N. 24 SENTENZA 13 - 20 gennaio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Ordinamento  giudiziario  - Applicazione dei magistrati presso uffici
  giudicanti  -  Proroga  o  sospensione  - Questione di legittimita'
  costituzionale - Riserva di separata decisione.
- R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 110, quinto comma.
Giudizio  a  quo  -  Vicende  che  lo  riguardano  -  Astensione  dei
  magistrati  del  collegio  giudicante - Incidenza sullo svolgimento
  del  processo costituzionale - Esclusione - Interesse generale alla
  risoluzione della prospettata questione - Esame nel merito.
Alte  cariche  dello  Stato - Presidente della Repubblica, Presidente
  del  Senato della Repubblica, Presidente della Camera dei deputati,
  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  Presidente  della Corte
  costituzionale  -  Processi penali nei loro confronti - Sospensione
  in  ogni  fase,  stato  o  grado, per qualsiasi reato - Automatismo
  generalizzato e senza limiti di durata della sospensione prevista -
  Sua incidenza sul principio di parita' di trattamento rispetto alla
  giurisdizione  e  sul diritto di difesa dell'imputato nonche' della
  parte  civile  -  Intrinseca  irragionevolezza  della  disciplina -
  Illegittimita' costituzionale - Assorbimento di altri profili.
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 2.
- Costituzione, artt. 3 e 24 (e artt. 68, 90, 96, 111, 112, 117, 138;
  legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, art. 3).
Alte  cariche  dello  Stato  -  Sottoposizione  a  processo  penale -
  Esclusione, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti
  l'assunzione  della  carica  o della funzione, fino alla cessazione
  delle    medesime    -   Illegittimita'   costituzionale   in   via
  consequenziale (ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 1.
Alte  cariche  dello  Stato  -  Sottoposizione  a  processo  penale -
  Esclusione  o  sospensione  ex  lege del processo - Sospensione del
  corso  della  prescrizione  -  Illegittimita' costituzionale in via
  consequenziale (ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
- Legge 20 giugno 2003, n. 140, art. 1, comma 3.
(GU n.1000 del 24-1-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE,  Ugo  DE  SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, in
relazione   al   comma 1,   della   legge   20   giugno 2003,  n. 140
(Disposizioni   per   l'attuazione  dell'art. 68  della  Costituzione
nonche'  in  materia  di  processi  penali  nei  confronti delle alte
cariche  dello  Stato), promosso con ordinanza del 30 giugno 2003 dal
Tribunale  di  Milano  nel  procedimento  penale  a  carico di Silvio
Berlusconi   iscritta   al  n. 633  del  registro  ordinanze  2003  e
pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, 1ª serie
speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti di costituzione di Silvio Berlusconi e della CIR
S.p.a.  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9 dicembre  2003  il  giudice
relatore Francesco Amirante;
    Uditi  gli  avvocati  Gaetano  Pecorella  e  Niccolo' Ghedini per
Silvio  Berlusconi,  Giuliano  Pisapia,  Alessandro  Pace  e  Roberto
Mastroianni  per la CIR S.p.a. e l'avvocato dello Stato Oscar Fiumara
per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Nel  corso  di un processo penale in cui e' imputato l'on.
Silvio  Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei ministri, il
Tribunale   di   Milano   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  agli artt. 3, 101, 112, 68, 90, 96,
24,  111 e 117 della Costituzione, dell'art. 1, comma 2, in relazione
al  comma 1,  della  legge  20  giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per
l'attuazione  dell'art. 68  della  Costituzione nonche' in materia di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
    Osserva  innanzitutto  il  giudice  a  quo  che  la  questione e'
rilevante  perche',  imponendo  la norma impugnata la sospensione del
processo  penale  in  corso a carico del Presidente del Consiglio, il
Tribunale  e'  tenuto  ad  applicare  tale norma e, in caso di dubbio
sulla   legittimita'   costituzionale  della  medesima,  a  sollevare
questione davanti a questa Corte.
    Cio'  posto,  il Tribunale rileva che occorre occuparsi sia della
previsione  generale del comma 1 sia di quella specifica del comma 2,
allo  scopo  di  valutare  la  natura  della  norma  impugnata. A tal
proposito,  il  Collegio  afferma  che la sospensione in esame non ha
nulla  a  che vedere con le altre ipotesi di sospensione del processo
penale  previste  nel  nostro  ordinamento  (normalmente riferibili a
situazioni  oggettive  di  carattere  endoprocessuale) che, anche nel
caso  in  cui  implichino  qualita'  personali dell'imputato (art. 71
cod.proc.pen.),   hanno  riguardo  ad  una  situazione  obiettiva  di
incapacita'  del  medesimo  a  stare in giudizio tale da impedirne la
cosciente partecipazione al procedimento. Ne', d'altra parte, possono
ravvisarsi  analogie  tra  la norma impugnata e il regime derogatorio
dell'assunzione  della  prova testimoniale dettato dall'art. 205 cod.
proc.  pen.  a  favore  dei  soggetti cui si riferisce l'art. 1 della
legge  n. 140  del 2003, poiche' la suddetta norma del codice di rito
si limita a stabilire un contemperamento degli interessi in gioco, ma
non  sottrae  i soggetti da essa contemplati ai doveri comuni a tutti
gli   altri   cittadini   rispetto   all'esercizio   della   funzione
giurisdizionale. La disposizione impugnata, invece, collegando la non
sottoposizione  a  processo  penale  e  la  connessa  sospensione dei
processi penali in corso all'assunzione ed alla durata della carica o
della  funzione, configura una ipotesi di non processabilita' che non
ha  nulla  a che vedere con cause e motivazioni endoprocessuali e che
si  atteggia,  quindi,  come  una  prerogativa in favore dei soggetti
chiamati a ricoprire le cinque piu' alte cariche dello Stato. Poiche'
tale  beneficio  incide sull'esercizio dell'azione penale - che e' da
intendere  non  solo  come  esplicazione  di  attivita' di indagine o
formulazione di un'accusa, bensi' anche come possibilita' di vagliare
nel    contraddittorio   processuale   la   fondatezza   dell'ipotesi
accusatoria  davanti  ad  un giudice terzo ed imparziale - il giudice
remittente  ravvisa  innanzitutto  una  violazione  del  principio di
eguaglianza   di   cui   all'art. 3   Cost.   e  dell'art. 112  della
Costituzione.
    Ne'  va  omesso  di  considerare  che il principio di eguaglianza
rientra   tra   i   principi  fondanti  della  Carta  costituzionale,
derogabile   solo   dalla   stessa   Costituzione   o  con  modifiche
costituzionali  adottate  ai  sensi dell'art. 138 Cost., come risulta
confermato  dal  fatto che tutte le prerogative riguardanti cariche o
funzioni   costituzionali  sono  regolate  da  fonti  di  tale  rango
(artt. 90,  96  e  68  Cost.  ed  art. 3  della  legge costituzionale
9 febbraio  1948,  n. 1,  che  ha esteso ai giudici costituzionali le
immunita'  accordate  ai  parlamentari  dall'art. 68,  secondo comma,
Cost.,  nel  testo allora vigente). Conseguentemente, da questo punto
di  vista,  l'impugnato art. 1, comma 2, della legge n. 140 del 2003,
in  riferimento  al comma 1 della stessa disposizione, si porrebbe in
contrasto  con l'art. 3 Cost. in relazione agli artt. 101 e 112 Cost.
Ne',  ad  avviso  del Tribunale di Milano, e' utilmente richiamabile,
sotto il profilo della non necessita' di una legge costituzionale per
introdurre   la   prerogativa  in  questione,  l'art. 5  della  legge
3 gennaio   1981,   n. 1,  riguardante  i  componenti  del  Consiglio
superiore  della  magistratura.  Tale norma infatti, contrariamente a
quanto  sostenuto  dalla  difesa  dell'imputato, non ha creato alcuna
forma  di  immunita',  ma  -  come  precisato  da  questa Corte nella
sentenza n. 148 del 1983 - ha solo previsto una speciale causa di non
punibilita',   rigorosamente  circoscritta  «alle  manifestazioni  di
pensiero      funzionali      all'esercizio     dei     poteri-doveri
costituzionalmente  spettanti  ai componenti il Consiglio superiore»,
la   quale,  da  un  lato,  non  e'  assimilabile  alle  immunita'  e
prerogative  previste  dalla Costituzione e, dall'altro, ha un ambito
di operativita' che e' diverso rispetto a quello delle scriminanti di
diritto  penale  comune  e  che  risulta  «frutto  di  un ragionevole
bilanciamento   dei   valori   costituzionali  in  gioco».  La  norma
impugnata, invece, non ha creato una scriminante speciale (di per se'
compatibile  con  l'esercizio  della  giurisdizione), ma una causa di
«non  processabilita»  o  di  sospensione  dei processi in corso che,
inevitabilmente,    si   pone   in   conflitto   col   carattere   di
obbligatorieta' dell'azione penale.
    Prosegue  poi  il Tribunale ravvisando un palese contrasto tra la
norma impugnata e gli artt. 3, 68, 90 e 96 della Costituzione.
    L'art. 1   della   legge  n. 140  del  2003,  infatti,  fa  salva
l'applicazione  degli  artt. 90  e  96  della  Costituzione, con cio'
indirettamente   confermando   di  voler  istituire  una  prerogativa
ulteriore  rispetto  a quelle ivi previste, per di piu' priva di ogni
collegamento  funzionale  con  la  carica rivestita e senza un limite
temporale  preciso e determinato. Nel disegno fissato dagli artt. 68,
90  e  96  Cost.,  invece,  le  speciali  forme  di  immunita'  e  le
particolari  condizioni  di  procedibilita'  ivi  regolate  risultano
strettamente connesse con l'esercizio delle funzioni di parlamentare,
di  Presidente  del  Consiglio,  di  Ministro  e  di Presidente della
Repubblica,  mentre  la  norma in questione non ha alcun collegamento
con la funzione, imponendo, come si e' detto, la sospensione di tutti
i   processi  penali,  per  qualsiasi  tipo  di  reato  ed  anche  in
riferimento  a  fatti  antecedenti l'assunzione della carica. D'altra
parte  pare  in  se'  irragionevole,  oltre che lesivo del diritto di
difesa  dell'imputato  e dell'art. 111 Cost., che, in particolare, il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  possa  essere sottoposto a
giudizio,  previa  autorizzazione della Camera di appartenenza, per i
reati   funzionali   e   non   possa   -   a  tempo  indeterminato  e
irrinunciabilmente - esserlo per i reati comuni.
    Il  giudice  remittente,  poi, passa ad analizzare - con riguardo
alla  tutela dei diritti della parte offesa costituitasi parte civile
nel  procedimento  penale  sospeso  -  ulteriori motivi di censura in
riferimento  agli artt. 24, 111 e 117 Cost., quest'ultimo in rapporto
con  l'art. 6  della  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia dei
diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali, resa esecutiva in
Italia  con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Da tale ultimo parametro,
in particolare, si evince, alla luce della giurisprudenza della Corte
di  Strasburgo,  che la possibilita' concreta di accedere agli organi
di  giustizia  e'  da considerare fondamentale per l'effettiva tutela
dei  diritti,  sicche'  «uno Stato non puo', senza riserve o senza il
controllo  degli organi della Convenzione, sottrarre dalla competenza
dei  tribunali  tutta  una  serie  di  azioni  civili  o esonerare da
responsabilita'   delle  categorie  di  persone»,  ancorche'  possano
giustificarsi prerogative nei confronti dei parlamentari.
    Ma  la  piu'  evidente  violazione dei diritti della parte civile
costituita  deriva dal fatto che, in contrasto con gli artt. 24 e 111
Cost.,   la   norma   impugnata   viene   a  creare  un  «impedimento
indeterminato  dell'esercizio  dell'azione  civile  per effetto della
disposizione  di  cui  all'art. 75,  comma 3,  cod. proc. pen.». Tale
ultima  disposizione  stabilisce che «se l'azione e' proposta in sede
civile  contro  l'imputato  dopo  la costituzione di parte civile nel
processo penale ... il processo civile e' sospeso fino alla pronunzia
della  sentenza  penale  non  piu'  soggetta a impugnazione, salve le
eccezioni  previste  dalla  legge».  Poiche'  la  norma impugnata non
prevede alcuna eccezione alla suddetta regola, e' palese che la parte
civile  si trova nell'impossibilita' di trasferire la propria pretesa
risarcitoria  in  sede  civile.  Ne'  potrebbe ipotizzarsi una revoca
della  costituzione  di  parte  civile  (art. 82 cod. proc. pen.), in
quanto  la  sospensione  del processo imposta dall'art. 1 della legge
n. 140  del  2003  non  consente  lo  svolgimento di alcuna attivita'
processuale, ivi compresa la suddetta revoca.
    Un  ulteriore  profilo  di  violazione degli artt. 24 e 111 Cost.
sarebbe ravvisabile, infine, per effetto della mancata previsione, da
parte  della  norma  impugnata,  di  una clausola che faccia salvo il
compimento  degli  atti  urgenti  di  natura  processuale  - come, ad
esempio,  l'assunzione  urgente  di  una  prova  in sede di incidente
probatorio  - non potendosi certamente fare ricorso all'art. 512 cod.
proc.  pen.  che disciplina l'ipotesi di acquisizione in dibattimento
di  atti  assunti  in  sede di indagine nel caso in cui, «per fatti o
circostanze    imprevedibili,   ne   e'   divenuta   impossibile   la
ripetizione».   La  disciplina  dell'incidente  probatorio  riguarda,
invece, il caso in cui vi sia, per vari motivi, fondato timore di non
poter  piu'  acquisire  nella  sede  propria  dibattimentale la prova
necessaria.  Sicche'  e'  del  tutto evidente la diversita' delle due
situazioni.
    Il  giudice  a quo solleva poi un'altra questione di legittimita'
costituzionale   riguardante  l'art. 110,  quinto  comma,  del  regio
decreto  30 gennaio  1941,  n. 12,  che  forma  oggetto  di  separato
procedimento.
    2.  -  Si  e' costituito in giudizio l'on. Silvio Berlusconi che,
con  ampia  ed  articolata  memoria, ha chiesto che tutte le proposte
questioni vengano dichiarate non fondate.
    In riferimento alla questione relativa all'art. 1, comma 2, della
legge    n. 140    del   2003   la   parte   costituita   sottolinea,
preliminarmente,  che il Presidente della quinta sezione penale della
Corte  di cassazione, chiamato ad esaminarne la posizione di imputato
in  altro  procedimento  (nel  quale  era stato prosciolto insieme ad
altri coimputati, con provvedimento impugnato in Cassazione), in data
30  giugno 2003  ha  disposto  la  separazione  di tale posizione con
conseguente  sospensione  del  relativo  processo  e  creazione di un
separato  fascicolo,  «cosi' dando atto dell'immediata applicabilita'
delle  disposizioni  della  legge n. 140 del 2003», senza prospettare
alcun   dubbio   di  costituzionalita'  in  merito  alla  norma  oggi
impugnata.
    Cio'  posto,  l'on.  Berlusconi  rileva  che la ratio della norma
stessa  e'  quella di salvaguardare le piu' alte cariche dello Stato,
durante  lo  svolgimento  del  mandato,  dagli inevitabili turbamenti
conseguenti   all'esercizio   di  ogni  azione  penale.  Nel  sistema
costituzionale  non e' affatto necessario che tutto cio' che riguarda
tali  cariche  sia  regolato  con  legge  costituzionale,  ne' a tale
ricostruzione   ostano   gli   artt. 90   e  96  della  Costituzione:
l'irresponsabilita'  del  Presidente  della  Repubblica  per gli atti
compiuti  nell'esercizio  delle  sue  funzioni (tranne che in caso di
alto  tradimento  o  attentato  alla  Costituzione)  e la valutazione
politica  circa  l'opportunita'  che il Presidente del Consiglio ed i
ministri  vengano  sottoposti  a  processo  penale  per  i c.d. reati
ministeriali  non  confliggono  con la sospensione dei processi per i
reati  comuni.  Per  questi  ultimi, infatti, la Carta costituzionale
nulla  prevede,  e  cio'  implica che al legislatore ordinario non e'
inibito  di provvedere autonomamente al riguardo, tanto piu' che, nei
casi  in  cui la Costituzione ha preteso che si provvedesse con legge
costituzionale,  lo  ha  espressamente  stabilito  (v.,  ad  esempio,
artt. 116 e 132 Cost.).
    La  memoria  passa  poi  ad  occuparsi direttamente del contenuto
precettivo  della  norma impugnata per valutare in particolare se nel
nostro  ordinamento  esista  o  meno l'istituto della sospensione del
processo  penale  e  se  vi  sia  un  collegamento  (nel senso di una
possibile  violazione)  tra  detta  sospensione  ed  il  principio di
obbligatorieta'   dell'azione  penale  richiamato  dal  Tribunale  di
Milano.  A  tal fine si osserva che il sistema conosce la sospensione
del  processo  penale, finalizzata a vari obiettivi; e' richiamata in
proposito  un'ampia  serie di norme contenute nel codice di procedura
penale  del 1930 (artt. 18, 19 e 20), nel vigente codice di procedura
penale  (artt. 3,  37, 41, 47, 71, 344, 477 e 479), nel codice penale
(artt. 159  e  371-bis)  e  in numerose altre leggi particolari, come
quelle  in  materia  di  condono  tributario  o  di rimessione di una
questione   di  legittimita'  costituzionale  a  questa  Corte  o  di
questione  pregiudiziale interpretativa alla Corte di giustizia delle
Comunita'  europee.  In tutti questi casi non c'e' un termine preciso
per  la  ripresa  dell'attivita'  processuale  dopo la sospensione e,
qualora  vi  sia sospensione anche della prescrizione, non sussistono
particolari problemi per il protrarsi dei tempi del processo.
    Si  tratta di norme che disciplinano situazioni di «varia natura»
che,  tuttavia, in alcuni casi attribuiscono rilevanza determinante a
scelte  politiche  prevalenti  rispetto  alla giurisdizione (art. 243
cod.  pen.  mil.  guerra) e in altri casi a caratteristiche peculiari
dei soggetti che si giovano della sospensione (v. decreto legislativo
19 settembre   1994,   n. 626,   e  art. 71  cod.  proc.  pen.).  Tra
quest'ultimo   tipo  di  norme  la  parte  privata  si  sofferma,  in
particolare,  sull'ipotesi  di  sospensione del processo disciplinata
dall'art. 71 cod. proc. pen., richiamando le pronunce di questa Corte
n. 281  del  1995,  n. 354 del 1996, n. 19 del 1999 e n. 33 del 2003,
desumendone,  da  un  lato,  che  la  sospensione  del  processo  non
costituisce  violazione  dell'art. 112  Cost.  in quanto comporta una
semplice sospensione dell'azione penale e, dall'altro, che neppure e'
configurabile  il contrasto con il principio della ragionevole durata
del  processo  in  quanto  «si  verte  in  tema  di ius singulare che
comporta   una   eccezione»   e,   comunque,   la  sospensione  della
prescrizione   garantisce  l'esercizio  della  giurisdizione.  Questi
argomenti ben si attagliano al caso di specie, sicche' anche per esso
deve   escludersi   la   contrarieta'   con  gli  indicati  parametri
costituzionali.
    D'altra  parte,  il sistema processuale vigente prevede, oltre ai
casi  di sospensione, anche quelli nei quali il reato e' perseguibile
soltanto  a  richiesta  del Ministro della giustizia (artt. 8, 9 e 10
cod.  pen.),  ovvero  dietro  sua autorizzazione (art. 313 cod. pen.,
positivamente  scrutinato  da  questa  Corte nella sentenza n. 22 del
1959),  ovvero  a  querela  di parte; inoltre questa Corte ha in piu'
occasioni  ribadito la legittimita' costituzionale dell'art. 260 cod.
pen.  mil. pace che subordina la procedibilita' di una serie di reati
militari alla richiesta del comandante del corpo.
    Il  principio  di  eguaglianza richiamato dal Tribunale di Milano
ha,  quindi,  il significato di vietare leggi ad personam allorquando
le  persone prese in considerazione siano effettivamente «eguali», ma
non  quello di impedire le opportune diversificazioni. In tale ottica
la  parte  privata osserva che vi sono numerose norme, sia di diritto
penale  sostanziale  sia  di  diritto processuale penale, nelle quali
rileva  la  condizione soggettiva del destinatario; tra queste ultime
vengono  ricordate,  oltre  all'art. 205  cod. proc. pen., l'art. 200
cod.    proc.   pen.   sul   segreto   professionale   e   le   norme
sull'incompatibilita' ad assumere l'ufficio di testimone.
    Dopo  aver  esaminato  l'aspetto  relativo  alla  sospensione del
processo,  la  difesa  affronta  il problema delle cause di immunita'
riconosciute   dal   nostro  ordinamento,  cercando  innanzitutto  di
stabilire   cosa   si   intenda   effettivamente  per  immunita'.  Si
richiamano,  all'uopo,  alcune specifiche disposizioni riguardanti il
trattamento  processuale  dei  funzionari  e dei dipendenti consolari
nonche' le immunita' in favore dei componenti il Comitato europeo per
la  prevenzione  della  tortura  e delle pene o trattamenti inumani o
degradanti.  Si passa poi a considerare l'art. 5 della legge n. 1 del
1981   relativa   ai   componenti   del   Consiglio  superiore  della
magistratura,   che   ha  introdotto  una  causa  soggettiva  di  non
punibilita'  «ben  piu' pregnante ed incisiva sulla giurisdizione che
non  una  sospensione»  del  processo,  con annessa sospensione della
prescrizione.  Il  giudice remittente avrebbe altresi' dimenticato di
tener  presente  tutta  una  serie  di ipotesi nelle quali sussistono
altre  cause  di  immunita'  (si citano, in proposito, sentenze della
Corte di cassazione sull'estradizione, sulle immunita' diplomatiche e
consolari,  sui reati commessi da militari appartenenti alla NATO nel
territorio  di  uno  Stato diverso da quello di appartenenza, nonche'
sui  reati  commessi  da soggetti appartenenti ad enti centrali della
Chiesa cattolica).
    Fatte  queste  premesse  generali,  la  parte privata richiama la
distinzione   dottrinale   tra   le  immunita'  funzionali  e  quelle
extrafunzionali,  ricordando che queste ultime, in particolare, fanno
si'  che  l'individuo  che  ne  gode non possa essere assoggettato al
processo  penale  per  reati  «comuni» commessi nel corso del proprio
incarico o prima dello stesso. Terminato il mandato, pero', si ha una
reviviscenza  della  punibilita' per i fatti extrafunzionali, sicche'
tale  tipo di immunita' non crea, in effetti, alcun tipo di limite al
potere  giurisdizionale.  Si  sarebbe  percio'  in  presenza  di  una
esenzione  temporanea  dalla  giurisdizione, determinata da motivi di
opportunita'  politica per cui il soggetto, «pur penalmente capace al
momento  della  commissione dell'illecito, non lo e' processualmente,
per   evitare   un   qualsiasi   turbamento  nel  regolare  svolgersi
dell'attivita»; concluso l'incarico, nulla puo' impedire l'avvio o la
prosecuzione  del  processo  penale  per illeciti penali di carattere
privato.   I  suddetti  motivi  di  opportunita'  politica  correlati
all'attivita'  del  soggetto  possono essere inerenti ai rapporti tra
poteri  dello  Stato  ovvero sul piano internazionale ai rapporti tra
organi  di  Stati diversi che comportano una autolimitazione da parte
dell'ordinamento  della  propria  giurisdizione, la quale torna poi a
riespandersi  nella  sua  interezza  al  termine  del  mandato cui e'
connessa  la  prerogativa  (si  citano,  al riguardo, un parere della
Corte   internazionale   di  giustizia  dell'Aja  a  proposito  delle
immunita'  dei componenti dell'ONU e la sentenza della medesima Corte
del 14 febbraio 2002 sull'immunita' di un Ministro degli esteri della
Repubblica  del  Congo nei confronti del quale un giudice belga aveva
emesso un ordine di arresto internazionale, c.d. caso Yerodia).
    Dalla   suddetta  analisi  si  desume  che  «la  possibilita'  di
prevedere  ...  immunita'  extrafunzionali con legge ordinaria appare
...  conclamata»,  ma  tale  osservazione non e' l'unica a dimostrare
l'erroneita'  del  ragionamento  seguito  dal  Tribunale  di  Milano,
perche'  l'argomento  principale  attraverso  il  quale si perviene a
questo  risultato  e'  rappresentato  dalla  profonda  diversita' che
sussiste  tra  il  tema  della  sospensione temporanea del processo e
quello  delle  immunita'.  Se, infatti, si ha chiara tale differenza,
tutta  una  serie  di  argomentazioni  sviluppate  nell'ordinanza  di
rimessione  diventano  ininfluenti,  in quanto e' proprio la suddetta
diversita'   che   spiega   perche',   mentre  per  le  immunita'  e'
necessariamente  richiesto un collegamento con la funzione esercitata
al momento della commissione del fatto, cio' invece non e' necessario
per  la  sospensione.  Inoltre,  mentre  l'immunita',  sottraendo  un
soggetto  all'esercizio  della  giurisdizione, deve essere, in alcuni
casi,  prevista  da  norme  di  rango  costituzionale,  cio'  non  e'
richiesto  per  la  sospensione che, ove si accompagni a quella della
prescrizione  del  reato, non incide sull'integrita' del valore della
giurisdizione, ma coinvolge altri beni costituzionalmente protetti e,
precisamente,  quello  della  funzionalita' della carica di rilevanza
costituzionale e quello della ragionevolezza dei tempi del processo.
    Una  volta  escluso  che  la norma impugnata avrebbe dovuto avere
rango  di  legge costituzionale, resta da valutare se essa violi, per
il   suo  contenuto  precettivo,  uno  dei  parametri  costituzionali
richiamati dal giudice remittente.
    Con  riguardo all'art. 112 Cost., la parte privata osserva che in
tema di condizioni di procedibilita' al legislatore e' concessa ampia
discrezionalita',  sicche'  il  punto  decisivo  non  e'  quello  dei
rapporti  col principio di obbligatorieta' dell'azione penale, quanto
piuttosto  quello di stabilire se la norma sia o meno ragionevole. Si
richiamano,  al riguardo, le sentenze n. 89 del 1982, n. 85 del 1998,
n. 298  del  2000,  e n. 223 del 2001 di questa Corte, dalle quali si
deduce  che  e' soltanto in caso di trattamento diverso di situazioni
uguali  che  puo'  affermarsi  la  sussistenza di un'irragionevolezza
conseguente   alla  diversita'  di  trattamento.  La  violazione  del
principio di eguaglianza presuppone, in altre parole, una valutazione
in  cui  vi  e'  un  tertium  comparationis alla stregua del quale si
ravvisi  la  disparita';  nel  caso della norma impugnata, invece, le
uniche  situazioni  similari  con  le  quali sembrerebbe possibile un
raffronto  sono quelle di cui agli artt. 90 e 96 Cost., ma, al di la'
del  fatto che esse si riferiscono a soggetti presi in considerazione
anche  dalla norma impugnata, le ipotesi rispettivamente disciplinate
sono,  in realta', molto diverse e, quindi, inconfrontabili. Infatti,
l'art. 96 Cost. stabilisce, a tutela della funzione ministeriale, che
per i reati commessi nell'esercizio di tale funzione e' competente un
particolare  organo  giurisdizionale,  senza  dire nulla in relazione
alla  procedibilita'; analogamente, l'art. 90 Cost. prevede, a tutela
della  liberta'  della  funzione  del  Presidente  della  Repubblica,
l'impunita'  per gli atti compiuti nel relativo esercizio e i casi di
deroga  a tale impunita'. La legge n. 140 del 2003, invece, si limita
a dettare semplicemente una regola di procedura.
    Tale  regola  che,  per quanto fin qui si e' detto, non contrasta
con  l'art. 3  Cost. dal punto di vista del principio di eguaglianza,
neppure  viola  il  suddetto  parametro  per  quel  che  riguarda  il
principio   di   ragionevolezza.   Al  riguardo  potrebbe  sostenersi
l'irragionevolezza  in  se'  della normativa impugnata in conseguenza
dell'impossibilita' che essa determinerebbe in ordine alla formazione
della  prova,  ma anche questa censura e' destituita di fondamento in
quanto  l'utilizzazione  del  termine  «processo»  e  non  di  quello
«procedimento»  ha  proprio  il  significato  tecnico  di  consentire
l'assunzione delle prove nel corso delle indagini preliminari.
    La  memoria  difensiva  si sofferma, poi, sul particolare aspetto
della   questione  riguardante  la  parte  civile.  Si  sostiene,  in
proposito, che detta questione sarebbe stata impropriamente sollevata
dal  Tribunale di Milano in sede penale, nell'erronea convinzione che
l'art. 1   della   legge   n. 140  del  2003,  imponendo  l'immediata
sospensione  del  processo,  non  consenta  lo  svolgimento di alcuna
attivita'  processuale.  In realta', anche trascurando la circostanza
che,  nella  specie, la parte civile costituita non ha in effetti mai
dichiarato  di  voler  trasferire la propria domanda in sede civile -
sicche'  la questione dovrebbe ritenersi inammissibile, in quanto del
tutto  ipotetica  -  resta  il  fatto  che  il dubbio di legittimita'
costituzionale  avrebbe  dovuto  essere  posto nella sede competente,
ossia  davanti  al  giudice  civile,  chiamato  eventualmente  a fare
applicazione dell'art. 295 del codice di procedura civile. Del resto,
sarebbe  del  tutto  incongrua  una  sospensione ex lege del processo
penale  cui  non  faccia  seguito  la  possibilita'  di trasferimento
dell'azione  in  sede  civile.  In  tal  senso vanno letti l'art. 75,
comma 3,  cod.  proc.  pen.  e  l'art. 82  del  medesimo  codice (che
consente  la  revoca della costituzione di parte civile) e cio' vale,
di per se', ad escludere qualsiasi violazione dell'art. 24 Cost. Tale
lettura    corrisponde   al   principio   della   separazione   delle
giurisdizioni  che,  in  materia  di rapporti tra giudizi diversi, ha
sostituito,   nel   vigente   codice   di  procedura  penale,  quello
dell'unita'  della  giurisdizione  cui, invece, si ispirava il codice
del  1930.  Una  conferma dell'esattezza di tale tesi e' rinvenibile,
secondo  la  parte  privata,  anche nella sentenza n. 354 del 1996 di
questa  Corte  con  la  quale  e'  stata  dichiarata l'illegittimita'
costituzionale  del  citato  art. 75, comma 3, cod. proc. pen., nella
parte  relativa  alla  mancata previsione dell'inapplicabilita' della
disciplina  ivi  stabilita  per i rapporti tra azione civile e azione
penale  all'ipotesi  di  «accertato impedimento fisico permanente che
non  permetta  all'imputato  di comparire all'udienza, ove questi non
consenta  che  il  dibattimento  prosegua  in  sua  assenza».  A tale
conclusione  la  pronuncia  e'  pervenuta  al  fine  di impedire - in
armonia con quanto deciso nella precedente sentenza n. 330 del 1994 -
una  stasi del processo «di durata indefinita ed indeterminabile» che
avrebbe  vulnerato  il diritto di azione e difesa della parte civile.
E'  del  tutto evidente che l'ipotesi esaminata nella citata sentenza
non  e'  affatto  assimilabile  a  quella  disciplinata  dalla  norma
attualmente  impugnata. Infatti, anche a prescindere dal fatto che le
cariche  indicate  dalla  legge  n. 140  del 2003, pur essendo alcune
volte  ipoteticamente reiterabili, hanno una durata predeterminata ex
lege, va considerato che la disciplina censurata dalla Corte «non era
quella  attuale  ma quella del codice del 1930», sicche' non solo per
essa  non  si  ponevano  problemi  di  ammissibilita'  rispetto  alla
proposizione  delle relative questioni di legittimita' costituzionale
direttamente   nel   giudizio  penale,  ma  soprattutto  emergeva  la
necessita' di superare la regola del divieto della translatio iudicii
dalla sede penale a quella civile derivante dal principio dell'unita'
della  giurisdizione.  La  disciplina attualmente vigente non e' piu'
ispirata,  come  si  e'  detto, a tale principio; conseguentemente il
problema  allora  denunciato  non  puo' piu' porsi in quanto la parte
civile  ha, di regola, la facolta' di trasferire la propria azione in
sede civile.
    3.  -  Si  e'  costituita  anche  la  CIR  S.p.a.,  parte  civile
costituita  nel  giudizio a quo, sostenendo la piena condivisibilita'
delle  argomentazioni dell'ordinanza di rimessione e chiedendo che la
norma denunciata venga dichiarata costituzionalmente illegittima.
    Osserva  la  parte  privata  che  l'art. 1 della legge n. 140 del
2003,  prevedendo  l'automatica sospensione del processo a carico del
Presidente  del  Consiglio dei ministri, e' in contrasto innanzitutto
con l'art. 3 Cost. (in relazione agli artt. 101 e 112 Cost.), perche'
attribuisce   una   prerogativa   incompatibile   col   principio  di
eguaglianza  di tutti i cittadini di fronte alla legge, principio che
puo'  essere  derogato  solo  con  una legge costituzionale (sentenza
n. 300  del  1984  di  questa  Corte). A tale conclusione induce, con
assoluta  evidenza,  il fatto che nel nostro ordinamento di regola le
prerogative   o   le   immunita'   riguardanti   cariche  o  funzioni
istituzionali sono previste o direttamente dalla Carta costituzionale
(artt. 68,  90  e 96 Cost.) ovvero in successive leggi costituzionali
(es.  legge  costituzionale  16 gennaio  1989,  n. 1,  in  materia di
procedimenti per i reati di cui all'art. 96 Cost.).
    Per altro verso, e sempre in relazione all'art. 3 Cost., la norma
impugnata  viola  il principio di obbligatorieta' dell'azione penale,
poiche'  impedisce a tempo indeterminato che il processo penale venga
condotto   ad  una  definizione,  in  considerazione  del  fatto  che
l'attuale Presidente del Consiglio potrebbe continuare a ricoprire la
carica   per  molti  anni,  ovvero  essere  eletto  ad  altra  carica
istituzionale tra quelle di cui alla norma in questione.
    Fatte  queste premesse, la memoria osserva che nel nostro sistema
le  immunita'  e  le prerogative di cui agli artt. 68, 90 e 96 Cost.,
oltre  ad  essere  disposte  da  norme  di rango costituzionale, sono
comunque  collegate  allo  svolgimento delle funzioni, di modo che il
Presidente  della  Repubblica,  il  Presidente  del  Consiglio  ed  i
ministri, fino all'entrata in vigore della legge in esame, erano, per
i  reati  comuni, soggetti alla legge come tutti gli altri cittadini.
Oggi,  invece,  i  procedimenti eventualmente instaurati a carico del
Presidente  della  Repubblica  e  del  Presidente  del  Consiglio dei
ministri  in merito a tali ultimi reati, sono tutti sospesi ope legis
e   senz'alcuna   possibilita'   di  controllo  istituzionale,  anche
nell'ipotesi in cui si tratti di reati commessi prima dell'assunzione
della  carica,  mentre  per i reati c.d. funzionali continua ad avere
vigore  la  disciplina che ne prevede la giustiziabilita', sia pure a
certe condizioni. Ne consegue che, da questo punto di vista, la norma
impugnata  appare  in contrasto con i principi di ragionevolezza e di
eguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
    Il  carattere  obbligatorio  e non rinunziabile della sospensione
sarebbe  poi lesivo sia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) sia del
principio della ragionevole durata dei processi sancito dall'art. 111
Cost.,  il  che  e' tanto piu' evidente in relazione alla mancanza di
una  specifica  norma che garantisca la possibilita' di assunzione al
processo  delle  prove  non  rinviabili  o  di  compimento degli atti
urgenti, a differenza di quanto e' espressamente stabilito dal codice
di  procedura  penale  in  altri  casi  di sospensione (si citano gli
artt. 3,  comma 3;  41,  comma 2;  47,  comma 3; 70, commi 2 e 3; 71,
comma 4, cod. proc. pen.).
    Per  quanto  specificamente  interessa  la domanda avanzata dalla
parte  civile  costituita,  si rileva che la sospensione del processo
penale,   in   mancanza   di   una  norma  che  deroghi  al  disposto
dell'art. 75,  comma 3, cod. proc. pen., viene di fatto a paralizzare
sine die ogni pretesa risarcitoria della suddetta parte nei confronti
dell'imputato.  Il  processo  penale  e', infatti, sospeso, mentre la
domanda    eventualmente    proposta    in   sede   civile   dovrebbe
necessariamente  comportare  la  sospensione  anche  di  quest'ultimo
processo,  poiche'  le  eccezioni  previste  alla  regola  del citato
art. 75, comma 3, sono tassative e non estensibili in via analogica.
    La  CIR  S.p.a., infine, si associa alle considerazioni fatte dal
Tribunale di Milano a proposito della violazione dell'art. 117, primo
comma,  Cost.,  in  riferimento  al  principio relativo al diritto di
accesso  ad  un  tribunale,  desumibile dall'art. 6 della Convenzione
europea  per  la  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali  (secondo  quanto  stabilito  dalla  Corte  europea  dei
diritti  dell'uomo nella sentenza Golder del 21 febbraio 1975 e nella
sentenza Cordova del 31 gennaio 2003).
    4.  -  E'  altresi'  intervenuto  in  giudizio  il Presidente del
Consiglio   dei  ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale  dello Stato, chiedendo che vengano dichiarate inammissibili
o  comunque infondate entrambe le questioni proposte dal Tribunale di
Milano.
    Quanto  alla questione relativa all'art. 1 della legge n. 140 del
2003,  la  difesa  erariale  osserva che il giudice a quo muove da un
presupposto  erroneo, ossia quello per cui detta norma avrebbe creato
una  nuova figura di immunita'. Essa, invece, si limita a disporre la
sospensione  dei  processi  in corso, con conseguente sospensione dei
termini  di prescrizione dei reati, in linea con quanto stabilito per
altre  ipotesi  di sospensione del processo penale - sia obbligatoria
(v.  art. 71  cod.  proc.  pen. e art. 3, comma 5, della stessa legge
n. 140  del  2003)  sia  facoltativa  (v. art. 486 cod. proc. pen.) -
previste  dal  sistema.  Ne  consegue  che  non  vi  sarebbe  lesione
dell'art. 112  Cost.,  sia  perche'  l'azione penale viene ugualmente
esercitata  nei  confronti dei soggetti che ricoprono le alte cariche
istituzionali   indicate   nella   norma   impugnata  (anche  se  con
sospensione  del  processo  per la durata del mandato) sia perche' il
decorso  del  tempo non incide sulla pretesa punitiva dello Stato, in
virtu'  dell'espresso richiamo dell'art. 159 cod. pen., in materia di
sospensione del corso della prescrizione.
    Escluso,  quindi,  che  la  norma  de qua abbia a che fare con le
immunita'    riservate    alla    regolamentazione    costituzionale,
l'Avvocatura  dello  Stato ritiene che essa non si ponga in contrasto
neppure  con gli altri principi costituzionali invocati dal giudice a
quo.  Si  tratta di una disciplina che e' stata dettata allo scopo di
impedire   che   «vicende   processuali  di  diritto  comune  possano
intralciare  l'operato  dei  vertici  costituzionali democraticamente
scelti  per  tutto  -  e solo - il tempo in cui essi svolgono la loro
funzione».  La  ratio  cui  si  e'  ispirato  il legislatore non era,
quindi, quella di proteggere i soggetti che ricoprono le alte cariche
dello  Stato,  ma  la  loro  funzione,  sicche'  appare ultroneo ogni
richiamo   al   principio  di  eguaglianza  come  principio  fondante
dell'ordinamento,  visto  che  anche  questa  Corte  ha ripetutamente
affermato  che la violazione di tale principio deriva dal trattamento
eguale  di  situazioni  diverse e non dalla previsione di trattamenti
differenziati  per  alcune  categorie  di  soggetti  giustificata dal
contemperamento  del principio stesso con la tutela di altri principi
costituzionali.  Tale  ultima  evenienza  e'  proprio  quella  che si
riscontra  nella  fattispecie  nella  quale la tutela della posizione
istituzionale  del Presidente del Consiglio da' fondata ragione della
deroga all'ordinario trattamento processuale.
    Analogamente,  poi,  la  difesa  erariale  ritiene  infondata  la
presunta  lesione  del  principio  di ragionevolezza in riferimento a
quanto disposto dagli artt. 68, 90 e 96 Cost., sul principale rilievo
che, in una logica di ponderazione e bilanciamento degli interessi in
gioco, non e' irrazionale che il Presidente del Consiglio continui ad
essere  perseguibile  per  i c.d. reati ministeriali e si veda invece
sospesi  i  processi  penali  per  i reati comuni. Infatti, mentre il
perseguimento  dei  reati  funzionali  non puo' essere procrastinato,
data «la rilevanza di carattere generale degli interessi incisi» e la
loro  «indubbia  maggiore gravita' dal punto di vista istituzionale»,
il perseguimento dei reati comuni ben puo' essere rinviato al momento
della cessazione dell'esercizio delle funzioni protette, visto che la
loro commissione comporta la lesione di «interessi cedevoli».
    Ritiene  inoltre  la difesa pubblica che siano infondate tutte le
doglianze  riguardanti  una  presunta  lesione  degli  artt. 24 e 111
Cost.,  sotto  il duplice profilo del diritto di difesa dell'imputato
(che  non  puo'  rinunciare all'applicazione della sospensione) e del
diritto  della  persona  offesa  dal  reato  ad un giudizio rapido ed
efficace  in  merito  alle  sue pretese risarcitorie. Quanto al primo
profilo,  si osserva che l'obbligatorieta' della protezione accordata
dalla  norma  impugnata  deriva  dal  fatto  che  essa  ha  rilevanza
oggettiva,  e'  finalizzata a tutelare l'interesse dell'ordinamento e
non  e'  stata  concepita  come  un  privilegio di cui la persona che
ricopre  la  carica  possa,  a sua scelta, decidere di godere o meno.
Quanto  alla  pretesa  violazione  dei  diritti  della persona offesa
costituitasi parte civile nel processo penale sospeso, si osserva che
nell'ipotesi  di  cui  si  tratta  la parte offesa subisce un ritardo
nella delibazione delle sue pretese del tutto analogo a quello che si
verifica  non  solo  nelle  numerose altre ipotesi di sospensione del
processo,  ma  anche in altre situazioni processuali, come ad esempio
in  quella  relativa  alla  conclusione  del  procedimento penale con
sentenza  di  patteggiamento nella quale, ai sensi dell'art. 445 cod.
proc.  pen., e' impedito alla parte civile di giovarsi della suddetta
sentenza  in  sede  civile.  D'altra  parte, non appare conferente al
riguardo  il  richiamo  all'art. 6  della  Convenzione europea per la
salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle liberta' fondamentali
atteso  che la normativa denunciata e' il frutto di un ponderato - e,
cioe',  «ragionevole»  - contemperamento dell'esigenza di definizione
del  processo in tempi rapidi con quella di tutela di altri interessi
ritenuti anch'essi di rilevanza primaria.
    Quanto,  infine,  alla  presunta  mancanza  di norme che facciano
salva  la possibilita' di compimento degli atti urgenti, l'Avvocatura
dello   Stato   rammenta  che,  a  parte  il  rilievo  per  cui  cio'
costituirebbe  solo  un'ipotetica  manchevolezza, detta questione non
risulta  adeguatamente precisata nell'ordinanza di rimessione, il che
impone che la stessa debba ritenersi inammissibile.
    5.  -  Nell'imminenza  dell'udienza  la  CIR S.p.a. ha depositato
memoria,  in  cui premette che il presente giudizio concerne soltanto
la  disciplina  dell'improcedibilita' concessa dalla legge n. 140 del
2003  al  Presidente  del  Consiglio:  non  puo' quindi sostenersi la
legittimita'  dell'art. 1,  comma 1,  sulla  base della posizione dei
titolari  delle altre cariche, ferma l'estensibilita' a queste ultime
della  eventuale  dichiarazione d'incostituzionalita' della norma (ex
art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87).
    In ragione del carattere rigido della Costituzione, nessuna fonte
puo'  modificarla surrettiziamente, qualora ne pregiudichi una o piu'
norme:  le  limitazioni  sostanziali  o processuali della (altrimenti
assoluta) responsabilita' del funzionario - ex art. 28 Cost. - devono
individuarsi   in   altre   norme  costituzionali  (Presidente  della
Repubblica, Presidente del Consiglio, ministri, parlamentari, giudici
costituzionali,  titolari  di  organi  giurisdizionali)  perche' ogni
limitazione  di  tale responsabilita' si risolve nella corrispondente
restrizione   del   diritto   di  azione  e  di  difesa.  Inoltre  la
differenziazione delle discipline processuali con riferimento a fatti
extrafunzionali  viola  il principio di eguaglianza (non sopprimibile
nemmeno   con   una  legge  di  revisione  costituzionale).  Pertanto
l'art. 3,  primo  comma,  Cost.  non  puo' essere derogato, senza che
sulla  validita'  della  deroga  vi  sia  verifica da parte di questa
Corte.  Non  si  puo'  discutere  della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1  della  legge  n. 140  come se l'illegittimita' di questa
norma  dipendesse  esclusivamente  dal fatto che essa e' contenuta in
una  legge  ordinaria,  anziche'  in  una  disposizione  approvata ex
art. 138   Cost.:   la   sottoponibilita'  al  sindacato  permarrebbe
comunque,  poiche'  le  immunita'  valgono  soltanto nei limiti delle
previsioni   costituzionali,  e  qualsiasi  legge  ordinaria  che  ne
ampliasse l'ambito sarebbe incostituzionale.
    Nel  porre una disciplina di favore per i governanti in relazione
a  fatti  extrafunzionali,  si  e'  determinata la violazione sia del
principio  di  eguaglianza,  sia  di quello della responsabilita' dei
pubblici  funzionari  allorche'  agiscano al di fuori delle funzioni,
sia  infine  del  diritto  di  azione e di difesa. Infatti, esiste un
istituto che adeguatamente mette al riparo i titolari delle piu' alte
cariche  pubbliche  da  eventuali  impedimenti alla propria attivita'
istituzionale,  derivanti  dalla  pendenza  di  un  processo  penale,
ancorche'  relativo a reati comuni, essendo imposto al giudice penale
di  valutare in concreto la sussistenza di impedimenti dell'imputato,
tenendo conto degli interessi degli altri poteri.
    La  norma  impugnata  prevede  una forma di immunita' processuale
prescindendo  da ogni connessione funzionale fra la carica pubblica e
gli  atti  posti  in  essere  dal  soggetto  che  la ricopre. Cio' in
violazione  dell'art. 3  Cost.,  che  vieta  al legislatore ordinario
d'introdurre  differenziazioni  normative  basate  esclusivamente  su
elementi soggettivi. Per la tendenziale universalita' del precetto di
legge  la  norma  deve  dirigersi a tutti senza distinguere in base a
categorie  soggettive,  ma  soltanto oggettive (natura dell'atto, dei
beni,  etc.)  in logico rapporto con la natura dell'attivita' e senza
aver  riguardo  a  connotati inerenti alle persone (prestigio, onore,
dignita',  etc.).  Nella fattispecie, invece, un tale rapporto e' del
tutto  assente  (laddove  si  prevede la sospensione dei processi per
illeciti  compiuti  prima  dell'assunzione  della  carica).  In essa,
infatti,  il  munus  publicum rappresenta non gia' il fondamento e il
limite  dell'immunita',  bensi' il mero presupposto di essa. Cio' che
si  tutela,  dunque,  non e' la funzione, ma la persona, introducendo
cosi' un vero e proprio privilegio personale.
    Negli  artt. 68, 90 e 96 Cost. l'immunita' ha il fondamento ed il
limite  nell'esercizio  della  funzione.  Per effetto della censurata
normativa  il  Presidente del Consiglio dei ministri gia' sottoposto,
previa  autorizzazione parlamentare, alla giurisdizione ordinaria per
i  reati  funzionali,  ne e' viceversa sottratto ope legis per quelli
comuni.  Il che e' contraddittorio, perche' in base all'art. 96 Cost.
l'autorizzazione  a  procedere  puo'  essere negata solo nei casi ivi
previsti.  Poiche' l'unico soggetto sottoposto a processo, per «fatti
antecedenti  l'assunzione  della  carica o della funzione», era l'on.
Berlusconi,  si  e'  in  presenza  di  una legge personale di favore,
definita  da  autorevole  dottrina  come lesiva dell'art. 3 Cost., in
quanto  volta ad estendere, oltre i casi previsti dalla Costituzione,
le   ipotesi   di   improcedibilita'   soggettiva   e   le   garanzie
costituzionali   impedienti  la  immediata  attuazione  della  legge.
Infatti,   tali  improcedibilita'  e  garanzie  privano  di  concreta
efficacia   la  legge  rispetto  a  determinati  cittadini  e  creano
diseguaglianze formali tra i medesimi.
    Quanto   alla  violazione  degli  artt. 101  e  112  Cost.,  ogni
condizione  di  procedibilita'  in  tanto puo' ritenersi legittima in
quanto    sia    direttamente    riconducibile    ad   un   interesse
costituzionalmente  protetto,  da  bilanciare  con quello ex art. 112
Cost.,  che,  nella  specie, non sussiste. Infatti, non ogni processo
penale  e'  tale da comportare necessariamente un «turbamento» per la
carica,   il   cui  prestigio  sarebbe  anzi  ancor  piu'  gravemente
compromesso,  ove  colui  che la ricopre se ne servisse per sottrarsi
alla  giurisdizione;  e'  interesse  della  collettivita' sapere se i
titolari  delle  piu'  alte  cariche erano e sono al di sopra di ogni
sospetto.
    Paradossalmente,   per  tutelare  la  funzione,  si  «iberna»  il
processo  a  carico  di  chi  la  ricopre,  impedendogli  di chiedere
l'assunzione  di  prove  a  suo  favore,  senza fare neppure salvo il
compimento   di  eventuali  atti  urgenti  e  indifferibili  e  senza
stabilire  un  termine  massimo di durata della sospensione medesima,
che potrebbe protrarsi indefinitamente.
    La  violazione degli artt. 24 e 111 Cost. con riguardo alla parte
civile si radica nell'automatismo della paralisi sine die dell'azione
civile   e   nella  mancata  previsione  della  rinunziabilita'  alla
sospensione  del  processo penale, nonche' di una deroga all'art. 75,
comma 3, del codice di procedura penale.
    La  norma,  inoltre,  viola  l'art. 117,  primo  comma, Cost. con
riguardo  alla Convenzione europea per i diritti dell'uomo, sia sotto
il  profilo  del  «diritto  ad  un tribunale» (ex artt. 13 e 14 della
Convenzione  che, rispettivamente, sanciscono il diritto a un ricorso
effettivo  davanti  ad  un,  nonche'  la  garanzia  del godimento dei
diritti  e  delle  liberta'  ivi  assicurati)  sia  in riferimento al
«diritto ad un processo equo».
    Dopo una disamina di diritto comparato sulle immunita' funzionali
ed  extrafunzionali  proprie  dei  titolari  della cariche omologhe a
quella  del  Presidente del Consiglio dei ministri italiano, la parte
privata contesta puntualmente le tesi difensive.
    In  particolare sarebbe l'esigenza di diversificare la disciplina
delle  situazioni  (oggettive)  differenti, in rapporto con quella di
non  collegare  la  differenziazione  al  soggetto, in quanto tale, a
condurre  alla definizione dell'eguaglianza come «pari trattamento di
pari  situazioni  e  diverso  trattamento  di situazioni diverse». Ne
deriva, da un lato, che il legislatore non e' libero di differenziare
i  soggetti fin dove la Costituzione non frappone limiti specifici e,
dall'altro,   che   le   differenziazioni  normative  possono  essere
eccezionalmente   legittime,   nei   limiti   in  cui  si  riflettano
sull'oggetto  e  sempre  che sussista un nesso di assoluta necessita'
tra la differenziazione ed un fine costituzionalmente consentito e se
sono ispirate a ragionevolezza: il che impone che si versi in ipotesi
in cui siano le «situazioni di fatto» messe a confronto ad essere tra
loro  differenti.  Al contrario, nel caso di specie, la situazione in
cui  si  trovano  i  titolari delle cinque cariche e' ontologicamente
identica  a  quella di qualsiasi altro cittadino perseguito per reati
comuni.
    La   memoria   contesta   poi   la  pertinenza  degli  esempi  di
«sospensione» richiamati ex adverso e cioe' l'art. 18, comma 1, lett.
b),  cod.proc.pen.,  gli artt. 3, 37, 41, 47, 71, 344, 477 e 479 cod.
proc.  pen.  (ipotesi  di  sospensione  «endoprocessuale»,  ossia  di
temporanea  stasi  dell'iter  processuale,  giustificate  da  ragioni
interne al processo che ne causano una sorta di quiescenza, in cui la
momentanea  sospensione  si  giustifica  per assicurare il diritto di
difesa  e  la  terzieta-imparzialita'  del  giudice,  o  per ottenere
l'autorizzazione   a   procedere,   o  per  garantire  una  sollecita
definizione del processo).
    Considerazioni  analoghe  valgono  per  tutti  gli  altri casi di
«sospensione»,   singolarmente   contestati,   unitamente:   1)  alla
citazione  dell'art. 205  cod.  proc. pen. la cui ratio e' di evitare
che  i  soggetti  ivi  previsti  non  rendano  in  pubblico  la  loro
deposizione,  cosi'  limitandosi  a  disciplinarne  le  modalita'  di
assunzione  e  non  esimendoli  dal  relativo  dovere; 2) al richiamo
all'art. 5  della legge n. 1 del 1981, che non configura una causa di
sospensione,  bensi'  una  causa di non punibilita' specifica, avente
per   oggetto   le   sole   manifestazioni   di  pensiero  funzionali
all'esercizio  dei  poteri-doveri propri dei componenti del C.S.M; 3)
al   riferimento   alla   procedibilita'   «a   richiesta»  o  dietro
«autorizzazione»  del  Ministro della giustizia (artt. 8, 9, 10 e 313
cod. pen.), ovvero su querela della persona offesa: qui la condizione
di  procedibilita'  gioca  a tutela del soggetto passivo del reato, e
non gia' del soggetto attivo.
    E'  inconferente  anche  la citazione delle immunita' di cui alla
Convenzione  di  Vienna,  perche'  l'ordinamento  consente  -  per il
rispetto  dell'eguaglianza degli Stati - trattamenti di privilegio in
favore  di determinati soggetti per la loro qualita' di funzionari di
altri  Stati;  ma  cio'  avviene  per il principio di cui all'art. 10
Cost.,   che   conferisce   alle  norme  internazionali  generalmente
riconosciute  il  livello  di norme primarie: il rango costituzionale
della  norma  di  adattamento  dell'ordinamento  italiano  al diritto
internazionale (anche consuetudinario) giustifica la compressione del
principio  di  eguaglianza e del diritto alla tutela giurisdizionale.
Anche  l'estradizione  e' una delle forme di collaborazione tra Stati
in  materia  penale:  la  ratio della sospensione del processo in tal
caso   sta   nel   rispetto   della   sovranita'  degli  altri  Stati
(l'estradizione opera esclusivamente per i reati per i quali e' stata
concessa).

                       Considerato in diritto

    1.  -  Il  Tribunale  di Milano solleva questione di legittimita'
costituzionale  del  comma 2,  in  relazione  al comma 1, dell'art. 1
della  legge  20  giugno 2003,  n.140  (Disposizioni per l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei  confronti delle alte cariche dello Stato), il quale, fatti salvi
gli  articoli 90  e  96  della  Costituzione, dispone la sospensione,
dall'entrata  in  vigore  della  legge stessa, dei processi penali in
corso  nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 (Presidente della
Repubblica,  Presidente del Senato della Repubblica, Presidente della
Camera   dei   deputati,   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
Presidente  della Corte costituzionale), in ogni fase, stato o grado,
per qualsiasi reato, anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione
della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime.
    Secondo il giudice remittente la norma censurata, nello stabilire
per  i processi suindicati la sospensione automatica, generalizzata e
senza  prefissione  di  un  termine  finale,  viola  l'art. 3  Cost.,
anzitutto  con riguardo all'art. 112 Cost., che sancisce il principio
dell'obbligatorieta'   dell'azione   penale;  in  secondo  luogo  con
riferimento  agli artt. 68, 90 e 96 Cost., in quanto attribuisce alle
persone  che  ricoprono una delle menzionate alte cariche dello Stato
una   prerogativa   non  prevista  dalle  citate  disposizioni  della
Costituzione,   che  verrebbero  quindi  ad  essere  illegittimamente
modificate  con  legge  ordinaria,  in violazione anche dell'art. 138
Cost.,   disposizione   questa  che  il  remittente  non  indica  nel
dispositivo  dell'ordinanza,  ma cita in motivazione ed alla quale fa
implicito  ma  chiaro  riferimento  in tutto l'iter argomentativo del
provvedimento;  infine  viola  gli artt. 24, 111 e 117 Cost., perche'
non consente l'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato
e  delle  parti  civili, in contrasto anche con la Convenzione per la
protezione dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
    2.   -  In  via  preliminare  si  osserva  che  l'astensione  dei
magistrati componenti del collegio presso il quale era incardinato il
processo  penale e che ha sollevato la presente questione incidentale
non  ha  influenza sulla rilevanza e quindi sull'ammissibilita' della
medesima.
    L'astensione,  infatti,  non comporta la regressione del giudizio
ad   una   fase   preprocessuale,   tale   da  escludere  l'immediata
applicazione della norma da scrutinare.
    E'  opportuno  soggiungere  che,  secondo  il principio affermato
dall'indirizzo  di  gran  lunga  prevalente  di  questa Corte (v., ex
plurimis,  ordinanze  n. 270  del  2003,  n. 383 del 2002, n. 110 del
2000,  sentenze  n. 171  del  1996 e n. 300 del 1984), le vicende del
giudizio   a   quo   non  incidono  sullo  svolgimento  del  processo
costituzionale,    caratterizzato    dall'interesse   generale   alla
risoluzione  della  prospettata  questione.  Ne' si puo' aderire alla
tesi  difensiva  secondo  la  quale,  non  essendovi  altri  processi
pendenti  nei  quali  potrebbe ipotizzarsi l'applicazione della norma
censurata,  non  sarebbe  configurabile  alcun interesse generale cui
riferirsi.  Non soltanto, infatti, non e' provata tale situazione, ma
la  tesi  non  tiene conto del rilievo secondo cui la disposizione in
oggetto  (comma  2  dell'art. 1  della  legge  n. 140  del  2003)  ha
carattere   di   transitorieta'  anche  rispetto  alla  norma  -  non
espressamente  formulata  ma  necessariamente  desumibile  - la quale
impone  l'immediata  sospensione  di  quei  processi penali nei quali
dovesse   verificarsi  in  qualsiasi  momento  la  coincidenza  della
qualita'  d'imputato  con quella di titolare di una delle cinque alte
cariche indicate nel comma 1 dello stesso art. 1.
    La  questione, pertanto, non riguarda soltanto il processo in cui
e'  stata  sollevata,  ma  ha  valenza  generale,  sicche' dev'essere
esaminata nel merito.
    3.  -  Per  rispondere agli interrogativi posti dall'ordinanza di
rimessione  occorre,  in primo luogo, definire quali siano la natura,
la funzione e la portata della normativa impugnata.
    Essa  riguarda  una sospensione del processo penale, istituto che
si  sostanzia  nel  temporaneo  arresto  del  normale svolgimento del
medesimo  ed  e'  oggetto  non  di una disciplina generale, bensi' di
specifiche  regolamentazioni dettate con riguardo alla diversita' dei
presupposti e delle finalita' perseguite.
    Le sospensioni possono essere cosi' raggruppate:
        a) sospensioni   per   l'esistenza   di   una   pregiudiziale
(costituzionale,   comunitaria,  civile,  amministrativa,  tributaria
etc.);
        b) sospensioni   dovute   all'instaurazione  di  procedimenti
incidentali  finalizzati  ad assicurare la terzieta' del giudice o la
serenita' dello svolgimento del processo (ricusazione, rimessione);
        c) sospensioni  per il compimento di atti e comportamenti che
possono influire sull'esito del processo in modo tale da rendere tale
esito,  nella  valutazione  del  legislatore,  preferibile rispetto a
quelli  prevedibili  sulla  base del normale svolgimento del processo
stesso  (come  avviene  per  l'affidamento in prova dell'imputato nel
processo  minorile  e  per  il  compimento  delle  riparazioni, delle
restituzioni  e  del  risarcimento  del danno nel processo davanti al
giudice di pace);
        d) sospensioni   per   ragioni   soggettive,   quali   quella
dipendente dalla condizione dell'imputato che per infermita' di mente
non  e'  in grado di partecipare coscientemente al processo, e quella
degli  appartenenti  a  reparti mobilitati prevista dall'art. 243 del
codice penale militare di guerra.
    Se  si  prescinde  da quest'ultima, peraltro prevista in un testo
risalente  (regio decreto 20 febbraio 1941, n. 303), mai sottoposto a
scrutinio   di   costituzionalita'  e  soprattutto  connesso  ad  una
situazione eccezionale quale lo stato di guerra, le altre sospensioni
soddisfano  esigenze  del processo e sono finalizzate a realizzare le
condizioni perche' esso abbia svolgimento ed esito regolari, anche se
cio'  puo'  comportare  la temporanea compressione dei diritti che vi
sono  coinvolti.  Cio'  vale  anche  per la sospensione stabilita per
l'ipotesi  dell'imputato incapace, perche' la capacita' dell'imputato
di  partecipare  coscientemente  al processo e' aspetto indefettibile
del  diritto  di  difesa  senza  il  cui  effettivo  esercizio nessun
processo  e'  immaginabile,  come  questa  Corte ha affermato fin dai
primi anni della sua attivita' (cfr. sentenze n. 59 del 1959 e n. 354
del 1996).
    Da  quanto  fin  qui esposto emerge che la sospensione, di solito
prevista  per situazioni oggettive del processo, e' funzionale al suo
regolare proseguimento.
    Cio'  non  significa  che quello delle sospensioni sia un sistema
chiuso  e  che  il  legislatore non possa stabilire altre sospensioni
finalizzate  alla  soddisfazione  di  esigenze  extraprocessuali,  ma
implica   la   necessita'  di  identificare  i  presupposti  di  tali
sospensioni  e  le finalita' perseguite, eterogenee rispetto a quelle
proprie del processo.
    4.  -  La  situazione  cui  si riconnette la sospensione disposta
dalla   norma   censurata   e'  costituita  dalla  coincidenza  delle
condizioni  di  imputato  e di titolare di una delle cinque piu' alte
cariche  dello  Stato ed il bene che la misura in esame vuol tutelare
deve essere ravvisato nell'assicurazione del sereno svolgimento delle
rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche.
    Si  tratta  di un interesse apprezzabile che puo' essere tutelato
in  armonia  con  i  principi  fondamentali  dello  Stato di diritto,
rispetto al cui migliore assetto la protezione e' strumentale.
    E'  un modo diverso, ma non opposto, di concepire i presupposti e
gli  scopi  della  norma  la  tesi  secondo  la quale il legislatore,
considerando   che   l'interesse   pubblico  allo  svolgimento  delle
attivita'  connesse  alle  alte  cariche  comporti  nel  contempo  un
legittimo   impedimento  a  comparire,  abbia  voluto  stabilire  una
presunzione  assoluta  di  legittimo  impedimento. Anche sotto questo
aspetto la misura appare diretta alla protezione della funzione.
    Occorre  ora  accertare  e  valutare  come  la  norma  incida sui
principi  del  processo  e  sulle  posizioni  e  sui  diritti in esso
coinvolti.
    5.  - La sospensione in esame e' generale, automatica e di durata
non determinata.
    Ciascuna di siffatte caratteristiche esige una chiarificazione.
    La  sospensione  concerne  i  processi per imputazioni relative a
tutti  gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca commessi, che siano
extrafunzionali,  cioe' estranei alle attivita' inerenti alla carica,
come risulta chiaro dalla espressa salvezza degli artt. 90 e 96 della
Costituzione.
    Essa  e'  automatica nel senso che la norma la dispone in tutti i
casi  in  cui  la  suindicata  coincidenza  si verifichi, senza alcun
filtro, quale che sia l'imputazione ed in qualsiasi momento dell'iter
processuale, senza possibilita' di valutazione delle peculiarita' dei
casi concreti.
    Infine  la  sospensione,  predisposta  com'e'  alla  tutela delle
importanti  funzioni  di  cui si e' detto e quindi legata alla carica
rivestita  dall'imputato, subisce, per quanto concerne la durata, gli
effetti   della  reiterabilita'  degli  incarichi  e  comunque  della
possibilita'  di investitura in altro tra i cinque indicati. E non e'
fondata  l'obiezione  secondo  la quale il protrarsi dell'arresto del
processo  sarebbe  da  attribuire  ad  accadimenti  e non alla norma,
perche'   e'   questa   a  consentire  l'indefinito  protrarsi  della
sospensione.
    6.  -  Da quanto detto emerge anzitutto che la misura predisposta
dalla  normativa  censurata  crea  un  regime  differenziato riguardo
all'esercizio della giurisdizione, in particolare di quella penale.
    La  constatazione di tale differenziazione non conduce di per se'
all'affermazione   del  contrasto  della  norma  con  l'art. 3  della
Costituzione.  Il  principio  di eguaglianza comporta infatti che, se
situazioni  eguali  esigono  eguale  disciplina,  situazioni  diverse
possono  implicare  differenti  normative.  In  tale seconda ipotesi,
tuttavia,   ha   decisivo   rilievo   il  livello  che  l'ordinamento
attribuisce ai valori rispetto ai quali la connotazione di diversita'
puo' venire in considerazione.
    Nel caso in esame sono fondamentali i valori rispetto ai quali il
legislatore  ha  ritenuto  prevalente  l'esigenza di protezione della
serenita'  dello svolgimento delle attivita' connesse alle cariche in
questione.
    Alle  origini  della  formazione  dello  Stato  di diritto sta il
principio  della  parita' di trattamento rispetto alla giurisdizione,
il  cui  esercizio,  nel  nostro  ordinamento,  sotto piu' profili e'
regolato da precetti costituzionali.
    L'automatismo    generalizzato    della    sospensione    incide,
menomandolo,  sul  diritto di difesa dell'imputato, al quale e' posta
l'alternativa tra continuare a svolgere l'alto incarico sotto il peso
di  un'imputazione che, in ipotesi, puo' concernere anche reati gravi
e particolarmente infamanti, oppure dimettersi dalla carica ricoperta
al   fine   di   ottenere,   con   la   continuazione  del  processo,
l'accertamento  giudiziale  che  egli puo' ritenere a se' favorevole,
rinunciando  al  godimento di un diritto costituzionalmente garantito
(art. 51   Cost.).  Ed  e'  appena  il  caso  di  osservare  che,  in
considerazione  dell'interesse  generale  sotteso  alle  questioni di
legittimita' costituzionale, e' ininfluente l'atteggiamento difensivo
assunto dall'imputato nella concretezza del giudizio.
    Sacrificato  e'  altresi' il diritto della parte civile la quale,
anche  ammessa  la  possibilita' di trasferimento dell'azione in sede
civile,   deve  soggiacere  alla  sospensione  prevista  dal  comma 3
dell'art. 75 del codice di procedura penale.
    7.   -   Si   e'   affermato,   per   sostenere  la  legittimita'
costituzionale  della  legge,  che  nessun diritto e' definitivamente
sacrificato, nessun principio costituzionale e' per sempre negletto.
    La tesi non puo' essere accolta.
    All'effettivita'  dell'esercizio  della  giurisdizione  non  sono
indifferenti   i   tempi   del   processo.   Ancor  prima  che  fosse
espressamente   sancito   in  Costituzione  il  principio  della  sua
ragionevole  durata  (art. 111,  secondo  comma),  questa Corte aveva
ritenuto  che  una  stasi  del  processo  per  un  tempo indefinito e
indeterminabile vulnerasse il diritto di azione e di difesa (sentenza
n. 354  del  1996)  e  che  la  possibilita' di reiterate sospensioni
ledesse il bene costituzionale dell'efficienza del processo (sentenza
n. 353 del 1996).
    8.  -  La  Corte  ritiene  che anche sotto altro profilo l'art. 3
Cost. sia violato dalla norma censurata.
    Questa, infatti, accomuna in unica disciplina cariche diverse non
soltanto  per  le  fonti di investitura, ma anche per la natura delle
funzioni  e  distingue,  per  la  prima  volta sotto il profilo della
parita'  riguardo  ai  principi  fondamentali  della giurisdizione, i
Presidenti  delle  Camere,  del  Consiglio dei ministri e della Corte
costituzionale  rispetto  agli  altri componenti degli organi da loro
presieduti.   Ne'   vale  invocare,  come  precedente  e  termine  di
comparazione, l'art. 205 cod.proc.pen. il quale disciplina un aspetto
secondario  dell'esercizio della giurisdizione, ossia i luoghi in cui
i  titolari delle cinque piu' alte cariche dello Stato possono essere
ascoltati come testimoni.
    Non  e' superfluo soggiungere che, mentre vengono fatti salvi gli
artt. 90  e 96 Cost., nulla viene detto a proposito del secondo comma
dell'art. 3  della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, che ha
esteso  a  tutti  i  giudici  della Corte costituzionale il godimento
dell'immunita'  accordata  nel  secondo  comma  dell'art. 68 Cost. ai
membri  delle  due Camere. Ne consegue che si riscontrano nella norma
impugnata anche gravi elementi di intrinseca irragionevolezza.
    La questione e' pertanto fondata in riferimento agli artt. 3 e 24
della Costituzione.
    Resta    assorbito   ogni   altro   profilo   di   illegittimita'
costituzionale.
    9.  -  La  disposizione direttamente impugnata si inserisce in un
contesto  normativo le cui articolazioni, per quanto riguarda i primi
due  commi - che si riferiscono, rispettivamente, alle due situazioni
della  non  sottoponibilita'  a  processo  e  della  sospensione  dei
processi  eventualmente  gia'  in corso - sono dirette alla medesima,
sostanziale   finalita',   hanno   lo  stesso  ambito  soggettivo  di
applicazione   ed  entrano  in  contrasto  con  gli  stessi  precetti
costituzionali. Pertanto, in via conseguenziale ai sensi dell'art. 27
della  legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimita'
costituzionale deve estendersi anche ai commi 1 e 3, non direttamente
impugnati, dell'art. 1 della legge n. 140 del 2003: al comma 1 per le
ragioni appena dette, ed al comma 3, concernente la sospensione della
prescrizione  per  il  tempo  di  applicazione delle misure di cui ai
primi  due  commi,  perche'  lo stesso, caducati i precedenti, non ha
alcuna autonomia applicativa.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata  a  separata  decisione  la  questione  di legittimita'
costituzionale   dell'art. 110,   quinto  comma,  del  regio  decreto
30 gennaio  1941,  n. 12  (Ordinamento  giudiziario),  sollevata  dal
Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe;
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1, comma 2,
della  legge  20  giugno 2003,  n. 140 (Disposizioni per l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato);
    Dichiara, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
l'illegittimita'   costituzionale  dell'art. 1,  commi 1  e 3,  della
predetta legge n. 140 del 2003.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2004.
                       Il Presidente: Chieppa
                       Il redattore: Amirante
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
04C0103