N. 41 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 marzo 2004
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 marzo 2004 (del Presidente del Consiglio dei ministri) Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Emilia-Romagna per la salvaguardia del territorio dall'abusivismo urbanistico ed edilizio - Prevista adozione entro il 31 marzo 2004 di legge regionale recante nuove norme in materia di vigilanza sull'attivita' urbanistico-edilizia - Enunciazione dei relativi principi ispiratori - Obbligo per i Comuni di sospendere, fino all'entrata in vigore della nuova legge regionale, ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi in base all'art. 32 del d.l. n. 269/2003 - Previsioni equivalenti ad un ordine di disapplicare la normativa statale sul condono edilizio, in attesa di futuri precetti legislativi della Regione - Ricorso dello Stato - Denunciata lesione della competenza esclusiva statale in materia di «ordinamento penale» - Diversificazione della legge penale a livello regionale e conseguenti disuguaglianze nella stessa materia - Incidenza sulla manovra finanziaria e di bilancio dello Stato, sulla «autonomia finanziaria» e sulla garanzia di risorse dello Stato e degli enti a finanza derivata, sull'obbligo di copertura delle leggi di spesa e sul rispetto del patto di stabilita' dell'Unione europea - Compressione della competenza legislativa statale in materia di «coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari» - Violazione della competenza statale a determinare i principi in materia di governo del territorio e di titoli abilitativi edilizi - Non consentita adozione di legge regionale di mera «reazione» per escludere l'applicabilita' in territorio regionale di disposizioni statali appena prodotte - Possibile pregiudizio al principio di unita' della Repubblica - Inconciliabilita' con la facolta' delle Regioni di impugnare le leggi statali dinanzi alla Corte costituzionale. - Legge della Regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1. - Costituzione, artt. 3, 5, 51, 81, 117, commi secondo, lett. l), e terzo, 119, 127, comma secondo, e 134. Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale - Ricorso dello Stato - Impugnazione di legge della Regione Emilia-Romagna che impedisce ai proprietari di immobili siti in territorio regionale di accedere alla sanatoria straordinaria degli abusi edilizi - Prospettato pregiudizio all'interesse dello Stato e degli enti "a finanza derivata" a conseguire gli introiti da «condono edilizio» previsti in bilancio statale - Ulteriore pregiudizio per l'ordinamento giuridico della Repubblica - Istanza alla Corte costituzionale di sospensione della vigenza della legge regionale impugnata. - Legge della regione Emilia-Romagna 16 gennaio 2004, n. 1. - [Legge 5 giugno 2003, n. 131, art. 9, comma 4, sostitutivo dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87]; Costituzione, artt. 3, 5, 51, 81, 117, commi secondo, lett. l), e terzo, 119, 127, comma secondo, e 134.(GU n.13 del 31-3-2004 )
Ricorso per il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, nei confronti della Regione Emilia-Romagna, in persona del suo presidente della giunta, avverso la legge regionale 16 gennaio 2004, n. 1, intitolata «Misure urgenti per la salvaguardia del territorio dall'abusivismo urbanistico ed edilizio», pubblicata nel Bollettino ufficiale n. 8 del 16 gennaio 2004. La determinazione di proposizione del presente ricorso e' stata approvata dal Consiglio dei ministri nella riunione del 13 febbraio 2004 (si depositera' estratto del relativo verbale). La regione Emilia-Romagna ha proposto una prima controversia (reg. ric. n. 83 del 2003) di legittimita' costituzionale nei riguardi di commi puntualmente indicati dell'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, ed una seconda similare controversia nei riguardi dei medesimi commi, come risultati dalla conversione nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Con l'apparentemente inutile art. 1 della legge ora in esame il Consiglio regionale ha indicato solo a se stesso un percorso che potrebbe poi non intraprendere o non portare a compimento (od a tempestivo compimento) ed alcuni principi che potrebbe poi disattendere. Invero, l'art. 1 costituisce solo una sorta di preambolo politico al successivo art. 2, ove ai comuni e' ordinato di sospendere (ossia e' vietato di adottare) «ogni determinazione circa la conclusione dei procedimenti relativi alla definizione degli illeciti edilizi, cosi' come regolati (i procedimenti) dall'art. 32 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269» (non e' menzionata la legge di conversione del novembre precedente); cio' non fino al 31 marzo 2004, ma «fino all'entrata in vigore della legge regionale, prevista dall'art. 1» (evento tuttora connotato da oggettive incertezze persino sul «se» e sul «quando»). Non e' chiaro se l'anzidetta «sospensione» contraddica la sospensione dei procedimenti sanzionatori amministrativi prevista dalla legge 28 febbraio 1985, n. 47, richiamata dal comma 25 del menzionato art. 32. Negli artt. 1 e 2 della legge in esame, congiuntamente letti, non pare possa essere ravvisata una rivendicazione della competenza a produrre una diversa disciplina legislativa della sanatoria degli abusi edilizi; anche se l'art. 1, comma 3, preannuncia l'intendimento di statuire la «generale non sanabilita' delle violazioni in contrasto con la strumentazione urbanistica vigente» (non solo in contrasto con i vincoli extraurbanistici e/o in contrasto con quella parte delle prescrizioni urbanistiche che assume valenza anche paesistica e comunque di salvaguardia). Alquanto irrealistico risulta comunque il secondo periodo dell'art. 2, ove si ipotizzano «interessati» i quali autodenuncino gli abusi commessi, senza sapere quali conseguenze seguiranno. La legge in esame, al netto dei propositi, si concreta nell'ordine dato ai comuni, destinatari - essi pure - della legge dello Stato, di non dare esecuzione a tale legge, di disapplicarla, e di attendere altri e futuri precetti legislativi della Regione; un ordine neppur circoscritto, e neppure giustificato dalla promessa di un prossimo «adeguamento» alle disposizioni dei testo unico menzionato nel comma 2 del menzionato art. 32. In breve, solo un contrasto tra fonti del diritto e quindi tra entita' che le producono (come accaduto piu' volte nella Storia, a segnare momenti di «rottura» di equilibri istituzionali). L'art. 2 in esame, nel suo secondo periodo, non ipotizza alcun raccordo tra la normativa regionale solo preannunciata dall'art. 1 e le disposizioni statali in tema di oblazione penale e di sospensione dei processi pendenti; disposizioni - queste - la cui applicazione non e' di competenza dei comuni. E' incontrovertibile che il legislatore statale ha prodotto le disposizioni in tema di oblazione in forza della competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento penale» (art. 117, comma secondo, lettera L della Costituzione), e che tali disposizioni costituiscono il fulcro delle norme statali sul condono edilizio. Posto che la materia «ordinamento penale» e' di esclusiva competenza statale, la sottrazione dal territorio nazionale del territorio di una o piu' Regioni introduce disuguaglianze (art. 3 Cost.) non legittimate dal riconoscimento in Costituzione delle autonomie regionali. Queste non possono condurre a discipline diversificate nell'ambito delle materie riservate allo Stato. Non pare che fatti identici (ad esempio, edificazioni in assenza di permesso di costruire) siano repressi penalmente in una regione, e non repressi perche' sanati «per condono» in altre regioni. In questo quadro, la legge regionale in esame appare, oltre che irriguardosa dell'art. 117, comma secondo, lettera L, Cost. e lesiva dell'art. 3 Cost., anche contrastante con l'art. 117, comma terzo, Cost., con gli artt. 81 e 119 Cost., e persino con gli artt. 51, 127, comma secondo, e 134 Cost. Considerato che gli introiti attesi dalle oblazioni sono stati inseriti nella finanziaria 2004 dello Stato (legge 24 dicembre 2003 n. 350), impedire l'applicazione nel territorio di una regione dei commi menzionati nel comma 2 dell'art. 1 in esame concreta una ingerenza nella formazione del bilancio annuale dello Stato e quindi una lesione di quella «autonomia finanziaria» che anche, ed anzitutto, allo Stato deve essere garantita, una compressione della competenza legislativa per il «coordinamento della finanza pubblica e dei sistemi tributari», una sottrazione di risorse destinate alla copertura (art. 81 Cost.) di spese pubbliche approvate dal Parlamento, e - da ultimo - una rottura del vincolo dato dal patto di stabilita' concordato a livello da Unione europea. L'art. 119 Cost. e' anche qui evocato perche' essenziale dovere costituzionale dello Stato e' assicurare a se stesso ed agli enti «a finanza derivata» le risorse occorrenti: tale dovere e' talmente prioritario e fondamentale da aver reso superflua l'esplicita indicazione in Costituzione dei modi e dei mezzi consentiti per farvi fronte; significativa e' l'assenza nell'art. 119 Cost. di una esplicita garanzia di risorse proprie anche per lo Stato. La Regione la quale ostacoli mediante propria legge una manovra di finanza pubblica statale dovrebbe farsi carico di assicurare altrimenti l'invarianza del «livello massimo del saldo netto da finanziare» (art. 1, comma 1, della legge finanziaria citata), ad esempio rinunciando ad apporti di finanza derivata dallo Stato. D'altro canto, la legge in esame contrasta con l'art. 117, comma terzo, Cost. che riconosce allo Stato la competenza alla «determinazione dei principi» (si noti «determinazione», e non ottativa indicazione) in materia di «governo del territorio». Codesta Corte ha insegnato che spetta tuttora allo Stato - anche per le evidenti e plurime connessioni con la materia «ordinamento civile» (art. 117, comma secondo, lettera L, Cost.) - produrre la disciplina normativa in tema di titoli abilitativi edilizi. In questo ambito deve collocarsi pure la previsione di titoli abilitativi non ordinari, quali quelli per sanatoria non «a regime», specie se tale previsione si salda con (ed e' integrata da) la prefigurazione di programmi di riqualificazione urbanistico-edilizia. Da ultimo, occorre rilevare - e trattasi di argomento assorbente - che ai legislatori regionali non puo' essere consentito di produrre norme meramente demolitorie e «di reazione», le quali statuiscano la non applicazione nel territorio regionale di disposizioni poc'anzi prodotte dallo Stato. Iniziative siffatte possono pregiudicare l'unita' della Repubblica (art. 5 Cost.) e comunque concretano una sorta di anomala «autodichia». L'ordinamento costituzionale (ora art. 127, comma secondo, Cost.) riconosce ad ogni Regione la facolta' di sottoporre a codesta Corte le disposizioni statali che reputa affette da illegittimita' costituzionale, e cosi' esclude che il potere legislativo regionale possa - grazie alla agevolmente realizzabile rapidita' della produzione legislativa ad opera dei consigli regionali ed alla soppressione dell'istituto del rinvio governativo, e facendo leva sulla successione della leggi nel tempo - essere utilizzato per contrastare l'applicazione di dette disposizioni statali (non rileva se in assenza o in pendenza del ricorso della Regione). Quest'ultima considerazione appare di particolare importanza per il sereno ed equilibrato esplicarsi dei poteri legislativi dello Stato e delle autonomie. Si confida in un insegnamento di codesta Corte, il quale tenga conto anche dell'esigenza di salvaguardare appieno l'autorita' del Parlamento nazionale. La legge regionale in esame, impedendo ai proprietari di immobili siti nella Regione Emilia-Romagna (proprietari non necessariamente in essa residenti) l'accesso alla sanatoria straordinaria degli abusi edilizi durante la pendenza del processo costituzionale, arreca pregiudizio all'interesse dello Stato e degli enti «a finanza derivata» al conseguimento degli introiti «da condono» previsti dal bilancio e dalla legge finanziaria dello Stato. Lo Stato potrebbe trovarsi costretto a sostituire i mancati o ritardati introiti con manovre di finanza straordinaria (per le quali del resto i parametri di Maastricht lasciano margini strettissimi) e con inasprimenti ulteriori della gia' pesante fiscalita', cosi' soffocando ogni speranza di «agganciare» la auspicata ripresa economica e rendendo problematica persino il rimanere all'interno di un contesto concorrenziale; oppure - in alternativa - ad operare «tagli» alla spesa pubblica sia corrente (compreso il «welfare») sia per investimenti. La scelta di ricorrere ad introiti «da condono» non e' stata voluttuaria o di tolleranza degli abusi; essa e' stata imposta dalla bassa congiuntura e dalla distanza che, malgrado semisecolari progressi, ancora separa il nostro Paese dalle economie piu' solidamente strutturate. Inoltre, la legge in esame arreca pregiudizio all'ordinamento giuridico della Repubblica per le considerazioni esposte dianzi nel prospettare i motivi di ricorso. Questa difesa si rende conto dell'esigenza (non solo processuale) di non impegnare codesta Corte nell'esame di istanze cautelari; e pero' istanze siffatte, formulate da Regioni ricorrenti avverso l'art. 32 citato, potrebbero essere esaminate in camera di consiglio l'oramai prossimo 24 marzo 2004.
P. Q. M. Si chiede pertanto che sia dichiarata la illegittimita' costituzionale della legge sottoposta a giudizio previa sospensione della vigenza di essa, con ogni consequenziale pronuncia. Roma, addi' 25 febbraio 2004 Il vice avvocato generale: Franco Favara 04C0439