N. 259 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 gennaio 2004

Ordinanze  259 e 260 - di contenuto sostanzialmente identico - emesse
il  21 gennaio  2004  dal  Tribunale  amministrativo  regionale della
Puglia  sezione  staccata  di Lecce, sul ricorso proposto da Pulimeno
Roberto  contro  comune  di  Nardo'  (R.O.  259/2004); Pulimeno Lucia
contro comune di Nardo' (R.O. 260/ 2004).

Edilizia  e  urbanistica  -  Condono  edilizio - Condono per le opere
  abusive  ultimate  entro  il  31 marzo 2003 - Irragionevolezza, non
  proporzionalita'   ed   inadeguatezza  rispetto  alle  finalita'  -
  Incidenza  sul  principio  dell'effetto  deterrente  della minaccia
  della  sanzione  penale,  nonche'  sul  principio di buon andamento
  della  pubblica  amministrazione  -  Violazione  del  principio  di
  riserva allo Stato della materia penale.
- Decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, convertito, nella
  legge 24 novembre 2003, n. 326.
- Costituzione, artt. 3, 27, comma terzo, 97, primo comma, 117, commi
  secondo e terzo, 118, primo comma, e 120, comma secondo.
(GU n.15 del 14-4-2004 )
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza,
    Sul ricorso 2307/2003 proposto da Pulimeno Lucia, rappresentata e
difesa  da  Leuzzi  Riccardo,  con domicilio eletto in Lecce, via del
Mare 7/A, presso Monticchio Luciano;
    Contro  comune  di Nardo', per l'annullamento, previa sospensione
dell'esecuzione, dell'ordinanza del dirigente del Settore urbanistica
ed  ambiente del comune di Nardo' prot. 25874 reg. ord. n. 165 del 25
giugno  2003;  nonche'  di  ogni altro atto presupposto, connesso e/o
conseguenziale;
    E   sul   ricorso   2306/2003   proposto   da  Pulimeno  Roberto,
rappresentato  e  difeso  da Leuzzi Riccardo, con domicilio eletto in
Lecce, via del Mare 7/A, presso Monticchio Luciano;
    Contro comune di Nardo',
    Per    l'annullamento,    previa   sospensione   dell'esecuzione,
dell'ordinanza  del dirigente del settore urbanistica ed ambiente del
comune  di  Nardo',  prot.  n. 25874,  reg. ord. n. 165 del 25 giugno
2003;
    Nonche'   di   ogni   altro   atto   presupposto,   connesso  e/o
conseguenziale;
    Visti gli atti e i documenti depositati con il ricorso;
    Vista   la   domanda   di   sospensione   della   esecuzione  del
provvedimento   impugnato,   presentata   in   via   incidentale  dai
ricorrenti.
    Udito il relatore ref. Massimiliano Balloriani;
    Considerato in fatto e diritto quanto segue.

                              F a t t o

    Questo  tribunale  amministrativo,  con  le  ordinanze  n. 1173 e
n. 1174  del  17 dicembre 2003, si e' pronunziato in via cautelare su
entrambi  i  ricorsi,  con  i quali sono stati impugnati due distinti
provvedimenti  di  demolizione  riferiti a parti diverse del medesimo
immobile abusivo. L'accoglimento delle istanze cautelari si e' basato
sulle   seguenti   considerazioni,  tutte  contenute  nelle  relative
motivazioni.
    L'immobile  risulta  essere  stato  realizzato  senza concessione
edilizia,  con  inizio  dei  lavori  a  far  data  dal  1982, secondo
l'accertamento operato dal comune.
    La costruzione ricade nella fascia dei trecento metri dal demanio
marittimo,  che,  in  virtu'  dell'art.  51,  lett.  f),  della legge
regionale  della  Puglia  n. 56/1980  risulta sottoposta a vincolo di
inedificabilita'  assoluta,  fino  all'entrata  in  vigore  dei piani
territorali.
    Con  delibera  di g.r. n. 1478 del 15 dicembre 2000 della Regione
Puglia e' stato approvato il PUTT regionale pubblicato sul BUR Puglia
dell'11   gennaio   2001,   il  quale  prevede  come  prima  fase  la
perimetrazione  su  cartografia  catastale dei territori costruiti ai
sensi dell'art. 1.03 comma 5 disposizioni generali - titolo 1 - delle
norme  tecniche  di  attuazione  del  Piano  Urbanistico Territoriale
Tematico  regionale,  secondo  cui  le  norme contenute nel piano non
trovano  applicazione  all'interno  dei  «territori costruiti», tra i
quali,  in base al punto 5.3 dell'articolo in questione, rientrano le
aree  che,  ancorche'  non  tipizzate  come  zone  omogenee  B  dagli
strumenti urbanistici vigenti, vengano riconosciute come regolarmente
edificate   e   vengano  perimetrate  su  cartografia  catastale  con
specifica deliberazione del consiglio comunale.
    All'art. 5.02  delle  predette  norme  tecniche di attuazione, al
punto  5.02,  e'  stabilito che l'autorizzazione paesaggistica non va
richiesta  per i beni inclusi nelle categorie di cui al titolo II del
decreto  legislativo  n. 490/1999  e  sottoposti  a tutela dal piano,
ricadenti nei «territori costruiti» di cui all'art. 1.03.
    Pertanto,  come si evince anche dalla relazione generale allegata
alla   perimetrazione   su  base  catastale  redatta  da  un  tecnico
incaricato  dal comune ed approvata, in attuazione delle citate norme
del  PUTT,  con  delibera  del  commissariale  del  Comune  di Nardo'
n. 292/2002,  la  definizione  di tali perimetrazioni comporta la non
assoggettabilita'   degli   interventi  a  preventiva  autorizzazione
paesaggistica.
    Ad  un  primo  esame  della predetta perimetrazione, gli immobili
abusivi ricadono nell'ambito dei «territori costruiti».
    Il  decreto-legge  n. 269  del  30 settembre 2003, convertito con
legge  del 24 novembre 2003 n. 326, all'art. 32, comma 25 ha previsto
che  le  disposizioni  di  cui ai capi IV eV della legge n. 47/1985 e
s.m.i.  si  applicano  alle  opere abusive ultimate entro il 31 marzo
2003.
    A una sommaria valutazione, non puo' escludersi che i ricorrenti,
come  da  essi prospettato, possano beneficiare di tali disposizioni,
tenuto conto che il disposto dell'art. 33 della legge n. 47/1985 deve
essere  interpretato  nel  senso  che  la concessione in sanatoria e'
preclusa  nel  caso in cui il vincolo d'inedificabilita' assoluta non
solo  e' preesistente alla costruzione, ma, ovviamente, permane anche
al momento della richiesta di condono.
    L'art. 44   del   capo  IV  della  legge  n. 47/1985  prevede  la
sospensione  automatica  ex  lege  dei procedimenti ammministrativi e
giurisdizionali,  rigurdanti gli immobili abusivi, fino alla scadenza
dei  termini  di  presentazione  della domanda in sanatoria (31 marzo
2004),  e  tale  sospensione  non si applica agli incidenti cautelari
innanzi al giudice amministrativo.
    Quindi  la  sezione  ha  ritenuto  che, nei casi in esame, per le
considerazioni   che   precedono,   debba  essere  dichiarato  che  i
provvedimenti  di  demolizioni  impugnati  sono  sospesi  ex  lege  e
pertanto  ha  deciso  di  accogliere  le  istanze cautelari fino alla
decisione  della Corte costituzionale sulla questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre
2003,  convertito  con  legge  del 24 novembre 2003 n. 326, che viene
rimessa con la presente ordinanza.

                               Diritto

    Sulla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale.
    Come evincibile dalla premessa in fatto, la soluzione di entrambe
le   citate   controversie   all'esame   del  giudice  rimettente  e'
determinata  dall'applicazione  dell'art. 32 del decreto-legge n. 269
del  30 settembre  2003,  convertito  con  legge del 24 novembre 2003
n. 326,  i  cui  commi  25 e 28, rinviando all'art. 39 della legge 23
dicembre  1994,  n. 724,  ed  ai  capi IV e V della legge 28 febbraio
1985,  n. 47  - nei quali e' compreso anche l'art. 44, che dispone la
sospensione dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali e della
loro  esecuzione  e che la sospensione non si applica ai procedimenti
cautelari  avanti  agli  organi  di  giurisdizione  amministrativa  -
riaprono i termini per un nuovo condono edilizio.
    Pertanto  la  questione  di  legittimita'  costituzionale di tali
norme  si  pone  come  una vera e propria questione pregiudiziale, un
antecedente logico-giuridico necessario per la decisione della causa,
ed e' pertanto palesemente rilevante nei giudizi in esame.
    1. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    (Poiche'  l'art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del 30 settembre
2003,   convertito   con  legge  del  24 novembre  2003  n. 326,  non
escludendo  che  del  condono possano benficiare anche coloro i quali
sono  gia'  sottoposti  a  procedimento sanzionatorio per l'accertato
abuso,  si  manifesta  irragionevole  per  sproporzione rispetto allo
scopo perseguito).
    Nella sentenza della Consulta n. 369 del 1988 (sulla questione di
legittimita'  costituzionale  degli artt. 31, 34, 35, 38, 39, 43 e 44
della  legge  28  febbraio  1985,  n. 47)  il  condono edilizio viene
qualificato come un'ipotesi di causa d'improcedibilita' sopravvenuta,
distinta,  come  misura di clemenza, dall'amnistia, poiche' l'effetto
dell'estinzione   del   reato   prevede   la   «mediazione  fattuale»
consistente  in  una  pluralita'  di  atti  e comportamenti, quali la
domanda di sanatoria, il versamento della prima rata, la procedura di
sanatoria, sino al pagamento integrale dell'oblazione.
    Sulla base di tali presupposti, la Corte ha ritenuto che la legge
di  condono  non dovesse rispettare la particolare procedura prevista
dall'art. 79   della   Costituzione   (che   attualmente  prevede  la
deliberazione  a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna
Camera)  per  le leggi che concedono l'indulto o l'amnistia (sentenza
n. 427 del 1995).
    Il  condono  edilizio,  secondo la Consulta, rientra comunque, in
generale,  nell'ambito  dei  modi di esercizio del potere di clemenza
ed,  in  particolare,  nei casi di uso della punibilita', considerata
distinta  ed  autonoma dal reato, per orientare il comporatamento del
reo  verso  fini  diversi  da  quelli  relativi  alla difesa del bene
tutelato  dalla  norma  incriminatrice  (sentenza  n. 369  del 1988).
Quindi,  secondo  la Corte, da cio' discende che la ragionevolezza di
tale  uso  della  punibilita',  e  la  conseguente compatibilita' con
l'art. 3  della  Costituzione,  deve  essere valutata in funzione del
rapporto  tra  i  diversi fini cui essa viene diretta e la tutela del
bene-interesse  protetto  dalla  fattispecie incriminatrice, rapporto
dal quale deve risultare un bilanciamento non irrazionale.
    Cosi,  puo'  essere  razionale  cancellare  il carico ingombrante
dell'abusivismo   perpetrato   nel  passato,  sanando  le  precedenti
irregolarita'  oramai  realizzate,  per intensificare e potenziare il
controllo  nel  futuro, stimolando, al contempo, l'autodenunzia degli
abusi,  ed  ottenendo  cosi  agevolmente  il  risultato  utile di una
completa conoscenza dell'assetto edilizio del territorio.
    Proprio  sotto  tale  profilo,  pero', si rileva una prima palese
irragionevolezza   dell'art. 32   del   decreto   legge   n.269   del
30 settembre  2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326,
laddove,  come nel caso dei ricorsi in esame, permette di beneficiare
del  condono  edilizio anche a chi e' gia' sottoposto al procedimento
sanzionatorio,  e  cioe'  anche  in quei casi in cui nessun vantaggio
puo'  essere  ottenuto  in termini di «autodenunzia» degli abusi e di
aggiornamento catastale e tributario in genere.
    Venendo   meno   il   vantaggio   dell'«autodenunzia»,   inoltre,
l'ulteriore   vantaggio,   derivante  dall'eventuale  differenza  tra
l'importo delle somme da versare per beneficiare della sanatoria e le
sanzioni  concretamente  irrogabili  a  chi  e'  gia'  conivolto  nel
procedimento sanzionatorio, non potrebbe comunque essere determinante
in  merito  alla  scelta  di  introdurre  il condono, altrimenti esso
sarebbe  funzionalizzato  ad  obbiettivi  meramenti  finanziari, che,
oltre  a  non  essere affatto eccezionali, sono perseguibili in molti
modi  diversi  e  comunque  piu'  conformi  all'ordinamento,  ad  es.
attraverso  un inasprimento delle sanzioni per gli abusi futuri, come
quello  che  il  legislatore  ha introdotto nel comma 47 dell'art. 32
citato.
    Proprio  tale  ultimo  inasprimento,  a  sua  volta, per apparire
razionale,  presupporrebbe  il  riconoscimento  di  un  alto  rilievo
costituzionale  dei beni interessi tutelati, che alla fine pero' sono
anche  quelli  che  vengono  sacrificati dalla sanatoria degli abusi,
contenuta nella stessa legge che inasprisce le sanzioni.
    Quanto  sopra,  evidentemente,  depone, sotto molteplici punti di
vista, per la mancanza di un ragionevole bilanciamento tra i costi ed
i benefici derivanti dal condono, nei casi di abusi gia' accertati.
    Inoltre,  se tale irragionevolezza poteva essere gia' rilevata in
occasione  del  condono  edilizio  di  cui ai capi IV e V della legge
n. 47/1985, essa si aggrava ulteriormente, come e' evidente alla luce
delle  considerazioni  appena  svolte,  di pari passo con l'ulteriore
aggravamento  dello  squilibrio nel rapporto tra costi e benefici del
condono, aggravamento dovuto all'ulteriore svantaggio derivante dalla
perdita  delle aree abusive gia' acquisite dai comuni, resa possibile
in  seguito  all'introduzione  del  comma 19 dell'art. 39 della legge
23 dicembre  1994,  n. 724 (secondo cui per le opere abusive divenute
sanabili  in  forza  della  presente  legge,  il  proprietario che ha
adempiuto  agli  oneri  previsti  per  la  sanatoria ha il diritto di
ottenere  l'annullamento  delle  acquisizioni  al patrimonio comunale
dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in
attuazione  dell'art. 7,  terzo  comma, della legge 28 febbraio 1985,
n. 47,  e  la  cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico
registro  immobiliare  dietro  esibizione  di certificazione comunale
attestante  l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono
in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nei caso in
cui  le  opere  stesse siano state destinate ad attivita' di pubblica
utilita'  entro  la  data  del  10  dicembre 1994), al quale rinviano
attualmente i commi 25 e 28 dell'art. 32 d.l. n. 269 del 30 settembre
2003, convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326.
    2. - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    (Perche',  anche  a  prescindere  dalle  considerazioni fatte nel
punto precedente, l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre
2003,  convertito  con  legge  del  24 novembre  2003 n. 326, laddove
riapre  i  termini  per  un  nuovo  condono edilizio, appare comunque
sporoorzionato ed inadeguato rispetto al fine).
    La   Consulta,  nel  valutare  la  razionalita'  della  sanatoria
edilizia,  ha  posto  in  evidenza  anche  la  circostanza che spesso
bisogna  prendere  realisticamente  atto che si e' in presenza di una
disapplicazione  pressoche'  assoluta  delle  norme  che prevedono la
demolizione  delle  opere  abusive  e  che le amministrazioni locali,
frequentemente,  appaiono  gestire  in  modo  clientelare il fenomeno
(cosi'  nella  sentenza n. 169 del 1994, in riferimento al disegno di
legge  allora  approvato dall'Assemblea Regionale Siciliana ed avente
ad oggetto «Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio
e  per  la destinazione delle costruzioni abusive esistenti», ma tali
rilievi  appaiono  suscettibili di non azzardate generalizzazioni), e
comunque  della  scarsa  tempestivita' ed incisivita' delle azioni di
controllo  e  repressione,  specie prima dell'intera realizzazione di
manufatti, motivo per cui deve parimenti escludersi che la riapertura
dei  termini  del  condono  edilizio vanifichi di per se' l'azione di
controllo e di repressione delle amministrazioni (sentenza n. 416 del
1995,  a  proposito del condono reintrodotto dall'art. 39 della legge
n. 724 del 1994).
    Tali   considerazioni   pero'   non   possono   estendersi  anche
all'art. 32   del   decreto   legge  n. 269  del  30 settembre  2003,
convertito  con legge del 24 novembre 2003 n. 326, che, quindi, anche
sotto tale profilo, si manifesta viziato da irragionevolezza, poiche'
sproporzionato e comunque inadeguato rispetto al fine.
    Infatti,   le   considerazioni  della  Corte  sono  riferibili  a
provvedimenti  unici  ed  eccezionali,  di  chiusura  di  un'epoca di
illegalita',  giustificati  quindi  anche dalla necessita' di evitare
grosse   disparita'   fra   il  prima  (caratterizzato  da  eccessivo
permissivismo) ed il dopo (che si prospetta, almeno nelle intenzioni,
intransigente verso gli abusi).
    Ma  e'  di tutta evidenza che tali valutazioni debbano ribaltarsi
in  ragione  di  una  ciclicita'  della  riapertura  dei  termini  di
proposizione delle domande di condono.
    Guardando  al  passato,  infatti,  devono  presumersi notevoli le
perdite  economiche  derivanti  dai procedimenti di accertamento gia'
iniziati  e  giunti  in fase avanzata o addirittura, come nei casi in
decisione, arrivati alla fase dell'ordinanza di demolizione.
    Tali  attivita'  devono  considerarsi, infatti, tutte, ancora una
volta,  inutilmente  eseguite  e  quindi  non  compensate  da  alcuna
acquisizione  in  termini di valore ambientale e paesaggistico, oltre
che economico.
    Inoltre,   nella   comparazione   (sempre   nella   logica  della
ragionevolezza,   come  bilanciamento  fra  interessi  sacrificati  e
vantaggi  perseguiti)  dei  valori  in gioco, deve considerarsi anche
l'effetto disincentivante dei controlli, ovvero la circostanza che la
previsione  del  futuro  esito  vano  dei procedimenti di vigilanza e
repressione  dell'abusivismo, per come si prospetta agli operatori ed
agli  enti locali in virtu' di tali interventi normativi ciclici, non
certo   contribuisce  alla  realizzazione  dei  dichiarati  scopi  di
inasprimento  della lotta all'abusivismo, anzi l'effetto si prospetta
di segno contrario.
    A  cio'  si  aggiungano  inoltre gli oneri che le amministrazioni
dovranno   affrontare   per   la   riqualificazione   urbana   e  per
l'adeguamento  delle  proprie scelte urbanistiche allo stato di fatto
imposto dall'abusivismo.
    3.  -  Violazione degli artt. 3, 27 comma terzo, e 97 comma primo
della Costituzione.
    (Poiche'  l'art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del 30 settembre
2003,  convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326, introducendo
per  la  terza  volta un condono edilizio, sacrifica eccessivamente i
beni protetti dalle norme incriminatrici in materia edilizia, i quali
costituiscono   risorse   limitate,   e   pertanto  non  appare  piu'
ragionevole  la valutazione sul bilanciamento fra interessi, fatta in
occasione  dei  precedenti  condoni, e cio' in violazione dell'art. 3
della Costituzione.
    Poiche'  l'art. 32  cit.  svilisce  l'efficacia  preventiva delle
norme  sanzionatorie,  in  violazione  dell'art. 27 comma terzo della
Costituzione.
    Poiche'  l'art. 32  cit.  costituisce un esempio di diseducazione
civile  e  si pone, nelle previsioni e negli effetti, al di fuori del
quadro  dei  valori  su  cui  e'  costruito  lo  Stato di diritto, in
violazione degli artt. 3 e 97 comma primo della Costituzione).
    Sempre  in  merito  alla  ragionevolezza  del contemperamento dei
valori in gioco, coinvolti dall'uso a diversi fini della punibilita',
la  Consulta, a proposito della legittimita' dall'art. 39 della legge
n. 724 del 1994, ha anche precisato che la riapertura dei termini per
la  presentazione  delle  domande  non fa venir meno le condizioni di
straordinarieta'  del condono e quindi la sua ragionevolezza, poiche'
l'entita'  del  fenomeno di applicazione ed utilizzazione della norma
impugnata  nelle  varie  regioni  induce  a  ritenere  la persistenza
dell'abusivismo,  e,  pertanto,  la  necessita'  di un recupero della
legalita' attraverso la regolamentazione dell'assetto del territorio,
onde  procedere  ad  un  definitivo  riordino della materia (sentenza
n. 427  del  1995), tenuto pero' conto che la gestione del territorio
sulla  base  di  una  necessaria  programmazione  sarebbe  certamente
compromessa   sul   piano  della  ragionevolezza  da  una  ciclica  o
ricorrente   possibilita'   di   condono-sanatoria   con  conseguente
convinzione  di  impunita' (sentenza n. 416 del 1995) e vanificazione
delle  norme  repressive  di quei comportamenti che il legislatore ha
considerato   illegali   perche'   contrastanti  con  la  tutela  del
territorio.
    Inoltre,    sempre   secondo   gli   insegnamenti   della   Corte
costituzionale, la normativa e' tanto piu' ragionevole quanto piu' da
essa non emerga solo una sanatoria degli illeciti passati, ma, sempre
nel  contemperamento  dei  valori  in  gioco,  dal complessivo quadro
normativo  emerga  invece  un  serio  intento  di  porre  in atto una
risistemazione  della  materia  del  governo del territorio idonea ad
impedire   il   ripetersi   del   fenomeno  dell'abusivismo  edilizio
attraverso la sua repressione (sentenza n. 427 del 1995).
    Anche alla luce di tale orientamento della Consulta, si manifesta
pur sempre l'illegittimita' dell'art. 32 citato.
    Innanzitutto,  il legislatore, riaprendo nuovamente i termini per
il   condono   edilizio,  ha  realizzato  proprio  quella  ciclicita'
(novennale),  che  la  Corte  aveva  gia'  indicato  come elemento di
irragionevolezza di un ulteriore eventuale intervento.
    L'art. 32   del   decreto-legge   e'   titolato  «Misure  per  la
riqualificazione   urbanistica   ambientale   e   paesaggistica,  per
l'incentivazione   dell'attivita'   di   repressione  dell'abusivismo
edilizio,   nonche'   per  la  definizione  degli  illeciti  e  delle
occupazioni  di  aree  demaniali»  ed in effetti, per il vero, il suo
contenuto,  prima  facie,  non  ne  tradisce  il  titolo, poiche' dal
combinato disposto dei commi 50, 6, 9, 10, 11, 13 e 24, si evince che
il  nuovo  condono  e'  in  parte  funzionalizzato  al  finanziamento
dell'attivita'     di    repressione    dell'abusivismo    ed    alla
riqualificazione  urbana  e valorizzazione delle risorse ambientali e
demaniali.
    I commi 47, 49-ter e 49-quater inaspriscono le sanzioni e rendono
le  demolizioni di immobili abusivi potenzialmente piu' effettive per
il futuro.
    Quindi,  anche  questa  volta,  si  potrebbe  essere  tentati  di
sostenere  che la chiusura di un'epoca e' un passaggio necessario per
rendere  effettivo  il  cambiamento,  caratterizzato  da una migliore
organizzazione ed un nuovo inasprimento delle sanzioni.
    Inoltre,  i  proventi del condono sono destinati in parte anche a
finanziare proprio l'attivita' di vigilanza e repressione (commi 13 e
50)   ed   in   cio'  potrebbe  trovarsi  un  ulteriore  elemento  di
ragionevolezza   dell'uso  «strategico»  della  punibilita',  perche'
finalizzato  proprio  alla  tutela futura dei beni-interessi tutelati
dalle norme incriminatrici.
    Se  non  che  tali  previsioni  sono  neutralizzate  alla base da
effetti  pratici dannosi ben piu' rilevanti di quelli positivi che si
e' inteso raggiungere.
    Tali effetti dannosi derivano proprio dalla circostanza che e' la
terza  volta  che,  a puntuale scadenza, vengono nuovamente condonati
gli abusi edilizi.
    E' evidente, infatti, che il bilanciamento dei vari interessi che
la  Corte  aveva  valutato  ragionevole  ora  non puo' dare lo stesso
risultato, poiche' i beni tutelati dalle norme incriminatrici vengono
lesi per la terza volta, e quindi, complessivamente, con un risultato
ben  piu'  grave,  poiche'  l'ambiente  ed il territorio sono risorse
limitate  e  gli effetti della loro compressione sono tendenzialmente
irrevesibili.
    Il   succedersi   ciclico  delle  leggi  incriminatrici  e  delle
sanatorie,   inoltre,  produce  un  effetto  svilente  dell'efficacia
preventiva  delle  sanzioni in materia edilizia, in aperta violazione
dell'art. 27, comma terzo della Costituzione.
    Secondo  l'insegnamento della Consulta, se da un lato e' vero che
una politica di corretta gestione del territorio non puo' realizzarsi
senza  una  contemporanea valutazione dei problemi di ordine pubblico
che  lo  strumento  della  demolizione  puo'  comportare  e,  piu' in
generale,   delle   tensioni   presenti  in  aree  dove  il  fenomeno
dell'abusivismo  e'  pressoche'  generalizzato  (sentenza  n. 169 del
1994),  d'altro  canto  e'  anche vero che una normativa consolidante
situazioni  di  fatto costituitesi illegalmente e' di per se causa di
ben  piu'  gravi  e  durature  tensioni sociali, oltre che esempio di
diseducazione  civile,  dimostrandosi  ai  cittadini rispettosi delle
leggi   che  essi,  anziche'  tutelati,  sono  spogliati  delle  loro
spettanze  a favore di chi anche se spinto dall'impulso di saddisfare
l'esigenza fondamentale dell'abitazione ha violato la legge (sentenza
n. 16 del 1992).
    Ed  il  condono edilizio, nelle sue conseguenze pratiche, come ha
insegnato  il  passato,  e' foriero di danni proprio nei confronti di
chi ha ripettato la legge, a vantaggio di chi l'ha violata.
    Spesso,   ad   esempio,   i  comuni  hanno  dovuto  procedere  ad
espropriazioni in zone caratterizzate dall'abusivismo, per realizzare
le  opere di urbanizzazione a favore di chi aveva violato la legge, e
cio'  non  puo' non essere ritenuto al di fuori del quadro dei valori
su  cui  e' costruito lo Stato di diritto (Corte costituzionale n. 16
del 1992).
    In  breve,  una  normativa  che,  per  l'irragionevolezza  che ne
caratterizza il fine strategico (come visto il bilanciamento dei beni
coinvolti,  sotto  le  varie  prospettive,  porta  sempre a risultati
svantaggiosi per la collettivita), si manifesta in realta' utile solo
a realizzare il consolidamento di privilegi ottenuti illegittimamente
ed  in  violazione  di  norme sanzionatorie, appare in tutta evidenza
come una normativa di diseducazione civile (sentenza n. 14 del 1999),
e   come   tale   non   puo'   essere   compatibile  con  il  sistema
costituzionale, se non altro con gli art. 3 e 97 della Costituzione.
    Tale  effetto  di  diseducazione  civile,  inolte,  e' ancor piu'
evidente proprio nelle sanatorie edilizie, dove, all'estinzione della
pena,   si  accompagna  l'effetto  permanente  di  conservazione  del
prodotto  del  reato, poiche' la costruzione viene «sanata» (anche in
spregio   ai   vigenti   strumenti   urbanistici)   e   quindi  manca
l'eliminazione delle cose che, provenendo da fatti illeciti penali, o
in  alcuna  guisa  collegandosi alla loro esecuzione, mantengono viva
l'attrattiva  del reato (cosi' la relazione ministeriale sul progetto
del codice penale, in merito alla confisca di cui all'art. 240 c.p.).
    E  cio' trova puntuale conferma in quanto espresso dalla Consulta
nella  sentenza  n. 416  del  1995, ovvero che, dato che l'abusivismo
comporta  effetti  permanenti  (qualora non segua la demolizione o la
rimessa in pristino), il semplice pagamento di oblazione non restaura
mai  l'ordine  giuridico violato, qualora non comporti la perdita del
bene  abusivo  o  del suo equivalente almeno approssimativo sul piano
patrimoniale
    4. - Violazione dell'art. 3 e 97 della Costituzione.
    (Perche'  l'art. 32  del  decreto-legge  n. 269  del 30 settembre
2003.  convertito  con  legge del 24 novembre 2003 n. 326 non prevede
che  gli  oneri  di  concessione  debbano  essere  comunque  uguali o
superiori  al  valore  venale  dell'immobile costruito abusivamente o
all'aumento   di   valore   dell'immobile   abusivamente  ampliato  o
modificato).
    Un   altro   vizio   potrebbe  ravvisarsi,  in  via  subordinata,
nell'art. 32  cit.,  laddove non prevede che gli oneri di concessione
debbano   essere   comunque  uguali  o  superiori  al  valore  venale
dell'immobile   costruito   abusivamente   o  all'aumento  di  valore
dell'immobile abusivamente ampliato o modificato.
    Cio'   perche',  in  caso  contrario,  l'ordinamento,  in  palese
contraddizione   con   se'   stesso,   e  quindi  irragionevolemente,
permetterebbe  espressamente a chi ha violato la legge di ottenere un
vantaggio economico.
    Anche  dal  punto 4.5 della parte in diritto della sentenza della
Corte   costituzionale   n. 169   del  1994,  sembrerebbe  evincersi,
generalizzando,  che  comunque  il corrispettivo, che deve pagare chi
beneficia  di  un  illecito,  non puo' essere una semplice indennita'
ragguagliata  agli  oneri di urbanizzazione, ma si deve avvicinare al
valore  venale del vantaggio acquisito attraverso l'illecito, pena la
violazione anche dell'art. 97 della Costituzione.
    5.  -  Violazione  degli artt. 117 comma terzo, 118, comma primo,
120, comma secondo della Costituzione.
    (Poiche', con l'art. 32 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre
2003,  convertito  con  legge  del  24 novembre  2003 n. 326, che non
costituisce normativa di principi fondamentali, lo Stato ha invaso la
competenza  legislativa  regionale,  violando  l'art. 117 comma terzo
della   Costituzione,   senza  che  cio'  possa  essere  giustificato
dall'art. 118 comma primo, della Costituzione, poiche' non v'e' stato
il coinvolgimento partecipativo delle regioni, e senza che cio' possa
essere  giustificato  dall'art. 120,comma secondo della Costituzione,
poiche' non e' stato rispettato il relativo procedimento).
    Laddove,  in  passato,  si  e'  rilevato  che il condono di abusi
edilizi non solo formali, ma anche sostanziali, impedirebbe agli enti
competenti  (regioni  e  comuni)  qualsiasi intervento di governo del
territorio, costringendoli a prendere atto di scelte contrastanti con
gli  strumenti  urbanistici  adottati,  la  Corte  ha ribadito che la
diffusione  del  fenomeno  dell'abusivismo edilizio e' da addebitare,
almeno  in  parte,  anche  alla  scarsa  incisivita'  e tempestivita'
dell'azione  di controllo e di repressione da parte degli enti locali
e regioni a cio' preposti, oltre - si puo' aggiungere - al difetto di
una   attivita'   coordinata  di  polizia  locale  specializzata  nel
controllo   del  territorio,  ed  inoltre  che  la  esclusione  della
punibilita'   rientra   nella   materia   penale,   nel   cui  ambito
l'affermazione  della  esclusivita'  della  competenza statale e' una
costante  della  giurisprudenza  costituzionale,  ed  inoltre che gli
artt. 117  e 118 della Costituzione, come attuati dall'art. 81, comma
primo,  lettera  a),  del  decreto del Presidente della Repubblica 24
luglio  1977,  n. 616,  riservano  allo Stato il potere di fissare le
linee  fondamentali  dell'assetto  del territorio nazionale (sentenza
n. 427 del 1995).
    Si  e'  gia' sopra osservato che tali considerazioni non appaiono
riferibili  al  nuovo  condono edilizio introdotto dall'art. 32 cit.,
poiche',  come  si  e'  cercato  di  evidenziare, gli effetti di tale
condono appaiono tutt'altro che idonei a realizzare un'incentivazione
dell'azione  di contrasto ed una disincentivazione delle attivita' di
costruzione  abusiva,  anzi,  si  e' denunziata l'irragionevolezza di
tale normativa proprio perche' essa appare destinata a raggiungere il
risultato contrario.
    A  cio'  deve  aggiungersi  che  l'art. 120,  comma secondo della
Costituzione,  introdotto  dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001
n. 3,  regolamenta  la procedura ed i casi di sostituzione del potere
statale  in  caso  si  inerzia  di  quello  regionale, ed a tal fine,
l'art. 8   della  legge  5  giugno  2003,  n. 131  (Disposizioni  per
l'adeguamento    dell'ordinamento   della   Repubblica   alla   legge
costituzionale  18  ottobre  2001, n. 3), in attuazione dell'art. 120
della  Costituzione,  prevede  un  procedimento  per  l'esercizio del
potere  sostitutivo  del governo, procedimento che nel caso di specie
non risulta essere stato osservato.
    Inoltre,  alla luce delle modifiche introdotte nella Costituzione
dalla  legge  costituzionale  n. 3  del  2001,  anche  se  le materie
dell'urbanistica  e  dell'edilizia rientrano nell'ambito del «governo
del  territorio»,  cosi'  come  precisato  dalla Corte costituzionale
(sentenza  n. 303  del 2003), e pertanto sono materia di legislazione
concorrente  ex  art. 117,  comma  3  della Costituzione, non si puo'
pero'  sostenere  che  il  condono  rientri  nell'ambio  dei principi
fondamentali  della  materia  la  cui  determinazione e' rimessa alla
legge  statale  dall'art. 117,  comma  3  della Costituzione, proprio
perche'  il condono e' una disposizione ontologicamente eccezionale e
transitoria.
    Non  si  puo'  sostenere  che  si  versi  in  materia di principi
fondamentali  della  materia  laddove  la normativa statale, come nel
caso  in  esame,  giunge,  introducendo  la  sanatoria degli immobili
abusivi,  a  derogare, di fatto, puntualmente e permanentemente, alle
singole  previsioni  degli  strumenti urbanistici approvati, privando
cosi'  la  regione  e gli enti locali anche delle funzioni proprie in
materia  di  governo  del  territorio  (gli  enti  locali, per scelta
unilaterale   dello  Stato,  dovranno  rivedere  i  propri  strumenti
urbanistici  per  adeguarli  allo  stato  di fatto creato dagli abusi
sanati).
    Pertanto  l'intervento  del  legislatore  nel  caso  in esame non
sembre   trovare   alcun   fondamento  nell'art. 117  comma  3  della
Costituzione.
    Inoltre, l'art. 32 cit. appare in contrasto anche con l'art. 118,
primo comma, della Costituzione.
    Secondo  la  Consulta  (sentenza n. 303 del 2003), tale articolo,
pur  se  riferito  alla  funzioni  amministrative,  per il necessario
coordinamento  con  il  principio  di  legalita'  che le collega alla
funzione  legislativa,  introduce  un  elemento  di flessibilita', un
meccanismo  dinamico  che  finisce  col rendere meno rigida la stessa
distribuzione  delle  competenze  legislative la' dove prevede che le
funzioni  amministrative,  generalmente attribuite ai comuni, possano
essere  allocate  ad  un  livello  di governo diverso per assicurarne
l'esercizio  unitario,  sulla  base  dei  principi  di sussidiarieta'
differenziazione ed adeguatezza.
    Tuttavia la Consulta non ha mancato di rilevare che l'esigenza di
esercizio  unitario  che  consente di attrarre, insieme alla funzione
amministrativa, anche quella legislativa, puo' aspirare a superare il
vaglio  di  legittimita'  costituzionale  solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attivita'  concertative  e di coordinamento orizzontale, ovverosia le
intese, che devono essere condotte in base al principio di lealta'.
    Nel caso in esame non risulta alcuna partecipazione delle regioni
e degli enti locali all'adozione del provvedimento legislativo di che
trattasi.
    Ne'  una partecipazione successiva puo' ravvisarsi nella clausola
contenuta  nel comma 2 dell'art. 32 cit., secondo cui la normativa e'
disposta  nelle  more  dell'adeguamento della disciplina regionale ai
principi   contenuti  nel  testo  unico  approvato  con  decreto  del
Presidente  della Repubblica n. 380/2001, in conformita' del titolo V
della  Costituzione  come  modificato  dalla  legge costituzionale 18
ottobre  2001  n. 3,  e  comunque  fatte  salve  le  competenze delle
autonomie  locali  sul  governo  del  territorio,  cosi come non puo'
ravvisarsi  nella «cedevolezza» delle norme statali non di principio,
nelle materie di legislazione concorrente.
    La   Consulta   (sentenza  n. 303  del  2003)  ha  rilevato  che,
nonostante  l'inversione  della  tecnica  di  riparto  delle potesta'
legislative  e  l'enumerazione tassativa delle competenze dello Stato
dovrebbe  portare  ad  escludere  la  possibilita'  di  dettare norme
suppletive statali in materie di legislazione concorrente, la portata
precettiva  dell'art. 118,  comma  primo,  consente l'attrazione allo
Stato,    per    sussidiarieta'   e   adeguatezza,   delle   funzioni
amministrative   e   delle   correlative  funzioni  legislative,  per
soddisfare  esigenze  unitarie (ed effettivamente il condono edilizio
comporta   una  considerazione  globale  di  piu'  materie  tra  loro
strettamente   connesse,   ed   alcune  delle  quali  sottratte  alla
legislazione   regionale,   come   l'ordinamento  penale,  la  tutela
dell'ambiente e dei beni culaturali) e che non possono essere esposte
al   rischio   della  ineffettivita',  ed  e'  quindi  legittima  una
disciplina  statale  di  dettaglio  a  carattere suppletivo, la quale
determina  una  temporanea  compressione della competenza legislativa
regionale.
    Tuttavia,  come  pare  evincersi dalla stessa sentenza n. 303 del
2003,   l'adozione  di  norme  statali  suppletive,  se  puo'  essere
legittimata  dal  principio di sussidiarieta', tuttavia deve avvenire
gia'  nell'ambito  di  intese e collaborazioni con le regioni ed enti
locali,  e  non  e'  dato  invece desumere che la «cedevolezza» delle
norme,  che  e'  un'effetto  del  sistema, possa sostituire le intese
necessarie  con  le  regioni,  nell'ambito  dello  spirito  di  leale
collaborazione, intese che pertanto devono essere adottate gia' prima
che  le norme abbiano efficacia (anche se «cedevole») all'interno dei
territori regionali.
    6.  -  Violazione  degli  artt. 3  e  117,  comma  secondo  della
Costituzione.
    (Poiche'  l'art. 32  del  decreto  legge  n. 269 del 30 settembre
2003,  convertito con legge del 24 novembre 2003 n. 326 conferisce di
fatto  alle  regioni  il potere di innovare in materia di ordinamento
penale,    in   violazione   dell'art. 117,   comma   secondo   della
Costituzione, ed inoltre determina una disparita' di trattamento, fra
i  responsabili  di  reati  edilizi,  in  ragione dell'aver costruito
abusivamente  in  una  determinata regione piuttosto che in un'altra,
nonostante l'offesa di beni-interessi tutelati di pari rango).
    In  virtu'  dell'art. 32  del  decreto-legge  30 settembre  2003,
n. 269,  comma secondo (che, per il vero, non appare molto chiaro per
finalita'  ed effetti) si potrebbe anche ritenere che lo Stato, visto
che  la  materia  dell'ordinamento  penale  appartiene  alla  propria
legislazione esclusiva, in virtu' dell' art. 117, comma secondo della
Costituzione,  abbia, di fatto, semplicemente offerto alle regioni la
possibilita'  di  introdurre  un  nuovo  condono  edilizio,  salva la
«cedevolezza»  di  tali  norme  (che,  come visto, non possono essere
considerate  principi fondamentali della materia, data la loro natura
eccezionale   e  derogatoria),  che  appare  ribadita  proprio  dalla
clausola  di  «cedevolezza»  del comma 2, secondo cui la normativa e'
disposta  nelle  more  dell'adeguamento della disciplina regionale ai
principi   contenuti  nel  testo  unico  approvato  con  decreto  del
Presidente  della Repubblica n. 380/2001, in conformita' del titolo V
della   Costituzione   come  modificato  dalla  legge  costituzionale
18 ottobre  2001  n. 3,  e  comunque  fatte salve le competenze delle
autonomie locali sul governo del territorio.
    Tale  ultima  clausola,  pertanto, puo' apparire analoga a quella
prevista  dall'art. 2,  comma  3,  del  decreto  del Presidente della
Repubblica  6 giugno 2001, n. 380, secondo cui le disposizioni, anche
di  dettaglio,  del  presente  testo unico, attuative dei principi di
riodino  in  esso  conenuti,  operano direttamente nei riguardi delle
regioni  a  statuto  ordinario, fino a quando esse non si adeguano ai
principi medesimi.
    Con la particolarita' che, qualora invece le regioni intendessero
mantenere  in  vigore  nei  propri territori la normativa statale sul
condono,  potrebbero  apportarvi solo le modifiche ad esse consentite
espressamente dall'art. 32 citato.
    Ad  esempio  alle  regioni,  in  virtu'  del  comma 26, lett. b),
dell'art. 32   del   decreto-legge  n. 269  del  30  settembre  2003,
convertito  con legge del 24 novembre 2003, n. 326, e' dato il potere
di  disporre  del  condono  degli  abusi  minori, cioe' quelli di cui
all'art.  3,  comma  1,  lett.  b),  del decreto del Presidente della
Repubblica  n. 380/2001,  e cio' puo' apparire una logica conseguenza
del  fatto  che  tali opere sono assoggettate alla denunzia di inizio
attivita'  in  base  all'art.  4  della legge n. 493 del 1993 (ora in
virtu'  del  combinato  disposto  degli artt. 22 e 10 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  n. 380/2001) e pertanto, in virtu' del
comma  13  dell'art.  4  della  legge n. 493 del 1993 (secondo cui la
mancata denuncia di inizio dell'attivita' non comporta l'applicazione
delle  sanzioni  previste  dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985,
n. 47.  E'  fatta  salva l'applicazione dell'art. 2 del codice penale
per  le  opere  e  gli  interventi  anteriori alla data di entrata in
vigore  della  presente  disposizione),  ora sostituito dall'art. 37,
comma  6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, di
fatto,   le   Regioni  vengono  in  realta'  a  disporre  solo  della
punibilita'  in  materia  di  sanzioni  amministrative,  in  rispetto
dell'art.  117, comma secondo, della Costituzione, che riserva in via
esclusiva  allo  Stato  la  legislazione  in  materia  di ordinamento
penale.
    Anche  accogliendosi tale interpretazione, che appare prima facie
piu'  rispettosa  del  riparto  di competenze legislative fra Stato e
regioni, tuttavia, la normativa si manifesta parimenti illegittima.
    Ed infatti, le regioni, avendo la possibilita', con un tempestivo
intervento legislativo (il che, per il vero, non e' tanto agevole, ed
in   cio'   di  potrebbe  ravvisare  un  importante  effetto  pratico
dell'adozione da parte del Governo di un decreto-legge, nonostante le
ragioni  di  necessita' ed urgenza siano tutt'altro che evidenti), di
rendere  operativa la clausola di «cedevolezza» contenuta nel comma 2
dell'art.  32,  in  questione,  di  fatto  hanno  la  possibilita' di
disporre  in  merito  all'efficacia del condono dei reati edilizi sul
proprio   territorio,  in  violazione  dell'art. 117  comma  2  della
Costituzione,  che  affida  allo  Stato  la legislazione esclusiva in
materia  di  ordinamento  penale,  ed in violazione dell'art. 3 della
Costituzione, poiche' i responsabili dei reati sarebbero discriminati
in  materia penale in ragione dell'aver costruito abusivamente in una
determinata  regione  piuttosto  che in un'altra, nonostante il reato
offenda astrattamente beni- interessi tutelati di pari rango.
    Tale  risultato  illegittimo dovrebbe essersi gia' verificato per
quelle  regioni  che  hanno  gia'  ottemperato  al combinato disposto
dell'art. 2,  comma  3, del decreto del Presidente della Repubblica 6
giugno  2001,  n. 380  e  dell'art. 32 del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269, comma 2.
                              P. Q. M.
    Riuniti i ricorsi in epigrafe, ritenuta d'ufficio rilevante e non
manifestamente    infondata   la   questione   di   costituzionalita'
dell'art. 32  del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito
con  legge  del  24 novembre 2003 n. 326, il quale nei commi 25 e 28,
rinviando all'art. 39 della legge 3 dicembre 1994, n. 724, ed ai capi
IV  e  V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, riapre i termini per un
nuovo  condono  edilizio,  per  contrasto  con gli artt. 3, 27, comma
terzo, 97, comma primo, 117, commi secondo e terzo, 118, comma primo,
120, comma secondo della Costituzione:
        sospende i giudizi in corso;
        ordina  la  trasmissione di questa ordinanza e degli atti dei
giudizi alla Corte costituzionale;
        ordina  la  notificazione  di  questa ordinanza alle parti in
causa  ed  alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  e  la sua
comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
    Cosi'  deciso in Lecce, nella camera di consiglio del 17 dicembre
2003.
                       Il Presidente: Ravalli
                       L'estensore: Balloriani
04c0427