N. 115 ORDINANZA 5 - 8 aprile 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Processo  penale  -  Querela  -  Recapito  a  mezzo  di  incaricato o
  spedizione  postale - Necessita' della sottoscrizione autentica del
  querelante  -  Preclusione  di  ogni  accertamento,  da  parte  del
  giudice,  circa  l'effettiva sussistenza della volonta' di sporgere
  querela  -  Lamentata  disparita'  di  trattamento,  rispetto  alla
  querela  validamente  proposta, con lesione del diritto di agire in
  giudizio del querelante - Manifesta infondatezza della questione.
- Cod. proc. pen., art. 337.
- Costituzione, artt. 2, 3 e 24.
(GU n.15 del 14-4-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici: Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Guido NEPPI MODONA, Piero
Alberto  CAPOTOSTI,  Annibale  MARINI,  Franco  BILE,  Giovanni Maria
FLICK,   Francesco  AMIRANTE,  Romano  VACCARELLA,  Paolo  MADDALENA,
Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 337 del codice
di procedura penale, promosso, nell'ambito di un procedimento penale,
dal  Tribunale  di  Monza  con  ordinanza  in  data  8 novembre 2002,
iscritta  al  n. 192  del  registro ordinanze 2003 e pubblicata nella
Gazzetta   Ufficiale  della  Repubblica  n. 15,  1ª  serie  speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri;
    Udito  nella  camera di consiglio del 25 febbraio 2004 il giudice
relatore Guido Neppi Modona.
    Ritenuto  che  il Tribunale di Monza ha sollevato, in riferimento
agli  artt. 2,  3  e 24 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 337  del  codice di procedura penale, nella
parte  in  cui  prescrive  che  la  querela,  ove  recapitata  da  un
incaricato  o  spedita  per posta in piego raccomandato, debba essere
corredata  della «sottoscrizione autentica» del querelante, in quanto
«preclude  al  giudice  di  ritenere  comunque  provata  l'originaria
volonta' della persona offesa di sporgere querela»;
        che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo, che procede per
reati perseguibili a querela, premette:
          che la querela e' stata recapitata per conto del querelante
da   un   incaricato,   a  norma  del  secondo  periodo  del  comma 1
dell'art. 337 cod. proc. pen.;
          che la sottoscrizione del querelante non e' autenticata;
          che  in  dibattimento  la  persona  offesa ha confermato la
propria  volonta'  di  perseguire  l'autore del fatto illecito, ma la
difesa  dell'imputato  ha  chiesto  di  pronunciare sentenza ai sensi
dell'art. 469  cod.  proc.  pen.  perche'  l'azione penale non poteva
essere iniziata per difetto di valida querela;
        che,  alla  luce della giurisprudenza di legittimita', che ha
affermato  che l'espressione «sottoscrizione autentica» va intesa nel
senso   di  «sottoscrizione  autenticata»,  il  Tribunale  rimettente
ravvisa  la  ratio  della  disposizione  censurata  nell'esigenza  di
garantire  «la  provenienza  dell'atto  dal  titolare  del diritto di
sporgere  querela, all'evidente fine di evitare l'inutile attivazione
della  giurisdizione  penale»,  e  rileva  che tale ratio non ricorre
quando il procedimento sia gia' pervenuto alla fase processuale «e il
giudice possa evincere con sicurezza la volonta' della persona offesa
di perseguire penalmente l'autore dell'illecito»;
        che  il  giudice  a  quo  ritiene  di  non poter adottare una
soluzione  interpretativa  conforme  alla predetta ratio, sia perche'
«confliggente prima facie col tenore della disposizione», sia perche'
«nulla   assicurerebbe   che   altri   giudicanti  condividano  detta
interpretazione,  con  il conseguente rischio di trattamenti difformi
da processo a processo»;
        che la disposizione in esame sarebbe percio' in contrasto con
l'art. 3   Cost.,   perche',   mentre  in  presenza  di  una  querela
validamente proposta, con sottoscrizione autenticata, nulla impedisce
al  giudice  di  dubitare «che l'atto esprima la reale volonta' della
persona  offesa  di perseguire penalmente l'autore dell'illecito», in
mancanza  della  autenticazione  della  sottoscrizione  al giudice e'
irragionevolmente   precluso   ogni  accertamento  circa  l'effettiva
sussistenza della volonta' punitiva;
        che  la  disciplina  censurata contrasterebbe inoltre con gli
artt. 2  e 24 Cost., perche' pregiudica l'interesse del querelante ad
agire in giudizio «per chiedere giustizia a fronte del torto subito»;
        che  ad  avviso  del rimettente il contrasto con gli indicati
parametri  costituzionali  sussisterebbe  quindi solo nell'ipotesi in
cui l'originaria volonta' della persona offesa, gia' risultante dalla
sottoscrizione  (pur  non autenticata) della querela, risulti provata
nel corso del procedimento;
        che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio
dei  ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata inammissibile,
risolvendosi  in  un  problema  interpretativo, e comunque infondata,
perche'  la disposizione censurata risponde a un'esigenza di certezza
in  ordine  alla  provenienza dell'atto sottratta ad ogni valutazione
discrezionale da parte del giudice.
    Considerato che il Tribunale di Monza dubita, in riferimento agli
artt. 2, 3 e 24 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
dell'art. 337  del  codice  di  procedura  penale, nella parte in cui
stabilisce  che la querela, ove recapitata da un incaricato o spedita
per  posta  in  piego  raccomandato,  debba  essere  corredata  dalla
«sottoscrizione autentica» del querelante;
        che  il rimettente - rilevato che alla luce di un consolidato
orientamento  giurisprudenziale  per  sottoscrizione  autentica  deve
intendersi  sottoscrizione  autenticata  -  ritiene che la disciplina
censurata  violi l'art. 3 Cost. in quanto irragionevolmente «preclude
al  giudice  di ritenere comunque provata l'originaria volonta' della
persona  offesa  di  sporgere  querela»  anche  nel  caso in cui tale
volonta',   sia   pure   espressa   mediante   un  atto  recante  una
sottoscrizione non autenticata, risulti poi effettivamente confermata
in   dibattimento,   mentre  in  presenza  di  una  querela  proposta
validamente  al  giudice e' consentito verificare che «l'atto esprima
la  reale  volonta'  della  persona  offesa  di perseguire penalmente
l'autore dell'illecito»;
        che  risulterebbero  violati  anche  gli  artt. 2 e 24 Cost.,
perche'  verrebbe  sacrificato  il diritto del querelante di agire in
giudizio per la tutela dei propri interessi;
        che  l'interpretazione  a  cui  aderisce  il ricorrente circa
l'autenticazione  della  sottoscrizione dell'atto di querela e' stata
condivisa  da  questa  Corte  con la sentenza n. 287 del 1995, che ha
dichiarato infondata analoga questione di legittimita' costituzionale
sollevata  in  riferimento  agli  artt. 24  e  112  Cost., in base al
rilievo  che  il  legislatore  ha inteso evitare che la giurisdizione
penale,  in mancanza di qualsiasi verifica circa l'autenticita' della
sottoscrizione   del   querelante,  «possa  mettersi  inutilmente  in
movimento»,  e  che  la  disposizione  censurata introduce quindi una
«ragionevole  cautela  resa  necessaria  dal  mancato contatto tra il
querelante e gli uffici deputati alla ricezione dell'atto»;
        che  il  rimettente,  nel  prospettare  la questione anche in
riferimento  all'art. 3 Cost., pone erroneamente sullo stesso piano i
requisiti  formali  della  querela, tra i quali, allorche' l'atto non
venga   presentato   personalmente   dal   querelante,   rientra   la
sottoscrizione  autenticata, e il suo contenuto sostanziale, che deve
appunto  esprimere  la  volonta'  della  persona offesa di perseguire
penalmente   l'autore   del   reato,  volonta'  il  cui  accertamento
presuppone  che  l'atto  sia  conforme ai requisiti formali richiesti
dalla legge;
        che,  essendo  privi  di fondamento i motivi posti a sostegno
della  presunta  irragionevolezza  della  disciplina  censurata e non
avendo  questa  Corte ragione di discostarsi dalle conclusioni cui e'
pervenuta  con  la sentenza n. 287 del 1995, la questione deve essere
dichiarata  manifestamente infondata in relazione a tutti i parametri
evocati dal rimettente.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 337  del  codice di procedura
penale,  sollevata,  in  riferimento  agli  artt. 2,  3  e  24  della
Costituzione, dal Tribunale di Monza, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                     Il redattore: Neppi Modona
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria l'8 aprile 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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