N. 76 SENTENZA 23 febbraio - 2 marzo 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Rilevanza  della questione - Motivazione - Sufficienza - Eccezione di
  inammissibilita' - Rigetto.
Riscossione delle imposte - Gestione commissariale - Obbligo gravante
  sul  commissario governativo di gestire il servizio di riscossione,
  con gli oneri e i rischi del concessionario, senza i corrispondenti
  diritti  e  senza  limiti  di  durata  -  Prospettata lesione della
  liberta' economica e dei principi di eguaglianza e ragionevolezza -
  Non fondatezza della questione.
- D.P.R.   28 gennaio  1988,  n. 43,  art. 24;  legge  della  Regione
  Siciliana 5 settembre 1990, n. 35, art. 18.
- Costituzione, artt. 3 e 41.
(GU n.10 del 10-3-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Ugo  DE  SIERVO,  Romano  VACCARELLA,  Paolo
MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 24 del d.P.R.
28 gennaio  1988,  n. 43 (Istituzione del servizio di riscossione dei
tributi  e  di altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici, ai
sensi dell'articolo 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986, n. 657) e
dell'art. 18  della  legge  della Regione Siciliana 5 settembre 1990,
n. 35  (Istituzione  e  disciplina  del  servizio  di riscossione dei
tributi  e di altre entrate), promosso con ordinanza del 5 marzo 2002
dal  Tribunale  di Palermo, iscritta al n. 563 del registro ordinanze
2002  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2,
prima serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Emilio Giannelli, Alberto
Ranucci,  Vittorio  Mazzoni  della  Stella,  Giovanni Grottanelli de'
Santi,  nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e della Regione Siciliana;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  20 gennaio  2004  il  giudice
relatore Valerio Onida;
    Uditi l'avvocato Gilberto Lozzi per Vittorio Mazzoni della Stella
e  l'avvocato  dello  Stato  Giancarlo  Mando'  per il Presidente del
Consiglio dei ministri e per la Regione Siciliana.

                          Ritenuto in fatto

    1.  - Con ordinanza pronunciata il 5 marzo del 2002 e pervenuta a
questa  Corte  il  9 dicembre  2002  (reg.  ord.  n. 563 del 2002) il
Tribunale  di  Palermo  in composizione monocratica, «facendo propria
l'ordinanza  gia'  emessa  dal  pretore  di Palermo in data 14 luglio
1999»  (il cui testo viene allegato all'atto di rinvio), ha sollevato
questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 24 del
d.P.R.   28 gennaio   1988,   n. 43   (Istituzione  del  servizio  di
riscossione  dei  tributi  e  di altre entrate dello Stato e di altri
enti   pubblici,  ai  sensi  dell'articolo 1,  comma 1,  della  legge
4 ottobre 1986, n. 657), e dell'art. 10 (recte: 18) della legge della
Regione  Siciliana 5 settembre  1990,  n. 74  (recte: n. 35), recante
«Istituzione  e  disciplina del servizio di riscossione dei tributi e
di  altre  entrate»,  in  riferimento  agli  articoli 3  e  41  della
Costituzione.
    Tali  disposizioni,  nel  medesimo  processo  penale a quo, erano
state  infatti  gia'  rese  oggetto di impugnativa, con ordinanza mai
ritualmente pervenuta a questa Corte, a causa di un disguido postale.
    Espone  il giudice remittente che gli imputati, nella qualita' di
membri  del  consiglio  di  amministrazione  della societa' Monte dei
Paschi  Banca  S.p.a. ovvero della societa' MontePaschi Serit S.p.a.,
erano stati tratti a giudizio per rispondere del reato di concorso in
interruzione   aggravata  di  un  servizio  pubblico  o  di  pubblica
utilita', previsto e punito dagli articoli 110, 112, numero 1, e 331,
primo comma, del codice penale.
    In   particolare,   premette   il   remittente  che  la  societa'
MontePaschi  Serit  S.p.a. (di cui la societa' Monte dei Paschi Banca
S.p.a.   e'   unica   azionista)   e'  stata  nominata,  con  decreto
assessoriale   n. 1   del  9 gennaio  1991,  commissario  governativo
delegato  provvisoriamente alla riscossione dei tributi nella Regione
Sicilia.
    Con   atto   del   18  giugno 1996  (recte:  24  giugno 1996)  la
MontePaschi  Serit s.p.a., a seguito di conforme delibera della Monte
dei  Paschi  Banca  S.p.a.,  ha  comunicato alla Regione Siciliana il
proprio   recesso   unilaterale   dal   rapporto   cosi'  costituito;
successivamente  la  MontePaschi  Serit  ha  chiuso  al  pubblico gli
stabilimenti  e  gli sportelli della societa': in tale fattispecie il
pubblico  ministero  ha  appunto  ravvisato  gli estremi del reato di
interruzione di pubblico servizio.
    Nel giudizio penale a quo alcuni imputati hanno tuttavia eccepito
l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  oggetto  dell'odierna
questione.
    Il  giudice  remittente  ritiene che le disposizioni impugnate si
pongano in contrasto con gli articoli 3 e 41 della Costituzione.
    Il   commissario   governativo   delegato  provvisoriamente  alla
riscossione, infatti, investito di obblighi «in relazione ai quali il
(n.d.r.:  di  lui)  concorso di volonta' negoziale (...) e' del tutto
inesistente  e irrilevante», si troverebbe a «gestire il servizio non
solo  secondo  le  regole  del concessionario, vale a dire con l'alea
imprenditoriale,  ma  contestualmente con l'obbligo contributivo "del
non riscosso come riscosso"» (art. 26 del d.P.R. n. 43 del 1988), per
un  periodo  di  tempo indeterminato (nel caso di specie, protrattosi
per «oltre cinque anni»).
    Il  combinato  disposto  delle  norme  richiamate rischierebbe di
generare,  «sotto  il profilo della liberta' economica e dei principi
di    uguaglianza    e    ragionevolezza,    scompensi    di   natura
economico-finanziaria»,  in  danno  non  solo  dell'impresa  delegata
provvisoriamente   alla   riscossione   (i  cui  amministratori  sono
soggetti,  aggiunge  il giudice a quo, alla previsione dell'art. 2621
del  codice  civile  in  materia  di false comunicazioni sociali), ma
degli stessi «cittadini che abbiano investito i loro risparmi» presso
tale istituto di credito.
    Pertanto,  il remittente dubita della legittimita' costituzionale
delle   dette   disposizioni,   «laddove   impongono  al  commissario
governativo  delegato  provvisoriamente alla esazione dei tributi gli
obblighi,  ma  non  i  diritti  del  concessionario privato, alla cui
disciplina   normativa   viene  operato  testuale  rinvio,  con  cio'
comportando il determinarsi di una situazione obbligatoria svincolata
dalle   esigenze   di   economicita'   della   gestione  aziendale  e
potenzialmente  in  antitesi ad essa, senza che nelle norme censurate
venga   in   alcun   modo  determinato,  facendo  ricorso  a  criteri
cronologici   o   di  altra  natura  legale,  un  limite  ragionevole
all'esercizio di tale potere, da parte dell'ente pubblico».
    2. - Sono intervenuti in giudizio con un unico atto il Presidente
del  Consiglio  dei ministri e il Presidente della Regione Siciliana,
entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo  che  la  questione sia dichiarata inammissibile e comunque
infondata.
    In     via    preliminare,    gli    intervenienti    eccepiscono
l'inammissibilita'  della  questione per difetto di motivazione sulla
rilevanza  della stessa, posto che il giudice a quo, sul punto, si e'
limitato    ad   asserire   che   «la   prospettata   situazione   di
incostituzionalita'  appare  rilevante  per la decisione del presente
processo  attenendo  alla ricorrenza degli elementi integrativi della
fattispecie criminosa in contestazione».
    Osserva   l'Avvocatura   che   il  remittente  non  dubita  della
legittimita'  costituzionale  delle  norme  oggetto  «per quanto esse
prevedono   (...)   il   potere   dell'Amministrazione   di  nominare
temporaneamente   (...)   un  commissario  governativo»,  sicche'  la
questione  potrebbe  essere  rilevante  solo in altra sede, in cui il
commissario abbia ad accampare diritti o a contestare la legittimita'
di  atti  «con i quali l'Amministrazione comunque non "acconsenta" al
"recesso"   dal   rapporto,   manifestato   (...)   dal   commissario
governativo».
    In  via subordinata, gli intervenienti ritengono che la questione
non sia fondata.
    Premesso  che  l'art. 24  del  d.P.R.  n. 43  del  1988  e' stato
abrogato  dall'articolo 68  del  decreto  legislativo 13 aprile 1999,
n. 112   (Riordino  del  servizio  nazionale  della  riscossione,  in
attuazione  della  delega  prevista  dalla  legge  28 settembre 1998,
n. 337),  e  che  l'art. 12 di tale ultimo decreto ha posto il limite
temporale  di  un  anno,  prorogabile  per un altro anno, alla durata
dell'incarico  del commissario governativo, l'Avvocatura osserva che,
in  forza  dell'art. 26,  comma 1,  del d.P.R. n. 43 del 1988, era in
facolta'  dell'Amministrazione  disporre  l'esonero  del  commissario
dall'obbligo  del  non  riscosso  come riscosso (obbligo ora abrogato
dall'art. 2  del  d.lgs.  22 febbraio  1999, n. 37, recante «Riordino
della   disciplina   della   riscossione   mediante  ruolo,  a  norma
dell'art. 1, comma 1, lettere a) e c), della legge 28 settembre 1998,
n. 337»).
    Inoltre,  prosegue  l'Avvocatura,  l'art. 25 del d.P.R. n. 43 del
1988 prevede che al commissario spettino il rimborso delle spese e le
commissioni  e i compensi «di norma entro i limiti determinati per il
precedente  concessionario»,  cio' che porterebbe ad escludere che il
primo  sia  privo,  come  invece  argomentato  dal giudice a quo, dei
diritti spettanti al secondo.
    Infine,  concludono  gli  intervenienti, sarebbe erroneo ritenere
che  il  potere  di  nomina  del  commissario  sia  carente di limiti
temporali,  poiche'  dall'art. 24, comma 1, e dall'art. 26 del d.P.R.
n. 43   del   1988   si   evincerebbe   il   carattere   «temporaneo»
dell'incarico:  mentre  non  sarebbero  rilevanti  ipotetici  profili
attinenti  alla  legittimita'  del  provvedimento  di  nomina, che in
concreto  non  fossero  coerenti  con  la «coessenziale temporaneita'
postulata dalla norma».
    3.  - Si sono costituiti in giudizio i signori Emilio Giannelli e
Alberto Ranucci, imputati nel processo a quo, con distinte, identiche
memorie, concludendo per l'accoglimento della questione.
    Osservano   le   parti  private  che  l'incarico  conferito  alla
MontePaschi  Serit  S.p.a.  si  e'  protratto  per oltre cinque anni,
ingenerando  pesanti  perdite  a carico della banca per la «mancata e
reiterata corresponsione di compensi e rimborsi».
    A  fronte  di cio', il commissario, anche allo scopo di osservare
le  regole  di  «sana  e  prudente  gestione»  cui e' tenuto ai sensi
dell'art. 5  del  d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle
leggi  in materia bancaria e creditizia), ha inviato «atto formale di
preavviso   di   sei   mesi   della   sospensione  del  servizio  per
inadempimento   dell'ente   regionale»,   ponendo   nel   contempo  a
disposizione   dell'ente   pubblico  «il  personale  e  le  strutture
aziendali  cosi'  da  scongiurare  l'interruzione del servizio», e da
permetterne la prosecuzione. Difatti, proseguono le parti private, le
disposizioni   normative   concernenti   il  commissario  governativo
delegato provvisoriamente alla riscossione danno luogo ad un «sistema
normativo  di  natura  eccezionale»  che,  comportando una «deroga al
principio  della libera iniziativa economica», non puo' tollerarsi se
non  entro  rigidi  limiti  cronologici,  imposti  dal  principio  di
ragionevolezza.
    Nel  caso di specie, al contrario, «la discriminazione introdotta
si  (sarebbe)  perpetuata troppo a lungo e (avrebbe) sconfinato oltre
il ragionevole esercizio della discrezionalita' legislativa», finendo
per  imporre  ad  un  soggetto  che  agisce  in  forma di impresa «di
svolgere  potenzialmente  all'infinito  un'attivita'  di  natura e di
contenuto economico in forma antieconomica».
    Cio'   avrebbe   determinato  un  vizio  di  «eccesso  di  potere
legislativo»,    desumibile    dalle   «figure   sintomatiche   della
contraddittorieta',  della  illogicita'  del  provvedimento  e  della
ingiustizia  manifesta»,  cui  la  giurisprudenza  costituzionale  si
sarebbe spesso richiamata.
    Il  legislatore  avrebbe  cosi'  dato  luogo «al paradosso di una
provvisorieta'  non  provvisoria, potenzialmente sine die ed a totale
arbitrio  della  pubblica  autorita»,  tanto piu' grave, in quanto il
commissario  governativo  provvisoriamente  delegato alla riscossione
«e'  tenuto  ad  esercitare  la delega in forma di impresa», ma nello
stesso tempo sarebbe «sottoposto alla vessazione e costrizione di una
gestione   aziendale   svincolata   dalle  esigenze  di  economicita'
dell'attivita' imprenditoriale, e, anzi, in antitesi ad esse».
    Inoltre,  questa  Corte  avrebbe  altresi' censurato, secondo una
linea  di  ragionamento che le parti private ritengono estensibile al
caso   di   specie,  situazioni  normative  perpetuatesi  oltre  ogni
ragionevole  limite: assumerebbero rilievo, in tal senso, le sentenze
n. 826  del  1988  e  n. 438  del  1990  in  tema  di emittenza radio
televisiva  e  la  sentenza  n. 360  del 1996 in tema di decretazione
d'urgenza,  nonche' il principio, «costantemente ribadito» in materia
di  limitazioni  alla  liberta' e all'eguaglianza imposte ai soggetti
economici  privati,  «in  virtu'  del  quale  il  legislatore, quando
consenta  l'acquisizione  di  posizioni di supremazia nel campo, deve
prevedere  nel  contempo  strumenti  atti  ad  evitare  comportamenti
arbitrari».
    In   subordine,   le   parti   private   invocano  «una  sentenza
interpretativa  ovvero,  in  via  alternativa, additiva», per effetto
della   quale   risulti   consentito   al  commissario,  in  caso  di
diseconomicita'  del  servizio,  protratta  nel  tempo  a causa delle
inadempienze  dell'amministrazione  nel  corrispondere i rimborsi e i
compensi  dovuti,  e  della mancata revoca della delega data a titolo
provvisorio,   di   recedere,   ovvero   di  sollevare  eccezione  di
inadempimento, sospendendo la prestazione ai sensi dell'art. 1460 del
codice civile.
    4.  - Si e' costituito in giudizio un terzo imputato nel processo
a  quo,  il  signor  Vittorio  Mazzoni  della Stella, concludendo per
l'accoglimento della questione.
    La  parte privata fa proprie e ribadisce le considerazioni svolte
dal giudice a quo nell'ordinanza di remissione.
    Le   norme   impugnate,   in  particolare,  in  violazione  degli
articoli 3,  41  e  47,  primo  e  secondo comma, della Costituzione,
frustrerebbero  le  esigenze  di  rilievo costituzionale attinenti al
funzionamento  delle  societa'  e  alla  conservazione  del  capitale
sociale,  nonche'  alla  tutela  del  risparmio  e  dell'accesso  del
risparmio  popolare  all'investimento  azionario nei grandi complessi
produttivi del Paese.
    5.  -  Si e' costituito in giudizio il prof. Giovanni Grottanelli
de'   Santi,   anch'egli  imputato  nel  processo  a  quo,  chiedendo
l'accoglimento della questione.
    In  punto  di  rilevanza,  osserva  la parte privata che il reato
contestato   agli  imputati  nel  processo  principale  richiede  che
l'agente  rivesta  la  qualifica soggettiva di incaricato di pubblico
servizio.
    Le  norme  censurate  determinerebbero  l'assunzione  di siffatta
qualifica da parte degli imputati, rendendosi percio' applicabili nel
giudizio  a  quo,  ed  in  definitiva  rilevanti,  secondo  i criteri
enunciati da questa Corte.
    Nel   merito,   la   parte  privata  sottolinea  che,  alla  luce
dell'articolo 41   della   Costituzione,   «mentre  sono  concepibili
disposizioni   provvisorie  particolari,  che  abbiano  lo  scopo  di
risolvere  situazioni  di  urgenza  o di emergenza (...), non possono
ammettersi  comandi  giuridici  che impongano iussu principis e senza
predeterminazione  di  scadenza l'obbligo di gestioni» economicamente
dannose per l'impresa che ne e' gravata.
    Le  disposizioni  impugnate  contrasterebbero,  percio',  con gli
articoli 3, 41 e 47 della Costituzione.
    6.  -  In  prossimita'  dell'udienza  pubblica  hanno  depositato
un'unica  memoria  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri e la
Regione Siciliana, insistendo nelle conclusioni gia' rassegnate.
    In particolare, si eccepisce un nuovo profilo di inammissibilita'
della questione.
    Con  la  legge  10 novembre  1997,  n. 42  (Interventi finanziari
straordinari  per la riscossione dei tributi in Sicilia), infatti, la
regione  determino' in via eccezionale le somme dovute al commissario
provvisoriamente  delegato  alla  riscossione in Sicilia per gli anni
dal  1991  al  1996,  in  aggiunta  a  quelle  previste dall'art. 61,
comma 3,  lettere a)  e b), del d.P.R. n. 43 del 1988, e un'ulteriore
erogazione per l'anno 1997, subordinando l'intera erogazione (art. 1,
comma 5)  alla  rinuncia - poi intervenuta, con conseguente pagamento
delle  somme  -  ad  ogni azione o pretesa della societa' MontePaschi
Serit  nascente  dalla gestione del servizio in regime commissariale.
Il  rapporto commissariale, osservano gli intervenuti, avrebbe quindi
trovato   legislativamente   una   propria  complessiva  e  singolare
regolamentazione,  cui  non  sarebbe  stata  certamente estranea «una
prevista  base  volontaristica  da  parte della stessa societa», alla
quale  sarebbe  stata  riconosciuta  un'adeguata  ed  eccezionale (in
quanto  derogatoria  rispetto  a  quella  generalmente  spettante  al
commissario  delegato) remunerazione per il servizio svolto per tutto
il  periodo  entro  il  quale  si  collocano  i  fatti  oggetto della
contestazione  formulata  nei confronti degli imputati nel giudizio a
quo.   Tale   normativa,   indubbiamente   speciale  e  di  contenuto
eccezionale,  non  sarebbe  stata  invece  considerata dall'autorita'
remittente,  che  avrebbe quindi omesso di verificarne l'incidenza in
relazione   alla   disposizione  generale  dell'art. 18  della  legge
regionale  impugnata,  e  in  definitiva  di motivare sulla rilevanza
della questione.
    Quanto  al  merito,  si contesta in particolare l'assunto secondo
cui  al  commissario  governativo  delegato  sarebbero  imposti  «gli
obblighi  ma  non i diritti del concessionario privato», in quanto al
primo  si applica (art. 18, comma 3, della legge regionale impugnata)
la normativa concernente il secondo, e in particolare ad esso compete
il  diritto al rimborso delle spese e ai compensi a remunerazione del
servizio;  solo  per  il  commissario  delegato,  poi,  era  prevista
(dall'art. 26  del  d.P.R.  citato)  la  possibilita',  in situazioni
particolari,   di   esonero   dall'obbligo  del  «non  riscosso  come
riscosso», sempre incombente, invece, sul concessionario.
    In ordine, infine, alla asserita mancata previsione di un termine
all'attivita'   coattivamente   svolta   dal   commissario  delegato,
l'Avvocatura  osserva che occorre distinguere fra la previsione della
norma  impugnata,  che  si  esprime in termini di provvisorieta' e di
temporaneita', e la sua concreta applicazione nel caso di specie.
    7.  -  All'udienza del 20 gennaio 2004 le parti hanno discusso la
questione,  insistendo  per  l'accoglimento  delle  conclusioni  gia'
rassegnate in atti.

                       Considerato in diritto

    1.  - Il giudizio a quo e' un processo penale per interruzione di
pubblico servizio a carico di amministratori di due istituti bancari,
l'uno  gia'  investito  della  funzione  di  commissario  governativo
delegato  provvisoriamente  alla riscossione dei tributi negli ambiti
della Regione siciliana, l'altro unico azionista del primo.
    Il  Tribunale  di  Palermo,  facendo  propria  una  questione  in
precedenza  sollevata,  nello stesso giudizio, dal pretore di Palermo
con ordinanza del 14 luglio 1999, mai regolarmente pervenuta a questa
Corte  a  causa  di  un  disguido  postale, dubita della legittimita'
costituzionale   dell'art. 24   del  d.P.R.  28 gennaio  1988,  n. 43
(Istituzione  del  servizio  di  riscossione  dei  tributi e di altre
entrate   dello   Stato   e   di   altri   enti  pubblici,  ai  sensi
dell'articolo 1,  comma 1,  della  legge  4 ottobre 1986, n. 657), e,
«conseguentemente»,   dell'art. 10  (recte:  18)  della  legge  della
Regione  Siciliana 5 settembre 1990, n. 35 (indicata con il n. 74 per
un   errore  materiale,  come  si  rileva  dalla  esatta  indicazione
contenuta  nella  motivazione), recante «Istituzione e disciplina del
servizio  di  riscossione  dei  tributi e di altre entrate», «laddove
impongono  al  commissario governativo delegato provvisoriamente alla
esazione dei tributi gli obblighi ma non i diritti del concessionario
privato, alla cui disciplina normativa viene operato testuale rinvio,
con  cio'  comportando il determinarsi di una situazione obbligatoria
svincolata  dalle esigenze di economicita' della gestione aziendale e
potenzialmente  in  antitesi ad essa, senza che nelle norme censurate
venga   in   alcun   modo  determinato,  facendo  ricorso  a  criteri
cronologici   o   di  altra  natura  legale,  un  limite  ragionevole
all'esercizio di tale potere da parte dell'ente pubblico».
    Secondo  il  remittente,  le  norme  in  questione  -  conferendo
all'autorita'  (il  Ministro  delle finanze secondo la legge statale,
l'Assessore  regionale per il bilancio e le finanze, secondo la legge
regionale)  il  potere di imporre al privato, senza limiti di tempo o
«funzionali», e senza consentire il recesso unilaterale, l'obbligo di
gestire,  in  qualita'  di  commissario  governativo,  il servizio di
riscossione  in  forma  di  impresa,  con  tutti gli oneri e i rischi
relativi,   e  con  l'obbligo  del  «non  riscosso  per  riscosso»  -
esporrebbero  il  soggetto investito della funzione di commissario al
rischio  di  scompensi  di  natura economico-finanziaria, con lesione
della   liberta'   economica   e   dei   principi  di  eguaglianza  e
ragionevolezza:  onde  sarebbero  violati  gli  articoli 3 e 41 della
Costituzione.
    2.  - Non possono essere accolte le eccezioni di inammissibilita'
della  questione  sollevate dalla difesa del Presidente del Consiglio
dei ministri e della Regione Siciliana.
    Le  parti private che hanno sollevato la questione, giudicata dal
remittente  non manifestamente infondata, lamentano, fra l'altro, che
non  venga  loro  riconosciuto,  in  forza  delle norme impugnate, un
diritto  di  recesso,  con  incidenza,  in ipotesi, sulla qualita' di
incaricato   di   pubblico  servizio  dell'istituto  bancario  i  cui
amministratori  sono  imputati.  A  cio' si riferisce la pur succinta
motivazione  della  rilevanza della questione offerta dal remittente,
la'  dove  allude  alla  potenziale  incidenza che la decisione della
stessa  potrebbe  avere  sulla  ricorrenza degli elementi costitutivi
della fattispecie criminosa per cui si procede.
    Ne'   l'omessa  considerazione,  da  parte  del  giudice  a  quo,
dell'entrata  in  vigore  e  dell'applicazione  della legge regionale
10 novembre  1997, n. 42, successiva rispetto ai fatti per i quali si
procede  penalmente,  e'  idonea  ad inficiare la sufficienza di tale
motivazione.
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata.
    La  normativa statale che viene in considerazione, per ragioni di
rilevanza,   e'   quella   contenuta   nel  d.P.R.  n. 43  del  1988,
successivamente  abrogata  e  sostituita  dal  d.lgs. 13 aprile 1999,
n. 112.
    L'art. 24  del  d.P.R.  n. 43 del 1988 (cui corrisponde l'art. 18
della  legge  regionale siciliana n. 35 del 1990, che, per quanto qui
interessa,  rinvia ad esso o lo ricalca interamente) prevedeva che in
caso  di  vacanza  della  concessione del servizio di riscossione dei
tributi,  che  si  espleta  in  regime  di concessione amministrativa
(articoli 2  e  7  del  d.P.R.  n. 43  del  1988)  nei singoli ambiti
territoriali,  «in  attesa  del nuovo conferimento della gestione del
servizio»   fosse   nominato  un  «commissario  governativo  delegato
provvisoriamente  alla  riscossione», scelto fra i soggetti abilitati
che ne avessero fatto richiesta (comma 1), o, in mancanza, in persona
del  concessionario  di  un  ambito  territoriale contiguo «che abbia
l'organizzazione   piu'   idonea   a   garantire  temporaneamente  lo
svolgimento  del  servizio  di riscossione» (comma 2). Al commissario
«si  applicano le norme stabilite per il concessionario, salvo quanto
disposto» nei successivi articoli (comma 3).
    In particolare, per quanto riguarda gli obblighi del commissario,
l'art. 26  (cui  rinvia  l'art. 18,  comma 3,  della legge regionale)
stabiliva  che  esso risponde (salvo esonero stabilito «in situazioni
particolari»  dall'autorita'  amministrativa)  del  non riscosso come
riscosso,  ed  e'  tenuto  a  prestare cauzione: alla stessa stregua,
peraltro, di quanto disponeva l'art. 32, rispettivamente al comma 3 e
al  comma 4, per il concessionario (mentre qui non vengono in rilievo
ne'   la   successiva  abrogazione  dell'art. 32,  comma 3,  disposta
dall'art. 2  del  d.lgs.  22 febbraio  1999, n. 37, ne' il quesito se
anche  al  commissario  si  applicasse la norma da ultimo citata, che
disponeva  l'abrogazione  di  «ogni  disposizione»  che  imponeva  ai
concessionari l'obbligo del non riscosso come riscosso).
    Quanto all'aspetto economico, l'art. 25 del d.P.R. n. 43 del 1988
(cui  pure rinvia l'art. 18, comma 3, della legge regionale n. 35 del
1990)  prevedeva  che  con  il  decreto  di  nomina  del  commissario
governativo venissero stabilite, «di norma entro i limiti determinati
per  il  precedente  concessionario, la misura delle commissioni, dei
compensi  e  dei  rimborsi  delle  spese a lui spettanti», nonche' le
modalita'  di  partecipazione  delle  amministrazioni  pubbliche alle
spese  per  i  locali  e per gli arredi necessari all'adempimento del
servizio di riscossione, «restando a carico del commissario stesso le
altre  spese di gestione». A sua volta l'art. 61 del d.P.R. n. 43 del
1988  (cui  corrisponde e in larga parte rinvia l'art. 23 della legge
regionale)   disciplinava   dettagliatamente  la  determinazione  dei
compensi e dei rimborsi spese spettanti al concessionario, prevedendo
fra  l'altro  (comma  3,  primo  periodo)  che  «la remunerazione del
servizio  di  riscossione viene determinata in modo da assicurare una
percentuale  non differenziata di utile per ogni concessionario sulla
base  dei  dati  di redditivita' media e dei costi medi di gestione a
livello  nazionale  rapportati  ad  ogni concessionario o a gruppi di
concessionari»,  tenendo  comunque  conto  di  una  serie di elementi
concreti  ivi  specificati,  fra  cui anche il personale eccedente le
necessita'  operative  della concessione, mantenuto obbligatoriamente
in servizio; e che tale remunerazione fosse articolata in varie voci,
in  parte  a  carico  dell'amministrazione  e  in  parte a carico dei
contribuenti,  fra  cui  (comma  3,  lettera d) «un compenso in cifra
fissa  per  ciascun  abitante  servito, differenziato per ogni ambito
territoriale  e  determinato  in  relazione  al prevedibile ammontare
delle commissioni, dei compensi, dei rimborsi spese e degli interessi
di  mora  spettanti  ai  concessionari (...) al fine di assicurare la
remunerazione  calcolata»  con  i  criteri  previsti dal citato primo
periodo  dello  stesso  comma 3. A sua volta, il comma 8 dell'art. 61
stabiliva  che  «al  fine di assicurare la permanenza dell'equilibrio
economico di ogni singola gestione viene effettuata, con periodicita'
biennale,  la revisione delle misure delle commissioni, dei compensi,
dei  rimborsi  delle spese tenuto conto anche del tasso di inflazione
programmato  dal  Governo  per  il  biennio successivo, nonche' delle
eventuali  modifiche  alle  condizioni  originarie  della concessione
conseguenti   ad   intervenute   modifiche   normative».  E'  a  tale
provvedimento  di  rideterminazione periodica della remunerazione che
faceva  riferimento  l'art. 18,  comma 1,  del d.P.R. n. 43 del 1988,
prevedendo   la   facolta'   del  concessionario  di  recedere  dalla
concessione  con  preavviso di sei mesi, con dichiarazione notificata
entro  trenta  giorni  dalla  comunicazione  del decreto di revisione
biennale dei compensi.
    4.  - Il remittente, facendo proprie le tesi delle parti private,
espone  in sostanza due censure: che le norme impugnate comportassero
l'obbligo  per  il  commissario  di gestire l'attivita' d'impresa con
tutti  gli  oneri  gravanti  sul  concessionario  ma  senza  averne i
diritti,  e  pertanto  anche in condizioni antieconomiche, e che tale
obbligo potesse essere imposto senza un ragionevole limite temporale.
Ma  tali  censure non trovano riscontro oggettivo nella normativa che
si e' richiamata.
    Essa  infatti,  come  si  e'  visto, configurava la posizione del
commissario, in linea di principio, alla stessa stregua di quella del
concessionario  (art. 24,  comma 3,  del d.P.R. n. 43 del 1988); e in
particolare,  per  quanto  riguarda  l'aspetto  economico,  prevedeva
dettagliatamente i criteri e le modalita' per assicurare l'equilibrio
economico  delle  gestioni  dei  concessionari  (art. 61 dello stesso
decreto),   ed   esplicitamente  rinviava  agli  stessi  criteri  con
riferimento al commissario governativo delegato provvisoriamente alla
riscossione,  nel  prevedere  che  i  relativi  compensi  e  rimborsi
venissero  stabiliti  di  norma  entro  i  limiti  determinati per il
precedente concessionario (art. 25 dello stesso decreto).
    Non  e' vero dunque che il commissario avesse gli obblighi ma non
i  diritti  del  concessionario.  Se poi, con questa affermazione, si
volesse alludere alla mancata previsione a favore del commissario del
diritto  di  recesso  unilaterale, previsto in capo al concessionario
dall'art. 18  del d.P.R. n. 43 del 1988, si dovrebbe osservare che in
realta'  tale norma non conferiva affatto al concessionario un potere
«libero»  di  recedere  dalla  concessione  in  vista di una presunta
antieconomicita' della gestione, ma consentiva ad esso di svincolarsi
unilateralmente dal rapporto solo in occasione della rideterminazione
-   stabilita   con   cadenza   biennale   -   degli  elementi  della
remunerazione,  con  preavviso  di  sei  mesi  e con dichiarazione da
notificare   entro   un   breve   termine   dalla  comunicazione  del
provvedimento di variazione.
    Peraltro ne' dall'ordinanza di rimessione, ne' dalle difese delle
parti  private e' dato di comprendere chiaramente se, nella specie, i
lamentati   fattori  di  antieconomicita'  della  gestione  venissero
ricondotti   solo   a  ipotetici  inadempimenti  dell'amministrazione
rispetto  ad  obblighi  patrimoniali  discendenti  dalla  legge e dal
provvedimento  di  nomina  e  di  determinazione  dei  compensi e dei
rimborsi  (nel  qual  caso,  ovviamente,  al  commissario  e' dato il
ricorso  agli  ordinari  rimedi  per  far  valere i diritti violati),
ovvero   a   ipotetiche   condizioni   di  non  conformita'  di  tale
provvedimento  rispetto  alle previsioni legali (nel qual caso altri,
ma  sempre  esperibili,  sarebbero  stati  i  rimedi), ovvero ancora,
nell'opinione  del  commissario,  ad  inadeguatezza  delle  norme che
prevedevano   i   compensi,   e   che  invero  contenevano  espliciti
riferimenti,  come si e' visto, alle esigenze di equilibrio economico
della gestione (norme, tuttavia, non denunciate in questa sede).
    5.   -   Per  quanto  poi  attiene  alla  durata  della  gestione
commissariale,  l'assenza  di  un  termine  massimo determinato dalla
legge  (come  e' invece poi stato previsto dall'art. 12, comma 3, del
d.lgs.  n. 112  del  1999,  che  fissa per l'incarico la durata di un
anno, rinnovabile una sola volta per un altro anno) non significa che
la   norma   legittimasse   una   durata   del   tutto  indeterminata
dell'incarico,   rimessa   alla   discrezione   dell'amministrazione.
L'art. 24  del  d.P.R.  n. 43  del  1988  configura  espressamente la
gestione  commissariale  come  una  soluzione  provvisoria («delegato
provvisoriamente  alla  riscossione»:  comma 1)  intesa  a  garantire
«temporaneamente»  lo  svolgimento  del servizio (comma 2) «in attesa
del  nuovo conferimento della gestione del servizio» medesimo (ancora
comma 1).
    Il  sistema  normativo  presuppone chiaramente, dunque, il dovere
dell'amministrazione  di  attivare  con  sollecitudine i procedimenti
intesi  al rilascio della nuova concessione, e non giustifica la mera
inerzia  dell'amministrazione  medesima,  verificandosi  la  quale e'
sempre  possibile  per i privati interessati porre in essere i rimedi
apprestati dall'ordinamento per reagire ad essa.
    In  ogni  caso,  gli  eventuali  vizi da cui si fanno derivare le
conseguenze  pregiudizievoli  lamentate  a carico del commissario non
sarebbero  da  imputare  alle  norme  denunciate,  bensi'  alla  loro
difettosa  o  mancata  applicazione,  che  non potrebbe dunque essere
addotta  come  motivo  di  illegittimita' costituzionale delle stesse
norme legislative (cfr., ad esempio, sentenze n. 157 del 1996, n. 175
del 1997, n. 40 del 1998 e n. 300 del 2000).
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  non fondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 24  del  d.P.R.  28 gennaio  1988,  n. 43  (Istituzione del
servizio  di riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e
di  altri  enti  pubblici,  ai  sensi dell'articolo 1, comma 1, della
legge  4 ottobre  1986,  n. 657),  e  dell'art. 18  della legge della
Regione  Siciliana 5 settembre  1990, n. 35 (Istituzione e disciplina
del  servizio  di  riscossione  dei  tributi  e  di  altre  entrate),
sollevata,  in  riferimento  agli articoli 3 e 41 della Costituzione,
dal Tribunale di Palermo con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Onida
                      Il cancelliere:Fruscella
    Depositata in cancelleria il 2 marzo 2004.
                      Il cancelliere:Fruscella
04C0274