N. 248 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 2003

Ordinanza  emessa  il  5 dicembre  2003  dal  G.I.P. del Tribunale di
Verona nel procedimento penale a carico di Favaro Albino

Edilizia e urbanistica - Reati edilizi - Condono per le opere abusive
  ultimate  entro  il  31 marzo 2003 - Estinzione del reato - Lesione
  del  principio  di  uguaglianza, di tutela del paesaggio, di tutela
  della   salute   -   Contrasto  con  la  procedura  prevista  dalla
  Costituzione in tema di amnistia, nonche' con i principi del giusto
  processo - Incidenza sul principio di buon andamento della pubblica
  amministrazione  -  Violazione  del  principio  di  obbligatorieta'
  dell'azione  penale - Lesione delle competenze regionali in materia
  di  governo  del  territorio  - Lesione della autonomia regionale e
  degli enti locali.
- D.L.  30  settembre  2003, n. 269, art. 32, commi 1, 2, 25, 26, 27,
  28,  32,  33,  34,  35, 36 e 37, convertito dalla legge 24 novembre
  2003, n. 326.
- Costituzione,  artt.  1,  3, 9, comma secondo, 32, primo comma, 79,
  primo  comma,  97, primo comma, 111, comma secondo, 112, 117, comma
  terzo, 118, comma secondo e 120.
(GU n.14 del 7-4-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Rilevato  che  il  p.m.  ha  chiesto emettersi decreto penale nei
confronti  dell'imputato  per  reati  edilizi  e che la richiesta non
appare prima facie infondata;
    Osservato che il procedimento andrebbe tuttavia sospeso nella sua
interezza  per  effetto  del  richiamo  ai  capi  IV  e V della legge
n. 47/1985  (ove  trova  collocazione  l'art. 44,  che  prescrive  la
sospensione  dei  procedimenti  giurisdizionali,  ivi compresi quelli
penali,  sino  alla  scadenza  del termine - fissato al 31 marzo 2004
dall'art. 32   comma 32   d.   lgs.  n. 269/2003  -  fissato  per  la
presentazione  della «domanda relativa alla definizione dell'illecito
edilizio»)  operato  dall'art. 32  comma 25 del d.l. n. 269/2003, ora
convertito nella legge n. 326/2003, trattandosi di opere suscettibili
di  «condono»  ai  sensi  dei  commi 1, 26 e 27 del predetto art. 32,
considerandosi  come  il  comma  28  del  citato  art. 32 dispone che
trovino  applicazione  anche  le norme di cui all'art. 39 della legge
n. 724/1994,  il  cui comma 8 espressamente stabiliva che il rilascio
della   concessione  in  sanatoria  (se  preceduta  dalle  prescritte
autorizzazioni   delle  pp.aa.  preposte  alla  tutela  del  vincolo)
produceva   l'estinzione  del  reato  relativo  alla  violazione  del
vincolo;
    Osservato   che   dette   norme   tuttavia   appaiono  di  dubbia
costituzionalita',   ponendosi   in  contrasto  con  l'art. 79  della
Costituzione, consistendo di una vera e propria amnistia condizionata
«mascherata»   da   atipico   provvedimento   legislativo   estintivo
dell'azione penale;
    Ritenuto  che  la legge citata si ponga altresi' in contrasto con
le  norme  in  tema  di  autonomie  locali  (in  particolare  con gli
artt. 118  comma  2  e 120 Cost.), nella parte in cui consentono - in
forza  di  una  disciplina  gia'  compiutamente  realizzata e nel cui
ambito  la  riserva «fatte salve le competenze delle autonomie locali
sul governo del territorio» appare una mera formula di stile priva di
qualsiasi  effettivo  contenuto  -  il rilascio di titolo abilitativo
edilizio in sanatoria anche nei casi relativi ad «opere realizzate in
assenza  o  in  difformita'  del  titolo  abilitativo  edilizio e non
conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti
urbanistici»  (cfr.  punto  1  dell'allegato 1 alla legge, richiamato
dall'art. 32  comma  26  della  stessa,  a  definizione  delle  opere
suscettibili di sanatoria);
    Osservato  infatti  che l'adozione degli strumenti urbanistici ed
il  rilascio  dei titoli abilitativi all'esecuzione di opere edilizie
rientrino  nelle  prerogative  amministrative  tipicamente  assegnate
dalla  legge  ai  comuni  e  la  cui  titolarita' e' conseguentemente
assoggettata a tutela costituzionale ai sensi del richiamato art. 118
comma   2  Cost.,  che,  nel  definire  come  «proprie»  le  funzioni
amministrative  dei  comuni  conformi  alle  loro  competenze,  e nel
subordinare (art. 120 Cost.), l'esercizio di poteri sostitutivi dello
Stato  a  casi eccezionali tipicamente predeterminati con riferimento
ad  esigenze  (mancato  rispetto  di norme e trattati internazionali,
tutela dell'unita' giuridica o economica dello Stato, con riferimento
al  livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili
e sociali) non ravvisabili nel caso in oggetto (in cui dette esigenze
sono  invece  identificabili  in  esigenze  di  politica  finanziaria
contingente)   chiaramente  esclude  la  legittimita'  di  interventi
esterni atti ad incidere su dette competenze;
    Osservato,  quanto  al  contrasto  con  l'art. 79  comma  1 della
Costituzione,  che detta norma affida la potesta' di emanare amnistie
solo  a  legge  approvata  con  la maggioranza qualificata di 2/3 dei
membri   di   ciascuna   camera,  atteso  che  la  previsione  di  un
procedimento  estintivo di tutti i reati gia' commessi entro una data
prefissata  in violazione di specifiche norme di legge, e subordinata
al  pagamento  di  somme ed altri comportamenti del reo, altro non e'
che  un amnistia condizionata come disciplinata dall'art. 151 comma 4
c.p.,  a  prescindere  dal  nomen  iuris  («condono»,  «sanatoria» et
simila)  prescelto dal legislatore e che non puo' valere a mascherare
l'effettiva  natura  del  provvedimento emanato, pena la frustrazione
delle  garanzie  e  dei vincoli posti dalla Costituzione in relazione
all'oggetto,  allo scopo ed alla funzione dei provvedimenti, in forza
dei quali la legge fondamentale dello Stato opera una ripartizione di
competenze tra i poteri dello Stato e, nell'ambito delle attribuzioni
dello   stesso  potere,  puo'  determinare  procedure  e  limiti  per
l'esercizio dello stesso;
    Rilevato che analoghe questioni di incostituzionalita', sollevate
in  relazione  a  precedenti  leggi di «condono», furono ritenute non
fondate  dalla  Corte  costituzionale  in forza di argomentazioni che
appaiono  meritevoli di riconsiderazione, almeno in relazione al caso
in oggetto, atteso che:
        a)   e'  proprio  dell'amnistia  c.d.  «condizionata»  vedere
l'effetto  estintivo  del  reato promanare non gia' in via diretta ed
immediata dal provvedimento di clemenza, ma dall'adempimento da parte
dell'interessato   di   obblighi  specificati  dal  provvedimento  di
clemenza,  oltre  che  dal  verificarsi  di  condizioni eventualmente
esterne  alla  volonta'  dello  stesso:  sicche'  la  circostanza che
l'effetto estintivo previsto dal richiamato d.l. n. 269/2003 consegua
ad  una  complessa  fattispecie  (presentazione  di  apposita domanda
corredata  di documentazione varia; versamento di una somma di danaro
commisurata   generalmente  all'entita'  dell'opera;  non  e'  invece
necessario   il   rilascio   del   provvedimento   amministrativo  di
concessione  in  sanatoria,  atteso che ex art. 39 legge n. 47/1985 -
richiamata  dal  d.l.  perche'  compreso  nel  capo  IV  della  legge
n. 47/1985 - l'effetto estintivo del reato consegue al mero pagamento
della   somma   dovuta  a  titolo  di  «oblazione»),  peraltro  tutta
consistente  di  obblighi  il cui adempimento e rimesso alla volonta'
dell'imputato,   appare   attagliarsi   perfettamente   alla   figura
dell'amnistia  condizionata,  sicche'  non  convincono,  ed  appaiono
superate   dall'effetto   dell'abuso  dell'istituto  in  meno  di  un
decennio,  le  diverse  argomentazioni proprie di C. cost. 369/1988 e
427/1995,   che   comunque  sembravano  poggiare  sul  rilievo  dell'
eccezionalita' dell'istituto;
        b)  in  ogni  caso, quand'anche volesse ritenersi, reiterando
l'insegnamento  di  cui alle due pronunzie della Corte costituzionale
citate  da  ultimo,  che  la complessita' della fattispecie estintiva
delineata  dalla  procedura  di  condono edilizio mal si attagli alla
figura  dell'amnistia condizionata, non puo' non dubitarsi fortemente
della legittimita' costituzionale di provvedimenti legislativi aventi
effetti  estintivi  del  reato  ma  diversi dall'amnistia, atteso che
quello  di  emanare  quest'ultima  e'  l'unico  potere  che  la Carta
costituzionale assegni al Parlamento come strumento ed espressione di
un  potere  assolutamente eccezionale di paralisi dell'azione penale,
che   l'art. 112  Cost.  vuole  obbligatoria  e,  secondo  il  comune
insegnamento della dottrina costituzionale, irretrattabile;
        b-bis)   invero,   anche   l'esegesi   storica,  della  Carta
costituzionale   conduce   allo   stesso   risultato  interpretativo:
nell'impianto originario, il potere di emanare amnistia era assegnato
al  Presidente  della  Repubblica,  sia  pure  su legge di delega del
Parlamento:  legge,  tuttavia,  che  costituiva in capo al Presidente
della  Repubblica  un  potere,  e  non  gia'  un  obbligo (di emanare
l'amnistia);  potere,  a  sua  volta, che era assegnato al Capo dello
Stato  perche',  nella  sua  veste  di  garante  super  partes  delle
istituzioni e della Costituzione, valutasse l'opportunita' di emanare
un   provvedimento  di  amnistia,  che  la  Costituzione  non  voleva
assegnato   all'arbitrio  delle  contingenti  maggioranze  politiche,
stante  l'ovvio  ed  evidente  pericolo  di abusi della maggioranza e
della  realizzazione  di  privilegi di esenzione dall'obbligatorieta'
dell'azione  penale,  in  violazione  di  tale principio, istituito a
garantire  l'effettivita'  del principio di eguaglianza dei cittadini
anche nel processo penale.
    Nell'impianto  successivo  alla  modifica  apportata  dalla legge
costituzionale  n. 1/1992, all'emanazione dell'amnistia e' necessaria
una  legge  votata  con  maggioranza  altamente  qualificata, al fine
precipuo di realizzare quella stessa garanzia la cui tutela era prima
affidata  al  Presidente  della repubblica, atteso che - sottratto il
relativo  potere  a  quest'ultimo  (anche  al  fine di accentuarne la
deresponsabilizzazione  politica)  -  solo il concorso di maggioranze
altamente  qualificate  statisticamente  di  lunga  eccedenti  quelli
propri  delle  maggioranze  di  governo,  poteva  garantire  da  quel
pericolo di abusi cui gia' si e' accennato;
        b-ter)  ne consegue che, come premesso le leggi di «condono»,
in  cui  l'effetto  estintivo  della responsabilita' penale per fatti
gia'  commessi  e collegata all'adempimento di condizioni od obblighi
da  parte  dell'imputato,  sia  o meno detto adempimento sottoposto a
controlli  da  parte  di  organi amministrativi, se non costituiscono
provvedimenti  di  amnistia  condizionata «mascherata», senz'altro si
pongono  oltre  i  limiti  dei poteri assegnati dalla Costituzione al
Parlamento, e sono pertanto illegittimi costituzionalmente.
    Concludendo,   a   prescindersi   dal  nomen  iuris  attribuibile
all'istituto   del   condono  edilizio,  lo  stesso  appare  comunque
costituzionalmente  illegittimo:  se  e  un'amnistia,  e' in concreto
incostituzionale  perche' deliberato senza la maggioranza qualificata
imposta  dall'art. 79  comma  1  Cost.; se non e' un provvedimento di
amnistia  mascherata,  e  incostituzionale  perche'  la  Costituzione
appare aver volutamente ed scientemente previsto solo l'amnistia - in
forza del suo particolare procedimento deliberativo, prima rimesso ad
un  potere  del capo dello Stato pur se su delega del Parlamento, poi
ad  una  maggioranza altamente qualificata - come unico strumento per
paralizzare per via normativa l'esercizio dell'azione penale;
        c)  non appare infatti invocabile l'istituto della oblazione,
dalla  quale sia l'amnistia che il provvedimento di condono edilizio,
al di la' dei «nomina iuris» scelti dal legislatore, profondamente si
differenziano,  atteso  che l'oblazione e' un mezzo di estinzione del
reato  previsto dal legislatore in via generale ed astratta per tutti
i reati, passati e futuri, rientranti in una determinata tipologia, e
ricollegato  al  pagamento  di  una  somma che, essendo una quota del
massimo  della  pena  pecuniaria prevista per tali reati (tant'e' che
non  e'  prevista  oblazione  per  i  reati  per  i  quali la pena da
irrogarsi abbia natura detentiva) assolve nel concreto alle finalita'
proprie della condanna a pena pecuniaria.
    Rileva pertanto che, invece, sia l'amnistia (condizionata o meno)
che il condono edilizio sono rivolti solo a reati gia' connessi prima
dell'emanazione del provvedimento estintivo, essendo peraltro il c.d.
«condono»  connesso al pagamento di somme che non costituiscono quota
parte  della pena prevista per i reati «condonabili» (ordinariamente,
ed  in  particolare  nel  caso  in oggetto, puniti con pena detentiva
congiunta  a  quella  pecuniaria)  sicche',  anche  per  tal  via, il
suddetto  «condono» si presta ad assurgere a lesione del principio di
eguaglianza tra i cittadini (tra quelli che hanno rispettato la legge
e  quelli  che  non  l'hanno  rispettata, e tra quelli che sono stati
condannati  con  pena  di  legge  e quelli che, magari per la maggior
capacita'   di   rendere   difficoltoso   l'accertamento  della  loro
responsabilita',  ancora non sono stati condannati a pena di legge, e
mai lo saranno grazie proprio al «condono»): principio di eguaglianza
peraltro  che  la  stessa  legge  di  amnistia rispetta - in quel che
appare   essere  l'insegnamento  della  Corte  costituzionale  -  ove
ancorata  ad  eventi e situazioni eccezionali, mentre l'attuale legge
di condono sembra essere ancorata solo ad una eccezionale difficolta'
(probabilmente  politica,  piu' che oggettiva) di reperire altrimenti
fonti finanziarie sufficienti a coprire le spese dello Stato;
    Ritenuto   tuttavia  che  le  caratteristiche  di  eccezionalita'
risultino   superate   nel   caso   in  oggetto,  e  quindi  sia  non
manifestamente    infondata    la    questione    di   illegittimita'
costituzionale  della  legge  appena richiamata, con riferimento alla
gia'  accennata  violazione degli artt. 118 comma 2 e 120 Cost., alla
luce.   tra  l'altro  delle  ulteriori  censure  sollevate  da  altre
autorita'   giudiziarie,   quali   ad  es.  Tribunale  amministrativo
regionale  Emilia  Romagna sez. di Parma - ordinanza 20 novembre 2003
n. 27  -  il  quale  ha  osservato,  con  argomentazioni  che  qui si
riportano pressocche' integralmente (e peraltro in buona parte comuni
al  ricorso  sollevato in data 25 ottobre 2003 dalla Regione Campania
contro lo Stato in riferimento alla medesima legge), condividendosene
il  contenuto,  che:  «e'  stato  emanato  il d.l. 30 settembre 2003,
n. 269  (in Gazzetta Ufficiale n. 229 del 2 ottobre 2003, suppl. ord.
n. 157/L) recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per
la  correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici,  il  quale  fra
l'altro,   all'art. 32,  formula  una  complessa  normativa  «per  la
riqualificazione   urbanistica,   ambientale   e  paesaggistica,  per
l'incentivazione   dell'attivita'   di   repressione  dell'abusivismo
edilizia,  nonche'  per la definizione degli illeciti edilizi e delle
occupazioni di aree demaniali».
    Tale articolo dispone, per quanto qui interessa:
        1)  al  primo,  secondo  e terzo comma il rilascio del titolo
abilitativo  edilizio in sanatoria delle opere esistenti non conformi
alla disciplina vigente, nelle more dall'adeguamento della disciplina
regionale  ai  principi  contenuti nel testo unico delle disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia  edilizia,  approvato  con
d.P.R. 6 giugno  2001,  n. 380,  in  conformita'  al  titolo  V della
Costituzione  come  modificato  dalla legge costituzionale 18 ottobre
2001,  n. 3,  e  comunque  fatte  salve le competenze delle autonomia
locali  sul  governo  del  territorio  (sostanzialmente peraltro tale
autonomia  viene  contenuta  negli angusti termini nel rispetto delle
condizioni,  dei  limiti  e  delle  modalita' del rilascio del titolo
abilitativo sanante);
        2) dal quattordicesimo al ventitreesimo comma la sanabilita',
con  alcuni  limiti,  oneri  e  autorizzazioni,  delle  opere abusive
costruite  nelle  aree demaniali o patrimoniali dello Stato, anche se
soggette a vincoli;
        3)  la  proroga  temporale  delle  disposizioni in materia di
sanatoria  contenute  nei  capi  IV e V della legge 28 febbraio 1985,
n. 47,  e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente
modificate  dall'art. 39  della  legge  23 dicembre  1994,  n. 724, e
successive  modificazioni  e  integrazioni,  proroga  che consente la
sanatoria  delle  opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003 entro
taluni  limiti  quantitativi,  soggettivi,  tipologici e attinenti da
ultimo  alle  aree vincolate sui quali esse insistono, con decorrenza
dei  termini  previsti dalle disposizioni prorogate a far tempo dalla
data  di  entrata  in  vigore del decreto legge; con applicazione per
quanto  compatibile  della  legge n. 47 del 1985 e dell'art. 39 della
legge  n. 724  del  1924;  con  salvezza  dei  diritti  dei  terzi...
Omissis...
    Orbene,  appare rilevante notare, per quanto riguarda la presente
controversia, che:
        a) ... Omissis...
        b)  nelle  more  del  procedimento  di  sanatoria e fino alla
scadenza  dei  termini  fissati  dall'art. 35  della legge n. 47/1985
(come  sopra  rilevato, richiamati e prorogati a far tempo dalla data
in  vigore  del decreto legge, unitamente a tutte le disposizioni che
li   contengono,   da   quest'ultimo  decreto)  dovrebbe  operare  la
sospensione  del  procedimento  amministrativo  sanzionatorio  e  del
presente   procedimento   giurisdizionale,  ex  art. 44  della  legge
n. 47/1985.
    Premesso,  quindi,  che  la  predetta  normativa  e' senza dubbio
applicabile  al  caso  qui in esame, ritiene il collegio che vi siano
fondati  dubbi  per  sostenerne  la  sua  non conformita' ai principi
costituzionali.
    Vero  e'  che,  come  osservato  dalla  Corte  costituzionale (v.
soprattutto  le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e
256/1996**),  le norme sul condono prendono atto di una situazione di
illegalita'  di  massa  che  si  intende  ricondurre, per esigenze di
carattere  economico-sociale  e  contemporaneamente  per  esigenze di
bilancio  che  spingono  a  ricercare  spasmodicamente pronte risorse
finanziarie,   nell'alveo   del  diritto,  con  attribuzione  ad  una
fattispecie  mediatrice (l'autodenuncia) dell'efficacia di estinzione
dell'illiceita';   ma   le  stesse  sentenze  sottolineano  che  tale
esercizio   del   potere   di   clemenza   deve  avere  carattere  di
eccezionalita'  e  di chiusura di un'epoca, perche' in caso contrario
non  si  giustificherebbe  il contrasto insito nella natura per cosi'
dire  premiale dell'abusivismo con il comportamento della maggioranza
dei   cittadini   onesti  e  osservanti  la  legge,  con  conseguente
violazione  dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona
amministrazione.
    Deve  tenersi  conto,  inoltre,  che  una  rottura del menzionato
carattere  eccezionale  della  misura  condonistica  attenuerebbe  le
remore  della generalita' dei soggetti alla commissione di abusi, per
speranza  ed  anzi  per  la  certezza  che in un prossimo futuro tale
misura   sarebbe   senz'altro   riadottata   e,   per   altro  verso,
ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di inutilita'
delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per
effetto     perverso,     generatore     di     ulteriori    illeciti
urbanistico-edilizi.
    In  particolare  la  Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure
ribadendo  che  la  riapertura  dei  termini  del condono, nei limiti
dell'eccezionalita' sopra evidenziata, non sembrava confliggere con i
principi  di  ragionevolezza  e  di  eguaglianza,  non ha legittimato
l'equazione  fra  carenza di controllo e nuova necessita' di condono,
preannunciando    sostanzialmente    un    eventuale    giudizio   di
incostituzionalita'  qualora  in futuro fosse stata emanata una nuova
legge  al riguardo, soprattutto (come di fatto e' ora avvenuto) nella
forma  della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia
pure in un contesto - del tutto insufficiente, anche per la scarsita'
delle   risorse   stanziate  -  di  misure  di  riqualificazione  del
territorio.
    Ne'  sembra  poter giustificare un siffatta e rinnovata misura la
semplice  considerazione  delle  esigenze  di natura finanziaria, che
ormai  ricorrono  in  modo del tutto ordinario e permanente, anche se
non  si tenga conto delle ingenti risorse (che fra l'altro bilanciano
le  entrate  del  condono  necessarie  agli  enti  locali  per  oneri
urbanizzativi  e  misure di inserimento delle costruzioni abusive nel
contesto dei piani regolatori.
    In   particolare,   la  Corte  ha  osservato  che  sarebbe  stato
inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della
norma   sul   condono,   soprattutto   con  ulteriore  e  persistente
spostamento  dei  termini temporali di riferimento del commesso abuso
edilizio,  anche  perche'  la  gestione  del territorio sarebbe stata
certamente  compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica
o  ricorrente  possibilita'  di  condono  sanatoria  con  conseguente
convinzione di impunita'
    Un eccezione non puo' quindi risolversi in un principio.
    Inoltre,  rilevante e' la considerazione - come sopra accennato -
che il condono realizza un sistema ingiusto e discriminatorio proprio
nei  confronti  dei  cittadini  rispettosi delle leggi, che si vedono
privare  di  quei  beni  che  anch'essi  avrebbero  potuto  costruire
violando  le norme, e che dall'altro sarebbero costretti, soprattutto
in  mancanza  delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse
sole  salvaguardate  dalla  legislazione  condonistica,  a  subire il
degrado  urbanistico  prodotto dall'illegalita' edilizia riemersa con
ostentazione  e legalizzata con rischio che in futuro si producano le
condizioni per un ulteriore degrado.
    La normativa censurata non sembra poi violare soltanto i principi
di  eguaglianza,  ragionevolezza,  buona  amministrazione e di tutela
ambientale,  ma  anche le competenze regionali concorrenti in materia
di governo del territorio stabilite dall'art. 117, terzo comma, della
Costituzione  (v.  al  riguardo,  la sentenza n. 303/2003 della Corte
costituzionale).
    Infatti, come e' stato ben osservato anche dalla dottrina, con il
condono  lo  Stato  non  detta  principi  generali  (che  sono  a lui
riservati)   ma  introduce  un'eccezione,  invadendo  una  competenza
regionale,  anche  se ai primi commi dell'art. 32 il d.l. n. 269/2003
si preoccupa di dichiararle salve.
    Al  riguardo  ...  omissis  ... le statuizioni condonistiche sono
estremamente  precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni
aspetto  della  materia,  per  cui  il  riferimento  alla  competenza
regionale  per  il  «rispetto  delle  condizioni  dei  limiti e delle
modalita'  del  rilascio del titolo abilitativo sanante» non puo' che
limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza dell'espressione, che ad
aspetti di semplice dettaglio del procedimento.
    Sembra pertanto che il legislatore statale abbia esorbitato dalla
sua  competenza  che  consiste nella semplice emanazione dei principi
fondamentali,  che  non  possono  essere  di  dettaglio o addirittura
regolamentari.  Ne'  puo' fondatamente affermarsi che nella specie si
tratta  di  principi generali dell'ordinamento giuridico e di riforma
fondamentale   economico-sociale:   si   tratta  invece  soltanto  di
introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire subito
e comunque risorse finanziarie.
    Infine, sembra indubbio che il condono come nel caso qui in esame
sia   suscettibile  di  introdurre  di  deroghe,  e  quindi  limitate
varianti,  ai  piani  regolatori, che vengono contraddetti, sanandosi
costruzioni  del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti,
con  invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale
e degli enti locali.
    Osservato   conclusivamente  che  la  questione,  oltre  che  non
manifestamente infondata per le ragioni sopra esposte, e' altresi' di
assoluto  rilievo,  atteso  che,  in  forza  delle  norme  della  cui
costituzionalita'  si  dubita,  questo  giudice  sarebbe  costretto a
sospendere  l'esercizio dei suoi poteri e doveri giurisdizionali, tra
l'altro  con nocumento del principio della obbligatorita' dell'azione
penale  (il  cui  esercizio  e  la  cui  vigenza verrebbero ad essere
indebitamente  sospese,  a  nulla rilevando, come ovvio in virtu' dei
poteri  impositivi  riconosciuti  in  merito al giudice dall'art. 409
comma 5 c.p.p., che il p.m. abbia di fatto abdicato a tale suo potere
con   la   richiesta   di  archiviazione)  nonche'  di  quello  della
ragionevole  durata  del processo di cui all'art. 111, comma secondo,
Cost.
                              P. Q. M.
    Ritenuta  d'ufficio  rilevante  e non manifestamente infondata la
questione  di costituzionalita' dell'art. 32, commi 1, 2, 25, 26, 27,
28,  32-37, del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, per contrasto con gli
artt. 1, 3, 9 (secondo comma), 32 (primo comma), 79 (primo comma), 97
(primo  comma),  111  (secondo  comma)  112,  117  (terzo comma), 118
(secondo comma) e 120 della Costituzione:
        sospende il procedimento in corso;
        ordina  la  trasmissione di questa ordinanza e degli atti del
procedimento alla Corte costituzionale;
        ordina   la   notificazione  di  questa  ordinanza  al  p.m.,
all'indagato  ed al suo difensore e alla Presidenza del Consiglio dei
ministri  e  la  sua  comunicazione  ai  Presidenti  dei due rami del
Parlamento.
          Verona, addi' 14 dicembre 2003
                         Il giudice: Sernia
04C0417