N. 80 ORDINANZA 23 febbraio - 2 marzo 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale - Straniero colpito da provvedimento di espulsione -
  Violazione  dell'ordine  di  lasciare  il  territorio dello Stato -
  Genericita'  e ampiezza della locuzione «senza giustificato motivo»
  -  Lamentata  violazione  del  principio  di  determinatezza  della
  fattispecie  penale  e  del  diritto  di  difesa  -  Questione gia'
  dichiarata  infondata  - Assenza di profili nuovi rispetto a quelli
  gia' scrutinati - Manifesta infondatezza.
- D.Lgs.  25 luglio  1998,  n. 286,  art. 14,  comma 5-ter,  aggiunto
  dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 24 e 25.
(GU n.10 del 10-3-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo DE SIERVO, Romano VACCARELLA, Alfio
FINOCCHIARO;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-ter,
del  decreto  legislativo  25 luglio  1998, n. 286 (Testo unico delle
disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e norme
sulla   condizione   dello   straniero),  aggiunto  dall'articolo 13,
comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa
in  materia  di  immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze del
29 gennaio  2003  dal  Tribunale  di  Ravenna - sezione distaccata di
Faenza, del 4 febbraio 2003 dal Tribunale di Ferrara, del 18 dicembre
2002 (n. 2 ordinanze) e del 6 febbraio 2003 dal Tribunale di Ravenna,
rispettivamente  iscritte  ai  numeri  204,  211,  261, 262 e 263 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica numeri 16, 17 e 20, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Visti  gli  atti  di  intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 17 dicembre 2003 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto  che  con  le  quattro  ordinanze,  di  analogo  tenore,
indicate  in  epigrafe,  il  Tribunale  di  Ravenna  ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 24  e  25  della  Costituzione, questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter, del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello   straniero),   aggiunto  dall'art. 13,  comma 1,  della  legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla  normativa  in  materia di
immigrazione  e di asilo), il quale punisce con l'arresto da sei mesi
ad  un  anno lo straniero colpito da provvedimento di espulsione che,
«senza  giustificato motivo», si trattiene nel territorio dello Stato
in  violazione  dell'ordine  di  lasciare  il territorio stesso entro
cinque  giorni,  impartito  dal questore ai sensi del comma 5-bis del
medesimo articolo;
        che  il  giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere
investito  del  processo  penale nei confronti di soggetti - imputati
del reato previsto dalla norma impugnata - i quali avevano dedotto di
non  aver  ottemperato  all'ordine,  loro  impartito,  di lasciare il
territorio  dello  Stato,  per  carenza  di mezzi economici (nei casi
delle  ordinanze  r.o.  n. 261  e  262 del 2003), unita a problemi di
salute  (nel  caso  dell'ordinanza  r.o. n. 204 del 2003); ovvero per
l'esigenza  di  guadagnare,  tramite l'esercizio della prostituzione,
denaro da inviare ai propri familiari residenti nel paese di origine,
i  quali,  in  difetto  di  tale  contributo, si sarebbero trovati in
condizioni  di  indigenza  (nel  caso  dell'ordinanza r.o. n. 263 del
2003);
        che,  ad  avviso del rimettente, l'assoluta genericita' della
nozione  di  «giustificato  motivo»  -  la cui assenza rappresenta un
elemento  costitutivo  della  fattispecie  criminosa contestata - non
consentirebbe  di  stabilire  se le circostanze addotte dall'imputato
siano ad essa riconducibili;
        che  non sarebbe possibile individuare, ne' all'interno della
norma  incriminatrice  -  diversamente da quanto avviene, ad esempio,
per  l'art. 4  della  legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative
della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni
e  degli  esplosivi), in materia di porto «senza giustificato motivo»
fuori  della  propria abitazione di strumenti da punta o da taglio, o
comunque  atti  ad  offendere - ne' all'esterno di essa, elementi che
permettano   di   determinare   l'esatta  portata  della  formula  in
questione;
        che  non  soccorrerebbe,  a tal fine, stante la genericita' e
l'ampiezza  della  locuzione,  il  richiamo a beni costituzionalmente
garantiti anche agli stranieri, quali la vita, il lavoro, la salute e
l'integrita'  del  nucleo  familiare:  con  la  conseguenza  che - in
violazione  del  principio di determinatezza della fattispecie penale
sancito   dall'art. 25   Cost.   -   l'individuazione  del  contenuto
precettivo della norma incriminatrice resterebbe rimessa all'arbitrio
dell'interprete;
        che  ne  deriverebbe anche una violazione dell'art. 24 Cost.,
in  quanto  l'incertezza  in  ordine  alle  situazioni  integranti il
«giustificato  motivo»  non  consentirebbe  all'imputato  una  difesa
adeguata;
        che   analoga  questione  e'  stata  altresi'  sollevata  dal
Tribunale di Ferrara, con l'altra ordinanza indicata in epigrafe;
        che  anche  ad  avviso  del  Tribunale  di Ferrara l'art. 14,
comma 5-ter,  del  d.lgs.  n. 286 del 1998 violerebbe il principio di
tassativita'  della fattispecie penale sancito dall'art. 25 Cost., in
quanto  la  formula  «senza  giustificato  motivo» - che descrive uno
degli   elementi  costitutivi  dell'ipotesi  criminosa  contestata  -
risulterebbe   talmente  indeterminata  da  rimettere,  in  sostanza,
all'arbitrio   dell'interprete  l'identificazione  del  comportamento
incriminato;
        che  il legislatore penale, in effetti, potrebbe - secondo il
remittente  -  far  ricorso  «ad  espressioni  indicative  di  comuni
esperienze  o  a  termini  presi  dal  linguaggio comunemente usato»,
giacche'  il  principio  di legalita' stabilito dall'art. 25, secondo
comma,  Cost.  non  imporrebbe «in ogni caso una rigorosa descrizione
del  fatto», purche' il contenuto precettivo della norma penale resti
comunque   comprensibile,   sulla   base  dell'interpretazione  della
disciplina specifica ed in relazione ai fini che la legge si propone;
        che  nella  specie,  tuttavia, il significato della locuzione
«senza  giustificato motivo» non sarebbe in alcun modo desumibile ne'
dall'articolo  denunciato  e dalla disciplina in cui esso si iscrive,
ne' dalle finalita' che la disciplina stessa si prefigge: infatti, se
l'obiettivo  perseguito  e'  la  tutela  dell'ordine  pubblico  ed il
rafforzamento  del  provvedimento  di espulsione, da cio' solo non si
potrebbe  dedurre  in  quali  casi  ricorra un giustificato motivo di
permanenza  dello  straniero  espulso,  poiche' il raffronto con beni
costituzionali  che  riguardano anche lo straniero - quali il diritto
alla  vita,  alla  salute,  alla  famiglia  o  al lavoro - offrirebbe
ipotesi  interpretative  talmente  ampie  da  non  potersi porre come
«argine ermeneutico»;
        che  la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con il
diritto  di  difesa,  sancito  dall'art. 24,  secondo  comma,  Cost.:
infatti,  essa  riverserebbe sullo straniero destinatario dell'ordine
di   allontanamento   -   arrestato  obbligatoriamente  (ex  art. 14,
comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998) in quanto si trovi nel
territorio  nazionale - l'onere di dare giustificazione della propria
permanenza,  senza  peraltro  che egli sia in grado di conoscere cosa
possa   giustificarla   e   quindi  di  addurre  prove,  proprio  per
l'indeterminatezza della fattispecie;
        che in tutti i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione  sia  dichiarata  non  fondata,  riportandosi  alle  difese
spiegate in rapporto ad analoghe questioni.
    Considerato  che  le ordinanze di rimessione propongono questioni
identiche  o  analoghe,  onde  i  relativi  giudizi vanno riuniti per
essere definiti con un'unica decisione;
        che  questa  Corte,  con  la  sentenza n. 5 del 2004, ha gia'
dichiarato  infondato  il dubbio di costituzionalita' sollevato dagli
odierni giudici rimettenti;
        che, al riguardo - dopo aver rilevato come la clausola «senza
giustificato motivo» e formule ad essa equivalenti risultino di largo
impiego  nell'ambito  di  norme  incriminatrici - si e' richiamato il
criterio,  gia'  reiteratamente affermato da questa Corte, per cui la
verifica del rispetto del principio di determinatezza va condotta non
gia'   valutando   isolatamente   il   singolo  elemento  descrittivo
dell'illecito,   ma   raccordandolo  con  gli  altri  elementi  della
fattispecie e con la disciplina in cui questa si inserisce;
        che il ricorso, nella individuazione dell'illecito penale, ad
espressioni  sommarie,  a  vocaboli polisensi o, come nella specie, a
clausole  generali  o  concetti «elastici», non comporta, infatti, un
vulnus  del  parametro  costituzionale evocato, quando la descrizione
complessiva  del  fatto  incriminato  -  avuto  riguardo  anche  alle
finalita'  perseguite  dall'incriminazione  ed al piu' ampio contesto
ordinamentale  in  cui essa si colloca - consenta comunque al giudice
di  stabilire il significato di tale elemento, mediante un'operazione
interpretativa non esorbitante dai suoi compiti; e, correlativamente,
permetta  al  destinatario  della  norma  incriminatrice di avere una
percezione  sufficientemente  chiara ed immediata del relativo valore
precettivo;
        che  il  criterio  suddetto  appare  rispettato  nel  caso di
specie,   ove   si   interpreti  la  portata  della  clausola  «senza
giustificato  motivo»,  che  figura  nell'art. 14,  comma 5-ter,  del
d.lgs.   25 luglio   1998,   n. 286,   alla   luce   delle  finalita'
dell'incriminazione e del quadro normativo in cui essa si innesta;
        che, sotto il primo profilo, deve infatti tenersi conto della
circostanza che la norma incriminatrice - mirando a rendere effettivo
il  provvedimento  di  espulsione - persegue l'obiettivo di rimuovere
situazioni  di illiceita' o di pericolo correlate alla presenza dello
straniero  nel  territorio  dello Stato: situazioni cui l'ordinamento
reagisce,  di regola, con l'accompagnamento immediato dello straniero
alla  frontiera  a  mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4, del
d.lgs. n. 286 del 1998), o, in subordine, con il suo trattenimento in
un  «centro  di  permanenza temporanea» (art. 14, comma 1, del d.lgs.
n. 286  del  1998); salvo ricorrere in via di eccezione al meccanismo
dell'intimazione  penalmente  sanzionata,  quando sussistano speciali
ragioni impeditive, legalmente tipizzate (art. 14, comma 5-bis);
        che,  sotto il secondo profilo, l'istituto dell'espulsione si
colloca   in   un  quadro  sistematico  che,  pur  nella  tendenziale
indivisibilita'  dei  diritti  fondamentali,  vede  regolati  in modo
diverso  -  anche  a  livello  costituzionale  (art. 10, terzo comma,
Cost.)  -  l'ingresso  e la permanenza degli stranieri nel territorio
dello  Stato,  a  seconda  che si tratti di richiedenti il diritto di
asilo o rifugiati, ovvero di c.d. «migranti economici»;
        che,  in  tale  prospettiva,  la  clausola  in  questione  si
riferisce  a situazioni ostative di particolare pregnanza, le quali -
pur senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico -
incidano  sulla  stessa  possibilita',  soggettiva  od  oggettiva, di
adempiere    all'intimazione,    escludendola    ovvero    rendendola
difficoltosa  o  pericolosa;  non  anche,  invece,  ad  esigenze  che
riflettano  la  condizione  tipica  del «migrante economico», sebbene
espressive  di  istanze in se' e per se' pienamente legittime: salvo,
s'intende,  che  ricorrano  situazioni riconducibili alle scriminanti
previste dall'ordinamento;
        che  il coordinamento della norma incriminatrice con le altre
disposizioni  del  d.lgs.  n. 286  del 1998 e con gli ulteriori testi
normativi  riguardanti lo straniero fornisce, d'altro lato, ulteriori
elementi   di   puntualizzazione   del   significato  della  clausola
considerata:  ad esempio, e' evidente - quanto all'aspetto di maggior
rilievo  pratico,  anche  nei  giudizi  a  quibus - come i motivi (la
necessita' di soccorso, la difficolta' nell'ottenimento dei documenti
per  il  viaggio,  l'indisponibilita'  di vettore o di altro mezzo di
trasporto idoneo) i quali, ex art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del
1998   legittimano   la  pubblica  amministrazione  a  non  procedere
all'accompagnamento  coattivo  dello  straniero  alla  frontiera - in
deroga   al   drastico   imperativo   di   cui  all'art. 13,  comma 4
(«l'espulsione  e' sempre eseguita ...») - non possano non costituire
sicuri  indici  di riconoscimento di situazioni in cui e' ravvisabile
un «giustificato motivo» di inottemperanza dello straniero all'ordine
del questore;
        che l'insussistenza della dedotta violazione del principio di
determinatezza  esclude, altresi', la configurabilita' di una lesione
del  diritto  di difesa, sotto il profilo della «non conoscibilita» a
priori delle situazioni idonee ad integrare il «giustificato motivo»,
da parte del destinatario del precetto;
        che  va  altresi'  escluso che la clausola in parola implichi
una inversione dell'onere della prova in danno dell'imputato, poiche'
essa  comporta soltanto - come in tutti gli altri casi in cui compare
la  formula «senza giustificato motivo» - un onere di allegazione, da
parte  dello straniero, delle situazioni giustificanti non conosciute
ne'  conoscibili  dal giudice: situazioni che si tradurranno, quindi,
in  altrettanti  temi  di prova per le parti e per i poteri officiosi
del giudice;
        che  le odierne ordinanze di rimessione non prospettano alcun
profilo nuovo, rispetto a quelli gia' scrutinati;
        che  le  questioni vanno dichiarate, pertanto, manifestamente
infondate.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Riuniti i giudizi,
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14,  comma 5-ter, del decreto
legislativo  25 luglio  1998,  n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti  la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello   straniero),   aggiunto  dall'art. 13,  comma 1,  della  legge
30 luglio  2002,  n. 189  (Modifiche  alla  normativa  in  materia di
immigrazione  e  di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 24 e
25  della  Costituzione,  dal Tribunale di Ravenna e dal Tribunale di
Ferrara con le ordinanze indicate in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte Costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Flick
                      Il cancelliere: Fruscella
    Depositata in cancelleria il 2 marzo 2004.
                      Il cancelliere: Fruscella
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