N. 19 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 2003
Ordinanza emessa il 30 ottobre 2003 dal giudice di pace di Vittorio Veneto nel procedimento penale a carico di Manzoni Alessandrina Processo penale - Procedimento dinanzi al giudice di pace - Applicabilita' dei riti speciali deflattivi, in particolare dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta - Preclusione - Disparita' di trattamento tra cittadini per il diverso regime previsto per i reati, anche piu' gravi, di competenza del tribunale a composizione monocratica - Irragionevolezza - Lesione del diritto di difesa. - Decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, art. 2. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.8 del 25-2-2004 )
IL GIUDICE DI PACE Nel procedimento penale pendente nei confronti di Manzoni Alessandrina nata a Conegliano il 29 luglio 1939, «per il reato di cui all'art. 627 c.p.» accertato in Vittorio Veneto, in epoca anteriore al 23 gennaio 2002, sciogliendo la riserva contenuta nel verbale di udienza 18 settembre 2003, O s s e r v a L'art. 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 fissa i principii generali del procedimento penale avanti il giudice di pace penale. La collocazione della norma, aderendo alle osservazioni del parere della commissione giustizia del Senato e' stata anticipata nella parte iniziale del provvedimento, dedicato alle disposizioni di carattere generale. Viene espressamente esclusa l'applicabilita' di una serie di istituti, ritenuti incompatibili con il processo avanti questo giudice. Istituti, la cui esclusione e' desumibile dalla legge delega, in quanto estranei alla natura del processo penale avanti il g.d.p. Il criterio della massima semplificazione del processo e la vocazione conciliativa del giudice di pace rendono inapplicabili i riti alternativi e l'udienza preliminare. L'esclusione dell'istituto del patteggiamento (art. 444 c.p.p.), sembra imposta dalla necessita' di assicurare, comunque, una adeguata tutela delle ragioni della persona offesa (soprattutto nel ricorso immediato al giudice), tutela ritenuta incompatibile con la natura del patteggiamento (che non produce effetti nel giudizio civile). Secondo tale impostazione, il c.d. patteggiamento avrebbe potuto determinare un aumento del contenzioso civile, per la duplicazione dei giudizi. E' pur vero che il compito primario affidato al giudice di pace e' quello (deflattivo) di conciliare le parti (con la remissione di querela), nonche' quello, in caso di condanna, della c.d. effettivita' della pena (sia essa pecuniaria, multa o ammenda; ovvero paradetentiva, permanenza domiciliare, con possibilita' di conversione in lavoro di p.u.). Ma cio' non toglie che ad attenta disamina dei reati (contravvenzioni) alla cognizione del giudice di pace, si evince che diverso e' il trattamento penale previsto se il reo e' giudicato dal giudice togato monocratico, ovvero dal giudice di pace. Verbigratia, si esamini il caso - recente - della violazione dell'art. 186 n.c.s. gia' di competenza di questo giudice e con la novella, 1° agosto 2003, n. 214 attirato nella competenza del tribunale (composizione monocratica, togata), secondo la nuova dizione dell'art. 186 n.c.s. con inciso (per l'irrogazione della pena e' competente il tribunale). Ebbene, in buona sostanza, se il procedimento e' avanti il giudice di pace, per violazione ex art. 186 ante 12 agosto 2003, il giudice puo' applicare l'oblazione (pari ad euro 1.291, piu' spese); ovvero, la condanna all'ammenda (minimo, euro 775,00; massimo, euro 2.582); infine, per i recidivi, etc., la c.d. permanenza domiciliare, sabato, domenica, e con la possibilita' di conversione nei lavori di p.u. Invece, il giudice monocratico, per la stessa violazione (commessa fino al 12 agosto 2003), oltre alle pene del g.d.p. (oblazione compresa), puo' applicare, a richiesta, i riti alternativi (dal decreto penale; al patteggiamento, etc.; con il rischio della prescrizione). Quindi, il prevenuto avanti il tribunale, ha maggiore scelta e puo' optare per la pena piu' mite, con disparita' di trattamento, nei confronti degli stessi imputati, meno fortunati, atteso che la scelta del giudice e' dipesa soltanto dal caso; da una circostanza accidentale, (avere, cioe', contravvenuto alla norma, prima o dopo una certa data). Ancora. Nel caso in questione, (art. 627 c.p.) questo giudice dubita della costituzionalita' della norma, escludente d'imperio il c.d. patteggiamento (art. 444 c.p.p.), per un reato minore; mentre, per reati ben piu' gravi, avanti il tribunale, e' prevista una diversa pena alternativa. Nel caso concreto, in caso di condanna, per un fatto in se' minus (con pena applicabile dal g.d.p., alternativamente, multa da euro 258,23 ad euro 2582,28; la permanenza domiciliare da sei a trenta giorni, o lavoro di p.u. da dieci giorni a tre mesi, ex art. 52 d.lgs. n. 274/2000), ma di certa rilevanza, non e' previsto, almeno, un temperamento quale e' quello ex art. 444 c.p.p. L'applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) consiste in un procedimento speciale pre-dibattimentale di tipo premiale. Esso presuppone un accordo transattivo tra le parti non solo sul rito, bensi' sulla pena. La mancata previsione di esso, avanti il giudice di pace penale (rectius, l'esclusione) fa fortemente dubitare questo giudice della legittimita' costituzionale, in relazione all'art. 3 e 24 Cost. In relazione all'art. 3, nella considerazione che viene alterata la pari dignita' del cittadino, essendo piu' favorevole essere giudicato dal tribunale, anziche' dal giudice di pace. In base all'art. 24 Cost., in quanto non e' possibile sottrarre all'imputato il suo fondamentale diritto alla difesa. E sotto il profilo della irragionevolezza, questo giudice dubita della costituzionalita' dell'art. 2 d.lgs. n. 274/2000. Non si comprende perche' per reati anche piu' gravi, vi e' il ricorso al patteggiamento, mentre per i reati c.d. minori l'istituto e' escluso, ponendo una disparita' di trattamento tra i cittadini, soprattutto nel caso in esame, che in caso di condanna (anche mite) e' pur sempre una condanna penale, come detto. Il legislatore, secondo questo giudice avrebbe dovuto prevedere, con ogni possibile cautela, il c.d. patteggiamento per quei reati, anche minori, che in caso di condanna (concreta) avrebbero creato grave pregiudizio, e disparita' di trattamento, con gli altri cittadini. Appare, studiando gli atti preparatori della nostra Cost. del 1948, all'art. 3 e 24, che i nostri Costituenti avevano ben precisa una parita' uguale avanti ogni giudice, sia sotto il profilo dell'uguaglianza sostanziale e sia sotto il profilo della c.d. ragionevolezza. E' pur vero che vi e' differenza tra giurisdizione ordinaria, di natura repressiva, basata essenzialmente sul binomio: responsabilita' accertata/sanzione, e la giurisdizione del giudice di pace, che ignorando le forme alternative premiali, e' diretta a comporre in via principale il conflitto sotteso al reato, e solo in extrema ratio sfocia nell'applicazione della sanzione. E' chiaro che la scelta legislativa di non rendere praticabili nel processo avanti il giudice onorario i riti speciali deflattivi, oltre alle esigenze di semplicita', e' supportata da altri motivi, (quali, in presenza di decreto penale, non si favorisce il contatto delle parti con il giudice; e la sentenza che applica la pena su richiesta, puo' non offrire adeguate garanzie di tutela della persona offesa). Nonostante cio', e di questo il decidente e' fortemente dubbioso, l'indirizzo legislativo suscita perplessita'. Si pensi ai reati previsti dall'art. 4, primo e secondo comma, d.lgs. n. 274/2000 conosciuti, a causa di connessione eterogenea (v. art. 6, cpv. e 7 lett. b) legge cit.), non dal g.d.p. ma dal tribunale: tornano ad essere praticabili il c.d. patteggiamento, il giudizio abbreviato, il decreto penale di condanna, con tutti i relativi benefici per l'imputato sul piano sanzionatorio. Vi e' chi non veda l'effetto discriminatorio, lesivo del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), posto che le probabilita' per imputati diversi, nelle stesse condizioni di fruire di sconto di pena, collegato alla scelta del rito, viene a dipendere da circostanza accidentale, quale la possibilita' di disporre la riunione tra procedimenti connessi, con lo spostamento conseguente della competenza.
P. Q. M. Vista l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dal patrocinio dell'imputata; nell'opposizione della p.c.; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante, nel presente giudizio, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 d.lgs. n. 287.8.200, n. 274, escludente i riti deflattivi (in ispecie l'art. 444 c.p.p.), in relazione agli articoli 3, 24 della Costituzione; Sospende il giudizio di merito, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla questione di costituzionalita' sollevata; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Vittorio Veneto (Treviso), 30 ottobre 2003 Il giudice di pace coordinatore reggente: Borsotti 04C0169