N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 gennaio 2004

Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 19
gennaio 2004 (della Regione Veneto)

Assistenza  e  beneficenza  pubblica - Disciplina dei criteri e delle
  modalita'  di concessione dei finanziamenti per la realizzazione di
  progetti   sperimentali   nel   campo  della  disabilita'  previsti
  dall'art. 41-ter  della legge n. 104/1992 - Direttiva del Ministero
  del  lavoro  e  delle  politiche  sociali  -  Contrasto  con quanto
  disposto  dall'art. 41-ter della legge n. 104/1992 circa i criteri,
  le  modalita'  per  la presentazione e la valutazione dei progetti,
  nonche'  con  i  criteri di riparto delle somme stanziate - Ricorso
  per  conflitto  di  attribuzione  proposto  dalla  Regione Veneto -
  Mancato  coinvolgimento  nell'iter  procedimentale della Conferenza
  unificata ex art. 8 d.lgs. n. 281/1997 - Adozione del provvedimento
  con   atto   normativo   (direttiva)  diverso  da  quello  previsto
  dall'art. 41-ter  della legge n. 104/1992 (decreto) con conseguente
  non   sottoponibilita'   al  controllo  della  Corte  dei  conti  -
  Surrettizio  esercizio di potesta' regolamentare non piu' spettante
  allo  Stato  dopo la legge costituzionale n. 3/2001 - Lesione delle
  attribuzioni  riconosciute  alle  Regioni  -  Mancata previsione di
  meccanismi  di  coordinamento tra Stato e Regioni in funzione della
  determinazione  statale  dei  livelli  essenziali delle prestazioni
  concernente  i  diritti  civili  e  sociali -  Mancato rispetto del
  principio  di  sussidiarieta'  verticale - Contrasto con il riparto
  costituzionale  delle  funzioni  amministrative  e  violazione  del
  principio di leale collaborazione.
- Direttiva del Ministero del lavoro 23 settembre 2003.
- Costituzione, artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120.
(GU n.12 del 24-3-2004 )
    Ricorso  promosso  dalla regione del Veneto, in persona dell'avv.
Fabio  Gava  vice  presidente  pro tempore della giunta regionale (in
assenza  del  presidente),  autorizzato  mediante deliberazione della
giunta stessa 30 dicembre 2003, n. 4309, rappresentata e difesa, come
da  procura  speciale  a  margine del presente atto, dagli avv. prof.
Mario  Bertolissi  del  Foro  di  Padova,  Romano Morra (coordinatore
dell'Avvocatura regionale) del Foro di Venezia e Luigi Manzi del Foro
di   Roma,   presso   quest'ultimo   dorniciliata  in  Roma,  via  F.
Confalonieri n. 5.

    Contro  la  Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del
Presidente  del Consiglio pro tempore, rappresentato e difeso ex lege
dall'Avvocatura  generale dello Stato, via dei Portoghesi, 12 - Roma,
per  la  dichiarazione  che  non  spetta  allo  Stato  stabilire  con
direttiva  la promozione e il coordinamento dei progetti sperimentali
aventi  ad oggetto la realizzazione, il potenziamento e l'ampliamento
di  piani di azione a valenza socio-assistenziale, ed in particolare,
strutture di accoglienza per persone in situazione di handicap grave,
prive  di  adeguata  assistenza  familiare anche al fine di favorirne
condizioni di maggiore autonomia e di vita indipendente, in quanto la
Regione  e' titolare, per Costituzione, di competenze ricadenti in un
simile  ambito  materiale,  e  per  il conseguente annullamento della
direttiva  23  settembre  2003  del  Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche  sociali, recante «Disciplina dei criteri e delle modalita'
di  concessione  di  finanziamenti  per  la realizzazione di progetti
sperimentali,  di  cui  all'art. 41-ter  della legge 5 febbraio 1992,
n. 104»,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale,  serie generale, 12
novembre  2003,  n. 263,  per violazione degli artt. 5, 97, 114, 117,
118, 119 e 120 Cost.

                           Fatto e diritto

    1.   -   L'art.  41-ter  della  legge  quadro  per  l'assistenza,
l'integrazione  sociale  e i diritti delle persone handicappate del 5
febbraio  1992,  n. 104,  ebbe  a disporre, a proposito dei «progetti
sperimentali»,  che «il Ministro per la solidarieta' sociale promuove
e  coordina  progetti  sperimentali ...» (primo comma): inoltre, che,
«con  proprio  decreto,  d'intesa  con  la  Conferenza unificata ...,
definisce  i  criteri  e  le  modalita'  per  la  presentazione  e la
valutazione  dei  progetti  sperimentali  di cui al comma 1 nonche' i
criteri  per la ripartizione dei fondi stanziati per il finanziamento
dei progetti di cui al presente articolo» (secondo comma).
    Tale  disposto  e'  stato concepito nella vigenza dell'originario
art. 117  Cost.,  il  quale  assegnava la «beneficenza pubblica» alla
potesta'  legislativa  di  carattere concorrente; sicche', e' in tale
prospettiva  che  e'  stata  adottata  (oltre tutto, piuttosto che un
decreto,  ai  sensi del citato art. 41-ter) la direttiva 23 settembre
2003  del  Ministero  del  lavoro  e delle politiche sociali, recante
«Disciplina   dei   criteri  e  delle  modalita'  di  concessione  di
finanziamenti  per  la realizzazione di progetti sperimentali, di cui
all'art. 41-ter  della  legge  5  febbraio 1992, n. 104» (in Gazzetta
Ufficiale,  serie generale, 12 novembre 2003, n. 263: atto impugnato)
(all. 2).
    L'adozione  di  tale direttiva ha determinato una immediata presa
di   posizione   ad  opera  del  Coordinamento  interregionale  degli
assessori  alle  politiche  sociali,  i  quali,  attraverso  il  loro
presidente,  hanno  manifestato  al  presidente  della Conferenza dei
presidenti  delle regioni e province autonome l'esigenza di discutere
a  tale  livello  della  direttiva ministeriale, dal momento che essa
appariva  escludere  «le  Regioni  dai  processi decisionali sui temi
delle  politiche  sociali»,  in  contrasto con quanto «sancito, dalle
recenti modifiche del titolo V della Costituzione» (all. 3).
    Sulla scorta di questo impulso, il presidente Ghigo ha sottoposto
alla  Conferenza  dei  presidenti del 4 dicembre 2003 la direttiva in
questione,   Conferenza   la   quale  «ha  deliberato  all'unanimita'
l'impugnativa  del  provvedimento  innanzi  alle competenti autorita'
giurisdizionali  da  parte  di  tutte  le  regioni  e  delle province
autonome» (ex all. 4).
    Di  cio'  il  medesimo  presidente  informava il Ministro per gli
affari  regionali,  rilevando  il  mancato «rispetto delle competenze
istituzionali  previste  dal nuovo titolo V della Costituzione» (all.
5).
    2.  -  Ove si considerino nel loro insieme le vicende suesposte e
gli  atti  che  le  documentano,  non si fatica a comprendere come la
direttiva 23 settembre 2003 sia da considerare non conforme a sistema
per  una serie articolata di ragioni: ragioni che riguardano la legge
n. 104/1992 e, soprattutto, il dettato costituzionale.
    E'  vero,  infatti,  che: 1) non e' stato adottato un decreto, ma
una  direttiva,  diversamente  da  quanto  stabilito dall'art. 41-ter
della  legge  quadro  del  1992;  2) la direttiva, in quanto tale, e'
sfuggita  al  controllo  della  Corte dei conti, che invece appone il
visto sui decreti; 3) non si e' proceduto ad informare e, tanto meno,
a  coinvolgere, la Conferenza unificata: qui pure in violazione della
legge n. 104/1992.
    Ed  e'  vero,  altresi',  che,  se  si  considerano gli enunciati
costituzionali:  1)  le procedure concretamente utilizzate vanificano
ogni forma di «governance istituzionale», la quale impone il rispetto
dei livelli di sussidiarieta' verticale, con la conseguenza che vanno
rimesse   alle   regioni   e   alle  autonomie  locali  le  decisioni
programmatorie  sulla  piu'  idonea  collocazione  dei  servizi e dei
presidi  anche  di  carattere sperimentale, e cio' in specie la' dove
gli  stessi  richiedono il consolidamento delle risorse finanziarie e
umane  per  la prosecuzione temporale delle attivita' poste in essere
sul  piano  sperimentale;  2)  alla  regione spetta l'esercizio della
potesta'  legislativa  residuale-esclusiva in materia di «beneficenza
pubblica»  (ai  sensi  dell'art. 117,  quarto comma, Cost.). Lo Stato
puo'  soltanto provvedere alla «determinazione dei livelli essenziali
delle  prestazioni  concernenti i diritti civili e sociali che devono
essere   garantiti  su  tutto  il  territorio  nazionale»  (ai  sensi
dell'art. 117,  secondo comma. lett. m, Cost.), determinazione finora
non ottemperata con atti di normazione ad hoc che nello specifico non
sono  nemmeno  surrogabili da un'attivita' ricognitivo-interpretativa
incentrata sulla legislazione vigente.
    3.  -  A  scanso  di  equivoci vale la pena di rilevare, in primo
luogo,  che  la  direttiva indicata in epigrafe e' senz'altro un atto
idoneo  a  radicare  l'odierno conflitto di attribuzione, dal momento
che esso si sostanzia, indipendentemente dalla qualificazione formale
che   se   ne   voglia   dare  e  del  rispetto  o  mancato  rispetto
dell'art. 41-ter  della legge n. 104/1992, come atto comunque lesivo,
che  produce  una «menomazione» delle attribuzioni regionali (v., per
tutti. L. Paladin, Diritto costituzionale, 1998, Padova, spec. 799).
    4.  -  Cio'  posto,  si  deve  sottolineare,  nel merito, che una
soluzione   corretta  della  questione  sottoposta  all'ecc.ma  Corte
presuppone   che   non  ci  si  soffermi  soltanto  e  principalmente
sull'ordine formale delle competenze delineato dalla legge quadro del
1992,  ma che si consideri, piuttosto che il profilo formale appunto,
la  dinamica  delle  competenze  che  si  sostanzia  in relazioni fra
ordinamenti:  dello Stato, della regione e delle autonomie locali. In
altre  parole,  in  gioco  non entra soltanto la determinazione dello
Stato  di  impiegare  una  certa quantita' di risorse per favorire la
realizzazione   di   progetti  sperimentali,  dal  momento  che  cio'
necessariamente   determina  una  serie  di  ricadute  su  regioni  e
autonomie  locali,  le  quali  hanno  gia'  in  atto  un  sistema  di
assistenza  sociale,  strutturato  in  rapporto  alle caratteristiche
della  propria  popolazione,  alle  relative esigenze, agli obiettivi
politici di settore perseguiti, coerente con le risorse finanziarie e
umane  disponibili. Questo sistema viene, infatti, necessariamente ad
essere modificato dagli interventi innovativi e sperimentali previsti
dalla  legge  n. 104/1992 per le ricadute economiche, organizzative e
di programmazione che questi determinano per loro natura.
    Per  convincersi  dell'assunto,  e' sufficiente leggere l'art. 2,
primo  comma,  della  direttiva,  il quale stabilisce che «i progetti
ammessi al finanziamento secondo le modalita' previste dalla presente
direttiva  devono  riguardare  programmi  innovativi  e  sperimentali
concernenti  la  realizzazione,  il  potenziamento e l'ampliamento di
piani  di  azione  a valenza socio-assistenziale, ed, in particolare,
strutture di accoglienza per persone in situazione di handicap grave,
prive  di  adeguata  assistenza familiare, anche al fine di favorirne
condizioni di maggior autonomia e di vita indipendente».
    E'  fuori  discussione  che la progettazione in discorso non puo'
verosimilmente  risolversi  in  una  attivita'  destinata a consumare
risorse  pubbliche  (nel  caso,  dello  Stato) prive di alcun seguito
applicativo:  se  cosi'  fosse si configurerebbe, oltretutto, il piu'
classico  dei danni erariali. Cio' puo' significare quantomeno che la
citata   attivita'  e  la  realizzazione  dei  progetti  sperimentali
determinano, come conseguenza, la necessita' che regione ed autonomie
locali  consolidino  risorse  finanziarie e umane per la prosecuzione
temporale delle attivita' poste in essere.
    L'insieme  di  queste  considerazioni  induce  a  ritenere che il
potere  esercitato  dallo  Stato  in sede di adozione della direttiva
impugnata  sia in contrasto con gli artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e
120 Cost.
    5. - Per quanto sia forse ancora prematuro pretendere una limpida
lettura  delle  piu'  recenti innovazioni costituzionali, e' tuttavia
certo  che  esse  hanno  aperto nuove prospettive nella direzione del
potenziamento  della  tutela  delle  situazioni giuridiche soggettive
previste  dalla  parte  prima  della  legge fondamentale: tant'e' che
qualcuno  ha  assegnato  alla  Corte  il  compito  di «pervenire alla
formazione  di  una  concordanza  pratica  che  renda  accettabile il
riparto   delle   competenze   e   assicuri   un   alto  standard  di
costituzionalita'  all'ordinamento»  (cosi', S. Mangiameli, Sull'arte
di   definire   le  materie  dopo  la  riforma  del  titolo  V  della
Costituzione, in Le Regioni, n. 1/2003, 345).
    Piu'  precisamente,  quando  in  gioco  e'  la  tutela di diritti
costituzionali  di  prestazione  -  com'e'  nel  caso  concreto -, e'
indispensabile che, se esiste un concorso di enti nella sopportazione
delle  spese,  cio'  comporti  l'insorgere di rapporti tra i relativi
ordinamenti,  a  prescindere  di  per  se'  dalla  circostanza che si
tratti,  sul  piano  funzionale, di competenze ripartite. E se questo
ordine  di considerazioni poteva valere nella vigenza dell'originario
art. 117  Cost.,  il  quale  -  lo  si  e'  accennato - attribuiva la
«beneficenza   pubblica»   alla   legislazione   regionale   di  tipo
concorrente,  esso  vale  ben piu' oggi, dal momento che il novellato
art. 117  prevede,  da  un  lato,  che la «beneficenza pubblica» (non
nominata) appartenga alla potesta' legislativa regionale di carattere
residuale-esclusivo  (ex  quarto  comma)  e, d'altro lato, che spetti
comunque  alla  legge  dello  Stato  provvedere in via esclusiva alla
«determinazione  dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti
i  diritti  civili  e sociali che devono essere garantiti su tutto il
territorio nazionale» (ex secondo comma, lett. m).
    Certo  -  e  la  dottrina  non  ha  mancato di evidenziarlo -, la
Costituzione   non   ha  previsto  meccanismi  di  coordinamento  tra
ordinamento  statale  e  ordinamento  regionale  in  funzione  di una
corretta  attuazione  dell'art. 117,  secondo comma, lett. m), Cost.:
con cio' contraddicendo elementari esigenze di razionalita' concreta.
Ancora,  si  puo'  anche convenire sul fatto che i livelli essenziali
possano  essere  ricavati  dalla  legislazione vigente, anche se cio'
pare  davvero problematico ove si abbia un senso minimamente adeguato
della  realta'.  Tuttavia,  ammesso  e  non concesso che tutto questo
abbia un suo autonomo e generalissimo rilievo, si deve convenire che,
nel caso di specie, non vi e' alcuna «determinazione» con cui operare
un utile raffronto: sia perche' predeterminazione non vi e' stata sia
perche' non e' ricavabile, per quanto e' dato sapere, aliunde.
    Non  di  meno,  e'  indispensabile  stabilire  una  relazione tra
prestazioni  da erogare e bisogni da soddisfare e definire, ex ante e
non  ex post, la sostenibilita' economico-finanziaria delle decisioni
assunte  (anche in ossequio agli artt. 81, quarto comma, e 97 Cost.),
che, essendo interordinamentali, debbono discendere da un coordinato,
e   non  gia'  unilaterale,  esercizio  delle  competenze  statali  e
regionali  individuate  -  come  si  e'  accennato - dagli artt. 117,
secondo comma, lett. m), e 117, quarto comma, Cost.
    Sotto  questo  profilo,  non  v'e'  dubbio  che  la  direttiva 23
settenibre  2003  del  Ministero del lavoro e delle politiche sociali
collide direttamente con le citate disposizioni costituzionali.
    Inutile  dire che la censura poc'anzi delineata apre la strada ad
una  censura  ulteriore,  consistente  nel  fatto che lo Stato non ha
operato,  in  sede  di adozione dell'atto qui impugnato, del rispetto
del   principio   costituzionale   di  leale  collaborazione  ne'  di
sussidiarieta'  verticale: in violazione, dunque, degli artt. 5, 114,
117,  118,  primo e quarto comma, 119 e 120, secondo comma (ancorche'
quest ultimo riguardi di per se' i poteri sostitutivi).
    6.  -  L'adozione  della  direttiva che disciplina i criteri e le
modalita'  di  concessione  di  finanziamenti per la realizzazione di
progetti   sperimentali   viola,   infatti,  il  principio  di  leale
collaborazione,   derivante   dall'art. 5   Cost.  e  richiamato  ora
espressamente dall'art. 120 Cost. e, quindi, l'autonomia regionale.
    La  ripartizione  delle  funzioni  tra Stato, regioni e autonomie
locali  puo'  ricostruirsi, alla luce della Costituzione, delle norme
costituzionali   e   di  rilievo  costituzionale,  non  solo  facendo
riferimento  al principio di competenza, come enucleato e investigato
dalla   dottrina   che   si   e'  dedicata  a  ricondurre  a  sistema
l'ordinamento  regionale, soprattutto dopo la concreta attuazione del
titolo V, ma anche a quello di sussidiarieta'.
    L'assetto dei rapporti tra gli enti costitutivi della Repubblica,
ai  sensi  dell'art. 5  Cost.,  che  aveva  dimostrato la tendenza ad
accrescere la sua gia' notevole complessita' prima delle piu' recenti
riforme  costituzionali, sembra oggi ingovernabile senza un'attivita'
di coordinamento e partecipazione dei diversi soggetti istituzionali,
stante l'impossibilita' di individuare ambiti di materie prive di una
qualche interferenza reciproca o necessario collegamento.
    Si  puo'  dire  anzi, che lo stesso ambito di autonomia regionale
perderebbe di senso nell'attuale quadro dell'assetto delle competenze
legislative,   amministrative   e   finanziarie   senza  la  concreta
applicazione  del  principio  di  leale  collaborazione,  che appunto
presuppone una sovrapposizione di ambiti di intervento nelle medesimo
materie.
    La  necessaria  effettiva  partecipazione  delle  regioni e delle
autonomie locali alle scelte operate a livello nazionale destinate ad
incidere  sull'esercizio  delle loro competenze, sia che si traducano
in  atti  normativi  sia che si concretizzino in atti amministrativi,
viene  per  lo piu' prevista nel nostro ordinamento all'interno della
Conferenza  Stato-regioni,  della Conferenza Stato-citta' e autonomie
locali  e  della Conferenza unificata. Com'e' noto, le prime due sono
state  istitituite  da  d.P.C.m.  (rispettivamente  dai  d.P.C.m.  12
ottobre  1983  e  2  luglio  1996)  e  poi  disciplinate  dal  d.lgs.
n. 281/1997, mentre la Conferenza e' stata introdotta da quest'ultimo
atto normativo.
    Si  deve  precisare, pero', che il coinvolgimento nella procedura
di adozione di atti normativi, amministrativi o, in senso piu' ampio,
di decisioni politiche, pur disciplinato e contemplato dalle medesime
disposizioni   assume   un  senso  profondamente  diverso  a  seconda
dell'esercizio  della  specifica funzione e dell'ambito di materia in
cui si versa nel caso concreto, alla luce del piu' complessivo quadro
delle competenze statali, regionali e locali.
    In  altre  parole, ove alla regione in una determinata materia, o
ambito  di  materia,  venga  riconosciuta una sfera di autonomia piu'
ampia,  con la titolarita' di funzioni legislative e amministrative e
la    relativa   responsabilita'   finanziaria,   il   coinvolgimento
nell'adozione delle decisioni assunte dallo Stato centrale perde ogni
minimo  tratto  di  opportunita'  politica  per assumere quello della
olibligatorieta'  istituzionale  poiche'  trova fondamento, oltre che
nell'art. 5   Cost.,   anche  nelle  disposizioni  che  prevedono  la
competenza  legislativa,  amministrativa e finanziaria della regione,
e, quindi negli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost.
    Nel caso di specie, per quanto si e' detto supra e non si intende
qui  inutilmente ripetere, l'atto adottato dal Ministero del lavoro e
delle  politiche sociali e' atto che certamente viene ad incidere e a
condizionare  sotto  molteplici  aspetti  il  sistema dell'assistenza
tracciato,  per volere del costituente, da scelte di carattere locale
e   regionale   nell'esercizio   delle  ampie  funzioni  normative  e
amministrative loro riconosciute.
    Ora,  il  tenore  della  direttiva e la sua procedura di adozione
escludono  le regioni e gli enti locali dalle decisioni connesse alle
concessioni  di finanziamento per progetti sperimentali in materia di
assistenza.
    In   particolare,  il  mancato  coinvolgimento  della  Conferenza
unificata,  pure  stabilito dall'art. 41-ter della legge n. 104/1992,
evidenzia  la  violazione  del  principio  di leale collaborazione e,
dunque,    per    quanto   si   e'   detto,   l'autonomia   regionale
costituzionalmente riconosciuta.
    7. - Il dato fattuale e ordinamentale incontestabile, cui ha dato
origine  la direttiva ministeriale in questione, costituito dall'aver
lo   Stato   disposto   senza  minimamente  considerare  la  «realta'
regionale»,   implica  la  violazione,  sotto  ulteriore  e  autonomo
profilo, delle seguenti disposizioni della legge fondamentale:
      a) dell'art. 118 Cost., in quanto risulta coartata la decisione
amministrativa della regione;
      b)  dell'art. 119  Cost.,  dal  momento  che la medesima non e'
stata  posta in condizione di esercitare in modo consapevole e libero
la  propria funzione di reperimento delle risorse e di determinazione
delle spese;
      c)  dell'art.  97  Cost.,  poiche' risulta pregiudicato il buon
andamento dell'attivita' amministrativa regionale.
    8.  -  Nel  configurare  le  proprie  argomentazioni  a  sostegno
dell'odierno   conflitto  la  difesa  della  regione  ha  cercato  di
dimostrare come la direttiva impugnata non abbia basi costituzionali,
e  cio'  in  particolare sulla scorta di una incontestabile premessa:
che l'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e' stato posto
in  essere  sulla  base dell'originario art. 117 Cost., il quale dava
una  differente  qualificazione, in termini di riparto della potesta'
legislativa tra Stato e regione della materia «beneficenza pubblica».
Il   corollario   e'  il  seguente:  il  citato  art.  41-ter  e'  da
considerarsi  o  abrogato  o affetto da illegittimita' costituzionale
sopravvenuta.
    Nel  caso  in cui codesta ecc.ma Corte ritenesse tutt'ora vigente
la  previsione  de  qua,  la  Regione  chiede che la medesima sollevi
davanti  a  se',  come  giudice  a  quo, la questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 41-ter della legge 5 febbraio 1992, n. 104,
tra l'altro perche' in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lett.
171,  lett.  m),  letto  in combinato disposto con l'art. 117, quarto
comma, Cost.
                              P. Q. M.
    La Regione del Veneto chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale:
        dichiari che non spetta allo Stato stabilire con direttiva la
promozione  e  il  coordinamento  dei progetti sperimentali aventi ad
oggetto  la  realizzazione, il potenziamento e l'ampliamento di piani
di azione a valenza socio-assistenziale, ed in particolare, strutture
di  accoglienza per persone in situazione di handicap grave, prive di
adeguata  assistenza  familiare anche al fine di favorirne condizioni
di maggiore autonomia e di vita indipendente, in quanto la Regione e'
titolare,  per  Costituzione,  di  competenze  ricadenti in un simile
ambito materiale,
        e, di conseguenza, annulli la direttiva 23 settembre 2003 del
Ministero  del  lavoro e delle politiche sociali, recante «Disciplina
dei  criteri e delle modalita' di concessione di finanziamenti per la
realizzazione  di progetti sperimentali, di cui all'art. 41-ter della
legge  5 febbraio 1992, n. 104», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale,
serie  generale,  12  novembre  2003,  n. 263,  per  violazione degli
artt. 5, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.
          Padova-Roma, addi' 8 gennaio 2004
 Avv. prof. Mario Bertolissi - Avv. Romano Morra - Avv. Luigi Manzi
04C0171