N. 158 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 novembre 2003
Ordinanza emessa il 26 novembre 2003 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Guttadauro Carlo Salvatore Misure di prevenzione - Decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione - Ricorso in Cassazione - Motivi - Ammissibilita' del ricorso per violazione di legge - Esclusione per vizio di illogicita' manifesta della motivazione - Contrasto con il principio di ragionevolezza - Lesione del diritto di difesa. - Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma undicesimo. - Costituzione, artt. 3 e 24.(GU n.12 del 24-3-2004 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Guttadauro Carlo Salvatore, nato a Bagheria in data 29 marzo 1956, avverso il decreto emesso in data 8 luglio 2002 dalla Corte di appello di Palermo; Udita la relazione fatta dal consigliere dott. Giantranco Riggio; Esaminati gli atti; Sentite le conclusioni del p.g., dott. Gioacchino Izzo, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Ritenuto in fatto Con decreto del 21 maggio 2001, il Tribunale di Palermo disponeva l'applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per la durata di quattro anni nei confronti di Guttadauro Carlo Salvatore, al quale era imposto l'obbligo di versamento di una cauzione di cento milioni di lire, e respingeva la richiesta del p.m. rivolta ad ottenere la confisca di beni mobili e immobili appartenenti al proposto o dei quali lo stesso aveva la disponibilita'. Pronunciando sugli appelli del Guttadauro e del p.m., la Corte di appello di Palermo, con decreto dell'8 luglio 2002, confermava l'applicazione della misura di prevenzione personale e, a norma dell'art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575, disponeva il sequestro e la contestuale confisca delle azioni della Sud Pesca S.p.A., delle quali il Guttadauro era titolare, senza che fosse dimostrata la legittima provenienza. La corte territoriale riteneva accertata la pericolosita' sociale attuale del proposto sulla base della sentenza emessa il 2 marzo 2002 dal Tribunale di Palermo, con la quale il Guttadauro era stato condannato alla pena di dieci anni di reclusione perche' riconosciuto responsabile del delitto di cui all'art. 416-bis c.p., osservando che tale decisione, pur non essendo irrevocabile, conteneva precisi e puntuali elementi di prova, tra i quali attendibili dichiarazioni accusatorie di piu' collaboratori di giustizia, che dovevano essere utilizzati nel procedimento di prevenzione a dimostrazione della pericolosita' qualificata del proposto quale indiziato di appartenente all'associazione di stampo mafioso denominata «cosa nostra». Quanto alla misura di prevenzione patrimoniale, la Corte di merito esaminava la documentazione acquisita e riteneva che soltanto la partecipazione azionaria alla Sud Pesca S.p.A. fosse derivata da mezzi finanziari di provenienza illecita. Il difensore del Guttadauro proponeva ricorso per Cassazione chiedendo l'annullamento del decreto per i seguenti motivi: a) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione agli artt. 1 e 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, sull'assunto che il giudice della prevenzione non aveva valutato criticamente gli elementi di prova acquisiti nel processo penale, omettendo, cosi', di osservare il principio dell'autonomia tra processo penale e procedimento di prevenzione: inoltre, per escludere l'attualita' della pericolosita' sociale, non era stato tenuto conto del fatto che il proposto si era trasferito in Turchia dal 1986 e che dal 1991 era stabilmente residente in tale Paese, onde l'accertamento relativo all'abituale dimora nel Comune di Bagheria era il risultato di argomentazioni logiche e giuridiche viziate dall'utilizzazione di premesse del tutto inconducenti; b) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b), in relazione all'art. 597 c.p.p., per la ragione che la corte palermitana, dopo avere considerato non condivisibile l'impostazione dell'impugnazione del p.m., che tendeva alla confisca indiscriminata di tutti i beni del Guttadauro in relazione alle illecite modalita' di mantenimento e di accrescimento del patrimonio, in dipendenza della qualita' di indiziato di appartenenza all'associazione mafiosa, aveva, poi, superato i limiti del devolutum procedendo alla verifica della provenienza illecita delle risorse impiegate nell'acquisizione delle azioni della soc. Sud Pesca; c) violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b) c.p.p., in relazione agli artt. 2-ter e segg. della legge n. 575 del 1965, sul rilievo che la corte era incorsa in una serie di errori nella valutazione della documentazione in atti e nella ricostruzione del patrimonio del Guttadauro. Nella sua requisitoria scritta, il procuratore generale presso questa corte chiedeva il rigetto del ricorso, osservando che il sindacato di legittimita' sui provvedimenti in materia di prevenzione e' limitato al vizio di violazione di legge e dunque, a norma dell'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, non si estende al controllo dell'adeguatezza e della coerenza logica dell'iter giustificativo della decisione: precisava che, in ogni caso, il decreto impugnato risulta sorretto da una motivazione corretta e del tutto correlata alle risultanze in atti, valutate nel quadro di principi normativi esattamente interpretati ed applicati. Con motivi aggiunti del 24 settembre 2003, la difesa del ricorrente contestava il contenuto della requisitoria del procuratore generale e sviluppava le censure formulate contro il decreto impugnato relativamente alla violazione del principio di autonomia del procedimento di prevenzione rispetto al processo penale, all'accertamento del luogo di residenza e di dimora abituale del proposto, alle numerose contraddizioni e agli errori di calcolo nella ricostruzione della provenienza delle risorse patrimoniali. Considerato in diritto 1. - Preliminarmente deve osservarsi che, benche' nei motivi del ricorso e nei motivi aggiunti la difesa del proposto non abbia fatto mai riferimento al vizio di illogicita' manifesta della motivazione indicato nell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., la maggior parte delle censure mosse contro il provvedimento impugnato attengono alla congruenza logica del discorso giustificativo della decisione impugnata, dato che l'effettivo contenuto critico dell'impugnazione e' diretto a porre in discussione l'adeguatezza logica delle linee argomentative lungo le quali si e' sviluppato il ragionamento seguito dalla corte di merito nella valutazione degli indizi tratti dalle chiamate di correo acquisite nel processo penale, nell'accertamento del luogo in cui si e' manifestata la pericolosita' sociale del Guttadauro e dell'attualita' della stessa, nonche' nell'apprezzamento delle risultanze probatorie riguardanti le fonti del reddito e, in particolare, la provenienza delle risorse finanziarie investite nella S.p.A Sud Pesca. 2. - E' necessario, quindi, stabilire se il tipo di censure formulate dal ricorrente possa ritenersi compreso, o non, nell'ambito del sindacato della motivazione demandato alla Corte di legittimita' in materia di misure di prevenzione personale e patrimoniale. L'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, dopo avere disposto, al comma undicesimo, che «avverso il decreto della Corte d'appello e' ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge, da parte del pubblico ministero e dell'interessato, entro dieci giorni», precisa, nel comma immediatamente successivo, che «salvo quanto e' stabilito nella presente legge, per la proposizione e la decisione dei ricorsi, si osservano, in quanto applicabili, le norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all'applicazione delle misure di sicurezza». Tale normativa e' indubbiamente applicabile non solo alle misure di prevenzione personale previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, contenente disposizioni contro la mafia, ma anche alle misure di prevenzione patrimoniale, introdotte dalla stessa legge, per effetto dell'esplicito rinvio contenuto nell'art. 3-ter, che, per le impugnazioni, richiama l'art. 4 della legge del 1956. Va anche chiarito che il rinvio del comma dodicesimo dell'art. 4, riguardante originariamente le norme del codice del 1930 vigente all'epoca in cui e' stata emanata la legge n. 1423 del 1956, ha ad oggetto attualmente le disposizioni del codice del 1988, come e' comprovato dall'art. 208 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, contenente una norma di coordinamento per effetto della quale quando sono richiamati istituti o disposizioni del codice abrogato, il richiamo si intende riferito agli istituti o alle disposizioni del codice vigente, che disciplinano la corrispondente materia. Il richiamo al codice vigente in tema di impugnazioni di provvedimenti applicativi di misure di prevenzione trova, peraltro, un limite espresso nella clausola di sussidiarieta' enunciata nell'ultimo comma dell'art. 4, che rende applicabile la disciplina codicistica soltanto quando la legge n. 1423 del 1956 non disponga diversamente («salvo quanto e' stabilito nella presente legge ...»). Sulla base di tale dato normativo, secondo la communis opinio, il ricorso in cassazione contro i provvedimenti anzidetti e' ammesso soltanto per violazione di legge, in quanto il principio di specialita' impedisce di ricavare dall'art. 606, comma 1, del codice vigente la disciplina dei vizi denunciabili dinanzi alla corte di legittimita' in materia di prevenzione. 3. - Il tema di indagine si risolve, dunque, nel verificare se il vizio di illogicita' manifesta della motivazione, che corrisponde al prevalente contenuto critico del ricorso del Guttadauro, sia o non ricompreso nella violazione di legge, che l'art. 4, comma 11, della legge n. 1423 del 1956 considera quale unico motivo proponibile nel ricorso in Cassazione avverso i decreti emessi, in sede di appello, in tema di misure di prevenzione personali o patrimoniali. Sull'argomento si e' formato, negli ultimi anni, un indirizzo giurisprudenziale uniforme che esclude l'illogicita' manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., dai vizi riconducibili nella tipologia della violazione di legge. In materia di misure di prevenzione, questa corte ha ripetutamente stabilito che il ricorso per Cassazione e' ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell'art. 4, decimo comma (divenuto undicesimo comma per effetto delle modifiche introdotte dalla legge 26 marzo 2001, n. 128), della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall'art. 3-ter, secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575. Ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, e' esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimita' l'ipotesi dell'illogicita' manifesta di cui all'art. 606 lett. e) c.p.p., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, qualificabile come violazione dell'obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d'appello dal nono comma del predetto art. 4 della legge 1423/56 (Cass., Sez. VI, 26 giugno 2002, Paggiarin, rv. 222754; Sez. II, 3 febbraio 2000, Ingraldi ed altro, rv. 215556; Sez. II, 6 maggio 1999, Sannino, rv. 213852; Sez. I, 2 ottobre 1997, P.G. in proc. Nocera ed altri, rv. 209129). In questa stessa prospettiva interpretativa, e' stato chiarito che - parallelamente all'analoga previsione dell'art. 311, comma 2, c.p.p. riguardante l'ammissibilita' dei ricorso per saltum per sola violazione di legge relativamente alle misure cautelari personali - col ricorso per cassazione contro i decreti della Corte d'appello i vizi della motivazione devono ritenersi sindacabili, oltre che in caso di mancanza della motivazione, nelle ipotesi nelle quali essa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, di completezza e di logicita', al punto da risultare meramente apparente, o sia assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura di prevenzione (Cass., Sez. I, 21 gennaio 1999, Barbangelo, rv. 212946). La non sindacabilita' dell'illogicita' manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. e) c.p.p., rappresenta un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimita' con riguardo a tutti i casi nei quali il ricorso in Cassazione e' limitato al vizio di violazione di legge. Tale rigorosa limitazione e' stata costantemente affermata sia per il ricorso per saltum ex art. 311, comma 2, c.p.p. in materia di misure cautelari personali (cfr., ex plurimis Cass., Sez. I, 9 aprile 1999, Zanzarelli, rv. 213383; Sez. V, 24 febbraio 1999, Pacini Battaglia, rv. 212876; Sez. I, 20 marzo 1998, rv. 210566; Sez. III, 12 giugno 1998, Suraci, rv. 211552; Sez. I, 13 novembre 1997, Denaro, rv. 209833; Sez. V, 16 ottobre 1996, Camaggi, rv. 206150; Sez. VI, 26 giugno 1996, Acampora, rv. 205897; Sez. I, 21 marzo 1996, Sciuto, rv. 204693; Sez. II, 21 febbraio 1996, Campanale, rv. 202457) sia per il ricorso previsto dall'art. 325 c.p.p. in tema di misure cautelari reali (Cass., Sez. VI, 18 ottobre 1999, Albanese, rv. 214953; Sez. V, 8 maggio 1998, Monelli, rv. 210934; Sez. I, 12 novembre 1997, Icicli, rv. 208944; Sez. II, 4 giugno 1997, Baisi, rv. 209595; Sez. I, 1° luglio 1994, Bavaglini, rv. 199325). La costanza di tale linea interpretativa, per cui dal ricorso in Cassazione per violazione di legge resta esclusa la sindacabilita' dei vizi logici della motivazione di cui all'art. 606 lett. e) c.p.p., risulta di tale compattezza da dare vita ad un vero e proprio «diritto vivente», che ha trovato recente espressione nella decisione delle sezioni unite di questa corte, con cui, in materia di liquidazione dei compensi spettanti ai difensori di persone ammesse al patrocinio a spese dello Stato, e' stato ribadito che il ricorso in Cassazione e' esperibile «solo per violazione di legge, non anche per vizio di motivazione, a meno che questa sia mancante o meramente apparente» (Cass., Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 25080, Pellegrino). 4. - Questo collegio non ignora che nella dottrina processualpenalistica prevale l'opinione favorevole all'inquadramento nella violazione di legge di tutti i vizi logici della motivazione, nell'ottica del motivo del ricorso prefigurato dall'art. 606 lett. c) del codice vigente, e che - in riferimento alla materia delle misure di prevenzione - si ritiene, pressoche' unanimemente, che il ricorso per violazione di legge, previsto dall'art. 4 della legge n. 1423 del 1956, sia esperibile anche per far valere, a norma dell'art. 606 lett. e), l'illogicita' manifesta della motivazione del decreto di secondo grado contenente la decisione sulla richiesta di applicazione di misure di prevenzione personali o patrimoniali. La tesi interpretativa non puo' essere condivisa, per la ragione che, oltre a non essere sorretta da argomenti convincenti e adeguatamente sviluppati, e' contraddetta da elementi di inequivoca valenza logica e sistematica desumibili dalla peculiare configurazione che i vizi logici della motivazione hanno ricevuto nel codice del 1988. Come emerge dalle univoche indicazioni contenute nella Relazione al Progetto preliminare e dalla struttura della disciplina dettata dal primo comma dell'art. 606, detti vizi, che inficiano la base razionale del discorso giustificativo della pronuncia giudiziale, sono stati specificamente tipizzati e, nella lett. e), hanno assunto piena autonomia nell'elencazione dei motivi del ricorso per Cassazione, mentre, nel sistema processuale abrogato, acquistavano rilevanza soltanto «attraverso il riferimento ai casi di nullita' della sentenza» (rel. prog. prel., p. 133). Nel codice vigente, il distacco dei vizi della motivazione dalla figura della violazione di legge (sub specie dell'inosservanza di norme stabilite a pena di nullita) e' certamente avvenuto per l'ipotesi di illogicita' manifesta e solo parzialmente per quella di motivazione omessa. La prima corrisponde al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi, che, regolando il ragionamento del giudice, sono imposti da norme di legge (principalmente dall'art. 192 c.p.p.), ma non sono presidiati da una diretta sanzione di nullita', potendosi denunciare nel giudizio di legittimita' l'incongruenza logica delle decisioni, contrastanti con detti canoni, soltanto per il tramite dell'espressa previsione dello specifico motivo del ricorso di cui all'art. 606 lett. e), che riconosce rilevanza al vizio logico risultante dal testo del provvedimento impugnato. Invece, l'ipotesi della mancanza di motivazione, pur essendo inclusa nel citato art. 606 lett. e), non ha perduto l'intrinseca consistenza del vizio di violazione di legge, che vale ad accomunarlo al motivo del ricorso enunciato nella lett. c) del medesimo art. 606, in quanto il caso di motivazione omessa, o meramente apparente, e' sempre correlato alla trasgressione di precise norme processuali, le quali, specificando il precetto costituzionale di cui all'art. 111, comma 6, della Carta costituzionale, stabiliscono l'obbligo della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, facendo derivare dall'inosservanza di esso la nullita' dell'atto. A questa particolare categoria di norme processuali appartengono l'art. 125, comma 3, riguardante, in generale, i provvedimenti del giudice, l'art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis), relativo alle misure cautelari personali, l'art. 546, comma 1, lett. e), concernente le sentenze, e, per quanto interessa in questa sede, l'art. 4, comma 10, della legge n. 1423 del 1956, secondo cui la Corte d'appello provvede con decreto motivato sulle impugnazioni. Le considerazioni teste' svolte rivelano dunque - in piena consonanza con il consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita' - che, in materia di misure di prevenzione personali e patrimoniali, il ricorso in Cassazione per violazione di legge e' esperibile soltanto per denunciare la mancanza di motivazione e non anche il vizio di illogicita' manifesta di cui all'art. 606 lett. e) del codice vigente. 5. - A questo punto dell'indagine, deve porsi il problema se tale disciplina sia rispondente alle condizioni richieste dai precetti costituzionali per l'esercizio del diritto di difesa, in termini adeguati rispetto ai valori e agli interessi giuridici coinvolti, e se la limitazione dell'esperibilita' del ricorso per Cassazione possa trovare razionale collocazione nel sistema processuale vigente. A giudizio di questa Corte, sono giustificati dubbi motivati sulla compatibilita' con le norme della Costituzione della disposizione di cui all'art. 4, comma 11, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui non prevede la sindacabilita' in Cassazione del vizio di illogicita' manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p., per le misure di prevenzione personale e, attraverso il richiamo contenuto nell'art. 3-ter, secondo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575, per le misure di prevenzione patrimoniale. Deve osservarsi, anzitutto, che le misure di prevenzione, denominate praeter o ante delictum perche' prescindono dalla commissione di un precedente reato, sono sorte all'interno del diritto amministrativo come strumento di difesa sociale mirante a prevenire il compimento di reati ad opera di categorie di persone considerate socialmente pericolose: la loro applicazione implica limitazioni, anche rilevanti, della liberta' personale, accompagnate sovente, nella recente legislazione diretta a fronteggiare la criminalita' organizzata, da misure di natura patrimoniale. L'entrata in vigore della Costituzione repubblicana ha suscitato un acceso dibattito sulla compatibilita' delle misure di prevenzione con le garanzie riconosciute dalla Carta fondamentale, inducendo la dottrina penalistica alla ricerca di un punto di equilibrio tra garanzie costituzionali e difesa sociale: e non a caso la materia della prevenzione ha formato oggetto di reiterati interventi della Corte costituzionale sin dalle prime pronunce emesse a partire dal 1956. Le decisioni del Giudice delle leggi hanno dato l'avvio ad un processo evolutivo della disciplina delle misure di prevenzione tendente a svincolare tale materia dal terreno amministrativo e a ricondurla, sul piano sostanziale, nell'ambito dei principi fondamentali del diritto penale (legalita' e determinatezza delle previsioni normative: cfr. Corte cost., 23 giugno 1956, n. 2; 3 luglio 1956, n. 11; 22 dicembre 1980, n. 177) e, sul piano procedimentale, all'interno della giurisdizione, con il presidio delle garanzie che a questa ineriscono. In particolare, per quanto concerne il processo di prevenzione, costituiscono tappe fondamentali dell'evoluzione della disciplina le sentenze della Corte costituzionale con le quali e' stata ritenuta obbligatoria l'assistenza del difensore (sent. 25 maggio 1970, n. 76) ed e' stato riconosciuto il principio del contraddittorio quale canone del procedimento di prevenzione, con la precisazione, fornita con decisione interpretativa di rigetto, che l'invito a comparire e' equiparabile all'atto di contestazione dell'accusa nel processo ordinario, sicche' esso non puo' limitarsi all'indicazione della misura di cui e' stata proposta l'applicazione, ma deve anche indicare gli elementi sui quali vertera' il giudizio di tribunale, sia pure nei limiti consentiti dal collegamento della misura di prevenzione ad un complesso di comportamenti del soggetto e non a fatti singolarmente determinati (sent. 25 marzo 1975, n. 69). Il percorso avviato in direzione della piena giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione e' segnato dai seguenti passaggi salienti: a) in dottrina e in giurisprudenza si ritiene che la decisione, formalmente denominata decreto, abbia natura sostanziale ed efficacia di sentenza, in quanto conclude una fase del giudizio ed e' soggetta ad appello e a ricorso per Cassazione, ossia alle medesime impugnazioni previste contro le sentenze (Cass., Sez. I, 16 aprile 1996, Biron e altri; Sez. I, 14 ottobre 1988, Olivieri, rv. 179719; Sez. I, 21 dicembre 1984, De Cicco, rv. 167525; Sez. I, 14 gennaio 1980, Garonfolo, rv. 144576; b) la natura del decreto si riflette sulla dimensione dell'obbligo della motivazione, che deve essere imperniata su elementi indizianti, realmente sintomatici della pericolosita' sociale ed ancorati a fatti obiettivi, con l'esclusione di valutazioni puramente soggettive ed incontrollabili (Corte cost., 7 dicembre 1994, n. 419, e 22 dicembre 1980, n. 177; Cass., Sez. V, 14 dicembre 1998, Musso; Sez. I, 8 marzo 1994, Scaduto; Sez. VI, 24 marzo 1993, Bertuca, rv. 194196; Sez. I, 1° giugno 1990, Franco, rv. 184901); c) nel procedimento di prevenzione, e' operante la regola della correlazione della decisione con gli addebiti contestati, imposta dalla necessita' di osservare i principi del contraddittorio e della tutela dei diritti di difesa (Cass., Sez. I, 11 novembre 1985, Nicoletti, rv. 171475; Sez. I, 10 marzo 1986, Scarantino, rv. 172302); d) anche nel procedimento di prevenzione e' ammissibile la rimessione ex art. 45 c.p.p., in virtu' della natura pienamente giurisdizionale di esso, che postula l'esistenza di un giudice indipendente e imparziale (Cass., Sez. I, 9 febbraio 2000, Tiani, rv. 216005; Sez. I, 9 gennaio 1998, Bardellino, rv. 210233); e) nell'ottica del giusto processo, il principio di neutralita-terzieta' del giudice rende applicabile l'istituto della ricusazione quando il giudice, chiamato a decidere sulla responsabilita' dell'imputato, abbia espresso, nel procedimento di prevenzione, una valutazione di merito sullo stesso fatto nei confronti della medesima persona (Corte cost., 14 luglio 2000, n. 283, che ha dichiarato la parziale illegittimita' costituzionale dell'art. 37, comma 1, c.p.p.): identico principio e' indubbiamente operante nell'ipotesi inversa a quella esaminata in detta pronuncia di incostituzionalita', onde la ricusazione e' sicuramente esperibile allorche' il procedimento di prevenzione penda dinanzi ad un giudice che ha gia' giudicato, in un processo penale, la stessa persona per i medesimi fatti. 6. - A conclusione dell'esame dello sviluppo evolutivo del procedimento di prevenzione, e' da ritenere che questo, pur mantenendo le proprie peculiari connotazioni, sia ormai pervenuto ad una compiuta giurisdizionalizzazione e ad una piena assimilazione al processo ordinario di cognizione, essendo caratterizzato, al pari di quest'ultimo, dai principi coessenziali al giusto processo, identificati dal novellato art. 111 Cost. nella presenza di un giudice terzo e imparziale e nel contraddittorio delle parti in posizione di parita'. Va sottolineato, del resto, che la spinta verso tale equiparazione corrisponde ad una necessita' logica e giuridica dettata dalla natura dei beni giuridici sui quali incidono le misure praeter delictum, il cui contenuto si traduce, nella sostanza, in rilevanti limitazioni di diritti costituzionalmente protetti, primo tra tutti quello della liberta' personale proclamata «inviolabile» dal primo comma dell'art. 13 Cost.: di talche' la potesta' di prevenzione non puo' prescindere dall'osservanza delle garanzie che sono proprie del processo e di riflesso, per quanto concerne le impugnazioni, deve essere assicurato il controllo effettivo e reale delle decisioni limitative della liberta' personale. Quest'ultima notazione permette di esprimere argomentati dubbi sulla rispondenza al canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. della disposizione dell'art. 4, comma 11, della legge 1423 del 1956, che, escludendo l'ammissibilita' del ricorso in Cassazione per illogicita' manifesta della motivazione, configura un assetto normativo incoerente rispetto al fine primario perseguito, consistente nella tutela da provvedimenti illegittimamente limitativi della liberta' personale. In altri termini, il sindacato di legittimita' previsto in materia di misure di prevenzione, circoscritto alla sola esistenza della motivazione e deprivato della possibilita' di controllare la congruenza della struttura logica della stessa, determina un'evidente contrazione del livello di effettivita' della tutela apprestata dall'art. 13 Cost. alla liberta' della persona: sicche' risulta configurabile il vizio legislativo della «inadeguatezza», che, secondo autorevole dottrina, rappresenta una specie della «irragionevolezza» denunciabile quando «vengono utilizzati strumenti legislativi che pecchino palesemente per difetto o per eccesso, o comunque per mancanza di proporzione, rispetto all'obiettivo avuto di mira, apparendo, rispettivamente, insufficienti, oppure ultronei, o comunque tali da ingenerare disparita' la cui incongruita' sia di immediata evidenza». L'irragionevolezza della normativa vigente acquista piu' spiccato spessore quando si considera che un simile deficit di effettivita' della tutela assicurata dal ricorso per Cassazione rappresenta una conseguenza dell'entrata in vigore del codice del 1988 e non era, invece, riscontrabile con il codice del 1930. Infatti, tenuto conto che nel sistema processuale abrogato mancava una tipizzazione autonoma dei vizi logici della motivazione tra i casi di ricorribilita' in Cassazione, va sottolineato che l'ambito del sindacato di legittimita' sugli stessi doveva essere ricavato dal coordinamento dell'art. 524, comma 1, che elencava i motivi di ricorso, con l'art. 475, che indicava le cause di nullita' della sentenza: la prima disposizione prevedeva, al n. 3, come motivo del ricorso la «inosservanza delle norme di questo codice stabilite a pena di nullita', di inammissibilita' o di decadenza»; la seconda disposizione sanciva la nullita' della sentenza «se manca o e' contraddittoria la motivazione». Pertanto, poiche' nella nozione di contraddittorieta' venivano ricompresi anche i vizi logici della motivazione originati dalla difformita' dai canoni epistemologici che presiedono al ragionamento del giudice, dottrina e giurisprudenza ritenevano concordemente che i vizi logici fossero suscettibili di sindacato di legittimita' perche' riconducibili nella violazione di legge prevista come motivo del ricorso dall'art. 524, comma 1, n. 3. Ne' deriva che la disposizione di cui all'attuale art. 4, comma 11, della legge n. 1423 del 1956, allorche' era inserita nell'ordinamento processuale delineato dal codice del 1930, non precludeva il controllo in Cassazione di quei vizi logici della motivazione che oggi sono inquadrabili nella figura della illogicita' manifesta, tant'e' che, proprio in materia di misure di prevenzione, nella giurisprudenza di questa Corte era stato riconosciuto che non si sottrae al controllo di legittimita' la congruita' sul piano logico della motivazione adottata dal giudice di merito circa la sussistenza del fatto ritenuto indiziante, ne' quello circa l'idoneita' di detto fatto ad essere assunto come indice di pericolosita' sociale (Cass., Sez. I, 27 febbraio 1989, Castrogiovanni, rv. 181061). Le precedenti considerazioni confermano la piena plausibilita' del dubbio di legittimita' costituzionale, nell'ottica del canone di ragionevolezza ex art. 3 Cost., per la precisa ragione che - con andamento esattamente contrario al processo di progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione - il passaggio dal vecchio al nuovo codice ha segnato un arretramento del livello di tutela offerto dal ricorso per Cassazione in conseguenza dell'eliminazione della possibilita' di censurare dinanzi al giudice di legittimita' l'illogicita' manifesta della motivazione dei provvedimenti applicativi delle misure praeter delictum. Di talche' siffatta incoerenza dell'art. 4, comma 11, della legge n. 1423 del 1956, nella portata precettiva assunta a seguito dell'entrata in vigore del codice del 1988, puo' essere motivatamente inclusa nella figura della «irragionevolezza sopravvenuta», nota alla dottrina costituzionalistica ed affiorante in talune pronunce della Corte costituzionale. Ulteriori argomenti contribuiscono a rafforzare il convincimento di questa Corte sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 11, della legge n. 1423 del 1956, nella parte in cui esclude il ricorso in Cassazione per l'illogicita' manifesta della motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. Invero, premesso che l'ultimo comma del citato art. 4 rinvia, per la proposizione e la decisione dei ricorsi, in tema di prevenzione, alle norme del codice di procedura penale riguardanti la proposizione e la decisione dei ricorsi relativi all'applicazione delle misure di sicurezza, deve porsi in risalto che, col codice abrogato, esisteva piena equiparazione di disciplina delle due materie relativamente all'ambito di sindacabilita' in sede di legittimita' dei vizi di motivazione delle decisioni: col codice vigente, invece, mentre in ordine alle misure di sicurezza il ricorso per Cassazione e' esteso all'illogicita' manifesta della motivazione in forza del combinato disposto degli artt. 678, comma 1, e 666, comma 6, c.p.p., detto vizio, essendo escluso dalla violazione di legge, non e' deducibile come motivo del ricorso contro le decisioni di secondo grado relative alle misure praeter delictum, con un'evidente disparita' normativa priva di base razionale. Inoltre, deve considerarsi che i provvedimenti previsti dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401, modificato dall'art. 1 del d.l. 20 agosto 2001, n. 336, convertito nella legge 19 ottobre 2001, n. 377, in relazione a condotte violente poste in essere in occasione di manifestazioni sportive, sono comunemente qualificati come misure di prevenzione, sia pure con caratteri di autonomia e di atipicita', e che il comma 4 dello stesso art. 6 prevede l'impugnabilita' in Cassazione dell'ordinanza di convalida, senza limitazioni di sorta, onde con il ricorso puo' essere dedotta anche l'illogicita' manifesta della motivazione della decisione impugnata. Ne segue che, anche sotto tale particolare profilo, e' ravvisabile una disparita' di disciplina normativa sprovvista di giustificazione razionale: e tale diversita' di trattamento normativo appare tanto piu' inspiegabile quando si considera che le misure di prevenzione previste dalla legge n. 1423 del 1956 e dalla legge n. 575 del 1965 sovente comportano limitazioni della liberta' personale molto piu' incisive di quelle provocate dall'applicazione delle misure regolate dall'art. 6 della legge n. 401 del 1989. 7. - In conclusione, alla stregua di tutte le argomentazioni sin qui svolte, deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 11, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione, esclude la sindacabilita' del vizio di illogicita' manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. A norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, deve dichiararsi la sospensione del procedimento e deve disporsi l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale: inoltre, la cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 11, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui, limitando alla sola violazione di legge il ricorso contro il decreto della Corte d'appello in materia di misure di prevenzione, esclude la ricorribilita' in Cassazione per vizio di illogicita' manifesta della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. Sospende il presente procedimento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Cosi' deciso in Roma il 24 ottobre 2003. Il Presidente: Silvestri Il consigliere relatore: Riggio 04C0321