N. 402 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 maggio 2003

Ordinanze  da  402  a  404  - di contenuto sostanzialmente identico -
emesse  il  3  maggio  2003  (pervenuta  alla Corte costituzionale il
9 aprile  2004)  dal  Tribunale  di  Prato  nei procedimenti penali a
carico di: Huang Xinfeng (R.O. 402/2004); Motte Aziz (R.O. 403/2004);
Ben Daha Hamid (R.O. 404/2004).

Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza
  giustificato  motivo,  nel  territorio  dello  Stato  in violazione
  dell'ordine  di  allontanamento, entro il termine di cinque giorni,
  impartito  dal  questore  -  Arresto  obbligatorio  in  flagranza -
  Carenza del requisito della necessita' ed urgenza per l'adozione da
  parte   della   polizia  giudiziaria  di  provvedimenti  provvisori
  destinati ad incidere sulla liberta' personale.
- D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto
  dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189.
- Costituzione, art. 13, comma terzo.
(GU n.20 del 19-5-2004 )
                            IL TRIBUNALE

    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel  giudizio  di  convalida
relativo   all'arresto   effettuato,  ai  sensi  dell'art. 14,  comma
5-quinques   della  legge  30 luglio  2002,  n. 189  (modifiche  alla
normativa  in  materia  di  immigrazione e di asilo), in relazione al
reato  di  cui  all'art. 14,  comma  5-ter  della  stessa  legge, nei
confronti  di  Huang  Xinfeng  nato  a  Zhejiang il 20 novembre 1971,
s.f.d.

                           Fatto e diritto

    Il  suddetto  e'  stato  arrestato da personale della Questura di
Prato   in  data  3 maggio  2003,  in  relazione  al  reato  previsto
dall'art. 14,  comma  5-ter  della  legge  30 luglio 2002, n. 189. Il
pubblico  ministero  richiedeva  la  convalida  dell'arresto  in data
odierna.
    Come  s'e' detto, l'arresto e' stato operato in base all'art. 14,
comma  5-quinquies  della  legge  citata, il quale prevede che, per i
fatti  di  cui ai commi 5-ter e 5-quater l'arresto e' obbligatorio in
flagranza  di  reato  dell'autore  del  fatto  e  si procede con rito
direttissimo.
    Tale  disciplina,  applicabile  al  caso di specie e rilevante ai
fini   della  decisione  sulla  convalida  dell'arresto  -  giacche',
difettando   la  norma  di  copertura,  l'operata  restrizione  della
liberta'  personale  sarebbe  sfornita  di  titolo  giuridico  e  non
potrebbe  superare  il  vaglio  di questo giudice - non si sottrae al
dubbio  di  legittimita'  costituzionale,  in  relazione ai parametri
costituzionali e per le ragioni che seguono.
    Violazione dell'art. 13, terzo comma, Costituzione.
    La  possibilita'  di  derogare  alla  regola generale dettata dal
secondo  comma  dell'art. 13,  che  impone  il  preventivo intervento
dell'autorita'  giudiziaria  in materia di restrizione della liberta'
personale,  si collega, alla stregua dell'art. 13, terzo comma Cost.,
alla  verifica della sussistenza di «casi eccezionali di necessita' e
urgenza» (di recente, si veda Corte cost. 503/1989).
    Gli   estremi   della   necessita'  e  dell'urgenza,  secondo  le
indicazioni della Corte costituzionale, possono essere considerati in
relazione all'esigenza di acquisizione e di conservazione delle prove
(Corte   cost.   3/1972;   79/1982)   nonche'   all'assoggettabilita'
dell'arrestato   a   giudizio  direttissimo  (Corte  cost.  126/1972;
173/1971),   finalita'   tutte  perseguibili  attraverso  l'immediato
intervento    dell'autorita'    di   polizia   in   temporanea   vece
dell'autorita' giudiziaria.
    Tali esigenze sono, per un verso, insussistenti, per altro verso,
legate ad un quadro normativo radicalmente mutato.
    Non  sono,  in  effetti,  ragionevolmente  configurabili esigenze
probatorie  in  relazione  al fatto illecito commesso dallo straniero
che,  nonostante  l'espulsione,  sia  rientrato  nel territorio dello
Stato  e destinate ad essere soddisfatte nel breve lasso di tempo che
deve  intercorrere  tra  l'arresto  e l'immediata liberazione imposta
dall'art. 121 disp. att. c.p.p.
    Quanto  alla  connessione tra arresto e giudizio direttissimo, va
rilevato  che  sino all'entrata in vigore del nuovo c.p.p., l'ipotesi
normale  era  quella  del  giudizio  direttissimo  nei  confronti  di
imputato  in  vinculis:  art. 502  c.p.p.  Cio' era tanto vero che il
primo  comma dell'art. 502 disponeva che, quando il tribunale non era
in  udienza  penale,  il  Procuratore  della  Repubblica disponeva il
mantenimento   dell'arresto.  Il  terzo  comma  dell'art. 502  c.p.p.
introdotto  dall'art. 17  della legge 12 agosto 1982, n. 532, previde
l'applicabilita'  del  giudizio  direttissimo  anche  al  caso in cui
l'arrestato,  dopo  essere  stato presentato all'udienza, fosse stato
liberato  ai  sensi  dell'art. 263-ter.  Il sistema non venne percio'
scardinato,  in  quanto,  come reso palese dalla lettera della norma,
era   comunque  necessario  che  l'imputato  fosse  stato  presentato
all'udienza  prima  della  liberazione  ad  opera del tribunale della
liberta'.   Soltanto  nei  casi  atipici,  di  giudizio  direttissimo
previsti   dalle   leggi   speciali,  l'imputato  non  doveva  essere
previamente  arrestato.  In  definitiva,  a  parte  casi eccezionali,
esisteva  ordinariamente  uno  stretto  collegamento  tra  arresto  e
giudizio  direttissimo.  Il vigente codice di rito ha invece scisso i
due  momenti,  imponendo al p.m., pur in presenza dei presupposti per
procedere   al   giudizio   direttissimo,   di  disporre  l'immediata
liberazione  dell'arrestato  o  del  fermato,  quando  ritiene di non
dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive (art. 121 disp.
att.  c.p.p.).  Non  casualmente,  con previsione innovativa se se ne
coglie  l'operativita' generale, l'art. 450, comma 2 c.p.p. contempla
espressamente  la possibilita' di celebrare il giudizio nei confronti
dell'imputato libero.
    In  astratto,  nulla  esclude,  s'intende, che il legislatore, in
specifici  settori,  possa  reintrodurre  un arresto strumentale alla
celebrazione  di  un  giudizio, altrimenti difficilmente realizzabile
nei   confronti  di  soggetti  che,  ove  non  ristretti,  potrebbero
agevolmente  far  perdere  le  proprie tracce. Ma tale obiettivo, ove
pure  intuibile  nelle  intenzioni  del legislatore che ha emanato le
norme  che  ne  occupano,  non  si  e' tradotto in atto, in quanto le
innovazioni  normative  del  2002,  non  hanno  alterato la struttura
portante  del  codice  di procedura penale, con la conseguenza che il
p.m., al quale l'esecuzione dell'arresto va comunicata immediatamente
(art. 386,  comma  1  c.p.p.)  e a disposizione del quale l'arrestato
deve essere posto al piu' presto e comunque non oltre le ventiquattro
ore  (art. 386, comma 3 c.p.p.), ha l'obbligo di disporre l'immediata
liberazione,  con  la  conseguenza  che, solo disattendendo il chiaro
precetto  normativo  dell'art. 121  disp.  att.  c.p.p., e' possibile
celebrare  un  giudizio direttissimo nei confronti di un imputato per
il  reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002,
n. 189, ristretto nella propria liberta'.
    Se  cosi'  e',  deve  escludersi  che  la misura dell'arresto sia
sorretta  dal  nesso di strumentalita' rispetto alla celebrazione del
giudizio direttissimo.
    Le  considerazioni sovra esposte rivelano, inoltre, che la misura
dell'arresto  non  e'  funzionale neppure all'esecuzione di una nuova
espulsione  prevista  dall'art. 14,  comma  5-ter  legge citata. Tale
conclusione  poggia  sulla mancata previsione di qualunque meccanismo
di  coordinamento  fra  le  iniziative  dell'autorita' amministrativa
chiamata  a disporre e a dare attuazione all'espulsione e l'autorita'
giudiziaria,  investita  del giudizio sulla convalida dell'arresto e,
ancor   prima,   del  dovere  di  porre  immediatamente  in  liberta'
l'arrestato  nei  confronti  del  quale  non  sia, come nella specie,
possibile    richiedere   fondatamente   l'applicazione   di   misure
coercitive.
    Va  aggiunto  che,  assente nella struttura normativa, l'indicato
coordinamento  non  puo' realizzarsi, di fatto, attraverso la mancata
adozione  del  provvedimento  imposto dall'art. 121 disp. att. c.p.p.
sino  al  giudizio  di  convalida,  in  quanto  cio'  si  tradurrebbe
nell'ingiustificata  disapplicazione  di  una  norma  vigente posta a
presidio di un fondamentale diritto di liberta'.
    Ne'  e'  ragionevolmente  pensabile  che, nel brevissimo lasso di
tempo  imposto  al  p.m.  per  porre in liberta' l'arrestato, possano
essere   adottati   i  provvedimenti  con  i  quali  si  dispone  che
quest'ultimo  sia  accompagnato  immediatamente  alla frontiera o sia
trattenuto presso un centro di permanenza.
    Difetta,  pertanto,  in  radice  il  requisito  della  necessita'
dell'arresto    rispetto   a   qualunque   obiettivo   di   rilevanza
pubblicistica  tale da giustificare la sia pur temporalmente limitata
restrizione della liberta' personale.
    Proprio  il  limite  di  pena  previsto,  inidoneo a giustificare
l'adozione  di  qualunque  misura  coercitiva, ai sensi dell'art. 280
c.p.p., dimostra, infatti, il limitato rilievo che, nell'intendimento
del legislatore, il fatto, di per se' considerato, riveste in termini
di  tutela  della  collettivita' (e, infatti, proprio la reiterazione
della  condotta, giustifica il ben piu' elevato limite di pena di cui
all'art. 14, comma 5-quater legge 30 luglio 2002, n. 189).
                              P. Q. M.
    1) Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione
di  legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies della
legge  30  luglio 2002, n. 189, in relazione all'art. 13, terzo comma
Cost.;
    2) Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale;
    3)  Dispone,  altresi,  che a cura della cancelleria, la presente
ordinanza  sia  notificata  alle  parti  nonche'  al  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e comunicata ai Presidenti delle due Camere
del Parlamento.
        Prato, addi' 3 maggio 2003
                         Il giudice: Liguori
04C0555