N. 36 SENTENZA 20 - 26 gennaio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Questione  di  legittimita' costituzionale - Ricorsi regionali in via
  principale  -  Trattazione  e  decisione  -  Riserva  di  ulteriori
  pronunce su altre questioni sollevate negli stessi ricorsi.
Finanza  pubblica  -  Enti  locali  - Legge finanziaria dello Stato -
  Patto  di  stabilita'  -  Vincoli  alla  spesa  degli enti locali -
  Sistema  sanzionatorio,  in  caso  di  inosservanza - Ricorsi delle
  Regioni  Toscana  e  Basilicata  -  Sopravvenuta soppressione della
  previsione sanzionatoria - Cessazione della materia del contendere.
- Legge  28 dicembre  2001,  n. 448,  art. 24,  comma 9,  periodi dal
  secondo al quarto.
- Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117 e 119.
Finanza  pubblica  -  Enti  locali  -  Patto  di  stabilita'  - Legge
  finanziaria  dello Stato - Limite agli impegni per spese correnti -
  Ricorsi delle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna - Ritenuto indebito
  esercizio,   da  parte  dello  Stato,  di  potesta'  legislativa  a
  carattere  dettagliato,  nonche'  lamentata  irragionevolezza della
  normativa impugnata - Non fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 24, commi 2, 3 e 4.
- Costituzione, artt. 3, 117 e 118.
Finanza  pubblica  -  Enti  locali  - Legge finanziaria dello Stato -
  Patto di stabilita' - Convenzioni per acquisto di beni e servizi ed
  affidamento  all'esterno  dei  servizi  strumentali - Ricorsi della
  Regione  Basilicata  -  Lamentato  indebito  esercizio  di potesta'
  legislativa  in  materia riconducibile alla competenza residuale ed
  esclusiva della Regione - Non fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 24, commi 6, 7 e 8.
- Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117 e 119.
Finanza  pubblica  -  Enti  locali  - Legge finanziaria dello Stato -
  Trasferimenti  agli  enti  locali (anni 2002 - 2004) - Riduzione in
  misura  fissa  -  Ricorso  della  Regione  Basilicata  -  Lamentato
  indebito e irrazionale esercizio, da parte dello Stato, di potesta'
  legislativa - Non fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 24, comma 9, primo periodo.
- Costituzione, artt. 3, 5, 114, 117 e 119.
Finanza  pubblica  -  Enti  locali  - Legge finanziaria dello Stato -
  Obblighi  informativi nei confronti dell'amministrazione centrale -
  Modalita'  alternative  -  Definizione  con  decreto  del Ministero
  dell'economia  -  Ricorso  della  Regione Emilia-Romagna - Ritenuto
  esercizio   di   potesta'  regolamentare  fuori  dalle  materie  di
  competenza statale esclusiva - Non fondatezza della questione.
- Legge 28 dicembre 2001, n. 448, art. 24, comma 13.
- Costituzione, art. 117.
(GU n.5 del 4-2-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale   MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco
AMIRANTE, Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nei  giudizi  di legittimita' costituzionale dell'art. 24 della legge
28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), promossi
con  ricorsi  delle  Regioni  Toscana,  Basilicata ed Emilia-Romagna,
notificati  rispettivamente  il  22,  il  26  ed il 27 febbraio 2002,
depositati  in  cancelleria  il  1° marzo  2002  (reg. ric. n. 12 del
2003),  il  6 marzo  2002 (reg. ric. n. 20 del 2002) e l'8 marzo 2002
(reg.  ric.  n. 23  del  2002)  ed iscritti ai numeri 12, 20 e 23 del
registro ricorsi 2002.
    Visti  gli  atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito   nell'udienza  pubblica  del  17  giugno 2003  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi  gli  avvocati  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione Toscana,
Massimo Luciani per la Regione Basilicata, Giandomenico Falcon per la
Regione  Emilia-Romagna  e l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino per
il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  La  Regione  Toscana con ricorso notificato il 22 febbraio
2002  e  depositato  il  1° marzo 2002 (reg. ric. n. 12 del 2002), la
Regione  Basilicata,  con  ricorso  notificato  il 26 febbraio 2002 e
depositato  il  6 marzo 2002 (reg. ric. n. 20 del 2002), e la Regione
Emilia-Romagna   con   ricorso   notificato  il  27 febbraio  2002  e
depositato  l'8 marzo  2002 (reg. ric. n. 23 del 2002) hanno proposto
questione  di  legittimita'  costituzionale  di numerose disposizioni
della  legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione
del  bilancio  annuale  e pluriennale dello Stato - legge finanziaria
2002) e, tra queste, della disposizione di cui all'art. 24.
    In  particolare,  l'art. 24 e' oggetto del ricorso da parte della
Regione  Toscana  (quanto  ai  commi 2,  4  e  9)  per  contrasto con
l'art. 117  della  Costituzione  da  parte  della  Regione Basilicata
(quanto  ai  commi 6,  7, 8 e 9) per contrasto con gli articoli 3, 5,
114,   117,   119  della  Costituzione,  e  da  parte  della  Regione
Emilia-Romagna  (quanto  ai  commi 2, 3, 4, 13) per contrasto con gli
articoli 3, 117 e 118 della Costituzione, nonche' con il principio di
leale collaborazione.
    La  disposizione  impugnata,  concernente il «patto di stabilita'
interno  per  province  e  comuni», pone un tetto alle spese correnti
dell'ente  locale  per l'anno 2002, ragguagliato, con un aumento fino
al  6%,  agli  impegni  assunti  nell'anno 2000 (comma 2), escludendo
peraltro  dal  computo  le  spese  correnti connesse all'esercizio di
funzioni  statali  e  regionali  trasferite  o delegate sulla base di
modificazioni legislative intervenute a decorrere dall'anno 2000, nei
limiti  dei  corrispondenti  finanziamenti statali o regionali (comma
3); estende il predetto limite percentuale di incremento al complesso
dei  pagamenti  per  spese  correnti,  con  riferimento  ai pagamenti
effettuati  nell'esercizio  finanziario  2000 (comma 4); introduce un
meccanismo  di decurtazione dei trasferimenti erariali in misura pari
alla differenza tra gli obiettivi fissati dal comma 4 e gli obiettivi
effettivamente  conseguiti,  e  nel  caso  in  cui  l'ente locale non
trasmetta  al Ministero dell'economia e delle finanze le informazioni
concernenti il rispetto del predetto obiettivo (comma 9).
    Inoltre,  l'art. 24  stabilisce  (comma  6) che per l'acquisto di
beni  e  servizi  gli  enti  locali  possano aderire alle convenzioni
stipulate  ai sensi dell'art. 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello  Stato  -  legge  finanziaria  2000)  (per le quali il Ministro
dell'economia  si  avvale  della  Concessionaria  servizi informatici
pubblici   -   CONSIP  S.p.a.,  ai  sensi  del  decreto  ministeriale
24 febbraio 2000) e ai sensi dell'articolo 59 della legge 23 dicembre
2000,  n. 388  (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale  dello  Stato  - legge finanziaria 2001), ed in ogni caso
debbano  adottare  i  prezzi  di tali convenzioni come base d'asta al
ribasso,  ove  intendano  procedere  ad acquisti in maniera autonoma;
prevede (comma 7) che gli enti locali emanino direttive affinche' gli
amministratori  da  loro  designati  in  enti  e  aziende  promuovano
l'adesione  alle  convenzioni  di cui al comma 6 o l'attuazione della
procedura d'asta alternativamente prevista; impegna i soggetti di cui
ai   commi 6   e   7   (comma   8)   a   realizzare   azioni  dirette
all'«esternalizzazione» dei servizi.
    Infine,   il   comma 13   dell'art. 24   assegna  ad  un  decreto
ministeriale  il  compito  di  definire  le modalita' di formazione e
trasmissione  da  parte  delle  regioni,  delle  Province autonome di
Trento  e  Bolzano  e  delle  province  e  comuni  con piu' di 60.000
abitanti   allo   stato   di  un  prospetto  trimestrale,  contenente
informazioni  su incassi, pagamenti e (per comuni e province con piu'
di 60.000 abitanti) operazioni finanziarie effettuate con istituti di
credito e non registrate nel conto di tesoreria.
    Avverso  tali  previsioni  le  Regioni  Toscana (limitatamente ai
commi 2,  4  e  9)  e Basilicata (limitatamente ai commi 6, 7, 8 e 9)
deducono,   anzitutto,   lesione   dell'art. 117  della  Costituzione
(nonche',  quanto  alla  seconda,  degli  articoli 3,  5,  114  della
Costituzione),  assumendo  che  esse  abbiano  carattere dettagliato,
nonostante  il  fatto che, in materia oggetto di potesta' legislativa
concorrente  («coordinamento  della  finanza  pubblica»), spetti allo
Stato la sola determinazione dei principi fondamentali.
    Peraltro,  la  Regione  Basilicata ritiene che le norme impugnate
«non  "coordinano"  alcunche',  ma  impongono,  autoritativamente,  i
comportamenti  da tenere», intervenendo in materia («organizzazione e
funzionamento   degli   enti  locali»),  da  ricondursi,  secondo  la
ricorrente,  alla  potesta'  legislativa residuale ed esclusiva della
regione,  posto  che allo Stato l'art. 117, comma secondo, lettera p,
della  Costituzione  riserva soltanto la disciplina legislativa degli
«organi  di  governo»  e  delle  «funzioni  fondamentali»  degli enti
locali.
    Una  seconda  censura  svolta dalla Regione Basilicata avverso il
comma 9  dell'art. 24 e dalla Regione Emilia-Romagna nei riguardi dei
commi 2,  3  e  4 della medesima disposizione attiene alla denunciata
violazione  dell'art. 3  della  Costituzione,  sotto il profilo della
irragionevolezza della normativa impugnata.
    Osserva  sul  punto  la  Regione Basilicata che l'introduzione di
regole  uniformi per tutti gli enti locali, quanto all'osservanza del
patto   di   stabilita',   tradisce   il  disegno  costituzionale  di
valorizzazione  delle  autonomie  territoriali  (articoli 3 e 5 della
Costituzione,  «in una con le disposizioni del Titolo V») in modo del
tutto irragionevole, giacche', nel vincolare l'ente al rispetto di un
tetto  alle  spese,  senza  tener  conto  dell'«entita' delle risorse
disponibili»,   «della   maggiore  o  minore  "salute"  iniziale  dei
bilanci»,  «dell'estensione  del territorio governato», si «impone la
stessa  "ricetta"» a tutti, pur in presenza di situazioni differenti,
rischiando cosi' di compromettere l'equilibrio economico di gestione.
    Dal  canto  suo,  la  Regione  Emilia-Romagna,  premesso  che  la
disposizione  impugnata, nei commi supra citati, costituisce norma di
principio    in   materia   di   potesta'   legislativa   concorrente
(«coordinamento  della  finanza  pubblica»),  ne sottolinea a propria
volta  l'irragionevolezza,  anzitutto poiche' «non si comprende quale
utilita'  abbia  il limite posto alle spese, dato che il limite posto
al  disavanzo  dal comma 1, dell'art. 24 dovrebbe bastare a garantire
la "stabilita'" perseguita dalla legge».
    Inoltre,   la   ricorrente   ritiene  violato  il  «principio  di
proporzionalita»  e  «il  principio  che  prescrive al legislatore di
tener  conto delle possibili eccezioni», posto che il limite di spesa
e'  configurato  in  termini rigidi, senza prendere in considerazione
possibili,  particolari  disponibilita'  finanziarie dell'ente locale
nell'anno 2002,  ne'  l'andamento delle entrate: sarebbe stato invece
doveroso, osserva la Regione Emilia-Romagna, scegliere un «mezzo meno
incisivo», idoneo a limitare le spese in relazione alle entrate.
    Appare poi alla ricorrente «arbitrario e illogico» che il comma 4
dell'art. 24  assuma  a  parametro  di riferimento per determinare il
limite  di incremento delle spese quanto verificatosi nell'anno 2000,
anziche'  nel  2001 (contrariamente al criterio adottato dall'art. 19
della  stessa  legge  28 dicembre  2001,  n. 448, in ordine al blocco
delle  assunzioni),  senza  farsi  carico  di ricostruire l'andamento
finanziario complessivo dell'ente per un congruo numero di anni (tale
rilievo  viene svolto incidentalmente anche dalla Regione Toscana, in
sede di impugnativa dei commi 2, 4 e 9).
    Infine,  parimenti  irrazionale  si  manifesta  agli  occhi della
ricorrente  la scelta, operata dal comma 3 dell'art. 24, di escludere
dal  computo  delle  spese  correnti quelle effettuate in relazione a
funzioni  statali  e  regionali  trasferite  o  delegate,  sulla base
tuttavia  di modificazioni legislative sopraggiunte dall'anno 2000 in
poi.
    Non  si  comprenderebbe,  infatti,  la ragione giustificatrice di
tale  limitazione  cronologica, a maggior ragione se si considera che
la  Regione  Emilia-Romagna  ha  provveduto  fin dal 1999, tramite la
legge regionale 21 aprile 1999, n. 3 (Riforma del sistema regionale e
locale),  a  trasferire  numerose  funzioni  amministrative agli enti
locali,  con  decorrenza dall'entrata in vigore dei d.P.C.m. previsti
dall'art. 7  della  legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per
il  conferimento  di  funzioni e compiti alle regioni ed enti locali,
per   la   riforma   della   pubblica   amministrazione   e   per  la
semplificazione amministrativa).
    Per  tali vie, conclude la Regione Emilia-Romagna, si «rischia di
frenare  l'azione  degli  enti  locali  oltre  misura», disconoscendo
«l'interesse,  pure  di  rango costituzionale, allo svolgimento delle
funzioni»  da  parte  di  questi ultimi, e in definitiva eludendo «un
ragionevole  bilanciamento»  tra  tale  ultimo  interesse  e  quello,
potenzialmente concorrente, costituito dalla stabilita' finanziaria.
    La Regione Emilia-Romagna osserva di essere legittimata a muovere
le  censure  sopra  esposte, poiche' l'art. 118 della Costituzione le
attribuisce  il  compito, insieme con lo Stato, di «allocatore» delle
funzioni   amministrative,  «per  cui  una  norma  che  ponga  limiti
incostituzionali    alle    funzioni   degli   enti   locali   incide
illegittimamente» su tale ruolo regionale, oltre che «sul ruolo della
Regione  di rappresentante generale degli interessi della popolazione
regionale».
    Sotto  questo profilo, la Regione Toscana eleva tale argomento ad
autonomo  motivo  di  censura  dei  commi 2,  3 e 9 dell'art. 24, per
contrasto con l'art. 117 della Costituzione.
    La  normativa  sul  patto  di  stabilita', secondo la ricorrente,
venendo  a  incidere  restrittivamente  sull'esercizio delle funzioni
amministrative degli enti locali, cui e' infatti imposto un limite di
spesa  a  prescindere  dalle  risorse di cui ciascuno di essi puo' in
concreto disporre, finisce per «vanificare» la disciplina legislativa
regionale    di    conferimento    delle    funzioni,   tramite   una
«predeterminazione dal centro del livello massimo» delle stesse.
    La Regione Basilicata denuncia altresi', in relazione ai commi 6,
7,  8  e 9, la violazione dell'art. 117 della Costituzione, in ordine
al  riparto  di competenza legislativa nell'attuazione degli obblighi
di derivazione comunitaria.
    Sostiene  a  questo  proposito  la  ricorrente  che  il  patto di
stabilita',  nato con l'art. 28 della legge 23 dicembre 1998, n. 448,
e  ulteriormente  disciplinato  dall'art. 53  della legge 23 dicembre
2000,  n. 388, ha l'obiettivo di imporre agli enti locali il rispetto
degli obblighi di bilancio assunti dall'Italia in sede comunitaria.
    In  quest'ottica,  si  argomenta  che «l'attuazione degli impegni
comunitari,  nelle  materie  di  loro  competenza,  e' riservata alle
Regioni  sicche'  e'  radicalmente illegittimo che sia la legge dello
Stato ad imporre obiettivi e mezzi agli enti locali», per raggiungere
tale scopo.
    La  sola  Regione  Basilicata  lamenta,  altresi',  la violazione
dell'art. 119  della  Costituzione  da  parte  dei  commi 6, 7, 8 e 9
dell'art. 24,   giacche'   il   nuovo   sistema   costituzionale   di
finanziamento  delle autonomie locali, basato sul «doppio canale» dei
tributi propri e della compartecipazione ai tributi erariali, avrebbe
determinato il superamento del pregresso meccanismo dei trasferimenti
di  risorse:  la  disposizione impugnata trascurerebbe del tutto tale
profilo,  sanzionando l'inosservanza del patto di stabilita' interno,
tramite   la  decurtazione  dei  trasferimenti,  ed  «imponendo,  per
soprammercato,   prassi   comportamentali   che   dovrebbero   essere
stabilite,  semmai,  dalla  legge regionale (titolare della esclusiva
competenza in materia)».
    La Regione Emilia-Romagna impugna anche il comma 13 dell'art. 24,
sulla  formazione  e trasmissione del prospetto informativo di cui ai
commi 10,  11  e  12  della  medesima  disposizione di legge, secondo
modalita'  definite  con  decreto del Ministero dell'economia e delle
finanze, di concerto con il Ministero dell'interno.
    A parere della ricorrente, tale norma ha carattere dettagliato ed
invade,  percio',  la sfera di competenza legislativa concorrente che
spetta alla regione, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, nella
materia concernente il «coordinamento della finanza pubblica».
    Essa  attribuirebbe,  poi,  allo Stato un potere regolamentare in
tale materia, nuovamente violando l'art. 117 della Costituzione.
    Infine,  sarebbe  leso  il  principio  di  leale  collaborazione,
poiche'   non  e'  prevista  alcuna  intesa  in  sede  di  Conferenza
Stato-regioni.
    2. - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  a  mezzo  dell'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo,
con identici argomenti, la reiezione di tutti i ricorsi.
    Osserva  l'Avvocatura  dello  Stato  che  la disciplina impugnata
troverebbe  la  propria  fonte  in  «norme  comunitarie di rango pari
rispetto alle norme costituzionali», posto che il patto di stabilita'
e' teso a perseguire il rispetto di obblighi comunitari.
    Pertanto,  le  censure mosse dalle ricorrenti sarebbero, a fronte
di  tale  deduzione, prive di rilievo, senza che abbia peso la natura
dettagliata o no delle norme impugnate.
    3.  -  Le  Regioni  Toscana,  Basilicata  ed Emilia-Romagna hanno
depositato,    in    prossimita'   dell'udienza   pubblica,   memorie
illustrative,   con  cui  hanno  ribadito  le  proprie  doglianze  ed
insistito per l'accoglimento dei rispettivi ricorsi.
    In   tale  sede  la  Regione  Basilicata  si  e'  in  particolare
soffermata  sull'eccezione  mossa  dallo Stato, per la quale la norma
impugnata troverebbe «fonte e finalita» nell'ordinamento comunitario,
venendo cosi' a legittimarsi costituzionalmente.
    La  ricorrente  osserva, nel senso opposto, che la giurisprudenza
costituzionale  ha  escluso che le esigenze di attuazione del diritto
comunitario  possano  alterare  il  riparto  interno delle competenze
legislative,  salva  l'ipotesi  di  interventi  di  seconda  istanza,
repressivi  o  sostitutivi  e  suppletivi,  nel caso di inerzia della
regione, tramite norme in ogni caso cedevoli, ovvero salve le ipotesi
straordinarie  in  cui sia lo stesso diritto comunitario a prevedere,
per  esigenze  organizzative, la «statalizzazione» della normativa di
dettaglio  (ipotesi  nelle quali, tuttavia, non rientrerebbe il patto
di stabilita' interno).
    Anche  in  tal  caso,  tuttavia,  e' preservato il rispetto degli
inderogabili principi costituzionali fondamentali.
    La  revisione del titolo V della parte seconda della Costituzione
imporrebbe di qualificare in tali termini il nuovo assetto di riparto
delle    competenze    legislative,   giacche'   esso   rifletterebbe
direttamente  il  punto  di bilanciamento tra principi dell'autonomia
locale  e  unita'  della  Repubblica,  costituzionalizzando  in buona
misura la redistribuzione delle funzioni avviata dalla legge 15 marzo
1997, n. 59.
    Inoltre,  gli  stessi  disegni di legge recanti «Disposizioni per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18 ottobre  2001,  n. 3»  (ora  legge  5 giugno 2003,
n. 131)   e  «Norme  generali  sulla  partecipazione  dell'Italia  al
processo   normativo   dell'Unione   europea  e  sulle  procedure  di
esecuzione  degli  obblighi  comunitari»  (disegno  di  legge n. 3123
presentato  alla Camera dei deputati il 2 settembre 2002, che prevede
la  modifica  della  legge  9 marzo  1989,  n. 86) confermerebbero la
volonta'  legislativa di rafforzamento, anziche' di decremento, delle
garanzie  di  partecipazione delle regioni all'attuazione del diritto
comunitario.
    La  norma  impugnata,  conclude  la  ricorrente,  si  rivelerebbe
irragionevole anche sotto tale profilo.
    A propria volta, la Regione Emilia-Romagna contesta la tesi dello
Stato,    per   la   quale   l'art. 24   sarebbe   costituzionalmente
giustificato,  in  quanto  attuativo del diritto comunitario: nessuna
norma  comunitaria  giustificherebbe  la deroga ai criteri di riparto
delle  competenze interne, ne' imporrebbe le modalita', astrattamente
infinite e rimesse alla discrezionalita' del legislatore interno, per
conseguire gli obiettivi sottesi al patto di stabilita'.
    La  ricorrente  si  fa  altresi' carico di esaminare le modifiche
legislative  apportate  all'art. 24  dapprima dall'art. 3 della legge
24 aprile  2002,  n. 75,  che ha convertito in legge il decreto legge
22 febbraio  2002,  n. 13  (Disposizioni  urgenti  per  assicurare la
funzionalita'  degli  enti  locali),  e  poi dall'art. 29 della legge
27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003).
    Tali  disposizioni,  per  cio'  che  qui interessa, escludono dal
computo  delle  spese  correnti rilevanti ai fini dell'osservanza del
patto  di  stabilita' interna interessi passivi e spese finanziate da
programmi  comunitari  (art. 3,  comma 1, del decreto-legge n. 13 del
2002);  introducono  un  criterio  di  calcolo  convenzionale  e piu'
favorevole  della  spesa  relativa ai servizi «esternalizzati», quale
base  per  la  determinazione  della  spesa  corrente per l'anno 2000
(art. 3,  comma 2,  del  decreto  legge  n. 13 del 2002); abrogano il
meccanismo  di  decurtazione  dei  trasferimenti erariali, in caso di
inosservanza del patto di stabilita' interna (art. 29, comma 9, della
legge n. 289 del 2002); attribuiscono al solo Ministero dell'economia
e  delle  finanze  la  potesta'  di emanare il decreto concernente il
prospetto  informativo  di  cui  al  comma 13  dell'art. 24  (art. 3,
comma 3, del decreto legge n. 13 del 2002).
    Esse,  secondo la Regione Emilia-Romagna, non varrebbero comunque
a  superare  le censure esposte in ricorso, ma, anzi, confermerebbero
«la  mancanza  di parametri razionali a cui fare affidamento», specie
con  riguardo  alla  «continua  revisione  dei criteri di limitazione
percentuale dell'incremento delle spese correnti».
    4.  -  All'udienza  del  17 giugno 2003 le parti hanno discusso i
ricorsi, insistendo sulle conclusioni gia' rassegnate.

                       Considerato in diritto

    1. - La presente decisione riguarda le sole questioni concernenti
l'art. 24  della  legge  n. 448  del  2001,  mentre resta riservata a
separate pronunzie la decisione delle altre questioni sollevate negli
stessi ricorsi.
    2. - L'art. 24 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni
per  la  formazione  del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -
legge  finanziaria  2002), rubricato «Patto di stabilita' interno per
province  e  comuni», e' oggetto di censura nei ricorsi delle Regioni
Toscana, Basilicata ed Emilia-Romagna.
    Si  tratta di una disposizione dai contenuti plurimi e complessi.
Il  comma 1  - non contestato in alcuno dei ricorsi - dispone che «ai
fini  del  concorso delle autonomie locali al rispetto degli obblighi
comunitari  della  Repubblica ed alla conseguente realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica per il triennio 2002-2004», per il 2002
il disavanzo di ciascuna provincia e di ciascuno dei comuni con oltre
5.000  abitanti  (computato  secondo le regole stabilite dall'art. 28
della  legge  n. 448  del  1998,  istitutivo  del patto di stabilita'
interno,  e  successive  modificazioni)  non  puo' essere superiore a
quello del 2000 aumentato del 2,5 per cento.
    Il  comma 2 - impugnato dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna -
impone,  «per  le  medesime  finalita'  e  nei  limiti  stabiliti dal
comma 1»,  un  limite,  per  il  2002, al complesso degli impegni per
spese  correnti  di  ogni ente, al netto degli interessi passivi e di
quelle  finanziate da programmi comunitari: essi non possono superare
quelli  assunti  nel  2000,  aumentati  del 6 per cento. Il comma 3 -
impugnato  dalla  sola  Regione  Emilia-Romagna  - specifica che sono
escluse  da  tale computo le spese correnti connesse all'esercizio di
funzioni   trasferite   o   delegate   sulla  base  di  modificazioni
legislative  intervenute  nel  2000 o successivamente, nei limiti dei
corrispondenti  finanziamenti statali o regionali. Il comma 4 estende
il  vincolo al complesso dei pagamenti per spese correnti, che a loro
volta  non  possono  crescere  oltre il 6 per cento rispetto al 2000:
esso e' impugnato dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna.
    Il comma 5, non impugnato, prescriveva un ulteriore intervento di
riduzione   del  disavanzo,  ma  e'  stato  successivamente  abrogato
dall'art. 29, comma 9, della legge n. 289 del 2002 (legge finanziaria
per il 2003).
    Il  comma 6,  impugnato dalla sola Regione Basilicata, stabilisce
che  «per  l'acquisto  di  beni  e  servizi le province, i comuni, le
comunita'  montane  e  i consorzi di enti locali possono aderire alle
convenzioni»  stipulate dal Ministero dell'economia e per conto dello
stesso  dalla  CONSIP S.p.a. o da aggregazioni di enti promosse dallo
stesso  Ministero;  che  «in  ogni  caso per procedere ad acquisti in
maniera autonoma i citati enti adottano i prezzi delle convenzioni di
cui  sopra  come  base d'asta al ribasso»; che gli atti relativi sono
trasmessi  agli organi di revisione contabile degli enti. A sua volta
il  comma 7,  impugnato  dalla medesima Regione, prevede che gli enti
locali   emanano  direttive  affinche'  gli  amministratori  da  essi
designati  negli  enti  ed  aziende promuovano l'adesione alle stesse
convenzioni  o  l'attuazione delle procedure previste dal comma 6 per
gli acquisti autonomi.
    Il  comma 8,  anch'esso  impugnato dalla sola Regione Basilicata,
stabilisce che gli enti locali e le aziende i cui amministratori sono
designati dagli stessi «devono promuovere opportune azioni dirette ad
attuare   l'esternalizzazione  dei  servizi  al  fine  di  realizzare
economie di spesa e migliorare l'efficienza gestionale».
    Il   comma 9,  impugnato  dalle  Regioni  Toscana  e  Basilicata,
stabilisce che, «in correlazione alle disposizioni di cui ai commi da
1 a 8», i trasferimenti erariali spettanti ai comuni e alle province,
per  gli  anni 2002,  2003  e  2004,  a  valere  sui  fondi  previsti
dall'art. 34  del  d.lgs.  n. 504  del  1992  (fondo ordinario, fondo
consolidato,  fondo  perequativo),  sono  ridotti  di una percentuale
dell'1  per cento nel primo anno, del 2 per cento nel secondo e del 3
per cento nel terzo anno del triennio. Il comma proseguiva stabilendo
una  ulteriore riduzione dei trasferimenti per il 2002 a carico degli
enti  che non rispettassero il limite alla crescita dei pagamenti per
spese correnti o che non trasmettessero al Ministero dell'economia le
informazioni   concernenti  il  rispetto  di  detto  obiettivo:  tale
previsione  e'  stata  pero'  successivamente soppressa dall'art. 29,
comma 9, della legge n. 289 del 2002.
    Non sono impugnati invece i commi 10 (sull'obbligo delle regioni,
delle  province e dei comuni con oltre 60.000 abitanti di trasmettere
al   Ministero  dell'economia  le  informazioni  sugli  incassi  e  i
pagamenti  effettuati),  11 (sull'analogo obbligo per quanto riguarda
gli  impegni  assunti),  12 (sull'obbligo per le province ed i comuni
con  oltre  60.000  abitanti  di trasmettere anche informazioni sulle
operazioni  finanziarie  effettuate  con  istituti  di  credito e non
registrate  nel  conto  di  tesoreria)  e 14 (concernente le Province
autonome  di  Trento  e  di  Bolzano). La sola Regione Emilia-Romagna
impugna  pero'  il  comma 13,  secondo cui il prospetto contenente le
informazioni  di  cui  ai  commi 10, 11 e 12 e le modalita' della sua
trasmissione sono definiti con decreto del Ministero dell'economia di
concerto  con  quello dell'interno (concerto oggi non piu' richiesto,
ai  sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 13 del 2002,
convertito dalla legge n. 75 del 2002).
    3.  -  A  parte quest'ultima censura, le questioni possono essere
divise  in due gruppi: a) quelle relative ai limiti posti dalle norme
impugnate  alla  crescita  della spesa corrente degli enti locali, in
termini   di  impegni  e  di  pagamenti,  e  ai  relativi  meccanismi
sanzionatori  (commi  2, 3, 4 e 9, periodi dal secondo al quarto); b)
quelle  relative  alle convenzioni sugli acquisti di beni e servizi e
alle altre economie di spesa (commi 6, 7 e 8). La censura mossa dalla
Regione  Basilicata  al  comma 9 nel suo complesso, e quindi anche al
primo  periodo,  si pone, per cosi' dire, a cavallo dei due gruppi di
questioni.
    Quanto  al  primo  aspetto  (vincoli  alla  crescita  della spesa
corrente),  le  Regioni ricorrenti lamentano in sostanza che lo Stato
abbia  posto  norme  di  dettaglio  in una materia - il coordinamento
della finanza pubblica - che l'art. 117 Cost. assegna alla competenza
concorrente  delle  regioni  (Regioni  Toscana  e Basilicata); che la
legge  comprima indebitamente l'autonomia delle regioni ai fini della
allocazione  delle  funzioni amministrative in capo agli enti locali,
in  quanto  i  vincoli  alla spesa comprometterebbero l'efficienza di
questi  ultimi nell'esercizio delle funzioni disciplinate dalle leggi
regionali  (Regioni  Toscana  ed Emilia-Romagna) e leda la competenza
regionale   per   l'attuazione  degli  obblighi  comunitari  (Regione
Basilicata); che la legge imponga, senza bilanciare adeguatamente gli
interessi  potenzialmente  concorrenti della stabilita' finanziaria e
dell'autonomia   degli  enti,  vincoli  eccessivi,  irragionevolmente
rigidi  e  uniformi,  che non tengono conto della concreta situazione
finanziaria  degli  enti  e  della loro capacita' fiscale, e che sono
irragionevolmente  parametrati  sulla  spesa  dell'anno 2000 (Regioni
Basilicata  ed Emilia-Romagna); che essa trascuri il nuovo sistema di
finanziamento  degli  enti  locali, voluto dall'art. 119 Cost., e non
piu',  fondamentalmente,  basato sui trasferimenti dal bilancio dello
Stato (Regione Basilicata).
    Il  comma 9  e'  censurato dalla Regione Toscana non in relazione
alla  prevista riduzione dei trasferimenti in se', disposta in misura
fissa  dal primo periodo «in correlazione alle disposizioni di cui ai
commi  da  1 a 8», ma in relazione alle ulteriori riduzioni, previste
dai  periodi  successivi,  a  carico degli enti che non rispettino il
vincolo  alla  crescita  dei pagamenti. La Regione Basilicata censura
invece genericamente il comma in relazione a tutte le disposizioni in
esso   contenute,  sia  pure  riferendosi  poi  in  particolare  alle
ulteriori  riduzioni di cui si e' detto: e in questo senso il ricorso
di  quest'ultima  Regione, che formalmente non investe i commi 2, 3 e
4, li coinvolge indirettamente.
    Quanto  al  secondo  aspetto  (acquisti di beni e servizi e altre
economie   di   spesa),   oggetto  del  solo  ricorso  della  Regione
Basilicata,  la  ricorrente  lamenta  la  violazione della competenza
legislativa regionale in tema di organizzazione e funzionamento degli
enti locali, e il carattere, proprio delle disposizioni impugnate, di
normativa  di  dettaglio che impone autoritativamente i comportamenti
da tenersi da parte delle amministrazioni locali.
    Infine,  il  comma 13,  sul  potere  ministeriale  di definire il
prospetto  informativo  e  le  modalita'  della  sua trasmissione, e'
censurato  in  quanto norma di dettaglio, che attribuirebbe un potere
sostanzialmente  regolamentare  al Ministro al di fuori delle materie
di potesta' esclusiva dello Stato, e in quanto non prevede una intesa
nella  conferenza Stato-regioni, cosi' violando il principio di leale
collaborazione.
    4. - Limitatamente alle predette questioni concernenti l'art. 24,
i  giudizi  devono  essere  riuniti  per  connessione di oggetto, per
essere decisi con unica pronunzia.
    5.  -  Il  cosiddetto patto di stabilita' interno, concernente il
concorso  delle regioni e degli enti locali «alla realizzazione degli
obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato con l'adesione
al  patto  di  stabilita'  e  crescita»  definito  in  sede di Unione
europea,  e  comportante  l'impegno  degli enti medesimi a ridurre il
finanziamento  in  disavanzo delle proprie spese e il rapporto tra il
proprio  ammontare  di  debito  e il prodotto interno lordo, e' stato
introdotto  con  l'art. 28  della  legge 23 dicembre 1998, n. 448 (ma
vedi,  gia'  prima,  l'art. 48  della  legge  n. 449  del  1997,  che
stabiliva   obiettivi   globali   di   contenimento   del  fabbisogno
finanziario  generato  dalla spesa regionale e locale, in vista della
realizzazione  degli  obiettivi di finanza pubblica, e sul quale cfr.
la  sentenza  n. 507  del 2000). Esso si e' tradotto all'inizio in un
vincolo  alla  riduzione  o alla stabilita' del disavanzo annuo degli
enti  (cfr.  art. 28,  comma 2, della legge n. 448 del 1998; art. 30,
comma 1,  della  legge n. 488 del 1999), successivamente in un limite
massimo  alla  crescita  del disavanzo (art. 53, comma 1, della legge
n. 388  del  2000;  art. 24,  comma 1, della legge n. 448 del 2001) o
ancora  in  un  vincolo  alla  riduzione  o  alla  stabilita' di esso
(art. 29, commi 4 e 6, della legge n. 289 del 2002). Questo aspetto -
presente  anche  nel comma 1 dell'articolo 24 della legge finanziaria
per il 2002 - non e' contestato dalle ricorrenti.
    L'impugnato  art. 24,  commi 2,  3  e  4,  ha  aggiunto un limite
massimo  alla  crescita  delle spese correnti, con talune esclusioni,
sia  in  termini  di  impegni  di  spesa (comma 2), sia in termini di
pagamenti  (comma  4).  Al  mancato rispetto di tale ultimo limite il
comma 9,   secondo,   terzo  e  quarto  periodo,  faceva  conseguire,
originariamente,  un  sistema  di  sanzioni  in  termini di riduzione
ulteriore  dei  trasferimenti  a  carico del bilancio dello Stato e a
favore  degli  enti  locali:  ed  e'  soprattutto in relazione a tale
sistema  che la disposizione in esame e' contestata dalle ricorrenti.
L'art. 29,  comma 9,  della  successiva legge finanziaria per il 2003
(legge  n. 289  del 2002) ha soppresso tale previsione sanzionatoria,
contenuta   nei   periodi   dal   secondo   al   quarto  del  comma 9
dell'impugnato   art. 24.   Pertanto,   incidendo  la  sopravvenienza
normativa  sullo  stesso  anno 2002  a cui si riferiva la statuizione
abrogata,  deve  essere  dichiarata  la  cessazione della materia del
contendere  relativamente  alla  questione  sollevata  dalle  Regioni
Toscana  e Basilicata nei riguardi di detto comma 9, limitatamente ai
periodi dal secondo al quarto dello stesso comma.
    Tuttavia  cio'  non comporta una analoga pronuncia in ordine alle
questioni che investono i commi 2, 3 e 4 dello stesso art. 24, per la
decisiva  considerazione  che, anche dopo la parziale abrogazione del
comma 9,  non  solo permangono le riduzioni «fisse» dei trasferimenti
previste dal primo periodo dello stesso comma 9 «in correlazione alle
disposizioni  di  cui  ai commi da 1 a 8», ma il mancato rispetto dei
limiti  posti  dai commi 2 e 4 non e' senza ulteriori conseguenze per
gli  enti  locali: l'art. 34, comma 11, della stessa legge n. 289 del
2002  stabilisce  infatti che nei confronti degli enti locali che non
abbiano  rispettato  le regole del patto di stabilita' interno per il
2002  rimane  confermata  la  disciplina  prevista dall'art. 19 della
legge  n. 448  del  2001, la quale sanciva il divieto di procedere ad
assunzioni  di  personale  a  tempo indeterminato da parte degli enti
locali  che  non  avessero  rispettato  le  disposizioni del patto di
stabilita' interno per il 2001.
    6.  -  Nel  merito,  le  questioni  concernenti  i commi 2, 3 e 4
dell'art. 24 non sono fondate.
    Non  e' contestabile il potere del legislatore statale di imporre
agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse
ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari,
vincoli  alle  politiche  di  bilancio, anche se questi si traducono,
inevitabilmente,  in  limitazioni  indirette  all'autonomia  di spesa
degli enti. La natura stessa e la finalita' di tali vincoli escludono
che si possano considerare le disposizioni impugnate come esorbitanti
dall'ambito  di una disciplina di principio spettante alla competenza
dello Stato.
    E'  ben vero che, stabilito il vincolo alla entita' del disavanzo
di  parte  corrente, potrebbe apparire superfluo un ulteriore vincolo
alla  crescita  della  spesa  corrente,  potendo  il  primo obiettivo
conseguirsi  sia  riducendo  le  spese,  sia  accrescendo le entrate.
Tuttavia  il  contenimento del tasso di crescita della spesa corrente
rispetto  agli  anni  precedenti  costituisce  pur  sempre  uno degli
strumenti   principali   per  la  realizzazione  degli  obiettivi  di
riequilibrio finanziario, ed infatti esso e' indicato fin dall'inizio
fra  le  azioni attraverso le quali deve perseguirsi la riduzione del
disavanzo annuo (cfr. art. 28, comma 2, lettera b, della legge n. 448
del  1998, nonche' art. 28, comma 2-bis, della stessa legge, aggiunto
dall'art. 30, comma 8, della legge n. 488 del 1999).
    Non puo' dunque negarsi che, in via transitoria ed in vista degli
specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti
dal  legislatore  statale,  quest'ultimo  possa,  nell'esercizio  non
irragionevole  della  sua  discrezionalita',  introdurre  per un anno
anche  un  limite  alla  crescita  della  spesa  corrente  degli enti
autonomi,  tenendo  conto che si tratta di un limite complessivo, che
lascia  agli  enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse
fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
    Quanto  poi  alla  natura  indifferenziata del vincolo, imposto a
tutti gli enti senza tener conto della loro concreta situazione, essa
certo  sottolinea  come  si  tratti  di una misura in qualche modo di
emergenza,   che   tende  a  realizzare,  nell'ambito  della  manovra
finanziaria  annuale disposta con la legge, un obiettivo di carattere
nazionale,  applicandosi  allo stesso modo a tutti gli enti locali di
una  certa  dimensione: ma tale elemento non e' sufficiente a rendere
manifestamente irragionevole la misura in questione.
    Allo stesso modo, rientra nell'ambito di scelte non irragionevoli
del  legislatore  l'avere  assunto  a  termine  di  riferimento,  per
commisurarvi  la  portata  del  vincolo,  le  spese  del secondo anno
anteriore  a  quello  considerato,  come  del  resto  aveva  fatto il
legislatore che aveva disciplinato il patto di stabilita' interno per
il  2001  (art. 53,  comma 1, della legge n. 388 del 2000); e l'avere
escluso  dal  computo  delle  spese correnti soggette al vincolo solo
quelle  derivanti da modificazioni legislative intervenute nel 2000 o
successivamente.
    7.  -  Il  secondo  ordine  di  questioni  riguarda  le norme dei
commi 6,  7  e 8, concernenti le convenzioni per l'acquisto di beni e
servizi   (commi   6  e  7)  e  la  norma  relativa  alla  cosiddetta
esternalizzazione dei servizi (comma 8).
    Anche tali questioni non sono fondate.
    Lo  strumento  delle  convenzioni  per  gli acquisti non e' nuovo
nella  legislazione  statale:  l'art. 26  della legge n. 488 del 1999
prevedeva  gia'  siffatte  convenzioni  stipulate  dal  Ministero del
tesoro,  anche  avvalendosi  di societa' di consulenza specializzate,
con cui le imprese fornitrici si impegnano, per quantita' massime e a
prezzi  e  condizioni stabilite, ad accettare ordinativi di fornitura
da  parte  di  diverse  amministrazioni (comma 1); e stabiliva che le
amministrazioni  diverse  da quelle statali hanno facolta' di aderire
alle  convenzioni  stesse,  ovvero  devono «utilizzare i parametri di
prezzo-qualita' per l'acquisto di beni comparabili con quelli oggetto
di  convenzionamento»  (comma 3, secondo periodo). Analoga disciplina
era  dettata  dall'art. 59  della  legge  n. 388  del  2000,  ove  si
precisava  che  gli  enti  «devono  motivare  i provvedimenti con cui
procedono all'acquisto di beni e servizi a prezzi e a condizioni meno
vantaggiosi di quelli stabiliti nelle convenzioni».
    Nella  stessa  linea  si  collocano le disposizioni impugnate dei
commi 6 e 7 dell'art. 24 della legge n. 448 del 2001.
    La  materia  implicata  ha  a che fare con il coordinamento della
finanza   pubblica,  dunque  con  una  competenza  concorrente  delle
regioni.  In  questo  quadro, in primo luogo, non puo' contestarsi la
legittimita'  costituzionale  della  norma  che  consente  agli  enti
autonomi   di   aderire  alle  convenzioni  statali,  trattandosi  di
previsione  meramente  facoltizzante.  Ma  anche l'obbligo imposto di
adottare  i  prezzi delle convenzioni come base d'asta al ribasso per
gli  acquisti  effettuati autonomamente, pur realizzando un'ingerenza
non  poco  penetrante  nell'autonomia degli enti quanto alla gestione
della  spesa,  non  supera  i limiti di un principio di coordinamento
adottato   entro  l'ambito  della  discrezionalita'  del  legislatore
statale:  mentre la previsione della trasmissione degli atti relativi
agli organi di revisione contabile degli enti, al fine dell'esercizio
dei  controlli  loro  spettanti,  ha  carattere  strumentale rispetto
all'obbligo suddetto.
    Alla  stessa  stregua  si  puo' giustificare anche la previsione,
contenuta  nel  comma 7,  di  direttive  degli  enti  locali  volte a
promuovere  l'adesione  alle  convenzioni  o  ad attuare le procedure
previste per gli acquisti autonomi, rivolte agli amministratori degli
enti   ed  aziende  dipendenti:  dovendosi  intendere  che  solo  nei
confronti  di  questi  ultimi  puo' esplicarsi il potere di direttiva
degli  enti locali, e non gia' nei confronti di qualsiasi soggetto in
cui   siano  presenti  amministratori  designati  dagli  enti  locali
medesimi.
    Quanto alla disposizione del comma 8, concernente l'obbligo degli
enti  locali  e  delle  aziende  da  essi  dipendenti  di «promuovere
opportune  azioni dirette ad attuare l'esternalizzazione dei servizi»
(cioe'  l'affidamento  all'esterno di servizi strumentali che possano
in  tal  modo  essere gestiti piu' economicamente), essa si configura
come generica direttiva, qualificata dal «fine di realizzare economie
di  spesa  e migliorare l'efficienza gestionale», non valicando a sua
volta,   in   tal   modo,   i  confini  propri  di  un  principio  di
coordinamento.
    8.  -  La  generica  censura  mossa  dalla  Regione Basilicata in
relazione  al  comma 9  investe,  come  si  e'  detto, anche il primo
periodo  di  detto  comma,  in  cui si dispone la riduzione in misura
fissa dei trasferimenti a tutti gli enti locali per gli anni dal 2002
al  2004,  «in  correlazione alle disposizioni di cui ai commi da 1 a
8».  Risultando infondate sia le questioni sollevate relativamente ai
commi  da  1  a  4  (limiti  alla crescita della spesa corrente), sia
quelle  sollevate  a proposito dei commi 6, 7 e 8 (acquisto di beni e
servizi  e  altre economie di spesa), ne consegue l'infondatezza pure
della  censura  relativa  alla  predetta  disposizione,  che riduce i
trasferimenti  statali, denunciata in quanto introduce un «sistema di
limiti  e penalita' per tutti gli enti locali». Del resto non si puo'
negare  allo  Stato,  in linea generale, la potesta' di commisurare i
trasferimenti  a  favore  degli enti locali alle effettive necessita'
finanziarie, ragionevolmente apprezzate.
    9.  -  Resta  da  esaminare  la questione sollevata dalla Regione
Emilia-Romagna  nei  confronti  del  comma 13,  relativo  al  compito
attribuito  al Ministero dell'economia di definire il prospetto delle
informazioni  che ai sensi dei commi 10, 11 e 12 gli enti locali e le
regioni  sono tenuti a trasmettere allo stesso Ministero in relazione
agli  incassi,  ai pagamenti e agli impegni assunti, nonche' ad altre
operazioni finanziarie. Tali obblighi informativi, che di per se' non
ledono l'autonomia (cfr. sentenze n. 412 del 1994 e n. 421 del 1998),
non  sono  contestati dalla ricorrente, la quale lamenta solo che sia
il  Ministero  a definire il prospetto e le modalita' di trasmissione
dello  stesso.  Ma  se  non  sono lesivi gli obblighi di trasmissione
all'amministrazione  centrale  di  dati  ed  informazioni, a scopo di
monitoraggio,   nemmeno   puo'  esserlo  l'attribuzione  alla  stessa
amministrazione  del  compito  di  definirne le modalita' tecniche di
attuazione,   che   debbono  necessariamente  rispettare  criteri  di
omogeneita' ai fini della comparazione e del consolidamento dei dati.
E, una volta riconosciuta la competenza del Ministero a provvedere al
coordinamento  informativo,  non ha fondamento la censura secondo cui
si  attribuirebbe  ad  esso  una  potesta'  regolamentare fuori dalle
materie di competenza statale esclusiva, non dovendosi considerare il
decreto  ministeriale  previsto  dalla  disposizione  in  esame quale
espressione di potesta' regolamentare.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riservata  a  separate  pronunzie  ogni decisione sulle ulteriori
questioni sollevate con i ricorsi in epigrafe;
    Riuniti  i  giudizi  limitatamente alle questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 24 della legge n. 448 del 2001;
    Dichiara  cessata  la  materia  del  contendere  in  ordine  alla
questione   di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 24,  comma 9,
periodi  dal  secondo al quarto, della legge 28 dicembre 2001, n. 448
(Disposizioni  per  la  formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2002), sollevata, in riferimento agli
articoli 3,  5,  114,  117  e  119  della Costituzione, dalle Regioni
Toscana  (r.  ric.  n. 12  del  2002) e Basilicata (r. ric. n. 20 del
2002) con i ricorsi in epigrafe;
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'articolo 24,  commi 2,  3  e  4, della predetta legge n. 448 del
2001,  sollevate,  in  riferimento  agli  articoli 3, 117 e 118 della
Costituzione,  dalle  Regioni  Toscana  (r.  ric.  n. 12 del 2002) ed
Emilia-Romagna (r. ric. n. 23 del 2002) con i ricorsi in epigrafe;
    Dichiara  non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
dell'articolo 24,  commi 6,  7  e  8, della predetta legge n. 448 del
2001,  sollevate,  in  riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e 119
della Costituzione, dalla Regione Basilicata (r. ric. n. 20 del 2002)
con il ricorso in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'articolo 24, comma 9, primo periodo, della predetta legge n. 448
del  2001,  sollevata,  in riferimento agli articoli 3, 5, 114, 117 e
119 della Costituzione, dalla Regione Basilicata (reg. ric. n. 20 del
2002) con il ricorso in epigrafe;
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 24,   comma 13,  della  predetta  legge  n. 448  del  2001,
sollevata,  in  riferimento  all'art. 117  della  Costituzione, dalla
Regione  Emilia-Romagna  (r.  ric.  n. 23 del 2002) con il ricorso in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2004.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 gennaio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
04C0115