N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 dicembre 2003
Ordinanza emessa il 9 dicembre 2003 dal tribunale di Torre Annunziata sez. distaccata di Castellammare di Stabia, nel procedimento penale a carico di De Cesare Giuseppe Processo penale - Applicazione della pena su richiesta delle parti - Disciplina (come novellata dalla legge n. 134/2003) - Inapplicabilita' nei procedimenti instaurati nei confronti dei recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, cod. pen., qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria - Ingiustificata disparita' di trattamento tra imputati - Contrasto con il principio della ragionevole durata del processo. - Codice di procedura penale art. 444, comma 1-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 1, della legge 12 giugno 2003, n. 134. - Costituzione, artt. 3 e 111, secondo comma.(GU n.12 del 24-3-2004 )
IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza ex artt. 134 Cost. e 23 ss. legge 11 marzo 1953, n. 87. L'imputato De Cesare Giuseppe, nato a Castellammare di Stabia il 2 febbraio 1974, e' stato rinviato a giudizio n. 393/2003 per i reati previsti dagli artt. 628 cod. pen., 582-585, comma 1 c.p. in relazione all'art. 576 c.p. analiticamente descritti nel decreto che dispone il giudizio, con la recidiva reiterata infraquiquennale. Dopo aver richiesto la sospensione del processo ai sensi dell'art. 5 della legge n. 143/2003 egli, detenuto per questa causa e presente in udienza ha chiesto, a mezzo del proprio difensore, di accedere per tutti i reati contestati, unificati dal vincolo della continuazione, al rito alternativo del cd. «patteggiamento allargato», proponendo l'applicazione di una pena complessiva, come ridotta per il rito, di anni due e mesi sei di reclusione ed euro milleseicento di multa. Il pubblico ministero ha manifestato il proprio consenso. L'imputato, tuttavia, come si evince dal tenore della contestazione e del casellario giudiziale e' gravato dalla recidiva reiterata; quindi, non puo' formulare richieste di applicazione su richiesta di una pena finale detentiva, congiunta alla pena pecuniaria, superiore ai due anni di reclusione. Il comma 1-bis dell'art. 444 c.p.p., come modificato dalla legge n. 134/2003, dispone, infatti che «Sono esclusi dall'applicazione del comma 1 i procedimenti per i delitti di cui all'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, nonche' quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali e per tendenza, o recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma, del codice penale, qualora la pena superi due anni soli o congiunti a pena pecuniaria». Il Tribunale ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis c.p.p. nella parte in cui esclude l'applicazione integrale del comma 1 dell'art. 444 c.p.p. ai procedimenti nei confronti dei recidivi ai sensi dell'art. 99, quarto comma codice penale, limitandola, invece, alle richieste di pena contenute nei due anni di pena detentiva (sola o congiunta a pena pecuniaria), per contrasto con l'art. 3 della Costituzione, laddove sancisce il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, e per contrasto con l'art. 111, comma 2 ultimo inciso della Cost. laddove dispone che «la legge assicura la ragionevole durata del processo», incostituzionalita' dovuta alla inosservanza del principio di ragionevolezza nell'esercizio della funzione legislativa costantemente sancito dalla giurisprudenza costituzionale. Appare evidente la rilevanza della questione nel presente giudizio posto che l'indicata esclusione soggettiva porta a ritenere inammissibile la richiesta. Considerato, infatti, l'inequivoca esclusione del recidivo ai sensi delll'art. 99, comma 4, c.p.p. disposta dell'art. 444, comma 1-bis, c.p.p. dall'applicazione concordata con il pubblico ministero della pena superiore ai due anni di reclusione, non appare in alcun modo possibile effettuare una diversa interpretazione delle norme che consente di delineare un quadro normativo dell'istituto del patteggiamento allargato coerente con i menzionati principi costituzionali. Il procedimento speciale dell'applicazione della pena su richiesta ha piu' volte superato il vaglio di costituzionalita' con diverse pronunce della Corte costituzionale (vedi sentenza n. 266 del 1992). L'ambito applicativo dell'istituto ha trovato in passato una linea di demarcazione esclusivamente nella quantita' di pena irrogabile in concreto, prescindendo totalmente sia dalla natura del reato (non essendo prevista alcuna esclusione in base al suo titolo) sia dalle caratteristiche soggettive del proponente, con la sola eccezione dell'imputato minorenne. In questa sede interessa principalmente la compatibilita' con le norme costituzionali della preclusione soggettiva di chi sia gravato da recidiva reiterata (art. 99, comma 4, c.p.p.) nell'accesso al patteggiamento allargato. Non vi e' dubbio che spetti al legislatore regolare l'ambito applicativo dei riti alternativi potendo effettuare scelte legislative finalizzate ad ampliare o restringere lo spazio operativo riservato agli stessi. Non e' stato mai seriamente messo in dubbio, infatti, che fosse legittima l'originaria esclusione del patteggiamento per i delitti puniti con pena detentiva superiore ai due anni, dando prevalenza all'interesse statale ad un pieno accertamento dei fatti-reato piu' gravi ed all'integrale applicazione del trattamento sanzionatorio applicabile rispetto all'interesse pubblico ad una deflazione dei procedimenti penali mediante la rinuncia all'istruttoria dibattimentale ed al giudizio di appello. Altrettanto indubbia e', pero', la necessita' che le esclusioni ed i divieti siano ispirati alla salvaguardia di interessi meritevoli di tutela effettivamente pregiudicati dal ricorso a questo procedimento a carattere para-negoziale. Solo in quest'ultimo caso, infatti, possono trovare giustificazione esclusioni e divieti che, da un lato precludono l'accesso al rito da parte di determinate categorie di soggetti in ragioni di qualita' giuridiche soggettive o della qualita' della contestazione loro mossa, dall'altro impediscono la possibilita' di definizione anticipata di procedimenti per i quali si rivela superflua l'istruttoria dibattimentale. L'esame della compatibilita' dell'esclusione soggettiva prevista dall'attuale art. 444, comma 2, c.p.p. con l'art. 3 e con l'art. 111 della costituzione consiste, ad avviso del Tribunale, nel verificare se gli elementi strutturali e gli effetti peculiari della sentenza di patteggiamento in una qualche misura possano giustificare un trattamento diverso del recidivo che commette un altro reato (art. 99, comma 4, c.p.) rispetto all'imputato incensurato o gravato da una recidiva, semplice, specifica o infraquinquennale, ma non reiterate. Non e' in discussione, ovviamente, quanto alla prospettata violazione dell'art. 3 Cost. il fatto che il rispetto del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 delle Costituzione imponga identita' di trattamento di situazioni uguali e consenta - o imponga - diversita' di trattamento di situazioni disuguali. Cio' che e' in verifica e' l'individuazione di un razionale collegamento tra la condizione soggettiva escludente e l'istituto del patteggiamento allargato introdotto dalla legge n. 134/2003, ovvero la ricerca della ratio legis dell'esclusione e la valutazione della congruita' tra mezzi e scopo. Nel vagliare le possibili ragioni sottostanti alla scelta legislativa impugnata va innanzitutto osservato che l'esclusione del recidivo reiterato dal patteggiamento allargato non appare giustificata da un interesse dello Stato all'irrogazione integrale di una pena congrua secondo i parametri dettati dall'art. 133 c.p. ed idonea alla rieducazione del condannato (art. 27, comma terzo, Cost.), da realizzarsi evitando che gli incentivi all'accesso ai riti alternativi consistenti in riduzioni di pena, rispondenti ad esigenze di speditezza e semplificazione del procedimento penale, possano pregiudicare la funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena. Non solo, infatti, chi si trova nelle condizioni previste dall'art. 99, comma 4 c.p. puo' accedere al patteggiamento ordinario ed essere destinatario di altri riti alternativi con effetti premiali (es. decreto penale di condanna) relativamente a reati di minore gravita', ma soprattutto puo' chiedere unilateralmente l'accesso al rito abbreviato ottenendo la riduzione di un terzo della pena, qualsiasi sia la pena irrogabile, conseguendo per altra via il beneficio premiale delle riduzione frazionaria della pena. Il legislatore, in sostanza, ha gia' rinunciato all'indefettibilita' dell'applicazione integrale del trattamento sanzionatorio introducendo in via generalizzata, per qualsiasi reato e qualsiasi categoria soggettiva di imputati, un rito a scopo deflattivo (il giudizio abbreviato) che, tra l'altro, risulta meno snello rispetto al patteggiamento in quanto comporta la possibilita' di integrazioni probatorie, consente, salvo eccezioni, l'impugnazione per motivi di merito e richiede un corposo impegno valutativo e motivazionale da parte dell'organo decidente. La ragione delle restrizioni della portata del patteggiamento non puo' neppure essere ricercata altrove, ovvero nella volonta' di precludere l'accesso dell'imputato gravato da recidiva reiterata ai vantaggi del patteggiamento ordinario quali la mancanza di un accertamento esplicito delle responsabilita' penale dell'imputato, la mancata irrogazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza - con l'eccezione della confisca -, la mancata valenza della sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. nei giudizi civili o amministrativi, nel mancato recupero delle spese processuali, nel sacrificio degli interessi della parte civile all'accertamento del danno ed al suo ristoro senza ricorrere ad un separato giudizio civile. Non vanno assolutamente trascurate, infatti, le radicali diversita' tra l'istituto del patteggiamento tradizionale e quello del patteggiamento allargato. Mentre il primo prevede dei benefici ulteriori rispetto al rito abbreviato - accessibile anche ai soggetti di cui all'art. 99, comma 4 c.p. -, come l'estinzione del reato per la mancata commissione di un nuovo delitto nel termine di cinque anni o di una contravvenzione della medesima indole nel termine di due anni (art. 445, comma 2, c.p.p.), la mancata irrogazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza con l'eccezione della confisca, la non condannabilita' al pagamento delle spese processuali, il secondo, invece non comporta analoghe restrizioni effettuali: la sentenza di patteggiamento ad una pena detentiva (da sola o congiunta a pena pecuniaria ragguagliata) superiore ai due anni applica anche le pene accessorie eventualmente previste, le misure di sicurezza, nonche' condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali; soprattutto, non comporta l'estinzione del reato condizionata alla mancata recidiva futura (art. 445 c.p.p. nell'attuale formulazione). Paradossalmente, sembrerebbe piu' razionale una differenziazione tra imputati incensurati ed imputati recidivi di segno opposto, che comporti una esclusione di questi ultimi, non dal patteggiamento allargato, ma dai vantaggi specifici di quello ordinario: l'uno si traduce in una mera riduzione della pena, mentre l'altro consente anche al recidivo di evitare le conseguenze derivanti da una sentenza di condanna descritte dall'art. 445 c.p.p., inclusa l'applicazione delle misure di sicurezza (cosa particolarmente discutibile nel caso del delinquente abituale, professionale o per tendenza, per i quali l'art. 216 c.p. prevede in via generale l'applicazione della misura di sicurezza). In questo senso potrebbe apparire ragionevole, e non contrastante con l'art. 3 Cost., una normativa che consente sia agli imputati incensurati, o recidivi semplici, sia agli imputati recidivi reiterati, o dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, di concordare con il pubblico ministero l'applicazione di una pena per reati puniti in concreto fino e cinque anni, limitando, pero', la disapplicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezze (relativamente ai reati meno gravi) solo per i primi e non anche per i secondi. Del tutto irrilevante, inoltre, per giustificare l'esclusione del recidivo dal patteggiamento allargato, e' il pregiudizio subito dalla parte civile, escluse dal processo penale ed obbligata ad attivare un separato giudizio civile, posto che per la stessa nessuna differenza in termini di effetti processuali ha l'avere come controparte un incensurato o un recidivo, avendo la stessa nel procedimento a carico dell'uno o dell'altro i medesimi poteri processuali e le stesse identiche aspettative di risarcimento. Quanto al carattere negoziale del rito del patteggiamento, nel quale le parti rinunciano a verificare in dibattimento il materiale probatorio raccolto, propongono al giudice un giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e circostanze aggravanti, propongono di applicare una pena concordata e concordano la quantita' di riduzione della pena applicabile per la rinuncia al dibattimento ed al giudizio di appello, non si vede come le precedenti condanne possano giustificare l'inibizione al recidivo (ed al pubblico ministero) di tale potere pare-contrattuale, posto che in nessun modo esse incidono sulla capacita' giuridica e naturale delle parti di effettuare scelte inerenti la determinazione della pena o di rinunciare ad un accertamento completo dei fatti. Anche sotto il profilo dell'opportunita' di attribuire alle parti poteri (limitatamente) dispositivi del processo, appare ragionevole restringere la possibilita' di negoziazioni preventive della pena e di rinuncia ad un accertamento pieno delle risultanze istruttorie per ragioni inerenti la quantita' di pena irrogata (ben potendo il legislatore non voler incrementare i poteri dispositivi delle parti con contestuale riduzione dei poteri di controllo del giudice) o, in misura minore, per la tipologia del reato (es. un reato ad accertamento presuntivamente complesso potrebbe rendere inopportuno un controllo del giudice limitato all'accertamento negativo ex art. 129 c.p.p., sebbene il titolo del reato, in se' considerato, non preclude mai il patteggiamento ordinario), mentre non si ravvisa alcuna ragione per sottrarre alle parti la possibilita' di una negoziazione della pena in relazione alla qualita' soggettiva dell'imputato. Quanto all'imputato minorenne, unico esempio di esclusione soggettiva dal patteggiamento (ma non dal rito abbreviato), disciplinata dall'art. 25 del d.P.R. n. 448 del 1988, e' stata ritenuta dalla Corte costituzionale non irragionevole per la specificita' del processo penale minorile ove il giudice e' dotato di amplissimi poteri, essendo previste numerose misure che, in adesione alle finalita' di recupero della personalita' del minore ancora in evoluzione, possono condurre il processo verso epiloghi diversi da quelli propri del giudizio ordinario (perdono giudiziale, sospensione del processo e messa alla prova, sentenza di non luogo a procedere per irrilevanze del fatto, esteso ambito applicativo delle sanzioni sostitutive). Il patteggiamento, precludendo l'uso di questi strumenti, finirebbe con il frustrare le finalita' proprie del processo minorile e si porrebbe in contrasto con i principi fondamentali del processo minorile (sent. Corte cost. n. 135/1995). Appare quasi superfluo aggiungere che tali esigenze peculiari sono del tutto assenti nel processo a carico del recidivo, ne' appare possibile individuarne altre ritenute meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento, posto che non vi e' nessuna norma processuale specifica per tale categoria di soggetti. Resta, in conclusione, quale unica possibile giustificazione della disuguaglianze di trattamento l'interesse dello Stato ad un riconoscimento esplicito della responsabilita' penale dell'imputato. Non va tuttavia sovrapposta tale esigenza con quello di uno svolgimento pubblico del processo penale. A quest'ultimo argomento, svolto dal Tribunale di Roma in composizione collegiale, V Sezione penale (ordinanza del 1° luglio 2003) inter alia per prospettare la possibile incostituzionalita' del patteggiamento allargato, appare agevole replicare che anche il rito abbreviato prevede lo svolgimento del rito secondo le forme della camera di consiglio, sebbene non siano previsti limiti di pena o analoghe preclusioni soggettive. L'interesse ad un accertamento esplicito del fatto e del suo collegamento con l'imputato, tuttavia, a fronte della sostanziale equiparazione di tutti gli effetti penali della sentenza di patteggiamento allargato ad una sentenza di condanna (con l'esclusione indicata della valenza nei giudizi civili o amministrativi), finisce con l'assumere una connotazione di ordine squisitamente morale con valenza sociale, storica, o politica. Anche tale interesse, quindi, puo' trovare una giustificazione, al massimo, oltre che per i reati di maggiore gravita' (stabilita secondo il decisivo criterio della pena irrogabile in concreto), al piu' per reati che, sebbene equiparati quoad poenam ad altri che consentono di addivenire al patteggiamento allargato, per loro natura, riguardando fatti di particolare allarme sociale (criminalita' organizzata, terrorismo ecc.), rendono opportuno dal punto di vista politico il loro compiuto accertamento mediante un provvedimento giurisdizionale analitico, laddove per il procedimento che ha quale unica peculiarita' la qualita' soggettiva di recidivo ai sensi dell'art. 90, comma 4, c.p. tale interesse sembra insussistente. In conclusione, quindi, il legislatore potrebbe discrezionalmente delimitare l'ambito applicativo dell'istituto, differenziando i poteri di scelta degli imputati in ragione della gravita' o della tipologia del reato compiuto, ma non in ragione delle loro qualita' soggettive che non sembrano in se' idonee ad imporre una indefettibile affermazione positiva della responsabilita'. Di carattere assolutamente marginale appare, infine, la non inserzione della sentenza di patteggiamento allargato nei certificati del casellario giudiziale ad uso privato e, come tale, inidonea a giustificare una preclusione integrale al rito (artt. 686-689, comma 2, lett. a), n. 5 c.p.p., materia attualmente regolata dagli artt. 24 e 25 del t.u. in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti introdotto con d.P.R. n. 313/2002). Peraltro, anche la non iscrizione in tale certificato appare discutibile, almeno per la sentenza di applicazione di una pena detentiva superiore ai due anni con contestuale applicazione di pene accessorie o di misure di sicurezza, le quali dovrebbero essere inserite nel certificato rilasciato all'interessato ex art. 686, comma 1, n. 3 e n. 2 (attualmente art. 3 del t.u.). Anche a voler ritenere (a) che lo Stato abbia interesse ad evitare che una sentenza di patteggiamento allargato pronunciata nei confronti di un imputato recidivo non venga annotata nel certificato penale su richiesta dell'interessato, (b) e che il diritto vigente escluda la menzione di tale sentenza nel certificato penale, mezzo certamente piu' idoneo allo scopo appare l'eliminazione della sentenza di patteggiamento allargato dall'elenco delle eccezioni poste alla regola della generale annotazione nel certificato di tutte le iscrizioni previste dall'art. 686 c.p.p. (attuale art. 3 del t.u.). Peraltro, in virtu' dell'indiscriminato richiamo operato dall'art. 689, comma 2, lett. a), n. 5) c.p.p. (attuale art. 25 t.u.) la non annotazione della sentenza di patteggiamento allargato nel certificato ad uso privato appare discutibile, posto che per accedere alla soluzione interpretativa opposta risulta sufficiente attribuire a tale disposizione la funzione di rinvio fisso all'art. 445 c.p.p. nella sua formulazione anteriore alle modifiche apportate dalla legge n. 134/2003, e non quella di rinvio mobile al duplice rito attualmente regolato dagli artt. 444 e ss. Le argomentazioni svolte da altra Autorita' giudiziaria per affermare la manifesta infondatezza dell'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata dalla difesa di contrarieta' all'art. 3 della Costituzione dell'esclusione dal patteggiamento allargato dei procedimenti relativi ai reati di cui all'art. 51, comma 3-bis c.p.p., non solo non appaiono estensibili al caso in esame, in quanto poste a giustificazione dell'esclusione oggettiva per titolo di reato e non di quella soggettiva per la qualita' di recidivo reiterato, ma afferiscono tutte a questioni inerenti il trattamento sanzionatorio comminato in fase cognitiva o applicato durante l'esecuzione (il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Bologna, Ufficio - ordinanze del 10 luglio 2003 - fa riferimento a «benefici, sanzioni sostitutive, misure alternative alla detenzione, regole e divieti sulla coercizione personale»), laddove l'istituto del patteggiamento allargato non inerisce le sanzioni sostitutive, non le misure alternative, non riguarda l'applicazione di misure di coercizione personale, ne', soprattutto, costituisce in senso proprio un beneficio (come la sospensione condizionale, l'amnistia, l'indulto, il perdono giudiziale, ecc., l'estinzione del reato in caso di mancata recidiva successiva prevista dal patteggiamento ordinario), ma un rito premiale. La differenza non assume carattere puramente linguistico se si considera da un lato che, come in precedenza indicato, il medesimo effetto premiale della riduzione della pena e' raggiungibile aliunde mediante la richiesta (unilaterale) di rito abbreviato, senza alcuna esclusione soggettiva, dall'altro che il patteggiamento (ordinario ed allargato), come il decreto penale di condanna, costituisce un rito azionabile anche dal pubblico ministero nell'interesse dello Stato ad una definizione accelerata dal procedimento penale mediante rinuncia ad una frazione di potesta' punitiva ed all'efficacia extrapenale (salvo il giudizio di responsabilita' disciplinare) della sentenza definitoria del giudizio penale. E' proprio sotto quest'ultimo profilo che si palesa la non manifesta infondatezza dell'illegittimita' costituzionale delle esclusioni soggettive del patteggiamento allargato per contrasto con l'art. 111, comma secondo, ultimo inciso, della Costituzione, laddove esse precludono la definizione rapida di numerosi procedimenti penali senza ricorso alle fasi del rinvio a giudizio e dell'istruttoria dibattimentale ed all'eventuale, ma ricorrente, giudizio di appello, con ricadute di sistema anche sui tempi di svolgimento dei procedimenti penali per i quali si palesa necessario o opportuno l'espletamento dell'istruttoria dibattimentale. Appare corretto ritenere, infatti, che il precetto dell'«assicurazione della ragionevole durata del processo» non si limiti a fondare un diritto costituzionale del singolo cittadino parte privata del procedimento civile, penale, amministrativo, contabile, tributario esercitatile contro l'introduzione di norme processuali che comportino una ingiustificata dilatazione dello specifico procedimento di cui e' egli e' parte, ma anche il divieto di introdurre altre disposizioni ordinamentali, prive di adeguata giustificazione o non supportate da un'adeguata predisposizione di mezzi, che abbiano una ricaduta indiretta sui tempi del processo. L'ampia formula adoperata dal legislatore costituzionale, sembra, per altro, introdurre un precetto che, in quanto diretto ad orientare l'attivita' normativa ordinaria avente ad oggetto il processo in tutte le sue manifestazioni (inclusa la predisposizione di mezzi adeguati al suo svolgimento) e' destinato a rendere effettiva la realizzazione di altri diritti ed obblighi costituzionali (diritto alla tutela giurisdizionale, diritto-dovere della rieducazione del condannato, tutela dei diritti fondamentali, obbligatorieta' dell'azione penale), che possono essere pregiudicati dalla lentezza del processo. Sotto quest'ultimo punto di vista, quindi, le limitazioni prive di adeguate giustificazioni o intrinsecamente irrazionali della possibilita' delle parti di contribuire attraverso un'attivita' deflattiva alla riduzione della durata complessiva dei procedimenti penali appaiono in contrasto con il principio della durata ragionevole dei processi, soprattutto se si considerano le peculiarita' del processo penale, caratterizzato da una interdipendenza funzionale ed effettuale tra riti alternativi e dibattimento ordinario, che vede il successo nella vita giudiziaria dei primi incidere sulla ragionevole durata del secondo e la brevita' o i ritardi del dibattimento incentivare o disincentivare il ricorso ai procedimenti alternativi. Appare in conclusione quanto meno dubbia la compatibilita' delle esclusioni soggettive per chi e' gravato da recidiva reiterate, oppure dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza dalle richieste di applicazione della pena superiore a due anni sia per la violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, senza una effettiva ragione a fondamento della disparita' di trattamento tra imputati del medesimo reato nell'accesso al rito sia per la violazione dell'ulteriore principio della durata ragionevole del processo sancito dall'art. 111, comma secondo, della Costituzione. Ai sensi dell'art. 159 c.p. vanno sospesi i termini di prescrizione dei reati contestati all'imputato.
P. Q. M. Vista la legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante ai fini del presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 444, comma 1-bis, del codice di procedura penale, come modificato dall'art. 1, comma 1 delle legge 12 giugno 2003, n. 134, per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, nei termini e nei limiti di cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Sospende il termine di prescrizione dei reati; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Castellammare di Stabia, addi' 9 dicembre 2003 Il giudice: Serra D'Aquino 04C0327