N. 39 SENTENZA 20 - 26 gennaio 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo penale - Sospensione per incapacita' dell'imputato - Assunta
  applicabilita'   della   disciplina   con   riferimento  alla  sola
  infermita' mentale e non anche alla infermita' fisica che osti alla
  partecipazione attiva e consapevole al processo - Lamentata lesione
  del  diritto di difesa, autodifesa e del principio di uguaglianza -
  Non fondatezza della questione.
- Cod. proc. pen. artt. 70, 71, 72.
- Costituzione, artt. 3 e 24, secondo comma.
(GU n.5 del 4-2-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Riccardo CHIEPPA;
  Giudici:  Gustavo  ZAGREBELSKY,  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE,
Fernanda   CONTRI,  Guido  NEPPI  MODONA,  Piero  Alberto  CAPOTOSTI,
Annibale  MARINI,  Giovanni  Maria  FLICK, Francesco AMIRANTE, Ugo DE
SIERVO, Romano VACCARELLA, Paolo MADDALENA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli articoli 70, 71 e
72   del   codice   di   procedura  penale,  promosso  con  ordinanza
dell'11 dicembre  2002 dal Tribunale di Genova, iscritta al n. 66 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 29 ottobre 2003 il giudice
relatore Valerio Onida.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Il Tribunale di Genova, nel corso di un giudizio penale per
i  reati  di  violenza  privata,  esercizio  arbitrario delle proprie
ragioni  con violenza alle persone e lesioni personali, ha sollevato,
in   riferimento   agli   articoli 3   e  24,  secondo  comma,  della
Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale  degli
articoli 70,  71  e 72 del codice di procedura penale, nella parte in
cui  limitano  gli  accertamenti  sulla  persona  dell'imputato  e  i
successivi  provvedimenti in ordine alla sospensione del procedimento
alle  sole ipotesi in cui, per infermita' mentale, l'imputato non sia
in  grado  di partecipare coscientemente al processo, e non prevedono
invece l'applicazione della disciplina della sospensione del processo
a  tutti quei casi in cui, per infermita' fisica di qualsiasi natura,
oltre che psichica, l'imputato non sia in grado di esprimersi in modo
compiuto   ne'   verbalmente,   ne'   attraverso  la  scrittura,  ne'
utilizzando   un   linguaggio   convenzionale   che  sia  traducibile
avvalendosi   di  un  interprete,  e  quindi  sia  impossibilitato  a
partecipare  attivamente  al  processo,  esercitando  validamente  la
propria autodifesa.
    Il  giudice  a  quo riferisce in fatto che dalla disposta perizia
risulta  che  l'imputato  presenta  esiti di un ictus cerebrale e, in
particolare,  e'  affetto  da  afasia,  per  cui  gli  e' impossibile
l'espressione  verbale,  e  da  emiparesi destra con plegia dell'arto
superiore,  cosicche'  non  puo'  scrivere  e,  con la mano sinistra,
riesce  solo «a firmare ed a scrivere piccoli e semplici vocaboli»; e
che   egli,   pur   sforzandosi  di  parlare,  produce  suoni  vocali
stereotipati   incomprensibili.   L'imputato,  benche'  in  grado  di
partecipare  coscientemente  al  processo, sarebbe impossibilitato ad
esprimersi correttamente sul piano verbale.
    Il  remittente muove dalla premessa secondo cui, nella disciplina
vigente,  non  vi  sarebbe  alcuna  norma  che  consenta,  in un caso
concreto  avente  tali caratteristiche, di sospendere o anche solo di
rinviare il dibattimento.
    In  particolare,  il  giudice a quo ritiene non applicabile l'art
420-ter,  richiamato  dall'art. 484 cod. proc. pen., in quanto non si
verserebbe  in un'ipotesi di assoluta impossibilita' di comparire per
caso  fortuito,  forza  maggiore  o altro impedimento. L'imputato, in
effetti,  potrebbe  venire  in  udienza,  ne'  la  partecipazione  al
processo  risulterebbe  in  qualche  modo  dannosa per la sua salute.
Neppure  risulterebbe  applicabile,  ad  avviso  del  remittente,  la
disciplina  dettata dagli articoli 70 e ss. cod. proc. pen., relativa
alle ipotesi di imputato che, per infermita' mentale, non e' in grado
di  partecipare  coscientemente  al  processo.  Infatti dalla perizia
risulta che l'imputato, avendo un grado sufficiente di coscienza e di
capacita'  di  intervento critico, puo' partecipare coscientemente al
processo,  per  cui  del tutto arbitrario e non consentito sarebbe il
richiamo  alla  citata  disciplina.  Non  potrebbe,  infine,  neppure
applicarsi  la  disciplina  dettata  dall'art. 119  cod.  proc. pen.,
relativamente alla partecipazione del sordo, del muto e del sordomuto
ad  atti  del procedimento, in quanto l'imputato, colpito da ictus in
eta' avanzata e quindi solo da poco tempo non in grado di esprimersi,
non   utilizza   un   «linguaggio»  convenzionale  che  possa  essere
sottoposto  alla  «traduzione» di un interprete, ma solo emette suoni
inarticolati  e  compie gesti privi di un significato codificato, che
solo  la  sensibilita'  e l'abitualita' di rapporto delle persone che
gli   vivono   vicine  rende  in  qualche  misura  comprensibili.  In
conclusione  l'imputato,  non  potendo  parlare, non potendo scrivere
correntemente  e  non  potendo  essere  inteso  nelle sue espressioni
gestuali e vocali da un interprete, avendo solo la capacita' di farsi
intendere  quando esprime assenso o dissenso e poco piu', non avrebbe
alcun  modo di comunicare compiutamente ne' con il suo difensore ne',
tanto meno, nell'ambito del processo.
    Ad  avviso  del tribunale, qualora si ritenesse di poter comunque
celebrare  il  dibattimento,  non  sussistendo  alcuna  norma  che ne
consenta   la   sospensione,  verrebbero  gravemente  compromesse  le
possibilita'   di   difesa   dell'imputato,   sia  sotto  il  profilo
dell'impossibilita'  di narrare compiutamente al difensore la propria
versione  dei  fatti,  al  fine  di concordare la piu' adeguata linea
difensiva,   sia   sotto   il  profilo  di  esercitare  adeguatamente
l'autodifesa. Di qui, stante l'impossibilita' di trovare una adeguata
risposta  nel diritto vigente, se non forzando la lettera della legge
oltre   ogni   limite   consentito,   il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale degli articoli 70, 71, 72 cod. proc. pen., nei termini
sopra indicati.
    Quanto  alla  rilevanza  della questione, il giudice ne motiva la
sussistenza  affermando  che l'accoglimento di essa legittimerebbe la
sospensione  del  processo  con  periodico  riesame  della situazione
fisica dell'imputato sino a quando, eventualmente, egli non riuscisse
a  recuperare  in modo sufficiente l'uso della parola, o la capacita'
di scrivere, tanto da consentirgli di narrare i fatti.
    In  punto di non manifesta infondatezza, il tribunale osserva che
costringere  l'imputato  a  subire un processo in cui egli, di fatto,
non  e'  in  grado  di partecipare attivamente e in modo costruttivo,
significherebbe  pregiudicare l'esercizio dell'inviolabile diritto di
difesa,  sotto  il  profilo  del  diritto  di  autodifendersi, che e'
costituzionalmente   sancito   dall'art. 24,   secondo  comma,  della
Costituzione  e  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ha  ritenuto
prevalente  rispetto  al  diritto  di essere giudicato. Il diritto di
difesa,  rileva  il remittente, nel sistema adottato dall'ordinamento
italiano   e'   imperniato   sul  concorso  dell'attivita'  difensiva
dell'imputato  con quella del difensore tecnico ma, pur articolandosi
attraverso  i  due poli dell'autodifesa e dell'assistenza tecnica, le
rispettive  posizioni  conservano,  di  regola,  carattere  di  piena
autonomia  e  la  prima (l'autodifesa) assume certamente un carattere
indefettibile  e  prioritario  e  non  puo'  essere  sostituita dalla
seconda   che,   pur  integrando,  nei  casi  previsti  dalla  legge,
necessariamente  l'altra,  e'  pur  sempre condizionata ad un atto di
libera  scelta  da  parte  dell'interessato e, solo in difetto, da un
atto di doverosa integrazione da parte del giudice. Conseguentemente,
celebrare  il  processo  senza  che  le  possibilita'  di  autodifesa
dell'imputato siano effettive, comporterebbe, ad avviso del giudice a
quo,  la  violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Applicando  la  normativa  processuale vigente, risulterebbe altresi'
violato   il  principio  di  eguaglianza  sancito  dall'art. 3  della
Costituzione,  in  quanto  verrebbero  trattate in modo assolutamente
differente  situazioni  che  per  molti aspetti sono assimilabili: la
posizione  di  chi  non  e'  neppure in grado di capire il valore del
processo  e  di  cio' che avviene nel suo ambito e quella di chi, pur
comprendendolo, non e' comunque in grado, alla stregua dell'incapace,
di   interferire,   in  modo  costruttivo  per  le  proprie  esigenze
difensive, nel processo stesso.
    2.  -  E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato.
    L'Avvocatura osserva che sulla questione la Corte si sarebbe gia'
pronunciata   con  la  sentenza  n. 281  del  1995.  Conclude  quindi
affinche'  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o  comunque
infondata.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La questione sollevata dal Tribunale di Genova investe gli
articoli 70,  71  e  72 del codice di procedura penale, relativi alla
sospensione   del   processo  nel  caso  in  cui  «lo  stato  mentale
dell'imputato  e'  tale  da  impedirne la cosciente partecipazione al
procedimento»,   censurati   «nella   parte   in   cui  limitano  gli
accertamenti sulla persona dell'imputato e i successivi provvedimenti
in ordine alla sospensione del procedimento alle sole ipotesi in cui,
per  infermita'  mentale,  l'imputato non sia in grado di partecipare
coscientemente  al  processo,  e  non prevedono invece l'applicazione
della  disciplina della sospensione del processo a tutti quei casi in
cui,  per  infermita' fisica di qualsiasi natura, oltre che psichica,
l'imputato  non  sia in grado di partecipare attivamente al processo,
esercitando validamente la propria autodifesa».
    Il  remittente  muove  dalla  premessa secondo cui l'imputato del
processo  a  quo  e'  stato riconosciuto dal perito in possesso di un
grado  sufficiente di coscienza e di capacita' di intervento critico,
e  dunque  in  grado di partecipare coscientemente al processo, ma, a
causa  degli  esiti  di  un  ictus,  e' impossibilitato ad esprimersi
correttamente  sul  piano  verbale  e  a  scrivere,  ne'  utilizza un
linguaggio  convenzionale  che possa essere tradotto da un interprete
come  accade nel caso delle persone mute. Egli ritiene dunque che non
siano applicabili nella specie ne' gli artt. 70 - 72 cod. proc. pen.,
ne'  l'art. 119 cod. proc. pen. relativo alla partecipazione del muto
agli  atti del procedimento, e nemmeno l'art. 420-ter cod. proc. pen.
sull'impedimento  a  comparire dell'imputato, poiche' il suo stato di
infermita'  non  comporterebbe  impossibilita' di comparire. Poiche',
stante   questa  situazione,  l'imputato  non  sarebbe  in  grado  di
partecipare  «attivamente  e  in  modo  costruttivo»  al processo, ne
risulterebbe  pregiudicato il suo diritto di difesa, e soprattutto il
diritto  di  autodifesa,  con violazione dell'art. 24, secondo comma,
della   Costituzione.   Sarebbe   inoltre   violato   l'art. 3  della
Costituzione,   in   quanto   verrebbero  trattate  in  modo  diverso
situazioni  per  molti aspetti assimilabili, vale a dire, da un lato,
la  posizione  di chi non e' neppure in grado di capire il valore del
processo,  dall'altro  quella  di  chi, pur comprendendolo, non e' in
grado  di  intervenire  «in  modo costruttivo per le proprie esigenze
difensive» nel processo stesso.
    2.  -  La  questione  non  e' fondata, in quanto non e' esatta la
ricostruzione del sistema normativo operata dal giudice a quo.
    Come    il    remittente   esattamente   avverte,   la   garanzia
costituzionale  del  diritto  di  difesa  comporta  la necessita' che
l'imputato  sia  in grado non solo di essere fisicamente presente, se
lo  ritiene, al processo, ma anche di partecipare in modo consapevole
e  attivo  alla  vicenda  processuale,  ovviamente  con  le modalita'
consentite  dalla sua complessiva personalita', interloquendo con gli
altri  soggetti  del  processo  medesimo,  allo  scopo  di esercitare
l'autodifesa,  e di comunicare con il proprio difensore, quindi anche
con  la possibilita' di esprimersi essendo percepito e compreso (cfr.
sentenza n. 341 del 1999).
    Se  ad  assicurare  la possibilita' di presenziare fisicamente al
processo e' intesa la disciplina sul rinvio per legittimo impedimento
a  comparire  dell'imputato  (art. 420-ter  cod.  proc. pen.), e se a
garantire  la  possibilita' di percepire o di esprimersi, nel caso di
difficolta'   ad   udire  o  a  parlare  dell'imputato,  sovviene  la
disciplina che assicura l'assistenza di un interprete nell'ipotesi di
sordita'  o  mutismo  dell'imputato  (art. 119  cod. proc. pen., come
risulta  dalla  pronuncia  additiva  di  cui alla sentenza n. 341 del
1999),  l'ipotesi  invece  in  cui  l'impossibilita'  di  partecipare
attivamente    al   processo   dipenda   dalla   situazione   mentale
dell'imputato e' contemplata dagli artt. 70, 71 e 72 cod. proc. pen.
    L'art. 70  prevede  il ricorso ad un accertamento peritale quando
«vi  e'  ragione  di ritenere che, per infermita' mentale» - non piu'
necessariamente  sopravvenuta  al fatto (sentenza n. 340 del 1992) -,
«l'imputato   non  e'  in  grado  di  partecipare  coscientemente  al
processo»;  a  sua  volta l'art. 71 dispone che, se a seguito di tale
accertamento  «risulta  che lo stato mentale dell'imputato e' tale da
impedirne  la cosciente partecipazione al procedimento», quest'ultimo
e'  sospeso  (sempre  che  non  debba  essere pronunciata sentenza di
proscioglimento o di non luogo a procedere), facendosi poi luogo ogni
sei   mesi   ad   ulteriori   accertamenti   «sullo  stato  di  mente
dell'imputato»,  in vista di una revoca della sospensione «non appena
risulti  che  lo stato mentale dell'imputato ne consente la cosciente
partecipazione al procedimento» (art. 72).
    Anche  se  l'art. 70  letteralmente  si  riferisce  ad ipotesi di
«infermita'  mentale»,  il  sistema  normativo e' chiaramente volto a
prevedere   la   sospensione   ogni  volta  che  lo  «stato  mentale»
dell'imputato  ne  impedisca la cosciente partecipazione al processo.
Partecipazione  che  non puo' intendersi limitata alla consapevolezza
dell'imputato circa cio' che accade intorno a lui, ma necessariamente
comprende  anche  la  sua  possibilita'  di essere parte attiva nella
vicenda  e  di  esprimersi, esercitando il suo diritto di autodifesa.
Cio'  significa  che quando non solo una malattia definibile in senso
clinico  come  psichica, ma anche qualunque altro stato di infermita'
renda   non  sufficienti  o  non  utilizzabili  le  facolta'  mentali
(coscienza, pensiero, percezione, espressione) dell'imputato, in modo
tale  da impedirne una effettiva partecipazione - nel senso ampio che
si  e'  detto - al processo, questo non puo' svolgersi. Alla verifica
di  tale  situazione  e'  diretto  l'accertamento peritale, sulle cui
risultanze  si esercita il controllo del giudice ispirato ai principi
ora enunciati.
    Ove   poi  risultasse  che  lo  stato  mentale  dell'imputato  ne
consente,  di  per  se',  la  partecipazione  consapevole e attiva al
processo,  e  sussistono  solo  ostacoli  alla  espressione verbale o
scritta  e  alla  reciproca  comprensione,  derivanti da impedimenti,
collegati  ad  uno  stato  di  infermita',  all'udito  o  alla parola
dell'imputato,  troverebbero applicazione le regole dell'art.119 cod.
proc.  pen., che prevede il diritto all'assistenza di un «interprete,
scelto  di  preferenza  fra  le  persone  abituate  a  trattare»  con
l'imputato,  al  fine di consentirgli di «potere comprendere l'accusa
contro  di  lui  formulata  e di seguire il compimento degli atti cui
partecipa»  (cosi' nella estensione che la disposizione ha subito per
effetto della sentenza n. 341 del 1999 di questa Corte).
    Non  sussiste  dunque  la  lacuna di tutela del diritto di difesa
denunciata dal remittente.
    Nemmeno,  di  conseguenza, ha fondamento la censura di violazione
del  principio  di eguaglianza. Una volta riconosciuto che in tutti i
casi  in  cui  lo  «stato mentale» dell'imputato, nel senso ampio che
s'e'  detto,  ne  impedisca la consapevole e attiva partecipazione al
processo,  si  applica  il sistema degli artt. 70, 71 e 72 cod. proc.
pen.,  non  vi  e'  luogo  ad  alcuna  disparita'  ingiustificata  di
trattamento.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
degli  articoli 70  (Accertamenti  sulla capacita' dell'imputato), 71
(Sospensione  del  procedimento  per  incapacita' dell'imputato) e 72
(Revoca  dell'ordinanza  di  sospensione)  del  codice  di  procedura
penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  articoli 3  e 24, secondo
comma, della Costituzione, dal Tribunale di Genova con l'ordinanza in
epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 gennaio 2004.
                       Il Presidente: Chieppa
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 26 gennaio 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
04C0118