N. 96 ORDINANZA 8 - 12 marzo 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Avvocato  e  procuratore - Praticanti avvocati abilitati - Patrocinio
  dinanzi  agli organi giudiziari militari per gli stessi reati per i
  quali  possono  assumere  la difesa dinanzi al giudice di pace e al
  tribunale  in  composizione  monocratica  -  Mancata  previsione  -
  Prospettata irragionevole disciplina con ingiustificata limitazione
  del  diritto  di difesa - Erronea individuazione della norma da cui
  deriva  l'effetto  lamentato  -  Manifesta  inammissibilita'  della
  questione.
- Legge 16 dicembre 1999, n. 479, art. 7.
- Costituzione, artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma.
(GU n.11 del 17-3-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge
16 dicembre   1999,   n. 479   (Modifiche   alle   disposizioni   sul
procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica e altre
modifiche  al  codice  di  procedura  penale.  Modifiche al codice di
procedura  penale  e  all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni  in
materia  di  contenzioso  civile pendente, di indennita' spettanti al
giudice  di  pace e di esercizio della professione forense), promosso
con   ordinanza   del   20 febbraio  2003  dal  giudice  dell'udienza
preliminare  del  Tribunale  militare di Roma nei procedimenti penali
riuniti  a  carico  di  Federighi  Raffaello,  iscritta al n. 288 del
registro  ordinanze  2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 21, 1ª serie speciale, dell'anno 2003.
    Udito  nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2004 il giudice
relatore Valerio Onida.
    Ritenuto che, con ordinanza emessa il 20 febbraio 2003, pervenuta
il  7 aprile  2003, il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
militare  di Roma ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo
comma,   e  24,  secondo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 16 dicembre 1999,
n. 479  (Modifiche  alle  disposizioni  sul  procedimento  davanti al
tribunale  in composizione monocratica e altre modifiche al codice di
procedura   penale.   Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso
civile  pendente,  di  indennita'  spettanti  al giudice di pace e di
esercizio della professione forense), «nella parte in cui non prevede
che  i  praticanti  avvocati  dopo il conseguimento dell'abilitazione
possano  comparire dinanzi agli organi giudiziari militari per quegli
stessi reati per i quali cio' e' loro riconosciuto dinanzi al giudice
di pace ed al tribunale in composizione monocratica»;
        che  il  remittente  osserva  come  oggi i tribunali militari
operino  «in  un  quadro normativo (e culturale) contrassegnato da un
inarrestabile  avvicinamento  del  rito  militare  alle  regole della
giurisdizione  ordinaria»,  nel  quale  e' stato abrogato fra l'altro
l'art. 53  del  regio  decreto 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento
giudiziario   militare),   che  disciplinava  la  difesa  davanti  ai
tribunali militari (allora definiti) territoriali;
        che   in   tale   nuovo   quadro   occorrerebbe  valutare  la
legittimita'  costituzionale dell'art. 7 della legge n. 479 del 1999,
il  quale  - argomenta il giudice a quo - mentre nulla dispone per la
difesa nelle cause penali davanti ai tribunali militari, prevederebbe
che  negli  affari  di  competenza  del  giudice di pace e dinanzi al
tribunale  in composizione monocratica i praticanti abilitati possano
esercitare  la  difesa  nelle  cause per i reati per i quali la legge
stabilisce  una  pena  detentiva  non superiore nel massimo a quattro
anni  ovvero  una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena
detentiva, nonche' per i reati elencati alla lettera b), numero 2, di
detto art. 7;
        che,  ad  avviso  del  remittente,  sarebbe  irragionevole, e
percio'   lesivo   dell'art. 3,   primo  comma,  della  Costituzione,
escludere  la  possibilita'  del  patrocinio  del praticante avvocato
abilitato dinanzi ai tribunali militari per quegli stessi reati per i
quali  egli  puo'  assumere  la  difesa  dinanzi al giudice di pace o
davanti al tribunale in composizione monocratica: e cio' anche se nel
processo  penale  militare  non  si applica il c.d. rito monocratico,
atteso  che  tale  esclusione  non  sarebbe  fondata sull'esigenza di
assicurare  la  capacita'  tecnica  del  difensore, ma esclusivamente
sulla specialita' dell'ordinamento militare;
        che   sotto  la  denominazione  di  pena  detentiva,  cui  fa
riferimento  l'art. 7  in esame, sarebbe compresa anche la reclusione
militare;
        che,  inoltre,  dubbi  di  costituzionalita'  sussisterebbero
anche  in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione,
in  quanto  precludere  all'imputato di un reato militare, punito con
una  pena  detentiva  non  superiore  nel  massimo a quattro anni, la
possibilita'  di  farsi  assistere  da  un  praticante  abilitato  ne
potrebbe  limitare  ingiustificatamente  l'esercizio  del  diritto di
difesa;
        che  il  remittente  osserva  che il praticante abilitato non
puo'  svolgere  la  propria  attivita'  professionale  in relazione a
qualsiasi  reato  attribuito  alla cognizione dei tribunali militari,
anche  quando,  come  nel  caso  di  specie,  si  tratti  del giudice
dell'udienza  preliminare,  di  per  se'  monocratico, mentre a norma
dell'art. 7  della legge n. 479 del 1999 e dell'art. 13 del codice di
procedura   penale   potrebbe   difendere  davanti  al  tribunale  in
composizione  monocratica  un imputato per un reato militare connesso
con  un reato comune piu' grave, rientrante comunque fra quelli per i
quali e' prevista la competenza del giudice monocratico;
        che  il giudice a quo conclude osservando che la questione e'
rilevante,  atteso  che l'imputato, il quale ha nominato fra i propri
difensori  un praticante abilitato, e' chiamato a rispondere di reati
militari  (disobbedienza  aggravata  e  concorso  in  simulazione  di
infermita' pluriaggravata) per i quali e' prevista una pena detentiva
non superiore nel massimo a quattro anni.
    Considerato,  preliminarmente,  che il remittente fa riferimento,
come  tertium  comparationis  e,  al  tempo stesso, come norma di cui
chiede  l'estensione ai processi davanti ai tribunali militari, ad un
testo  dell'art.  7  della  legge 16 dicembre 1999, n. 479 che non e'
quello  in  vigore,  oggi  e  al  momento  in  cui  e'  stata  emessa
l'ordinanza di rimessione;
        che,  infatti,  l'art. 2-terdecies del decreto-legge 7 aprile
2000,  n. 82  (Modificazioni  alla disciplina dei termini di custodia
cautelare  nella  fase  del  giudizio  abbreviato),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  5 giugno 2000, n. 144, ha sostituito la
lettera  b) di detto art. 7, relativa agli affari penali nei quali e'
consentito ai praticanti avvocati abilitati di esercitare l'attivita'
professionale   ai   sensi   dell'art. 8   del   regio  decreto-legge
27 novembre 1933, n. 1578, recante: «Ordinamento delle professioni di
avvocato  e  procuratore»,  con un nuovo testo, in cui non si fa piu'
riferimento  direttamente  ai  reati  puniti  con  pena detentiva non
superiore nel massimo a quattro anni e ad una serie di reati nominati
(gia'   di   competenza  del  pretore),  bensi'  ai  «reati  previsti
dall'articolo 550  del  codice di procedura penale» (identificati con
le contravvenzioni ovvero con i delitti puniti con pena detentiva non
superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta
alla  predetta pena detentiva e con i reati nominativamente indicati,
solo parzialmente coincidenti con quelli gia' elencati nel previgente
testo  dell'art. 7,  lettera b),  numero  2,  della  legge n. 479 del
1999),   assumendo   dunque   come   criterio   l'applicabilita'  del
procedimento  con citazione diretta di cui all'art. 550 del codice di
procedura  penale, novellato dalla legge n. 479 del 1999, che esclude
l'udienza  preliminare,  nell'ambito  del  rito  davanti  al  giudice
monocratico:   rito  che,  per  giurisprudenza  ormai  consolidata  e
ricordata  dallo  stesso  remittente,  non  trova invece applicazione
davanti ai tribunali militari, tant'e' che, nella specie, il giudizio
principale e' in corso davanti al giudice dell'udienza preliminare;
        che, anche a prescindere da cio', l'art. 7 della legge n. 479
del  1999  impugnato  non  fa  che  specificare  la  disciplina - ivi
espressamente  richiamata  -  del  patrocinio da parte dei praticanti
avvocati  abilitati, recata dall'art. 8 della legge professionale per
gli avvocati (r.d.l. n. 1578 del 1933), il quale si riferisce ai soli
procedimenti  davanti alla giurisdizione ordinaria, ed in particolare
a quelli gia' di competenza del pretore; mentre il patrocinio davanti
a  tutte  le  giurisdizioni speciali (tra le quali rientra quella dei
tribunali  militari)  e' separatamente disciplinato dall'art. 7 della
stessa  legge  professionale, ai sensi del quale «davanti a qualsiasi
giurisdizione  speciale  la  rappresentanza, la difesa e l'assistenza
possono   essere  assunte  soltanto  da  un  avvocato  ovvero  da  un
procuratore  assegnato ad uno dei Tribunali del distretto della Corte
d'appello  e  sezioni  distaccate, nel quale ha sede la giurisdizione
speciale»  (oggi  soltanto  da  un  avvocato), senza che sia prevista
alcuna  possibilita'  di  patrocinio da parte dei praticanti avvocati
abilitati;
        che  il  remittente  ignora  tale normativa e non impugna ne'
l'art. 8, ne' l'art. 7 della legge professionale;
        che,   pertanto,  la  questione  si  appalesa  manifestamente
inammissibile  per erronea individuazione della norma alla quale puo'
farsi risalire l'effetto impeditivo lamentato dal giudice a quo.
    Visti  gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 16 dicembre 1999,
n. 479  (Modifiche  alle  disposizioni  sul  procedimento  davanti al
tribunale  in composizione monocratica e altre modifiche al codice di
procedura   penale.   Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  e
all'ordinamento  giudiziario.  Disposizioni in materia di contenzioso
civile  pendente,  di  indennita'  spettanti  al giudice di pace e di
esercizio  della professione forense), sollevata, in riferimento agli
articoli 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
giudice  dell'udienza  preliminare del Tribunale militare di Roma con
l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Onida
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 12 marzo 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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