N. 316 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 febbraio 2004

Ordinanza  emessa il 4 febbraio 2004 dal giudice di pace di Agrigento
nel  procedimento  civile  vertente  tra Bellomo Domenico e comune di
Joppolo Giancaxio

Circolazione  stradale  - Infrazioni al codice della strada - Ricorso
  al  giudice di pace avverso il verbale di accertamento - Condizioni
  di  ammissibilita'  -  Onere per il ricorrente di versare presso la
  cancelleria  una  somma  pari alla meta' del massimo edittale della
  sanzione   inflitta   dall'organo   accertatore   -  Disparita'  di
  trattamento  fra  cittadini e Pubblica Amministrazione, nonche' fra
  cittadini  abbienti e non abbienti - Contrasto con il compito della
  Repubblica  di  rimuovere gli ostacoli economico-sociali limitativi
  di  fatto  della liberta' e dell'uguaglianza - Incidenza su diritti
  inviolabili  dell'uomo  -  Lesione del diritto di azione e difesa -
  Compressione  della  tutela  giurisdizionale  contro gli atti della
  P.A. - Irragionevolezza della scelta operata dal legislatore.
- Codice  della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), art. 204-bis,
  comma 3,  introdotto  dalla  legge  1°  agosto 2003, n. 214, che ha
  convertito in legge, con modifiche, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151.
- Costituzione, artt. 2, 3, 24 e 113.
(GU n.17 del 28-4-2004 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile di primo
grado,  iscritta  al n. 912/03 r.g. aff. generali promossa da Bellomo
Domenico,  nato  ad  Agrigento  il  4 agosto  1959  e  domiciliato in
Agrigento,  via  Mazzini  n. 5,  presso  lo  studio  dell'avv. Pietro
Maragliano,  che  lo  rappresenta e difende per procura a margine del
ricorso  in  opposizione,  contro  il comune di Joppolo Giancaxio, in
persona  del sindaco pro tempore, domiciliato per la carica presso la
casa  comunale,  avente  per  oggetto: ricorso in opposizione avverso
verbale di contestazione.

                              F a t t o

    Con   ricorso   proposto   ai   sensi  dell'art. 22  della  legge
n. 689/1981,  il  sig.  Domenico Bellomo impugnava il verbale n. 619,
elevato in data 23 luglio 2003 dalla Polizia municipale del comune di
Joppolo  Giancaxio,  per  la  violazione  dell'art. 142, comma 8, del
codice della strada.
    L'opponente  chiedeva l'annullamento del verbale impugnato per la
omessa   contestazione   immediata  ed  altresi'  per  la  violazione
dell'art. 4 della legge n. 168/2002.
    Il  ricorso  veniva  depositato  presso  la cancelleria di questo
ufficio  in  data 17 ottobre 2003, senza che l'opponente ottemperasse
all'obbligo  di versare la somma pari alla meta' del massimo edittale
della  sanzione inflitta, obbligo previsto, a pena d'inammissibilita'
del  ricorso,  dal  comma  terzo  dell'art. 204-bis, d.lgs. 30 aprile
1992,  n. 285,  inserito  dalla  legge del 1° agosto 2003, n. 214, di
conversione del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151.
    Questo giudice, al fine di instaurare il contraddittorio, fissava
con decreto l'udienza di comparizione delle parti.
    All'udienza  del 19 gennaio 2004, nonostante la regolarita' della
notifica  del  ricorso  e del decreto di comparizione delle parti, il
comune   opposto   non   si  costituiva,  pur  facendo  pervenire  la
documentazione  richiesta;  il  giudice,  pertanto,  ne dichiarava la
contumacia.  Compariva, invece, l'opponente, il quale preliminarmente
chiedeva  che  il  giudice  sollevasse  la  questione di legittimita'
costituzionale  dell'art. 204-bis del d.lgs. n. 285/1992, ritenendola
rilevante  e non manifestamente infondata e di conseguenza concludeva
in  via  preliminare  per  la remissione della questione davanti alla
Corte costituzionale.
    Il  giudice  di  pace si riservava e a scioglimento della riserva
emetteva la seguente ordinanza.
    L'art. 204-bis  del  codice  della  strada  stabilisce,  al terzo
comma,  che  «all'atto  del  deposito del ricorso, il ricorrente deve
versare  presso  la  cancelleria  del  giudice  di  pace,  a  pena di
inammissibilita'  del  ricorso, una somma pari alla meta' del massimo
edittale  della  sanzione  inflitta  dall'organo  accertatore.  Detta
somma,  in  caso  di  accoglimento  del  ricorso,  e'  restituita  al
ricorrente».
    Nel  caso  di  specie il ricorrente non ha provveduto al deposito
cauzionale, previsto a pena di inammissibilita' dall'art. 204-bis del
codice della strada.
    Nella  fattispecie,  l'infrazione  oggetto  del  ricorso e' stata
accertata  in  data  12 maggio 2003 ed il verbale del 23 luglio 2003,
notificato  in data 4 agosto 2003, cioe' prima dell'entrata in vigore
della  legge  del 1° agosto 2003, n. 214, che ha introdotto l'obbligo
del versamento della «cauzione».
    Tale   legge   non  ha  previsto  alcuna  norma  transitoria  che
disciplini  in  modo diverso (escludendo il deposito cauzionale quale
condizione  di  inammissibilita) i ricorsi introdotti successivamente
all'entrata  in  vigore  di  tale  legge,  ma  relativi ad infrazioni
contestate in un periodo antecedente all'entrata in vigore.
    Da cio' consegue che l'art. 204-bis del codice della strada trova
applicazione  per  tutti  i ricorsi che vengano depositati a far data
dall'entrata  in  vigore della legge 1° agosto 2003, n. 214, anche se
concernenti  violazioni  contestate  in precedenza. L'applicazione di
tale  principio  al  caso  di specie dovrebbe portare questo giudice,
preso    atto   del   mancato   versamento   della   somma   prevista
dall'art. 204-bis    del    codice   della   strada,   a   dichiarare
l'inammissibilita' del ricorso proposto.
    Sussistono,   tuttavia,  giustificati  motivi  per  ritenere  che
l'art. 204-bis,  comma terzo, del codice della strada, introdotto con
legge  1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito con modificazioni il
decreto-legge  27  giugno 2003, n. 151, sia viziato da illegittimita'
costituzionale sotto i profili che verranno appresso specificati.
    Va,    pertanto,   sollevata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale   della   norma   in   esame,   apparendo   essa   non
manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere.

                   Sulla rilevanza della questione

    Il  collegamento  giuridico  e  non  di  mero  fatto  tra  la res
giudicanda  e  la  norma  ritenuta  incostituzionale appare del tutto
evidente.
    Infatti,  ove  si  ritenesse l'art. 204-bis della legge 1° agosto
2003,  n. 214,  conforme  ai  principi della Costituzione, il ricorso
andrebbe  dichiarato  inammissibile;  ove,  invece,  si  ritenesse il
predetto  disposto  in  contrasto  con  la  Costituzione, la suddetta
opposizione dovrebbe essere esaminata nel merito.

                  Sulla non manifesta infondatezza

    Violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 della Costituzione.
    Per  ritenere  l'art. 204-bis  del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285,
introdotto  dalla  legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha convertito in
legge,  con modificazioni, il d.l. 27 giugno 2003, n. 151, conforme a
Costituzione,  occorrerebbe affermare che la diversa posizione che il
legislatore  ha  riservato  a  cittadino  e pubblica amministrazione,
oltre  che  a  cittadino abbiente e cittadino non abbiente, non violi
alcun precetto costituzionale.
    Tale  assunto non viene condiviso da questo giudice, in quanto la
normativa  in  questione  lede il diritto fondamentale dell'individuo
espressamente   tutelato   dall'art. 3   della   Costituzione   della
Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti su un
piano  di  disuguaglianza  fra  loro,  permettendo  esclusivamente al
soggetto  che  sia  in  possesso  di  una somma di danaro addirittura
doppia  rispetto  a  quella  che  gli  consentirebbe  di  definire la
pendenza  mediante  pagamento  in misura ridotta, di poter tutelare i
propri diritti proponendo ricorso al giudice di pace.
    Infatti,  come  puo' facilmente rilevarsi, considerato il sistema
sanzionatorio  previsto  dal codice della strada nel suo complesso, a
fianco  di  fattispecie  di  illecito per le quali viene prevista una
sanzione pecuniaria relativamente contenuta nell'importo, vi e' tutta
una  serie  di  fattispecie  di  illecito  per le quali sono previste
sanzioni pecuniarie di rilevante entita'.
    Non  e'  sostenibile,  peraltro,  la  tesi  che  al  soggetto non
abbiente  sarebbe  comunque possibile presentare ricorso al Prefetto,
in  quanto  tale  procedura  non  prevede  il  versamento  di  alcuna
cauzione.  Infatti,  in questo modo, il ricorso al giudice di pace si
trasformerebbe  in  un  mezzo  di  tutela riservato esclusivamente ai
soggetti  facoltosi;  inoltre  la  scelta  della  sede ove tutelare i
propri  diritti  distinguerebbe  o meglio discriminerebbe i cittadini
sul  piano  economico  e  sociale,  limitando  di fatto la liberta' e
l'uguaglianza degli stessi.
    Si  aggiunga che tale esborso non potrebbe essere evitato neppure
attraverso  il  pagamento immediato della sanzione in misura ridotta,
nei casi in cui e' consentito (secondo il vecchio principio del solve
et  repete),  in quanto in caso di pagamento immediato della sanzione
in misura ridotta non puo' essere presentata opposizione, ne' in sede
giurisdizionale, ne' in sede amministrativa.
    E'  del  tutto  evidente,  alla  luce  di  quanto  sopra, come il
disposto che questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tale
censura  in  quanto  l'art. 3  della Costituzione prevede che compito
della  Repubblica  e'  rimuovere, non gia' creare, ostacoli di ordine
economico   e   sociale   che,  limitando  di  fatto  la  liberta'  e
l'uguaglianza  dei  cittadini,  impediscano  il  pieno sviluppo della
persona umana.
    Peraltro, il disposto della cui costituzionalita' si dubita, lede
altresi'   l'art. 2  Cost.  che  riconosce  e  garantisce  i  diritti
inviolabili dell'uomo, tra cui il diritto di difesa.
    L'art. 24  della Costituzione, infatti, prevede espressamente che
tutti  possono  agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed
interessi legittimi e che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento.
    Anche  l'art. 113  della  Costituzione  statuisce che «contro gli
atti  della  pubblica  amministrazione  e'  sempre  ammessa la tutela
giurisdizionale  dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli
organi  di  giurisdizione ordinaria o amministrativa» ribadendo cosi'
l'uguaglianza  di  diritto e di fatto di tutti i cittadini per quanto
concerne  la  possibilita'  di  richiedere  e  di  ottenere la tutela
giurisdizionale  sia  nei  confronti  di  altri privati sia in quelli
dello Stato e di enti pubblici minori.
    Non  bisogna  dimenticare  innanzitutto  che la legge n. 689/1981
consente  al  ricorrente  di  stare  in giudizio personalmente, senza
l'assistenza  di  un  difensore e cio' anche al fine di garantire una
giustizia meno onerosa.
    Invece,  l'imposizione del versamento della cauzione previsto per
la  tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale
oltre a rappresentare un ingiustificato quanto ingiusto vantaggio per
l'Autorita'  opposta  che,  a  differenza  dell'opponente  in caso di
vittoria    ha   immediatamente   a   propria   disposizione   quanto
eventualmente  dovuto,  non  assicura  la  possibilita'  di  agire in
giudizio  per  la  tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a
coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica,
in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa.
    L'art. 204-bis  induce  il  ricorrente, di fatto, a desistere dal
tutelare  i propri diritti in sede giurisdizionale; scoraggia l'unico
mezzo   di   tutela   che  quest'ultimo  ha  a  propria  disposizione
costringendo  o  comunque  inducendo i meno facoltosi a presentare il
ricorso per la tutela dei propri diritti al Prefetto, sede in cui, in
caso  di  accoglimento,  dell'opposizione,  il  ricorrente  non viene
affatto   rifuso   non  solo  delle  eventuali  spese  sostenute  per
l'assistenza  di  un  professionista,  ma  neppure  delle  spese vive
sostenute.
    Ma  vi  e' di piu. Il ricorso amministrativo e' caratterizzato da
un automatismo previsto dalla legge, per il quale, in caso di rigetto
del  ricorso,  la sanzione viene automaticamente comminata nel doppio
del  minimo edittale, mentre davanti al giudice vige il principio del
libero  convincimento  anche  per  quanto concerne la quantificazione
della  sanzione, con cio' offrendo una maggior tutela al cittadino. A
mitigare  tale  limitazione  del  diritto di agire non e' sufficiente
neppure  la  previsione  della  possibilita'  di  ricorrere  in  sede
giurisdizionale  avverso  l'ordinanza-ingiunzione  del  Prefetto,  in
questo   caso  senza  necessita'  del  deposito  della  cauzione.  Il
cittadino si troverebbe, infatti, costretto a promuovere due ricorsi,
un   primo   ricorso   amministrativo   ed   un   successivo  ricorso
giurisdizionale, trovandosi cosi' in una situazione alquanto gravosa,
in modo particolare per il meno abbiente, anche in considerazione del
fatto,  che  al  di  la'  della  possibilita'  di  stare  in giudizio
personalmente, le questioni giuridiche che spesso sorgono nell'ambito
di tali procedimenti, sono di una complessita' tale, da rendere quasi
inevitabile  per  il  cittadino  che  non abbia conoscenze giuridiche
specifiche, rivolgersi all'opera di un professionista.
    Peraltro,   anche  sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  va
rilevata  un'ipotesi  di incostituzionalita' dell'art. 204-bis codice
della strada in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. per quanto concerne
la violazione del principio di uguaglianza.
    La  Corte  costituzionale  ha  da  tempo  riconosciuto la propria
competenza  a sindacare la «ragionevolezza» di disposizioni normative
che  ledono il principio di uguaglianza, anche quando la legge, senza
un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che
si  trovano  in  situazione  uguale  (Corte  cost.  29 dicembre 1972,
n. 200),   posto   che  un  trattamento  differenziato  puo'  trovare
legittima  applicazione  solo  ove  vi siano «ragionevoli» motivi che
giustifichino  tale  trattamento  differenziato.  Nel caso di specie,
l'art. 204-bis   del  codice  della  strada  non  ha  introdotto  una
innovazione  circa  la  possibilita'  di  proporre  ricorso immediato
davanti al giudice di pace nei confronti del verbale di contestazione
di  violazione  alle  norme  del  codice  della  strada,  rispetto al
precedente quadro normativo.
    Infatti,  se  e'  vero che con l'art. 204-bis viene espressamente
previsto  dal  legislatore il ricorso diretto in via giurisdizionale,
deve essere rilevato come la possibilita' di proporre ricorso davanti
all'autorita'  giudiziaria  avverso  il  verbale  di contestazione di
violazione  alle  norme  del  codice della strada fosse gia' presente
nell'ordinamento   proprio  in  virtu'  dell'intervento  della  Corte
costituzionale, la quale (v. sent. 23 giugno 1994, n. 255 e 15 luglio
1994,  n. 311,  ord. 12 luglio 1995, n. 315; sent. 21 settembre 1995,
n. 437)  aveva  ritenuto  che  il  mancato esperimento del ricorso al
Prefetto  non precludeva la tutela giudiziaria ne' determinava alcuna
decadenza,    affermando,    cosi',    l'impugnabilita'    in    sede
giurisdizionale, del verbale di accertamento.
    La Cassazione, sulla base di tale interpretazione, aveva ribadito
che    la   tutela   giurisdizionale   doveva   essere   riconosciuta
indipendentemente dal previo esperimento del ricorso amministrativo e
che,  dovendo  essere  assicurata  all'interessato la medesima tutela
della   quale  egli  avrebbe  potuto  avvalersi  se  avesse  proposto
tempestivo  ricorso  al  Prefetto,  il  procedimento  di  opposizione
dinanzi  all'autorita' giudiziaria, ai sensi dell'art. 205 c.d.s., si
sarebbe  potuto  applicare  anche  nei  casi  in  cui il titolo della
pretesa   creditoria  dell'amministrazione  fosse  rappresentato  dal
verbale di accertamento.
    L'art. 204-bis, anziche' garantire la medesima tutela sia in sede
giurisdizionale  che  in  sede  amministrativa,  ha  soltanto sancito
espressamente  a  livello  legislativo  un  «diritto  di azione» gia'
presente   nell'ordinamento,   introducendo,   pero',  attraverso  il
deposito  di  una  cauzione  quale  condizione  di ammissibilita' del
ricorso    giurisdizionale,    un'ingiustificata   ed   irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  alla situazione precedente, in
quanto  la  prevista cauzione finisce per costituire una diminuzione,
una   compressione   di   un   diritto   di   azione  gia'  esistente
nell'ordinamento.
    Tale compressione non risulta in alcun modo giustificata.
    Infatti,   qualora  l'introduzione  della  cauzione  fosse  stata
dettata  da  un'esigenza di decongestionare gli uffici giudiziari, la
conseguenza  sarebbe, pero', quella di ostacolare la proposizione dei
ricorsi immediati.
    Tale  ratio  verrebbe  a  confliggere  in  modo  evidente  con il
principio di cui all'art. 24 della Costituzione.
    Qualora,   invece,   lo   scopo  fosse  quello  di  garantire  la
riscossione  da  parte  dell'autorita'  che  ha  emanato  la sanzione
amministrativa,  il  deposito  di  tale  somma,  sia  pure  a  titolo
cauzionale  presso la cancelleria del giudice, finirebbe di fatto con
il  riproporre,  sotto una forma mascherata, il vecchio principio del
solve  et  repete,  gia'  ripetutamente  dichiarato incostituzionale.
Infatti,  la  stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 8/1993,
ha  ritenuto  che  il  mancato  od omesso versamento di un'imposta di
bollo  non  puo'  essere  ostativo  alla  produzione  in  giudizio di
documenti  o  di difese scritte; a cio' si aggiunga che l'art. 16 del
d.P.R.   n. 115/2002   ha   eliminato  l'irricevibilita'  degli  atti
giudiziari in caso di omesso o insufficiente pagamento del contributo
unificato   anche   per   somme   ingenti;   che   sempre   la  Corte
costituzionale,   con  sentenza  del  29  novembre  1960,  n. 67,  ha
dichiarato   costituzionalmente   illegittimo  l'art. 98  c.p.c.  che
prevedeva  il  potere del giudice di imporre una cauzione alla parte,
con   conseguente   estinzione   del  giudizio  in  caso  di  mancato
versamento;
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 2, 3, 24 e 113 della Costituzione;
    Visti gli artt. 134 Cost. e 23 legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza;
    Solleva,  su  istanza  di  parte,  la  questione  di legittimita'
costituzionale  dell'art.  204-bis,  comma terzo del d.lgs. 30 aprile
1992,  n. 285,  introdotto  con  legge 1° agosto 2003, n. 214, che ha
convertito  in  legge,  con  modificazioni,  il  d.l. 27 giugno 2003,
n. 151  (legge  di  conversione  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale
n. 186 del 12 agosto 2003) per contrasto con gli artt. 2, 3, 24 e 113
della  Costituzione  della  Repubblica  italiana,  nella parte in cui
prevede  che  all'atto  del deposito del ricorso, il ricorrente debba
versare  presso  la  cancelleria  del  giudice  di  pace,  a  pena di
inammissibilita'  del  ricorso, una somma pari alla meta' del massimo
edittale  della  sanzione  inflitta  dall'organo  accertatore, per le
ragioni di cui in motivazione;
    Dispone  la  sospensione  del  procedimento  n. 912/03  r.g. aff.
generali;
    Ordina  la notificazione della presente ordinanza alle parti e al
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Ordina  la  comunicazione  della presente ordinanza ai Presidenti
della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;
    Ordina  la  trasmissione  della  presente  ordinanza  alla  Corte
costituzionale insieme con gli atti del giudizio e con la prova delle
notificazioni e delle comunicazioni prescritte.
    Manda alla cancelleria per gli adempimenti.
        Agrigento, addi' 3 febbraio 2004
                   Il giudice di pace: Lauricella
04C0502