N. 20 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 novembre 2003
Ordinanza emessa il 7 novembre 2003 dal tribunale amministrativo regionale della Lombardia sez. staccata di Brescia sul ricorso proposto da Guardo Maurizio contro il Prefetto di Brescia ed altro Straniero e apolide - Straniero in posizione irregolare - Espulsione amministrativa - Denuncia per uno dei reati indicati negli artt. 380 e 381 c.p.p. - Preclusione dell'applicabilita' della normativa sulla regolarizzazione dei rapporti di lavoro - Subordinazione della preclusione stessa ad una pronuncia di condanna seppure non definitiva - Mancata previsione - Violazione del diritto allo sviluppo della personalita' nelle formazioni sociali - Lesione del principio di uguaglianza e del diritto al lavoro - Violazione del principio di presunzione d'innocenza. - Decreto-legge 9 settembre 2002, n. 195, art. 1, comma 8, lett. c), convertito nella legge 9 ottobre 2002 n. 222. - Costituzione, artt. 2, 3, 4 e 27, secondo comma.(GU n.8 del 25-2-2004 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1088 del 2003, proposto da Guardo Maurizio, rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzi Federico, con domicilio eletto in Brescia, corso Martiri della Liberta' n. 54; Contro: Prefetto di Brescia, Ministero dell'interno, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio eletto in Brescia, via S. Caterina n. 6 presso la sua sede; Per l'annullamento previa sospensiva del provvedimento in data 20 agosto 2003 cod. num. 000002273437 di diniego regolarizzazione rapporto di lavoro e degli atti connessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate; Esaminate le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Visti tutti gli atti della causa; Designato quale relatore alla camera di consiglio del 31 ottobre 2003, il dott. Stefano Tenca; Uditi i difensori delle parti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F a t t o In data 20 settembre 2002, il ricorrente inoltrava al Prefetto della Provincia di Brescia istanza per la legalizzazione di un rapporto di lavoro irregolare con il proprio dipendente - il cittadino albanese Pepaj Edmir - ai sensi del d.l. 9 settembre 2002 n. 195 conv. in legge 9 ottobre 2002, n. 222. Il Prefetto ha opposto un diniego alla domanda, ravvisando la ricorrenza dei motivi ostativi segnalati dalla questura e riferiti all'art. 1, comma 8, lettera c) del testo normativo citato: la disposizione riguarda in particolare la denuncia per un reato per il quale e' previsto l'arresto obbligatorio o facoltativo in flagranza (articolo 380 e 381 c.p.p.) salvo che il procedimento penale si sia concluso in senso favorevole all'imputato o sia stato archiviato. Nella fattispecie la questura ha accertato che il signor Pepaj Edmir si trova attualmente agli arresti domiciliari in seguito alla denuncia per diversi reati, tra i quali la riduzione in schiavitu' ex art. 600 c.p. per la quale l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto obbligatorio in flagranza. Contro il citato provvedimento Guardo Maurizio proponeva ricorso, avanti questa Sezione, sostenuto da una serie di motivi volti, nella sostanza, a censurare la normativa posta a base del diniego sotto due diversi profili di illegittimita' per violazione degli articoli 3, 24 e 27 comma 2 della Costituzione, chiedendo a questo giudice di sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale. D i r i t t o Il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195, conv. in legge 9 ottobre 2002, n. 222, nella parte in cui ricollega alla mera denuncia per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 c.p.p. la reiezione della domanda di regolarizzazione, senza esigere che a detta denuncia faccia seguito condanna sia pur non definitiva. L'art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195, conv. in legge 9 ottobre 2002, n. 222, dispone, infatti, che le disposizioni sulla regolarizzazione non si applicano ai rapporti di lavoro riguardanti lavoratori extracomunitari «che risultino denunciati per uno dei reati indicati negli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale salvo che il procedimento penale si sia concluso con un provvedimento che abbia dichiarato che il fatto non sussiste o non costituisce reato o che l'interessato non lo ha commesso ovvero nei casi di archiviazione previsti dall'art. 411 del codice di procedura penale, ...». La norma in esame considera, quindi, la sola denuncia per determinati reati - ossia quelli enumerati agli articoli 380 e 381 c.p.p. - quale elemento ostativo alla legalizzazione del rapporto di lavoro. In altri termini il raggiungimento di un obiettivo che attiene alle aspettative essenziali di una persona viene subordinato dal legislatore alla semplice ricorrenza o meno di una notizia criminis da chiunque provenga, senza alcuna preventiva verifica ancorche' sommaria della sua fondatezza, quale potrebbe, se del caso, essere effettuata quanto meno con il rinvio a giudizio dell'imputato. L'enunciato normativo si rivela dunque irragionevole, facendo dipendere una vicenda fondamentale per la vita di un soggetto straniero, come la legalizzazione del rapporto di lavoro e la possibilita' di ottenere il permesso di soggiorno nel nostro paese, da un mero atto unilaterale da parte della sola autorita' di pubblica sicutezza. L'aspettativa che viene, quindi, incisa, ma che pare al Collegio meritevole di tutela e salvaguardia, coincide direttamente con l'esercizio del diritto di liberta' dell'uomo e, in particolare, con la possibilita' della permanenza dello straniero nel territorio italiano e con le opportunita' che essa offre in termini di attivita' lavorative (art. 4 Cost.) nonche' di esercizio di tutte le altre garanzie costituzionalmente protette quali espressioni di liberta' e di sviluppo della personalita' umana dell'individuo sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui essa si svolge (art. 2 Cost.). Sotto un ulteriore profilo, appare rilevante e non manifestamente infondata la dedotta questione di costituzionalita' della norma in questione, per la violazione dell'art. 27, comma 2, della Costituzione. A fronte di una disposizione della Carta fondamentale che riconnette la qualificazione in termini di colpevolezza all'esistenza di una sentenza definitiva di condanna, il legislatore ritiene all'opposto sufficiente la semplice iscrizione nel registro delle notizie di reato di un soggetto per precludergli irrimediabilmente - fino all'archiviazione o all'assoluzione - la possibilita' di ottenere la regolarizzazione di un rapporto di lavoro dipendente. Cio' comporta l'elusione di un altro generalissimo principio costituzionale, ossia il principio del giusto processo ex art. 111 Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 2, 3, 4 e 27, comma 2, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, lettera c), del d.l. 9 settembre 2002, n. 195, convertita in legge 9 ottobre 2002, n. 222, nei sensi di cui in motivazione. Ordina la sospensione del presente giudizio e la rimessione degli atti alla Corte costituzionale, nonche' la notifica della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri e la comunicazione della medesima ai Presidenti dei due rami del Parlamento. Cosi' deciso, in Brescia, il 31 ottobre 2003, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, in camera di consiglio. Il Presidente: Mariuzzo Il giudice relatore ed estensore: Tenca 04C0170