N. 129 SENTENZA 26 - 28 aprile 2004

Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e Regione.

Caccia - Specie cacciabili - Deroghe ai divieti di prelievo venatorio
  consentite in sede comunitaria - Attuazione con legge della Regione
  Lombardia  -  Successiva  disapplicazione  della  stessa  legge con
  provvedimento del giudice per le indagini preliminari del Tribunale
  di  Cremona,  sul presupposto del vizio di incompetenza della legge
  regionale  -  Ricorso  per  conflitto di attribuzione della Regione
  Lombardia  -  Accoglimento - Sussistente lesione delle attribuzioni
  costituzionali  regionali - Annullamento conseguente dell'ordinanza
  impugnata.
- Ordinanza  del  giudice  per  le indagini preliminari (Tribunale di
  Cremona) 2 novembre 2002.
- Costituzione, artt. 101, 134 e 117, commi primo, quarto e quinto.
(GU n.18 del 5-5-2004 )
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
  Presidente: Gustavo ZAGREBELSKY;
  Giudici:  Valerio  ONIDA,  Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI  MODONA, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE,
Giovanni  Maria  FLICK,  Francesco  AMIRANTE,  Ugo  DE SIERVO, Romano
VACCARELLA, Paolo MADDALENA, Alfonso QUARANTA;
ha pronunciato la seguente

                              Sentenza

nel   giudizio   per   conflitto  di  attribuzione  sorto  a  seguito
dell'ordinanza   2 novembre   2002   del   giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Cremona,  promosso con ricorso della
Regione  Lombardia,  notificato  il  26 novembre  2002, depositato in
cancelleria  il  30  successivo  ed  iscritto  al  n. 43 del registro
conflitti 2002.
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10 febbraio  2004  il giudice
relatore Carlo Mezzanotte;
    Udito  l'avvocato  Beniamino  Caravita  di Toritto per la Regione
Lombardia.

                          Ritenuto in fatto

    1.  -  Con ricorso notificato il 26 novembre 2002 e depositato il
successivo 30 novembre, la Regione Lombardia ha proposto conflitto di
attribuzione  nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri
in  riferimento  all'ordinanza  emessa  dal  giudice  per le indagini
preliminari  (g.i.p.)  del Tribunale di Cremona il 2 novembre 2002, e
ne  ha  chiesto  l'annullamento per violazione degli artt. 101, 134 e
117, commi primo, quarto e quinto, della Costituzione.
    L'ordinanza  che  costituisce  oggetto  del  conflitto  e'  stata
pronunciata  nell'ambito  di un procedimento penale aperto, a seguito
di  esposto-denuncia  presentato  dalla  Lega  per l'abolizione della
caccia,  nei  confronti di ignoti per il reato previsto dall'art. 30,
comma 1,  lettera h), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per
la  protezione  della  fauna  selvatica  omeoterma  e per il prelievo
venatorio),  che  punisce  «chi  abbatte, cattura o detiene specie di
mammiferi  o  uccelli nei cui confronti la caccia non e' consentita o
fringillidi  in  numero  superiore  a  cinque o [per] chi esercita la
caccia con mezzi vietati».
    Dall'atto   impugnato  si  evince  che  la  legge  della  Regione
Lombardia  7 agosto  2002, n. 18, recante «Applicazione del regime di
deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio,
del   2 aprile  1979,  concernente  la  conservazione  degli  uccelli
selvatici»,  ha autorizzato il prelievo venatorio di alcune specie di
volatili  e  che,  nell'ambito del menzionato procedimento penale, il
pubblico ministero ha disposto il sequestro preventivo, «in quantita'
pari a tutti gli esemplari che si trovino (stabilmente o in transito)
nel  territorio della Regione Lombardia», delle specie di uccelli cui
si  riferiva la legge regionale, con cio' ripristinando il divieto di
caccia dei suddetti volatili. Secondo il pubblico ministero, infatti,
la facolta' di attivare autonomamente le deroghe previste dall'art. 9
della  citata  direttiva  CEE  spettava non gia' alle Regioni, bensi'
allo Stato.
    Il g.i.p. del Tribunale di Cremona, con l'ordinanza impugnata, ha
negato  la  convalida  del  sequestro,  ritenendo che dalla normativa
nazionale  e  comunitaria  sia  desumibile  il  perdurante divieto di
prelievo  venatorio  delle  specie  contemplate dalla legge regionale
n. 18  del  2002.  Nel  far  cio',  secondo  la ricorrente, il g.i.p.
avrebbe disapplicato la legge regionale che detto prelievo consente e
in  tal  modo  avrebbe invaso la potesta' legislativa residuale della
Regione  in  materia  di  caccia.  Tanto piu' ove si consideri che lo
stesso legislatore statale, dando ulteriore attuazione alla direttiva
n. 79/409/CEE  con la legge 3 ottobre 2002, n. 221 (Integrazioni alla
legge  11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della fauna
selvatica  e  di  prelievo venatorio, in attuazione dell'art. 9 della
direttiva 79/409/CEE), ha conferito appunto alle Regioni il potere di
disciplinare  l'esercizio  delle  deroghe  di  cui  all'art. 9  della
direttiva  sopra menzionata. Per questi profili l'ordinanza impugnata
lederebbe   quindi  attribuzioni  costituzionalmente  spettanti  alle
Regioni,  e  desumibili  dall'art. 117, commi primo, quarto e quinto,
Cost.
    L'atto  impugnato  violerebbe pure - ad avviso della ricorrente -
gli  artt. 101  e  134  Cost.,  in  quanto  il  giudice, vincolato al
rispetto  della legge, nell'ipotesi in cui la ritenga illegittima non
avrebbe  il  potere  di  disapplicarla,  ma  solo  di  sottoporla  al
sindacato  di  questa  Corte.  Il  g.i.p.,  nel disapplicare la legge
regionale  n. 18  del  2002,  perche'  non  conforme  alla  direttiva
n. 79/409/CEE  ed  alla  legge di attuazione n. 157 del 1992, avrebbe
dunque   espressamente  disconosciuto  il  potere  legislativo  della
Regione.
    Nel   merito   la   Regione  Lombardia  contesta  l'affermazione,
contenuta nel provvedimento impugnato, secondo cui sarebbe rilevabile
un  contrasto tra l'art. 9 della direttiva piu' volte menzionata e la
legge  regionale  e,  in  termini  piu'  generali,  sostiene che tale
disposizione  non  sarebbe immediatamente e direttamente applicabile,
limitandosi  a  porre  semplici criteri direttivi per l'attuazione da
parte  degli  Stati  membri.  A riprova di cio' si rileva che proprio
l'art. 9  sarebbe  stato  espressamente  attuato  dalla legge statale
n. 221  del  2002,  successiva  alla legge regionale disapplicata con
l'atto impugnato nel presente conflitto.
    Si  aggiunge  infine  nel  ricorso  che la competenza legislativa
affidata   allo   Stato   in   materia   di  tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema  (art. 117,  secondo  comma,  lettera s, Cost.), come
chiarito  in  recenti pronunce di questa Corte e specificamente nella
sentenza  n. 407 del 2002, riguarderebbe unicamente la disciplina dei
vari  aspetti  inerenti  il nucleo minimo di salvaguardia della fauna
selvatica,  e  pertanto  non  potrebbe  estendersi  fino a coprire la
competenza a disporre le deroghe al generalizzato divieto di prelievo
venatorio, che resterebbe devoluta alla Regione.
    2. - In prossimita' dell'udienza pubblica del 10 febbraio 2004 la
Regione  Lombardia  ha  depositato ulteriori memorie difensive, nelle
quali insiste per l'accoglimento del ricorso.
    La  ricorrente  premette  che  la  legge regionale n. 18 del 2002
autorizzava   il   prelievo   venatorio  in  deroga  nell'arco  della
stagione 2002-2003,  che  si e' conclusa il 31 gennaio 2003. Dopo che
questa  Corte,  con  l'ordinanza  n. 535  del  2002,  ha  respinto la
richiesta  di sospensione dell'atto impugnato nel presente conflitto,
la  Giunta  della  Regione,  con due delibere (VII/14249 e VII/14250,
entrambe   del  15 settembre  2003),  ha  autorizzato  anche  per  la
stagione 2003-2004  il  prelievo  venatorio  in deroga delle medesime
specie  di  uccelli  contemplate  nella legge regionale che si assume
disapplicata.
    Quanto  ai  motivi  di  diritto, oltre a rinnovare, ulteriormente
articolandoli,  gli argomenti fatti valere nell'atto introduttivo del
giudizio, la difesa della Regione Lombardia ribadisce che l'ordinanza
impugnata  sarebbe comunque lesiva delle attribuzioni regionali anche
se  vista alla luce della giurisprudenza costituzionale piu' recente,
e  segnatamente delle sentenze n. 536 del 2002 e n. 226 del 2003, che
hanno  riconosciuto allo Stato il potere di dettare standard minimi e
uniformi  di  tutela  anche  in una materia ascrivibile alla potesta'
legislativa residuale delle Regioni, qual e' la caccia.
    La  ricorrente  afferma  infine  che la legge regionale n. 18 del
2002  sarebbe  pienamente  conforme  alla direttiva 79/409/CEE e alla
legge  statale  n. 221  del 2002 che la attua, giacche' essa menziona
con  precisione  le specie che formano oggetto della deroga, i mezzi,
gli  impianti  e  i  metodi di cattura o di uccisione autorizzati, le
circostanze  di  tempo  e  di  luogo in cui i prelievi possono essere
effettuati,  i controlli, l'autorita' cui viene affidata la vigilanza
nonche'  quella  abilitata  a  dichiarare  che le condizioni previste
dall'art. 9 della direttiva siano state realizzate.

                       Considerato in diritto

    1.  -  La Regione Lombardia ha proposto conflitto di attribuzione
nei   confronti   del   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  in
riferimento   all'ordinanza   emessa  dal  giudice  per  le  indagini
preliminari  del  Tribunale  di  Cremona  il 2 novembre 2002, e ne ha
chiesto  l'annullamento  per  violazione  degli artt. 101, 134 e 117,
commi primo, quarto e quinto, della Costituzione.
    Secondo la ricorrente, il suddetto g.i.p. avrebbe disapplicato la
legge  regionale  7 agosto  2002,  n. 18, la quale, in attuazione del
regime  di deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del
Consiglio  del  2 aprile  1979,  autorizzava il prelievo venatorio di
alcune  specie di volatili: il passero d'Italia, la passera mattugia,
lo storno, il fringuello e la peppola.
    L'ordinanza  oggetto  di impugnazione e' stata emessa nell'ambito
di un procedimento penale aperto nei confronti di ignoti per il reato
previsto  dall'art. 30,  comma 1, lettera h), della legge 11 febbraio
1992,  n. 157,  che punisce «chi abbatte, cattura o detiene specie di
mammiferi  o  uccelli nei cui confronti la caccia non e' consentita o
fringillidi  in  numero  superiore  a  cinque o [per] chi esercita la
caccia con mezzi vietati». In tale procedimento il pubblico ministero
ha  disposto il sequestro preventivo dei volatili oggetto della legge
regionale in discorso «in quantita' pari a tutti gli esemplari che si
trovino  (stabilmente  o  in  transito)  nel territorio della Regione
Lombardia».  Cio'  sulla  premessa  che  la  competenza  ad  attivare
autonomamente  le  deroghe  previste  dall'art. 9 della direttiva CEE
79/409  spettasse  non  gia'  alle  Regioni,  bensi'  allo  Stato. Il
medesimo pubblico ministero ha formulato contestualmente la richiesta
al  g.i.p.  di  sollevare la questione di legittimita' costituzionale
nei  confronti  della  legge  della Regione Lombardia n. 18 del 2002,
ritenuta incompetente.
    2. - Il ricorso deve essere accolto.
    L'ordinanza   oggetto  dell'attuale  conflitto  ha  rifiutato  la
convalida  del sequestro sulla scorta di una motivazione con la quale
nega  alla  legge  regionale  il  valore  suo  proprio,  violando  le
attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia.
    Il quadro normativo che fa da sfondo al provvedimento che ha dato
origine  al  conflitto  puo'  essere  cosi'  riassunto.  La direttiva
79/409/CEE   del   Consiglio   del   2 aprile  1979,  concernente  la
conservazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo
stato  selvatico, detta negli artt. 5, 6, 7 e 8 prescrizioni rigorose
e  puntuali  in  materia di prelievo venatorio. All'art. 9 stabilisce
che  gli  Stati  membri  possono  derogare a tali disposizioni per le
seguenti  ragioni:  a)  nell'interesse della salute e della sicurezza
pubblica,  nell'interesse  della sicurezza aerea, per prevenire gravi
danni  alle colture, al bestiame, ai boschi, alla pesca e alle acque,
per la protezione della flora e della fauna; b) ai fini della ricerca
e  dell'insegnamento,  del ripopolamento e della riproduzione nonche'
per  l'allevamento  connesso  a tali operazioni; c) per consentire in
condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la
detenzione  o  altri  impieghi  misurati  di  determinati  uccelli in
piccole quantita'.
    Lo stesso art. 9, al secondo paragrafo, stabilisce che le deroghe
devono  menzionare  le  specie  che  ne formano oggetto, i mezzi, gli
impianti e i metodi di cattura o uccisione autorizzati, le condizioni
di  rischio  e  le circostanze di tempo e di luogo in cui esse devono
essere  fatte,  l'autorita'  abilitata a dichiarare che le condizioni
stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi
possano  essere  utilizzati,  entro  quali limiti e da quali persone,
nonche' i controlli che saranno effettuati.
    Dopo  aver  imposto agli Stati membri l'invio alla Commissione di
una  relazione annuale sull'applicazione delle deroghe (paragrafo 3),
l'art. 9 attribuisce alla medesima Commissione il compito di vigilare
costantemente  affinche' le conseguenze delle deroghe non si rivelino
incompatibili con i beni tutelati dalla direttiva.
    La  Regione  Lombardia,  con l'art. 2 della legge regionale n. 18
del  2002,  ha  dato  attuazione  al  regime di deroga previsto nella
direttiva,  autorizzando  il  prelievo  venatorio  di  alcune specie:
talune ai sensi della lettera a), ed altre ai sensi della lettera c),
del  citato  art. 9.  Successivamente  il  legislatore  statale,  con
l'art. 1  della  legge  3 ottobre 2002, n. 221, recante «Integrazioni
alla  legge  11 febbraio 1992, n. 157, in materia di protezione della
fauna  selvatica  e  di prelievo venatorio, in attuazione dell'art. 9
della  direttiva 79/409/CEE», ha introdotto l'art. 19-bis nella legge
n. 157  del 1992, il quale stabilisce, al primo comma, che le Regioni
disciplinano  l'esercizio  delle  deroghe di cui alla direttiva sopra
menzionata, conformandosi alle prescrizioni e alle finalita' previste
in questa, nonche' a quelle indicate di seguito nella medesima legge.
I  commi successivi ricalcano la disciplina comunitaria delle deroghe
con  alcune  precisazioni:  i  soggetti  abilitati al prelievo devono
essere individuati dalle Regioni d'intesa con gli ambiti territoriali
di  caccia  (ATC)  ed  i comprensori alpini; le deroghe devono essere
applicate  sentito l'Istituto nazionale della fauna selvatica o altri
istituti  riconosciuti  a  livello  regionale  e  non  possono  avere
comunque  ad  oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave
diminuzione.  Dei provvedimenti adottati dalle Regioni e contrastanti
con  la  legge  nazionale  o con la direttiva comunitaria puo' essere
disposto l'annullamento in sede governativa.
    3. - L'ordinanza che ha fatto sorgere l'attuale conflitto, avendo
presente   l'anzidetto   quadro   normativo,  afferma  la  competenza
esclusiva dello Stato ad introdurre le deroghe ai divieti di prelievo
venatorio.  Tale  competenza, secondo il g.i.p. di Cremona, gia' alla
luce   della  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale  formatasi
anteriormente all'entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte II
della Costituzione, era configurabile in tutte le ipotesi nelle quali
sussistesse  un  interesse  unitario, non frazionabile, alla uniforme
disciplina  inerente  il  nucleo  minimo  di salvaguardia della fauna
selvatica,  che  si estendeva anche alle deroghe previste dall'art. 9
della direttiva 79/409.
    Dopo  la  riforma  del  Titolo  V della Costituzione, quel nucleo
minimo di salvaguardia della fauna selvatica che giustificherebbe una
disciplina  di  livello  nazionale  sarebbe  ascrivibile,  ad  avviso
dell'ordinanza  impugnata,  all'art. 117,  secondo comma, lettera s),
della  Costituzione,  che riserva alla legislazione esclusiva statale
la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Giunto a tal punto, l'atto
che ha dato origine al conflitto, anziche' concludere nel senso della
illegittimita'  costituzionale  della  legge regionale, fonte assunta
come  incompetente, nega ad essa il valore suo proprio, inteso questo
nel  suo  significato  tradizionale di non disapplicabilita' da parte
del  giudice comune e sindacabilita' dalla sola Corte costituzionale.
Proprio  restando  coerente con il suo itinerario logico, che procede
dalla  premessa  della  sussistenza  della esclusiva competenza dello
Stato  ad  introdurre  deroghe  alla  comune  disciplina delle specie
cacciabili,  il  g.i.p.  di  Cremona  non avrebbe potuto esimersi dal
rimettere  gli  atti  a  questa  Corte,  alla  quale  soltanto spetta
giudicare  in  ordine all'eventuale vizio di incompetenza della legge
regionale.
    E'  vero che, in una seconda parte dell'ordinanza, si affronta il
problema dell'eventuale efficacia diretta dell'art. 9 della direttiva
79/409/CEE,   che,   se   dimostrata,   avrebbe  reso  plausibile  la
disapplicazione  della  legge  regionale,  al  pari,  del  resto,  di
qualsiasi  atto  legislativo  nazionale  contrastante  con  norme  di
diritto comunitario compiute e immediatamente applicabili dal giudice
interno  (secondo  la  giurisprudenza costituzionale inaugurata dalla
sentenza  n. 170  del  1984).  E  tuttavia il tema, nell'ordinanza in
esame,  e'  trattato in maniera confusa e tale da non poter assurgere
ad  asse  portante  della  decisione.  Si  afferma  dapprima  che  la
direttiva   comunitaria,  «per  il  suo  contenuto  incondizionato  e
sufficientemente  preciso  in  riferimento  ai  divieti  di  cui agli
artt. 5,   6,   7,   8»,  deve  «ritenersi  direttamente  efficace  o
applicabile  da  parte  del giudice nazionale, senza la necessita' di
uno  specifico  provvedimento di attuazione», e con cio', quanto alle
nozioni  generali,  ci  si  attiene  al  costante  insegnamento della
giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  CE, secondo il quale una
direttiva  puo'  dirsi incondizionata quando le relative disposizioni
possono  essere applicate senza bisogno di alcuna misura attuativa da
parte   degli   Stati   membri.   Subito   dopo   pero',  affrontando
specificamente  il tema delle deroghe consentite in sede comunitaria,
l'ordinanza  prosegue denunciando il contrasto fra la legge regionale
n. 18  del  2002  e  l'art. 9  della  direttiva,  cosi'  come attuato
dall'art. 1  della  legge  statale  n. 221  del  2002,  e  ritiene di
risolverlo con la disapplicazione della fonte regionale; ma in questo
modo il g.i.p. di Cremona non risolve affatto la questione del valore
della  parte  della  direttiva  concernente  la  deroga.  Infatti  fa
propria,  riguardo  all'art. 9,  una  nozione  di  autoapplicativita'
opposta  rispetto  a  quella  enunciata  poco prima a proposito degli
artt.  da 5 a 8, mostrando di attribuire tale carattere, in contrasto
con  la  stessa giurisprudenza comunitaria richiamata nell'ordinanza,
anche  a  disposizioni  di  direttive attuate da una legge nazionale,
senza  chiarire  come  sia possibile far convivere una attuazione con
legge  e  insieme  una autoapplicativita' che presuppone l'assenza di
ogni ulteriore misura attuativa da parte dello Stato.
    Ebbene,  le  incertezze  riscontrabili in ordine al profilo della
efficacia  diretta dell'art. 9, che il giudice non dimostra e nemmeno
afferma,  e  la  denuncia  di una incompatibilita' che non si risolve
unicamente  nel  rapporto  tra  la direttiva e la legge regionale, ma
richiede   la   necessaria   intermediazione   legislativa   statale,
confermano  che  tale  sviluppo  argomentativo ha carattere meramente
servente  rispetto  alla  effettiva ratio decidendi, che consiste nel
denunciato   vizio   di   incompetenza   della  legge  regionale.  La
disapplicazione  operata  su  tale premessa e' pertanto illegittima e
menoma le attribuzioni costituzionali della Regione Lombardia.
                          Per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE
    Dichiara  che  non spettava allo Stato, e per esso al giudice per
le  indagini  preliminari del Tribunale di Cremona, disapplicare, nei
termini  di cui all'ordinanza 2 novembre 2002, la legge della Regione
Lombardia  7 agosto  2002, n. 18, recante «Applicazione del regime di
deroga previsto dall'art. 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio,
del   2 aprile  1979,  concernente  la  conservazione  degli  uccelli
selvatici»  e, conseguentemente, annulla tale ordinanza per quanto di
ragione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 aprile 2004.
                     Il Presidente: Zagrebelsky
                      Il redattore: Mezzanotte
                      Il cancelliere: Di Paola
    Depositata in cancelleria il 28 aprile 2004.
              Il direttore della cancelleria: Di Paola
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