N. 340 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 giugno 2003

Ordinanza   emessa   il   18   giugno   2003  (pervenuta  alla  Corte
costituzionale  il  30  marzo  2004)  dal  tribunale  di  Modena  nel
procedimento penale a carico di Raouidi Youssef

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato, in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento  impartito  dal  questore - Arresto
  obbligatorio  in  flagranza  e  rito  direttissimo  - Disparita' di
  trattamento  rispetto  ad  ipotesi di reato analoghe o piu' gravi -
  Violazione  del principio di ragionevolezza - Carenza del requisito
  della  necessita'  ed urgenza per l'adozione da parte della polizia
  giudiziaria di provvedimenti provvisori destinati ad incidere sulla
  liberta' personale.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, artt. 3 e 13.
(GU n.18 del 5-5-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Letti gli atti del procedimento nei confronti di Raouidi Youssef,
nato  a  Casablanca  (Marocco)  il  19  novembre  1975,  arrestato da
ufficiali  del  Comando  Tenenza Guardia di Finanza di Sassuolo il 14
maggio  2003  alle  8,20, per il reato di cui all'art. 14 comma 5-ter
d.lgs.  n. 286/1998, modificato dalla legge n. 189/2002, e sottoposto
a rilievi dattiloscopici per la sua identificazione, in base ai quali
si  e'  accertato  che lo stesso - con le generalita' con le quali e'
stato  arrestato  o  eventualmente  con  diverse generalita' - non ha
precedenti  penali,  ne'  pendenze  giudiziarie,  ne' segnalazioni di
polizia relative a fatti di reato rilevati a suo carico;
    Rilevato  che  sussistono dubbi sulla legittimita' costituzionale
dell'arresto   obbligatorio   come   previsto   dall'art.  14,  comma
5-quinquies,   d.lgs.  n. 286/1998  -  come  modificato  dalla  legge
n. 189/2002 - e che la questione di legittimita' di tale norma appare
non  manifestamente infondata e va sollevata d'ufficio per le ragioni
che  seguono,  con essenziale riferimento ai parametri costituzionali
di cui agli artt. 3 e 13 della Costituzione;

                            O s s e r v a

    Quanto  al  parametro dell'art. 3 della Costituzione esso risulta
violato  per  le  ragioni  che  seguono, gia' evidenziate in numerose
ordinanze emesse da questo tribunale in casi analoghi (cfr. per tutte
ordinanza   in   data   31   ottobre  2002  emessa  nel  procedimento
n. 1534/2002   Rg   tribunale).   Il   regime  introdotto  da  d.lgs.
n. 286/1998  modificato dalla legge n. 189/2002, prevede l'espulsione
dello   straniero   che   sia  entrato  nel  territorio  dello  Stato
sottraendosi  ai  controlli di frontiera (art. 13, comma 2, lett. a);
l'espulsione e' disposta dal prefetto (art. 13, comma 2) ed e' sempre
eseguita  dal  questore  con  accompagnamento  alla frontiera a mezzo
della forza pubblica (art. 13, comma 4).
    Fanno eccezione i casi di cui al comma 5 concernenti lo straniero
il  cui  permesso  di  soggiorno  sia scaduto di validita' da piu' di
sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo.
    La  regola  fissata dal comma 4 dell'art. 13 puo' essere derogata
«quando  non  e'  possibile  eseguire  con  immediatezza l'espulsione
mediante accompagnamento alla frontiera ... perche' occorre procedere
al  soccorso dello straniero, ad accertamenti supplementari in ordine
alla   sua  identita'  o  nazionalita',  ovvero  all'acquisizione  di
documenti per il viaggio, ovvero per l'indisponibilita' del vettore o
altro mezzo di trasporto idoneo» (art. 14, comma 1).
    In  tal caso, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto
per  il  tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza
temporanea  e  assistenza  piu'  vicino  ... » (art. 14, comma 1). E'
contemplato  un  rimedio  estremo  per  l'eventualita'  che  non  sia
possibile  eseguire  l'espulsione  immediata con accompagnamento alla
frontiera  e  non  si  riesca  neanche  a  trattenere, o a trattenere
ulteriormente,   lo   straniero   presso   un  centro  di  permanenza
temporanea.  Qualora  questa  duplice impossibilita' si verifichi, il
questore  ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato
entro  il  termine di cinque giorni (art. 14, comma 5-bis) L'apparato
sanzionatorio  predisposto  dal  testo  normativo  tiene  conto delle
differenti modalita' esecutive dell'espulsione.
    La  disobbedienza,  quando si realizzi la prima volta, integra un
illecito contravvenzionale.
    Le  condotte  incriminate  sono  il  rientro nel territorio dello
Stato  dopo  l'accompagnamento  alla  frontiera  e  senza la speciale
autorizzazione  del  ministro dell'interno (art. 13, comma 13) oppure
il  trattenimento  in  Italia senza giustificato motivo in violazione
dell'ordine  impartito  dal  questore  ai  sensi  dell'art. 14, comma
5-bis, (art. 14, comma 5-ter).
    Per entrambe le contravvenzioni e' comminata la pena dell'arresto
da  sei  mesi  ad  un  anno  ed  e' prevista una nuova espulsione con
accompagnamento immediato alla frontiera.
    La  reiterazione  della  condotta  disobbediente  da  parte dello
straniero  realizza  una  fattispecie  piu'  grave,  qualificata come
delitto.
    Lo  straniero,  gia'  denunciato per il reato di cui all'art. 13,
comma  13,  ed  espulso,  che  abbia  fatto reingresso sul territorio
nazionale e' punito con la reclusione da uno a quattro anni (art. 13,
comma 13-bis).
    Analogamente,  lo  straniero espulso ai sensi dell'art. 14, comma
5-ter,  che viene trovato nel territorio dello Stato e' punito con la
reclusione da uno a quattro anni.
    Quanto agli aspetti processuali, gli artt. 13 e 14 prevedono, per
i   reati   in  ciascuna  disposizione  contemplati,  rispettivamente
l'arresto  facoltativo  in flagranza e l'arresto obbligatorio (per il
delitto  di  cui  all'art. 13,  comma l3-bis e' inoltre consentito il
fermo).
    In  entrambi  i casi e' imposta l'adozione dei rito direttissimo.
Che  la  disciplina processuale appena descritta sia in contrasto con
l'art. 3 della Costituzione e' di tutta evidenza.
    I reati contravvenzionali descritti dagli artt. 13 e 14 rivestono
quanto meno pari gravita'.
    Essi sono sanzionati con la medesima pena edittale.
    Identica   e'   la   previsione   delle   conseguenze  sul  piano
amministrativo,   cioe'  una  nuova  espulsione  con  accompagnamento
immediato alla frontiera.
    In  entrambi i casi, la reiterazione della condotta illecita dopo
la  denuncia  per l'ipotesi contravvenzionale comporta l'integrazione
di un delitto.
    Ma vi e' di piu'.
    La   fattispecie   descritta  dall'art. 14,  comma  5-ter  appare
ontologicamente  meno  grave rispetto a quella inserita nell'art. 13,
comma 13.
    Lo   straniero  che  rientra  nel  territorio  dello  Stato  dopo
l'accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica pone in
essere una condotta attiva.
    Piu'  esattamente,  trasgredisce ad un ordine non solo legalmente
impartito  dalla  pubblica autorita' italiana ma addirittura eseguito
in  modo  coattivo, con impiego da parte dello Stato di risorse umane
ed economiche.
    Una  simile  condotta  e'  certamente  poco  compatibile  con  un
atteggiamento colposo.
    La   contravvenzione  di  cui  al  comma  5-ter  dell'art. 14  si
realizza, invece, con una condotta meramente omissiva.
    La  trasgressione  posta  in  essere  dallo straniero non ha alle
spalle  un accompagnamento coatto alla frontiera ma un ordine scritto
del  questore di lasciare il territorio dello Stato nel breve termine
di cinque giorni.
    La disobbedienza e' sicuramente compatibile in questo caso con un
atteggiamento colposo, negligente.
    La   mancata  esecuzione  dell'ordine  non  vanifica  uno  sforzo
compiuto  dallo  Stato  per  attuare  in  maniera  forzata  i  propri
provvedimenti.  Che  la  condotta  omissiva,  vale  a dire la mancata
esecuzione  spontanea  di  un  ordine,  sia  in generale valutata dal
legislatore  con minor rigore si ricava, ad esempio, dalla previsione
dell'art. 13,  comma  5.  Per  lo straniero che si sia trattenuto nel
territorio  dello Stato nonostante che il permesso di soggiorno fosse
scaduto di validita' e senza aver chiesto il rinnovo, l'espulsione e'
eseguita,  in  deroga  all'art. 13,  comma  4, mediante intimazione a
lasciare  il  territorio  dello  Stato  entro  il termine di quindici
giorni.  Lo  straniero che non esegua spontaneamente l'intimazione in
oggetto non e' penalmente perseguibile.
    Nel  d.lgs.  n. 286/1998,  prima delle modifiche introdotte dalla
legge  n. 189/2002,  era incriminata solo la condotta dello straniero
espulso   che   fosse   rientrato   in   Italia   senza  la  speciale
autorizzazione dei Ministero dell'interno (art. 13, comma 13).
    Se  e' vero che la contravvenzione introdotta dall'art. 14, comma
5-ter  riveste  gravita'  pari  o  minore rispetto a quella descritta
dall'art. 13,  comma  13, non vi e' alcuna ragione che giustifichi la
previsione  di  un  arresto obbligatorio nel primo caso e facoltativo
nel secondo.
    La  ingiustificata  disparita'  di trattamento emerge poi in modo
eclatante  ove  si  raffronti la disciplina in tema di arresto tra la
contravvenzione  di cui all'art. 14, comma 5-ter ed il delitto di cui
all'art. 13, comma 13-bis.
    La  previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione e
dell'arresto  facoltativo  per  il  delitto  e'  del  tutto  priva di
ragionevolezza.
    L'obbligo  di arrestare l'autore di un reato contravvenzionale e'
istituto  sconosciuto  al  nostro  attuale  ordinamento giuridico. La
misura  precautelare dell'arresto obbligatorio e' riservata, ai sensi
dell'art.  380  c.p.p..,  agli  autori  di  delitti  e non di tutti i
delitti  ma  di  quelli particolarmente gravi, sanzionati con la pena
dell'ergastolo  o  della reclusione non inferiore nel minimo a cinque
anni  e nel massimo a venti anni, oppure rientranti nelle fattispecie
specificamente elencate nel secondo comma della stessa disposizione.
    Un  solo  caso  di  arresto obbligatorio in flagranza e' previsto
dalle  leggi  speciali,  ed esattamente dall'art. 12, comma 4, d.lgs.
n. 286/1998  (non modificato dalla legge n. 189/2002), in riferimento
comunque  a  delitti,  quelli  di  cui  ai commi 1 e 3 della medesima
disposizione.   Quanto   ai  reati  contravvenzionali,  l'arresto  in
flagranza  e'  possibile  secondo  l'attuale  ordinamento in una sola
ipotesi, l'art. 6, d.l. n. 122/1993, convertito in legge n. 205/1993,
ma si tratta di arresto facoltativo e non obbligatorio.
    La previsione dell'arresto obbligatorio per la contravvenzione di
cui  all'art. 14,  comma  5-ter, d.lgs. n. 286/1998, modificato dalla
legge  n. 189/2002  contrasta in maniera eclatante con l'art. 3 della
Costituzione  in  quanto  concreta  una  ingiustificata disparita' di
trattamento  rispetto  all'art. 13, comma 13, che, per fattispecie di
maggiore gravita' consente ma non impone l'arresto in flagranza.
    Vi  e'  un ulteriore profilo di illegittimita' costituzionale che
emerge  dalla  lettura  dell'art. 14, comma 5-quinquies, n. 286/1998,
modificato dalla legge n. 189/2002.
    Esso   attiene  alla  introduzione  di  una  identica  disciplina
processuale (arresto obbligatorio e obbligo di giudizio direttissimo)
per  due  ipotesi di reato (quelle dei commi 5-ter e 5-quater) che lo
stesso  legislatore  ha sensibilmente differenziato quanto a gravita'
del fatto e della sanzione.
    E'  pacifico, e costantemente ribadito dalla giurisprudenza, che,
ferma  la  necessita'  di  ancorare  le scelte criminalizzatrici alla
tutela  di  beni  costituzionalmente  rilevanti, le valutazioni sulla
qualita' e quantita' della sanzione, in quanto di natura ideologica e
politica,   rientrano   nell'ambito   del  potere  discrezionale  del
legislatore.
    Nella   sfera  della  discrezionalita'  legislativa  devono  pure
ricondursi  le  scelte sui presupposti di applicabilita' delle misure
precautelari  e  cautelari,  nei  limiti  imposti  all'art. 13  della
Costituzione   (cfr.   sentenze   Corte  costituzionale  n. 126/1972;
n. 305/1996).
    E'    altrettanto    pacifico,    tuttavia,   che   l'uso   della
discrezionalita' legislativa possa essere censurato, sotto il profilo
della  legittimita'  costituzionale,  nei  casi  in cui non sia stato
rispettato  il  limite  della  ragionevolezza  (cfr.  sentenze  Corte
costituzionale nn. 26/1979, 103/1982, 409/1989, 341/1994).
    Nell'esercizio   del  suo  indiscusso  potere  discrezionale,  il
legislatore  ha  qualificato  come  contravvenzione la condotta dello
straniero  che per la prima volta disobbedisce all'ordine di lasciare
il   territorio   nazionale,   in   linea  con  fattispecie  omologhe
contemplate  dal  codice  penale  (cfr.  artt.  650  c.p.,  2,  legge
n. 1423/1956)
    Scegliendo il tipo meno grave di reato, il legislatore ha escluso
che  potesse  applicarsi  all'imputato qualsiasi misura cautelare. La
disobbedienza  reiterata nelle forme dell'art. 14, comma 5-quater, e'
stata invece elevata al rango di delitto, punito con la reclusione da
uno   a   quattro   anni,  quindi  compatibile,  secondo  il  sistema
processuale, con il ricorso a misure precautelari e cautelari.
    Il  legislatore  ha  mostrato  da  un lato di voler differenziare
sensibilmente  le  due  condotte  in  esame, la prima disobbedienza e
quella   reiterata   nonostante  l'espulsione  coattiva,  addirittura
adottando   diverse   categorie   di   reato  e  comminando  sanzioni
significativamente  differenti,  con  tutta una serie di implicazioni
specifiche  quanto  ad elemento soggettivo, a termini di prescrizione
ecc..
    Tradendo questa impostazione e senza alcuna plausibile ragione ha
poi  dettato,  nel  comma 5-quinquies, una disciplina identica quanto
all'adozione di misure precautelari e al rito da seguire.
    Ha  in  tal modo introdotto una deroga enorme rispetto al sistema
del  codice  di  procedura  penale, prevedendo per la contravvenzione
l'arresto   obbligatorio   dell'autore,   caso   unico   nel   nostro
ordinamento.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza.
    Il  principio  di  ragionevolezza  impone, per le fattispecie che
costituiscono   diversi   gradi  di  aggressione  del  medesimo  bene
giuridico,  discipline proporzionalmente differenziate (cfr. sentenza
Corte  costituzionale  n. 26/1979,  secondo  cui:  «E' giurisprudenza
costante  di  questa  Corte  che  la configurazione delle fattispecie
criminose  e  le  valutazioni  sulla congruenza fra i reati e le pene
appartengono  alla  politica  legislativa;  salvo  pero' il sindacato
giurisdizionale   sugli   arbitri   del   legislatore,   cioe'  sulle
sperequazioni   che   assumano   una   tale   gravita'  da  risultare
radicalmente ingiustificate ... questo e' appunto il caso della norma
impugnata ... l'art. 186 c.p.m.p., nel primo e, in parte, nel secondo
comma,  ricomprende  ed  appiattisce in un'unica ipotesi delittuosa -
quella  della  insubordinazione  con  violenza  -  distinte  condotte
tipiche,  nettamente  differenziate  nei  loro  elementi  oggettivi e
soggettivi»).
    Coerentemente   a  tali  criteri,  l'art. 9,  legge  n. 1423/1956
qualifica  come contravvenzione la violazione degli obblighi inerenti
alla sorveglianza speciale e come delitto l'analoga violazione quando
la  sorveglianza  speciale  includa  anche  l'obbligo o il divieto di
soggiorno.  Solo  per  la fattispecie delittuosa e' previsto, in base
all'art. 381  c.p.p.,  l'arresto facoltativo in flagranza e, ai sensi
dell'art. 9,  legge  n. 1423/1956,  comma  3, anche fuori dei casi di
flagranza.
    In  materia  di stupefacenti, l'art. 380 c.p.p. prevede l'arresto
obbligatorio per i delitti di cui all'art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in
deroga  ai  limiti  di  pena  di cui al comma 1. La piu' grave misura
precautelare  non  e'  estesa alle ipotesi attenuate di cui al quinto
comma del citato art. 73.
    Nell'art. 14,  comma  5-quinquies,  il legislatore ha in sostanza
trattato  allo  stesso  modo,  imponendo l'arresto in flagranza ed il
rito  direttissimo,  fattispecie  che  egli stesso ha, nella medesima
disposizione, differenziato notevolmente quanto a gravita'.
    La   disarmonia  che  tale  disciplina  esprime  rileva  ai  fini
dell'art. 3   della   Costituzione  sotto  l'aspetto  della  assoluta
irragionevolezza  («Non  si compiono valutazioni di natura politica e
nemmeno  si  controlla l'uso del potere discrezionale del legislatore
se si dichiara che il principio dell'uguaglianza e' violato quando il
legislatore  assoggetta  ad  una indiscriminata disciplina situazioni
che  esso  stesso considera e dichiara diverse», Corte costituzionale
n. 53/1958).
    Non  vi  e' dubbio che il principio di uguaglianza, nonostante il
riferimento  letterale  dell'art. 3  della Costituzione ai cittadini,
debba  ritenersi  esteso  agli  stranieri,  allorche' si tratti della
tutela   dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  (Corte  costituzionale
n. l04/1969).
    Quando  al parametro dell'art. 13, III Costituzione, che consente
provvedimenti limitativi della liberta' personale da parte della p.s.
solo   «in   casi  eccezionali  di  necessita'  ed  urgenza  indicati
tassativamente  dalla legge», la previsione dell'arresto obbligatorio
contenuta nell'art. 14, comma 5-quinquies, appare contrastarvi per le
seguenti  ragioni  (gia'  esposte in Ordinanza emessa il tribunale di
Bologna  il  30 novembre 2002 nel procedimento n. 2351/2002 Tribunale
Bologna).
    La  tutela  costituzionale  della liberta' personale e' assoluta:
essa viene definita come inviolabile al primo comma, ne e' consentita
la  limitazione  solo  con provvedimento dell'autorita' giudiziaria e
nei  casi previsti dalla legge al secondo comma; al terzo comma ne e'
consentita una eccezionale limitazione temporanea ad opera della p.s.
solo  se successivamente convalidata dall'autorita' giudiziaria e nei
casi  «eccezionali di necessita' ed urgenza» previsti dalla legge. Al
terzo  comma  -  diversamente  dal  secondo  - e' prevista quindi una
riserva  di  legge  qualificata  poiche' al legislatore ordinario non
spetta di determinare liberamente i casi in cui la liberta' personale
puo'  venire provvisoriamente limitata dalla p.s., ma puo' farlo solo
nei  casi  eccezionali  di  necessita'  ed urgenza. La giurisprudenza
costituzionale  ha  chiarito le nozioni di eccezionalita', necessita'
ed  urgenza  che giustificano l'arresto obbligatorio. Proprio perche'
l'art. 14,  comma 5-quinquies  prevede l'obbligatorieta' dell'arresto
ogni   volta  che  si  accerti  la  fragranza  della  contravvenzione
dell'art. 14, comma 5-ter, le condizioni di eccezionale necessita' ed
urgenza della misura precautelare debbono essere valutate in astratto
in  relazione  al reato a cui e' collegata la previsione dell'arresto
obbligatorio  e  non ne e' consentita una modulazione in relazione al
caso concreto.
    La  condotta  contravvenzionale  a  cui  e'  collegato  l'arresto
obbligatorio  e'  quella  dello straniero gia' espulso dal territorio
nazionale  in  quanto  clandestino  ed  inottemperante  al successivo
ordine di allontanamento del questore: si tratta cioe' di un reato di
mera  condotta,  di doppia disobbedienza ad un ordine dell'autorita',
dato  prima nella forma del decreto di espulsione e dopo con l'ordine
di  allontanamento.  La struttura del reato non prevede quindi ne' la
lesione  o  la  messa  in  pericolo  di  un  bene  costituzionalmente
protetto,  ne'  una  condizione soggettiva di pericolosita' specifica
dell'autore,  che  non e' gia' imputato o condannato per altri reati,
non  e'  socialmente pericoloso (vedi Corte costituzionale n. 64/1977
in  cui  la  legittimita'  dell'arresto era collegata al preesistente
accertamento  giudiziale  delle condizioni di pericolosita' sociale),
ne'  versa  in  una  condizione di pericolosita' specifica per le sue
condizioni personali (vedi Corte costituzionale n. 126/1972 in cui la
legittimita'  dell'arresto era collegata all'ubriachezza in atto): va
infatti considerato che la clandestinita' sul territorio dello stato,
cioe'  la  permanenza dello straniero in Italia senza i documenti che
la  legittimano formalmente, e' condizione che legittima l'espulsione
ma  che  non  integra alcun reato e che, proprio perche' e' collegata
alla  formale assenza di documenti, non puo' essere indice di per se'
di una specifica pericolosita' del soggetto.
    Per  quanto  descritto nella fattispecie tipica del reato, ne' la
condotta   punita  ne'  le  condizioni  dell'agente  appaiono  quindi
assumere  quei  connotati  di  eccezionale  necessita' ed urgenza che
giustificano  il  potere limitativo della liberta' personale da parte
della p.s. ai sensi del terzo comma dell'art. 13 della Costituzione.
    L'arresto  e'  in  questo caso obbligatoriamente previsto per una
contravvenzione punita con l'arresto da 6 mesi ad un anno.
    Si  e' gia' detto che il sistema processuale vigente non consente
l'applicazione  di  misure  cautelari  personali  per contravvenzioni
artt. 280  e  287  c.p.p.), il che rende evidente come in questo caso
l'arresto   non   sia   in   alcun  modo  collegato  alla  successiva
applicazione  di  una  misura  cautelare.  Esso  si affianca ad altri
eccezionali  casi  in cui e' consentito l'arresto a prescindere dalla
successiva  applicazione  di misura cautelare, ma si discosta da tali
ipotesi  per  aspetti  molto rilevanti. Significativo e' il raffronto
con  le  ipotesi di arresto in flagranza previsto per il delitto p.p.
dall'art. 189  c.d.s,  (  la cui pena edittale e' inferiore ai limiti
che   consentono   l'applicazione  di  misure  cautelari)  e  per  le
contravvenzioni p.p. dai commi 1 e 2, art. 4, legge n. 110/1975 o dai
commi 4  e 5 dello stesso articolo, in questo caso se aggravate dalla
finalita' di discriminazione o odio etnico, razziale ecc. Nella prima
ipotesi l'arresto e' consentito per consentire «la possibilita' di un
intervento  immediato di chi si sia dato alla fuga, abbia abbandonato
le  vittime  di incidenti stradali a lui riconducibili ed abbia messo
in   pericolo   la   sicurezza   individuale   e  collettiva»  (Corte
costituzionale  n. 305/1996). Nel secondo caso l'arresto consente che
le  forze  di  p.s.  limitino  la  liberta'  personale di soggetti in
possesso  di  armi  o oggetti atti ad offendere nel corso di riunioni
pubbliche  (comma  quarto  e  quinto)  o  con armi od oggetti atti ad
offendere   fuori  dalla  proprie  abitazione  il  cui  possesso  sia
destinato  specificamente  a  finalita'  di  discriminazione  o  odio
razziale  (comma  primo  e  secondo, aggravati dall'art. 3, com-ma 1,
d.l.  n. 122/1993),  condotte entrambe evidentemente riconducibili ad
un  pericolo  per  la  sicurezza  individuale  e collettiva evitabile
soltanto  con  la materiale apprensione del soggetto armato ed il suo
allontanamento  dal luogo pericolso. In entrambi i casi, l'arresto e'
previsto  come  facoltativo  e non come obbligatorio (art. 189, comma
sesto  c.s.d. e art. 6, comma secondo, legge n. 654/175). In entrambe
le   ipotesi   citate  di  arresto  consentito  a  prescindere  dalla
conseguente  applicabilita' di misura cautelare si tratta di condotte
attive  (lesioni  personali  con  conseguente fuga e porto di armi in
occasioni  o con finalita' non consentite), che concretamente pongono
in  pericolo  la  sicurezza individuale e collettiva e necesariamente
dolose,  mentre  l'arresto  previsto  dall'art. 14, comma 5-quinquies
riguarda un reato di mera condotta omissiva, che non pone in concreto
pericolo la sicurezza altrui, punibile anche a titolo di colpa per la
negligente  non  ottemperanza  all'ordine.  Mentre  nelle  prime  due
ipotesi   l'arresto  e'  quindi  previsto  per  casi  in  cui  appare
necessario  ed  urgente  bloccare  l'autore di condotte pericolose da
parte  della  p.s.  che  lo  sorprende  in flagranza, nel caso di cui
all'art. 14,  comma  5-quinquies  non  emerge  alcuna  necessita'  ed
urgenza  di procedere all'arresto dell'autore di una condotta colposa
e  priva  di  concreta  pericolosita'.  Sul  punto va aggiunto che il
giudice  delle  leggi  nella  sentenza  n. 305/1996  ha confermato la
legittimita'  dell'arresto  previsto dall'art. 189 c.d.s. ancorandola
alla  sua facoltativita', in quanto tale arresto» richiede pur sempre
la  sussistenza,  dei singoli casi concreti, dei presupposti ai quali
l'art. 381,  comma  quarto,  subordina  in via generale l'adozione di
tale   misura».  Nel  caso  qui  in  esame  invece  l'obbligatorieta'
dell'arresto   prescinde   da   ogni   valutazione   sulla   concreta
pericolosita'  della  condotta,  con  la  conseguenza  che  la misura
potrebbe   essere   costituzionalmente  rientrante  nella  previsione
dell'art. 13,  III  Costituzione solo se si ritenesse eccezionalmente
necessario  ed urgente limitare la liberta' di uno straniero tutte le
volte  in  cui  egli  abbia  violato  l'ordine  di allontanamento del
questore,  il  che  non  appare  conforme  alla  inviolabilita' della
liberta'  personale  imposta  da  una complessiva e ragionata lettura
dell'art. 13 della Costituzione.
    L'arresto  obbligatorio  non  potrebbe  neppure  trovare  ragione
nell'eccezionale  necessita'  ed  urgenza  di poter procedere al rito
direttissimo  imposto  dallo  stesso  art. 14,  comma 5-quinquies per
l'accertamento  della  contravvenzione  dell'art. 14, comma 5-ter. Il
rito  direttissimo  nel  nostro  ordinamento non e' infatti vincolato
alla  necessaria  presenza  dell'imputato  in  udienza,  come  appare
dall'art. 449  che lo prevede in tutti i casi in cui l'imputato - non
arrestato  ne'  detenuto  - abbia reso confessione, nei casi previsti
dall'art. 450,  c.p.p.,  comma  secondo  che espressamente dispone le
regole   processuali   per   l'ipotesi   di   citazione   a  giudizio
dell'imputato  a  piede  libero,  oltre  che  nei casi previsti dallo
stesso  d.lgs.  n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002,
che  all'art. 13, comma 13-ter prevede ipotesi di arresto facoltativo
disponendo che in ogni caso - e quindi anche quando la facoltativita'
dell'arresto  non  sia  stata  esercitata  e  quindi l'imputato resti
libero - contro l'autore del fatto si proceda con rito direttissimo.
    Non puo' infine ritenersi che l'eccezionale necessita' ed urgenza
dell'arresto  sia  collegata alla necessita' di eseguire l'espulsione
dell'arrestato,   che   di   per   se'   puo'   essere  eseguita  con
accompagnamento  alla frontiera in via generale, ed in modo del tutto
autonomo ed indipendente dall'arresto, ai sensi dell'art. 13, comma 4
n. 286/1998, come modificato dalla legge n. 189/2002.
    La  rilevanza  della  questione  e' evidente: l'imputato e' stato
arrestato   ai  sensi  della  disposizione  impugnata  e  l'eventuale
declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale della stessa farebbe
venir  meno  il  fondamento  normativo  della  richiesta di convalida
proposta dal p.m.
    Infatti,  nella  fattispecie,  Raouidi Youssef e' stato tratto in
arresto  perche'  tale misura e' prevista come obbligatoria dall'art.
14,  comma  5-quinquies,  d.lgs. n. 286/1998, mentre egli non sarebbe
stato  passibile  di arresto se tale misura fosse stata prevista come
facoltativa in quanto non sussistono, nella fattispecie le condizioni
richieste  dall'art. 381  comma  quinto, della gravita' del fatto (il
reato  contestato  e' una contravvenzione punita da 6 mesi a 1 anno),
ne'  della pericolosita' del soggetto desunta dalla sua pericolosita'
(l'arrestato  e'  privo  di  pregiudizi penali ed e' qui per la prima
volta  accusato  di  una  contravvenzione;  il  fatto  che  egli  sia
clandestino  sul  territorio nazionale non e' previsto come reato dal
nostro  ordinamento)  o  dalle  circostanze  del  fatto  (la condotta
contestata  e'  meramente  passiva,  di  disobbedienza  ad  un ordine
dell'autorita).
    Si  aggiunga  che  sulla rilevanza della questione non puo' avere
effetto  l'avvenuta  liberazione  della  persona  arrestata,  imposta
dall'art. 391 u.c., richiamato dall'art. 558 c.p.
    Il giudizio di convalida dell'arresto non e' stato esaurito ma e'
stato   sospeso   al   fine   di  trasmettere  gli  atti  alla  Corte
costituzionale;   la   decisione   sulla  questione  di  legittimita'
costituzionale  ha  incidenza diretta sulla pronuncia di legittimita'
dell'arresto  eseguito  dalla  polizia  giudiziaria  ai  sensi  della
disposizione impugnata (cfr al riguardo sentenza Corte costituzionale
n. 54/1993  «...  il  provvedimento di liberazione dell'arrestata era
imposto  ...  dalla  disposizione di cui all'art. 391, settimo comma,
ultima  parte,  del  codice  di  rito  ...  Poiche' tale disposizione
ricollega  la  perdita  di  efficacia  dell'arresto alla carenza, per
qualsiasi  ragione,  di  un provvedimento positivo di convalida nello
stesso   termine,   e'  ovvio  che  l'impossibilita'  di  rispettarlo
conseguente  all'elevazione  della questione comportava (o avrebbe di
li'  a poco ineludibilmente comportato) l'intervento di tale autonoma
causa  di  carenza  di  valido  titolo  di  detenzione, a prescindere
dall'esaurimento  del  procedimento  di  convalida, che ... era stato
contestualmente sospeso. Tale procedimento non puo' percio' ritenersi
esaurito,  ne'  di  esso  i  giudici  si  sono  spogliati:  e  la sua
persistenza  nonostante  la  liberazione trova ragione nell'interesse
generale ad una pronuncia sulla legittimita' dell'arresto, che ha pur
sempre  determinato una privazione della liberta'. La rilevanza della
questione,   dunque,   permane,   trattandosi   di  stabilire  se  la
liberazione    dell'arrestata    debba    considerarsi    conseguente
all'applicazione   dell'art. 391,   settimo   comma,   ovvero,   piu'
radicalmente,   alla   caducazione   con  effetto  retroattivo  della
disposizione in base alla quale gli arresti furono eseguiti»).
    Ritenuto  quindi  che la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 14,  comma 5-quinquies, d.lgs. n. 286/1998 (come modificato
dalla legge n. 189/2002, nella parte in cui prevede come obbligatorio
l'arresto  per  il  reato previsto dall'art. 14, comma 5-ter, sia non
manifestamente  infondata  e  rilevante  nel giudizio di convalida in
corso,  essa  deve  essere  sollevata  d'ufficio per le ragioni sopra
esposte.
                              P. Q. M.
    Visti gli artt. 23 e ss., legge n. 87/1953,
    Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'art. 14, comma 5-quinquies, d.lgs.
n. 286/1998,  come modificato dalla legge n. 189/2002, per violazione
degli artt. 3 e 13 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla  Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso;
    Dispone   che,   a   cura   della   cancelleria,  l'ordinanza  di
trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale sia notificata
all'imputata,  al  difensore  e  al  pubblico  ministero  nonche'  al
Presidente del Consiglio dei ministri;
    Dispone  inoltre  che  la citata ordinanza sia comunicata, a cura
della cancelleria, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Modena, addi' 14 maggio 2003
                         Il giudice: Donati
04C0523