  particolare per «promuovere percorsi di
qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuita' di
occasioni  di  impiego e ... prevedere specifiche misure di carattere
previdenziale» (comma 1).
    Inoltre,  i  soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro
sono  tenuti a «versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari
al  4  per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti
con   contratto   a  tempo  indeterminato»,  al  fine  di  «garantire
l'integrazione  del  reddito  dei  lavoratori assunti con contratto a
tempo   indeterminato   in  caso  di  fine  lavori»,  di  «verificare
l'utilizzo  della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche
in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di
contrasto  agli  appalti  illeciti»,  di favorire «l'inserimento o il
reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche
in  regime di accreditamento con le regioni», di promuovere «percorsi
di qualificazione e riqualificazione professionale» (comma 2).
    Come  si  vede,  in  pratica  tutte  le iniziative contemplate da
queste  disposizioni attengono alle materie della tutela del lavoro e
della  formazione  professionale  (a  parte  le  «misure di carattere
previdenziale»  di cui al comma 1). I commi 1 e 2 non formano oggetto
del presente ricorso.
    In base al comma 3, «gli interventi e le misure di cui ai commi 1
e  2  sono  attuati  nel  quadro di politiche stabilite nel contratto
collettivo  nazionale  delle  imprese  di  somministrazione di lavoro
ovvero,  in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datoti di lavoro
e  dei prestatori di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto
ambito».
    Il  comma  3 viola, dunque, l'art. 118 Cost., essendo illegittima
la previsione della competenza (sussidiaria) del Ministero (comma 3),
non  sussistendo  esigenze  unitarie  e  mancando  comunque qualsiasi
coinvolgimento   delle   regioni:   il   che,  fra  l'altro,  implica
l'impossibilita' di un raccordo con la programmazione regionale delle
attivita' formative.
    Il  comma  5  dell'art. 12 prevede che «i fondi di cui al comma 4
sono  attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e
delle  politiche  sociali, previa verifica della congruita', rispetto
alle  finalita' istituzionali previste ai commi 1 e 2, dei criteri di
gestione  e  delle  strutture  di funzionamento del fondo stesso, con
particolare  riferimento  alla sostenibilita' finanziaria complessiva
del sistema, e attribuisce al Ministero del lavoro anche il potere di
«vigilanza sulla gestione dei fondi».
    Anche tale disposizione viola l'art. 118 Cost. ed il principio di
leale  collaborazione,  mancando  esigenze  unitarie a fondamento dei
poteri  statali  e, comunque, mancando qualsiasi coinvolgimento delle
regioni.
    5. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 13, commi 1 e 6, per
violazione degli artt. 3, 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 13  si  intitola  misure  di  incentivazione  del raccordo
pubblico  e  privato,  in  questo modo richiamando l'art. 1, comma 2,
lett. f) della legge delega. In realta', tuttavia, il contenuto della
disposizione  attiene  all'inserimento  dei lavoratori «svantaggiati»
nel  mercato  del  lavoro, cioe' alle materie della tutela del lavoro
(art. 117, comma 3), della formazione professionale e delle politiche
sociali (art. 117, comma 4).
    L'art.  13,  comma  1,  stabilisce  che,  «al  fine  di garantire
l'inserimento   o   il  reinserimento  nel  mercato  del  lavoro  dei
lavoratori  svantaggiati,  attraverso politiche attive e di workfare,
alle   agenzie   autorizzate   alla  somministrazione  di  lavoro  e'
consentito:   a)   operare   in   deroga  al  regime  generale  della
somministrazione  di  lavoro,  ai  sensi del comma 2 dell'art. 23, ma
solo   in   presenza   di  un  piano  individuale  di  inserimento  o
reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei
e   il   coinvolgimento  di  un  tutore  con  adeguate  competenze  e
professionalita',  e  a  fronte  della  assunzione del lavoratore, da
parte  delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto
di  durata  non  inferiore  a  sei  mesi»  (l'art. 23  prevede che «i
lavoratori   dipendenti   dal  somministratore  hanno  diritto  a  un
trattamento  economico  e  normativo complessivamente non inferiore a
quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parita' di
mansioni  svolte»  (comma 1), e che tuttavia questa disposizione «non
trova  applicazione  con riferimento ai contratti di somministrazione
conclusi  da  soggetti  privati  autorizzati nell'ambito di specifici
programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale
erogati,  a  favore  dei  lavoratori  svantaggiati,  in  concorso con
regioni,  province  ed  enti  locali  ai  sensi  e  nei limiti di cui
all'art. 13»).
    Dunque, l'art. 13 da' la possibilita' di attribuire ai lavoratori
«svantaggiati»  un  trattamento  economico  e  normativo deteriore, a
parita'  di  mansioni e di livello, rispetto ai lavoratori dipendenti
dall'utilizzatore, qualora ci siano i presupposti di cui al comma 1.
    Il  comma  2,  poi,  prevede  la  decadenza  dai  trattamenti  di
mobilita'  e  disoccupazione  a  carico del lavoratore, «destinatario
delle  attivita' di cui al comma 1», che rifiuti «di essere avviato a
un progetto individuale di reinserimento» o «non accetti l'offerta di
un  lavoro  inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20
per  cento  rispetto a quello delle mansioni di provenienza», purche'
«le  attivita' lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano
congrue  rispetto  alle  competenze  e alle qualifiche del lavoratore
stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi
pubblici  da quello della sua residenza» (comma 3). Ancora, i commi 4
e   5   disciplinano   la  procedura  di  decadenza  dai  trattamenti
previdenziali  (comprendente  la  possibilita'  di  un  ricorso  alle
direzioni provinciali del lavoro).
    Il  comma  6  da'  atto  della  competenza  regionale in materia,
stabilendo  che,  «fino  alla  data  di  entrata  in  vigore di norme
regionali  che  disciplinino  la  materia,  le disposizioni di cui al
comma  1  si  applicano solo in presenza di una convenzione tra una o
piu'  agenzie  autorizzate  alla  somministrazione  di  lavoro, anche
attraverso  le  associazioni  di rappresentanza e con l'ausilio delle
agenzie  tecniche  strumentali  del  Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche sociali, e i comuni, le province o le regioni stesse».
    Dunque,  dallo  stesso  art. 13  risulta confermata la competenza
regionale  nella materia dell'inserimento lavorativo dei disabili. Si
tratta  di  una competenza in parte piena (formazione professionale e
politiche sociali) ed in parte concorrente (tutela del lavoro).
    Il   comma  1,  anziche'  limitarsi  alla  determinazione  di  un
principio,   detta   norme  operative  di  dettaglio  in  materie  di
competenza regionale. Ora, come si e' visto, codesta Corte ha ammesso
una  transitoria  normativa  statale  di  dettaglio  solo  in caso di
attrazione  al  centro  di funzioni amministrative ex art. 118 Cost.:
situazione  che  non  viene  qui  certo  in  considerazione.  Ne'  la
competenza regionale e' tutelata, in attesa delle norme regionali, da
quanto  previsto del comma 6, visto che le convenzioni possono essere
concluse  anche  con comuni e province. Dunque, i commi 1 e 6 violano
l'art. 117, commi 3 e 4, Cost. Inoltre, l'art. 13, commi 1 e 6, viola
l'art. 76,  perche'  non trova supporto nella delega (l'art. 1, comma
2,  lett.  m),  n. 5,  non  fa  eccezione per i disabili), e l'art. 3
(commi  1  e  2),  in  quanto  prevede  un  trattamento deteriore dei
lavoratori   svantaggiati   a   fronte  di  «piani  di  inserimento»,
«interventi  formativi»  e  «tutori»:  e  la  realta'  ha  ampiamente
insegnato  che  una  situazione  di  questo tipo si tradurrebbe in un
lavoro  sottopagato a parita' di livello e di mansioni. In pratica, i
lavoratori  che dovrebbero ricevere maggiore tutela vengono costretti
ad  accettare un trattamento deteriore rispetto agli altri lavoratori
dietro  l'alibi  dei «piani di inserimento». Del tutto diversa era la
logica  della legge n. 68/1999, che tutelava il diritto al lavoro dei
disabili attraverso agevolazioni ai datori di lavoro.
    Questi  vizi  si  traducono in lesione delle competenze regionali
perche'  costringono  la  regione ad esercitare le proprie competenze
legislative ed amministrative in un quadro incostituzionale.
    6. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, commi 1 e 2, per
violazione degli artt. 76, 117 e 118 Cost.
    Anche  l'art. 14 riguarda l'inserimento lavorativo dei lavoratori
svantaggiati.  Esso  prevede  che,  al fine di favorire l'inserimento
lavorativo  dei  lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, i
servizi  di  cui  all'art.  6,  comma 1,  della  legge 12 marzo 1999,
n. 68, ...  stipulano  con  le  associazioni  sindacali dei datori di
lavoro   e   dei   prestatori   di   lavoro   comparativamente   piu'
rappresentative   a  livello  nazionale  e  con  le  associazioni  di
rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative di cui all'art.
1,  comma  1,  lettera  b),  della legge 8 novembre 1991, n. 381, ...
convenzioni quadro su base territoriale che devono essere validate da
parte  delle  regioni,  ...  aventi  ad  oggetto  il  conferimento di
commesse  di  lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle
imprese associate o aderenti» (comma 1). I servizi di cui all'art. 6,
legge  n. 68/1999  sono  «gli  organismi individuati dalle regioni ai
sensi  dell'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469».
Il  comma  2  indica gli aspetti che devono essere disciplinati dalla
«convenzione quadro».
    Dunque, i commi 1 e 2 intervengono nelle materie della tutela del
lavoro  e  delle  politiche  sociali,  dettando  norme di dettaglio e
rinviando,  per  il  completamento della disciplina, alle convenzioni
quadro.  Alle  regioni  non resta alcuno spazio per l'esercizio della
potesta'  legislativa  in  materia, potendo esse solo concorrere alla
formazione  delle convenzioni. Cio' implica violazione dell'art. 117,
commi 3 e 4.
    Inoltre,  la  disciplina in questione eccede la delega attribuita
al Governo, in violazione dell'art. 76 Cost.
    7)  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 22,  comma  6,  per
violazione degli artt. 3, 4, 76, 117 e 118 Cost.
    L'art. 22  riguarda  la disciplina del rapporto di lavoro in caso
di  somministrazione.  In  particolare, il comma 6 stabilisce che «la
disciplina  in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui
all'art. 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non
si applicano in caso di somministrazione.».
    Dunque,  i lavoratori somministrati non vengono computati ai fini
dell'obbligo  di assunzione di una percentuale di disabili sul totale
dei dipendenti; cio' costituisce una grave ed irragionevole deroga ad
un  principio fondamentale statale in materia di competenza regionale
(tutela del lavoro e politiche sociali).
    L'art. 22,  comma  6, diminuisce la tutela offerta alla categoria
dei  disabili,  e la gravita' di questa menomazione risulta chiara se
si pensa al carattere di stabilita' che connota la somministrazione a
tempo  indeterminato.  Manca,  inoltre,  un fondamento nella legge di
delega.  Questa norma, dunque, viola gli artt. 3, commi 1 e 2, 4 e 76
Cost., il che si ripercuote in violazione dell'art. 117, commi 3 e 4,
Cost.,  in  quanto  l'irragionevole  deroga  al  principio condiziona
inevitabilmente ed illegittimamente la legislazione regionale.
    8.  -  Illegittimita' costituzionale degli artt. 48, comma 4, 49,
comma   5,   e  50,  comma  3,  per  violazione  dell'art. 117  della
costituzione.
    Il  titolo VI del d.lgs. n. 276/2003 disciplina l'apprendistato e
contratto di inserimento.
    L'art. 47   prevede   tre   tipologie   di  apprendistato,  cosi'
descritte:  «a)  contratto  di  apprendistato  per l'espletamento del
diritto-dovere   di   istruzione   e   formazione;  b)  contratto  di
apprendistato   professionalizzante   per  il  conseguimento  di  una
qualificazione   attraverso   una   formazione   sul   lavoro   e  un
apprendimento  tecnico-professionale;  c)  contratto di apprendistato
per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione».
    L'art. 48  disciplina  il primo tipo di apprendistato. Il comma 4
stabilisce   che   «la   regolamentazione   dei   profili   formativi
dell'apprendistato   per   l'espletamento   del   diritto-dovere   di
istruzione  e  formazione  e'  rimessa  alle  regioni e alle province
autonome  di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del lavoro e
delle    politiche   sociali   e   del   Ministero   dell'istruzione,
dell'universita'  e della ricerca, sentite le associazioni dei datori
di   lavoro   e   dei  prestatori  di  lavoro  comparativamente  piu'
rappresentative  sul  piano  nazionale,  nel  rispetto  dei  seguenti
criteri e principi direttivi ... c) rinvio ai contratti collettivi di
lavoro  stipulati  a  livello  nazionale, territoriale o aziendale da
associazioni  dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative  per  la determinazione, anche all'interno degli enti
bilaterali,  delle modalita' di erogazione della formazione aziendale
nel   rispetto   degli   standard   generali  fissati  dalle  regioni
competenti».
    La    disposizione    interviene   in   materia   di   formazione
professionale,  espressamente eccettuata dalla competenza concorrente
in   materia   di  istruzione,  e  devoluta  alle  regioni  ai  sensi
dell'art. 117,  comma  4, Cost. Essa risulta percio' illegittima, sia
in  quanto  detta  principi  vincolanti  per le regioni in materia di
piena  competenza  regionale  (non ravvisandosi titoli costituzionali
specifici che giustifichino l'intervento statale) sia perche' vincola
l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale all'intesa con i
ministeri.  Quest'ultima  norma  sarebbe  poi illegittima anche se si
riconducesse  la materia all'art. 117, comma 3. Infatti, il vincolare
la   legge   ad  intese  con  soggetti  terzi  stravolge  i  principi
sull'esercizio della funzione legislativa, che appartiene agli organi
rappresentativi  e non puo' essere condizionata ad assensi esterni se
non vi e' una espressa disposizione costituzionale.
    Inoltre,  e'  in  particolare illegittimo il criterio di cui alla
lett. c), sopra citata, che vorrebbe limitare la potesta' legislativa
regionale al compito di dettare standard. Al contrario, spetta semmai
alla  legge  regionale  di  definire  lo  spazio  che in ipotesi essa
intenda  affidare alle parti sociali, in applicazione di un principio
di sussidiarieta' orizzontale.
    L'art. 49  e'  dedicato all'apprendistato professionalizzante. In
base   al   comma  5,  «la  regolamentazione  dei  profili  formativi
dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle
province  autonome  di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni
dei   datori   e   prestatori   di   lavoro   comparativamente   piu'
rappresentative  sul  piano  regionale  e  nel  rispetto dei seguenti
criteri  e principi direttivi ... b)rinvio ai contratti collettivi di
lavoro  stipulati  a  livello  nazionale, territoriale o aziendale da
associazioni  dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative  per  la determinazione, anche all'interno degli enti
bilaterali, delle modalita' di erogazione e della articolazione della
formazione».
    Dunque,  si  tratta  di  una  disciplina  simile  a quella di cui
all'art.  48:  cambiano i soggetti chiamati all'intesa con le regioni
ma  restano  i  profili  di illegittimita' sopra illustrati (anzi, il
rinvio  ai  contratti  collettivi  non implica piu' il rispetto degli
standard generali fissati dalle regioni), ai quali si puo' rinviare.
    L'art. 50  disciplina  l'apprendistato  per  l'acquisizione di un
diploma  o  per  percorsi  di alta formazione. Il comma 3, secondo il
quale,  «ferme  restando  le intese vigenti, la regolamentazione e la
durata  dell'apprendistato  per  l'acquisizione  di  un diploma o per
percorsi  di  alta  formazione  e'  rimessa  alle regioni, per i soli
profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali  dei  datori  di  lavoro  e dei prestatori di lavoro, le
universita'  e  le altre istituzioni formative», detta una disciplina
simile a quelle appena esposte (pur nella corretta - in questo caso -
fissazione  di  vincoli di contenuto) in quanto subordina la potesta'
legislativa  regionale  alla  volonta' di altri enti che non vi hanno
titolo  costituzionale:  per  cui  si  puo'  rinviare,  sotto  questo
profilo, alle argomentazioni relative all'art. 48, comma 4.
    9.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art. 51, comma 2, per
violazione dell'art. 11, comma 6, Cost.
    L'art. 51  disciplina  i crediti formativi. Il comma 2 stabilisce
che, «entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministero  dell'istruzione,  della  universita'  e  della  ricerca, e
previa  intesa  con  le  regioni  e le province autonome definisce le
modalita'  di riconoscimento dei crediti di cui al comma che precede,
nel  rispetto delle competenze delle regioni e province autonome e di
quanto     stabilito    nell'accordo    in    conferenza    unificata
Stato-regioni-autonomie locali del 18 febbraio 2000 e nel decreto del
Ministro del lavoro a della previdenza sociale del 31 maggio 2001».
    Dunque,  si  tratta della previsione di un potere sostanzialmente
regolamentare,  seppur da esercitare di intesa con le regioni. La sua
previsione percio' viola l'art. 117, comma 6, come gia' illustrato in
relazione  ad  altre  previsioni  del  genere (v., in particolare, il
motivo  n. 2),  sia che si riconduca la materia all'art. 117, comma 3
(istruzione),  sia  che  la  si  riconduca  al  comma  4  (formazione
professionale). Essa, inoltre, viola l'art. 76, non trovando supporto
nella delega (v. sempre il motivo n. 2).
    Puo' essere opportuno precisare che la presenza dell'intesa delle
regioni  non  elimina  l'illegittimita', dato che i principi definiti
dalla  sent.  n. 303/2003  valgono  per  l'esercizio  delle  funzioni
amministrative.  Invece,  le  esigenze  unitarie  che  riguardano  la
funzione  normativa  in  quanto  tale  sono  gia'  «codificate  dalla
Costituzione e vengono soddisfatte attraverso i principi fondamentali
di  cui al comma 3 e attraverso le competenze statali di cui al comma
2 dell'art. 117.
    10.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 60 per violazione
dell'art. 117, comma 4, Cost.
    L'art.  60  disciplina  i  tirocini  estivi  di  orientamento. La
disposizione  interviene  nel  dettaglio in una materia di competenza
regionale   piena   (formazione   professionale),   con   conseguente
violazione dell'art. 117, comma 4, Cost.
                              P. Q. M.
    La  regione  Emilia-Romagna,  come  sopra  rappresentata e difesa
chiede  voglia  codesta  eccc.ma  Corte  costituzionale accogliere il
ricorso, dichiarando l'illegittimita' del d.lgs. n. 276 del 2003, con
riferimento  alle seguenti disposizioni: art. 2, comma 1, lettera e);
art.  3,  comma 2, lettere a) e c); art. 4, commi da 1 a 6, e art. 6,
comma  6,  in parte qua; art. 6, commi 1, 2, 3, 4, 5, 7 e 8; art. 12,
commi  3  e  5; art. 13, commi 1 e 6; art. 14, commi 1 e 2; artt. 22,
comma  6;  art.  48 comma 4; art. 49, comma 5; art. 50, comma 3; art.
51, comma 2; art. 60, nei termini e per i motivi sopra esposti.
        Padova-Roma, addi' 5 dicembre 2003
          Prof. avv. Giandomenico Falcon - Avv. Luigi Manzi
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