N. 124 ORDINANZA 7 - 20 aprile 2004

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Misure   di   prevenzione   -   Sorveglianza   speciale  -  Indirizzo
  giurisprudenziale di legittimita' - Applicazione della sorveglianza
  speciale  a  persona  detenuta per espiazione di pena definitiva di
  durata uguale o superiore a quella massima della misura richiesta -
  Ritenuta  «afflizione  aggiuntiva»  rispetto  a quella insita nella
  pena,  con disconoscimento dell'effetto rieducativo di quest'ultima
  - Manifesta infondatezza della questione.
- Legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 3.
- Costituzione, art. 27, terzo comma.
(GU n.17 del 28-4-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
27 dicembre  1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle
persone  pericolose  per  la  sicurezza  e  per la pubblica moralita)
promosso   con  ordinanza  del  17 febbraio  2003  dal  Tribunale  di
Catanzaro  nel  procedimento di prevenzione relativo a A.F., iscritta
al  n. 359  del  registro  ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale    della    Repubblica   n. 25,   prima   serie   speciale,
dell'anno 2003.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
ministri.
    Udito  nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2004 il giudice
relatore Giovanni Maria Flick.
    Ritenuto   che  con  l'ordinanza  in  epigrafe  il  Tribunale  di
Catanzaro  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art. 27, terzo comma,
della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
dell'art. 3   della   legge  27 dicembre  1956,  n. 1423  (Misure  di
prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e
per la pubblica moralita), nella parte in cui «consente che la misura
di  prevenzione  della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza
sia  applicata  a  persona che sia stata condannata a pena definitiva
eccedente  la  durata  massima  della  misura  richiesta  e  si trovi
detenuta  in  espiazione  di  pena,  per reato la cui commissione sia
posta a fondamento della prognosi di pericolosita' sociale»;
        che  il  giudice  a  quo  premette  di essere investito della
richiesta   di   applicazione   della  misura  di  prevenzione  della
sorveglianza   speciale  con  obbligo  di  soggiorno  nel  comune  di
residenza   nei   confronti   di  persona  condannata,  con  sentenza
definitiva,  alla  pena  di  anni sette di reclusione per il reato di
detenzione illecita, a fine di spaccio, di un ingente quantitativo di
sostanza  stupefacente,  ed in atto detenuta per l'espiazione di tale
pena;
        che  ad  avviso  del  rimettente,  in base alle «emergenze di
causa»,  il  proposto  per  la  misura rientrerebbe indubbiamente nel
novero  dei soggetti abitualmente dediti ai traffici delittuosi o che
comunque  vivono abitualmente, in tutto o in parte, con i proventi di
attivita'  delittuose e, dunque, pericolosi per la sicurezza pubblica
ai sensi dell'art. 1 della legge n. 1423 del 1956;
        che,  al  fine di fondare tale giudizio, assumerebbe peraltro
«valenza  centrale  e  decisiva»  proprio  la vicenda illecita per la
quale  il  soggetto  ha  riportato  condanna  definitiva,  in  quanto
inequivocabilmente    sintomatica    della   «spiccata   inclinazione
delinquenziale» del medesimo;
        che  la circostanza che il soggetto proposto per la misura di
prevenzione  stia  scontando  in  carcere una pena detentiva, per gli
stessi fatti illeciti sintomatici della sua pericolosita', indurrebbe
a   ritenere   inutile  l'irrogazione  della  misura  di  prevenzione
richiesta,  in quanto lo stato di restrizione - destinato a protrarsi
per un arco temporale di gran lunga superiore a quello di presumibile
durata  di  detta  misura  -  sarebbe  gia' idoneo a neutralizzare la
pericolosita' sociale di esso;
        che  il  giudice  a  quo ricorda, tuttavia, come il contrasto
giurisprudenziale  insorto,  circa la compatibilita' tra applicazione
della  misura  della  sorveglianza speciale e stato di detenzione del
soggetto  in  base  ad un titolo definitivo, sia stato composto dalle
sezioni  unite  della  Corte  di  cassazione  con  sentenza  25 marzo
1993-14 luglio 1993, n. 6;
        che  in  tale decisione la Corte di cassazione - facendo leva
sulla distinzione, desumibile dalla normativa vigente in materia, tra
il  momento  dell'applicazione  della  misura di prevenzione e quello
della  sua  esecuzione  -  ha affermato che lo stato di detenzione in
espiazione  di  pena  non preclude in alcun modo l'applicazione della
misura,  ma  impone soltanto di differirne l'esecuzione al momento di
cessazione della detenzione;
        che l'assunto si fonda, in particolare, sul duplice argomento
che    l'inclinazione   a   delinquere   del   soggetto   non   viene
necessariamente  cancellata  dall'espiazione  della  pena  e che esso
potrebbe  comunque  riacquistare  la liberta' prima di aver finito di
scontare interamente la pena;
        che,    in    tale    ottica,    l'effetto    risocializzante
dell'espiazione della pena potrebbe assumere quindi rilevanza solo ai
fini  dell'ottenimento, da parte dell'interessato, della revoca della
misura    di    prevenzione   per   sopravvenuta   cessazione   della
pericolosita',  tramite  lo  speciale  «rimedio» previsto dall'art. 7
della legge n. 1423 del 1956;
        che tale conclusione induce tuttavia il rimettente a dubitare
della  compatibilita'  con  l'art. 27, terzo comma, Cost. dell'art. 3
della  legge  n. 1423  del  1956,  nella  parte  in  cui - prevedendo
indistintamente   l'applicazione   della  misura  della  sorveglianza
speciale  nei  confronti  delle  persone  indicate  nell'art. 1 della
stessa  legge,  in  base  al  solo accertamento della pericolosita' -
consente  che  essa  venga  applicata anche nei confronti di chi stia
gia'  scontando  in regime di detenzione carceraria, per il reato che
vale  a  fondare  il  giudizio  di  pericolosita'  sociale,  una pena
definitiva  di  durata  uguale  o  superiore a quella della misura di
prevenzione di cui si tratta;
        che  sarebbe  infatti  evidente  come il soggetto detenuto si
trovi  nella  materiale  impossibilita'  di porre in essere ulteriori
azioni  delittuose  alla  cui prevenzione e' finalizzata la misura de
qua,  e  come  il  forzoso  allontanamento  dall'ambiente  in  cui e'
maturata  l'inclinazione  a  delinquere  sia  idoneo  ad  elidere  la
pericolosita'  del  soggetto  medesimo:  con  la  conseguenza  che la
funzione preventiva della sorveglianza speciale finirebbe per restare
«assorbita»  nello stato di detenzione ed «interamente consumata» dal
trattamento  risocializzante  che  deve  riconnettersi all'esecuzione
della pena;
        che applicare in tali circostanze la misura di prevenzione si
tradurrebbe  quindi  -  oltre  che  in  una  «afflizione  aggiuntiva»
rispetto  a  quella gia' insita nella pena definitiva che il soggetto
sta scontando - anche e soprattutto nell'aprioristico disconoscimento
dell'effetto  di  correzione e recupero, verso cui l'espiazione della
pena e' costituzionalmente proiettata;
        che  il  sospetto  di  violazione  dell'art. 27, terzo comma,
Cost. sarebbe altresi' rafforzato dalla previsione dell'art. 10 della
legge  n. 1423  del  1956,  in  forza  del  quale,  quando  sia stata
applicata  ad  un soggetto - a pena espiata - una misura di sicurezza
detentiva o la liberta' vigilata, durante la loro esecuzione non puo'
farsi  luogo  all'applicazione  della  sorveglianza  speciale  e, ove
questa sia gia' stata disposta, ne cessano gli effetti;
        che  se,  infatti, la ratio di tale disposizione e' quella di
evitare  una  inutile  sovrapposizione  tra misure che assolvono alla
stessa  funzione  -  impedire  la  commissione  di reati da parte del
destinatario ed eliminarne la pericolosita' sociale - analogo effetto
preclusivo   dovrebbe   a  fortiori  riconoscersi  alla  preesistente
situazione  di  detenzione in regime di espiazione di pena, stante la
funzione  di  emenda  del  condannato  che  questa  e'  destinata  ad
esplicare;
        che  nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto il
Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  il  quale ha chiesto che la
questione sia dichiarata infondata.
    Considerato  che  il giudice rimettente dubita della legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  all'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,
dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui
-  alla stregua di un indirizzo della giurisprudenza di legittimita',
consolidatosi  dopo  l'intervento  delle sezioni unite della Corte di
cassazione  -  consente  l'applicazione  della  misura di prevenzione
della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza nei confronti di
persona  detenuta  in  espiazione di pena: e cio' anche quando - come
nell'ipotesi oggetto del giudizio a quo - si tratti di pena superiore
alla  durata massima della predetta misura, inflitta per reato la cui
commissione  sia  posta  altresi'  a  fondamento  della  prognosi  di
pericolosita' sociale del soggetto;
        che,  ad  avviso  del  rimettente, la funzione preventiva cui
risponde  la  sorveglianza  speciale  risulterebbe,  in tale ipotesi,
totalmente  «assorbita»  dallo  stato  di detenzione, il quale per un
verso  impedisce  la commissione dei fatti criminosi che si intendono
prevenire  e,  per  un altro verso, e' accompagnato da un trattamento
volto  alla  risocializzazione del condannato; sicche' l'applicazione
della  misura  di  prevenzione  si  risolverebbe,  oltre  che  in una
«afflizione  aggiuntiva»  rispetto  a quella insita nella pena che il
soggetto   sta   scontando,   in   un   disconoscimento  aprioristico
dell'effetto rieducativo cui questa e' costituzionalmente preordinata
e,  dunque, della sua capacita' di rimuovere la pericolosita' sociale
dell'interessato;
        che, al riguardo, si deve peraltro osservare come - alla luce
dello  stesso  indirizzo  giurisprudenziale  posto  dal  rimettente a
premessa  delle  sue  censure  -  occorra  distinguere,  ai  fini che
interessano,  tra  momento  deliberativo  e  momento  esecutivo della
misura   in  parola:  nel  senso  che  -  esclusa  l'incompatibilita'
dell'applicazione  di  questa con lo stato di detenzione del soggetto
proposto  per la misura - l'esecuzione potra' pero' avere inizio solo
quando   tale   stato   venga   a  cessare;  fatta  sempre  salva  la
possibilita',  per tale soggetto, di chiedere la revoca della misura,
ai  sensi  dell'art. 7  della legge n. 1423 del 1956, per l'eventuale
venir  meno  della  sua  pericolosita'  in  virtu'  dell'espiazione e
dell'incidenza   positiva   sulla  sua  personalita'  della  funzione
risocializzante della pena;
        che, in simile prospettiva, l'applicazione della sorveglianza
speciale  nei  confronti  di persona detenuta per espiazione di pena,
sulla  base  di  una  valutazione  di  pericolosita' sociale riferita
all'attualita'  -  applicazione  che,  sempre  secondo l'orientamento
giurisprudenziale    in    discorso,   trova   giustificazione,   pur
nell'impossibilita'  di  una  esecuzione  immediata, nell'interesse a
«predisporre»  una  misura  eseguibile,  senza dilazioni, nel momento
stesso  in  cui  il  detenuto riacquisti la liberta' - non si risolve
affatto    in    una   negazione   «aprioristica»   della   capacita'
dell'espiazione  della  pena  a rimuovere l'inclinazione a delinquere
del  soggetto:  e  cio'  proprio  a  fronte della revocabilita' della
misura nel caso in cui l'obiettivo della rieducazione, che l'art. 27,
terzo comma, Cost. assegna alla pena - ma che, ovviamente, non sempre
e' possibile conseguire - si sia in concreto realizzato;
        che,   d'altra  parte,  per  quanto  concerne  la  denunciata
«afflizione  aggiuntiva»  -  in assunto connessa al cumulo fra pena e
misura  di  prevenzione, segnatamente quando il reato per il quale e'
stata  inflitta  la  pena  assurga  altresi'  ad elemento fondante la
valutazione  di pericolosita' del soggetto proposto per tale misura -
va  rilevato  come  essa  non  implichi,  di per se', alcun vulnus al
parametro  costituzionale evocato, posto che la misura di prevenzione
assolve  ad  una  funzione  chiaramente distinta e non assimilabile a
quella  della  pena:  la  stessa  Carta  costituzionale,  del resto -
consentendo  il  sistema  del  «doppio  binario» tra pene e misure di
sicurezza  (art. 25,  secondo  e  terzo  comma, Cost.) - riconosce la
possibilita'  del  concorso  fra due diversi strumenti di intervento,
caratterizzati  da  fini eterogenei, pure in presenza di una medesima
situazione  di  fatto  (la  commissione  del  reato come illecito, da
sanzionare  con  la  pena, e come indice di pericolosita' sociale, da
contrastare con la misura di sicurezza);
        che  tale  ultima  considerazione  rende  altresi'  palese la
fragilita' dell'argumentum a fortiori che il giudice a quo ritiene di
poter trarre - a conforto del dubbio di costituzionalita' prospettato
-  dalla  regola di esclusione del cumulo della sorveglianza speciale
con  le  misure  di  sicurezza  detentive o con la liberta' vigilata,
sancita dall'art. 10 della legge n. 1423 del 1956: regola che milita,
semmai, in direzione opposta a quella ritenuta dal rimettente;
        che  ove  si  ritenga,  infatti, che la ratio della norma ora
citata sia - come si afferma nell'ordinanza di rimessione - quella di
evitare  una  inutile  sovrapposizione  fra  «rimedi  che svolgono la
medesima  funzione  di  impedire la commissione di reati da parte del
destinatario  e  di  eliminare  la pericolosita' sociale», un opposto
criterio    dovra'    evidentemente   valere   qualora   vengano   in
considerazione istituti funzionalmente eterogenei, quali appunto sono
la  pena,  da  un  lato, e la misura di prevenzione (o di sicurezza),
dall'altro;
        che  la  questione  va  dichiarata,  pertanto, manifestamente
infondata.
    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara   la   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 27 dicembre 1956,
n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose
per   la  sicurezza  e  per  la  pubblica  moralita),  sollevata,  in
riferimento   all'art. 27,   terzo  comma,  della  Costituzione,  dal
Tribunale di Catanzaro con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 aprile 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                         Il redattore: Flick
                       Il cancelliere:Di Paola
    Depositata in cancelleria il 20 aprile 2004.
               Il direttore della cancelleria:Di Paola
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