N. 407 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 ottobre 2003
Ordinanza emessa il 28 ottobre 2003 dal giudice di pace di Roma nel procedimento civile vertente tra Petrangolo Antonio e Comune di Roma Circolazione stradale - Regolamentazione della circolazione nei centri abitati - Facolta' dei Comuni, quali enti proprietari della strada, di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma (c.d. ticket) - Delega della relativa disciplina al Governo - Mancata indicazione di principi e criteri direttivi in ordine alle zone da sottoporre a vincolo e alla tariffazione - Previsione, nella sola normativa delegata, dell'emanazione di direttive ministeriali per i Comuni - Eccesso di delega - Incidenza sulla liberta' di circolazione - Violazione dei principi di eguaglianza e di imparzialita' amministrativa - Impedimento alla fruizione in condizioni di parita' del bene demaniale della strada - Discriminazione dei cittadini in base alle condizioni economiche - Contrasto con il principio di capacita' contributiva - Violazione della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte. - Legge 13 giugno 1991, n. 190, art. 2, comma 1, lett. f) [recte: d)]; codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), art. 7, comma 1, lett. f). - Costituzione, artt. 3, 16, 23 e 76 [53 e 97].(GU n.20 del 19-5-2004 )
IL GIUDICE DI PACE Ha emesso la seguente ordinanza nella causa iscritta al numero 586 contenzioso anno 01, tra avv. Antonio Petrangolo, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Villini n. 18 e difeso dal medesimo ex art. 86 c.p.c., attore, e comune di Roma, in persona del sindaco legale rappresentante, convenuto contumace. Premesso in fatto Il sig. avv. A. Petrangolo ha proposto ricorso avverso sanzione amministrativa inflittagli per avere omesso il pagamento del ticket relativo al parcometro (art. 7, lettera f, codice strada). Deduceva il ricorrente l'incompetenza dell'ausiliario del traffico che aveva elevato la relativa contravvenzione. Il giudice d'ufficio sollevava eccezione d'incostituzionalita', come appresso motivata per violazione artt. 76, 16, 3, 23 Cost. D i r i t t o 1. - Violazione articolo 76 della Costituzione: eccesso di delega. Il potere dei comuni, quali proprietari delle strade comunali, di subordinare il parcheggio e la sosta nelle strade al pagamento di una somma, trova il suo titolo nella legge delega al Governo per la formazione del codice della strada 13 giugno 1991 n. 190, art. 2, lettera d), che nello stabilire l'oggetto dell'emanando codice della strada, sancisce, tra l'altro ...: ... «d) previsione della facolta' dell'ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma», senza null'altro aggiungere e/o specificare in ordine ai principi e criteri direttivi di tale subordinazione, ne' in ordine ai criteri impositivi. Eppure la Costituzione ha circoscritto entro limiti ben precisi il ricorso alla delega legislativa, al fine di impedire le cosiddette deleghe in bianco. E' per questo che l'articolo 76 Cost. stabilisce in maniera esplicita quali limiti insormontabili alla delega della funzione legislativa: 1) la determinazione, esclusivamente da parte del Parlamento, dei principi e criteri direttivi; 2) il tempo limitato; 3) l'oggetto che deve essere ben definito e circoscritto. Nella fattispecie, risulta del tutto omessa la determinazione dei principi e criteri direttivi e di valutazione che possono rendere una zona di tale eccezionale rilevanza, rispetto al tessuto urbanistico e alle caratteristiche ordinarie dello stesso, da rendere necessario il pagamento del cosiddetto ticket. Omesso e' altresi' ogni criterio di determinazione della tariffa di pagamento neppure nei suoi limiti minimi e massimi: siamo in realta', in presenza di una vera delega in bianco, che priva il cittadino di ogni garanzia, a fronte di decisioni spesso, in realta', arbitrarie del potere esecutivo, sia in ordine alle localita' sottoposte a vincolo, sia in ordine alle somme da pagare. Ne' tali criteri possono essere individuati nel generico riferimento alle esigenze di tutela della sicurezza stradale di cui al primo comma, articolo 2, legge n. 190/1991: tale criterio e' invero riferito genericamente alla disciplina generale dell'intero codice della strada, ma non e' riferito, ne' importa ex se, alcuna implicazione precisa e determinata in ordine alla scelta dei luoghi determinati da sottoporre all'onere del pagamento, ne' ai criteri di determinazione delle somme da imporre. L'impossibilita' di assumere quello della sicurezza della circolazione quale criterio, per la fattispecie che interessa, risulta del resto dalla intrinseca mancanza di ragionevolezza, illogicita' e inadeguatezza dello strumento, giacche' la stessa auto, parcheggiata nel medesimo posto non rende la circolazione piu' sicura, se il parcheggio e' a pagamento anziche' essere gratuito. Si tratta sempre del medesimo posto, occupato, nel caso di parcheggio gratuito, da chi si serve della strada uti cives (o equiparato), nel secondo caso, da quel cives che ha maggiori possibilita' economiche: cambia la posizione soggettiva dell'occupante, non la sicurezza della circolazione, posto che i posti per il parcheggio (gratuito o a pagamento) sono sempre gli stessi. Appare evidente che quindi, nella specie, non essendo stati predeterminati nella legge di delegazione i principi e i criteri direttivi relativamente al parcheggio a pagamento, non appare infondato ritenere esistente la violazione dell'articolo 76 della Costituzione, con eccesso di delega. La Costituzione, invece, obbliga il legislatore alla predeterminazione dei principi e criteri direttivi, al fine di evitare, come sta in realta' accadendo, che il potere normativo concesso all'esecutivo possa essere esercitato in modo divergente dalle finalita' che lo ispirano: se tali finalita' non sono chiare e precise, l'Esecutivo ha modo di giustificare ogni proprio arbitrio. «Quando la determinazione dei principi e criteri manchi, oppure si identifichi con la mera indicazione dell'oggetto stesso della delega, si puo' avere nell'atto delegante illegittimita' costituzionale rilevabile». (Cons. St. IV, 14 maggio 1974, n. 360). «Se la legge delegante non contiene neanche in parte i requisiti relativi ai principi ai criteri direttivi sorge il contrasto tra l'articolo 76 Cost. e norma delegante, denunciabile al sindacato della Corte costituzionale». (C. cost. 26 gennaio 1957, n. 3). Nella specie l'omissione nella legge di delega dei principi e dei criteri direttivi, stabiliti in maniera uniforme per l'intero territorio nazionale, ha prodotto situazioni aberranti, sia quanto alla continua estensione delle zone soggette al pagamento (comprendendovi anche zone periferiche, di nessun eccezionale rilievo urbanistico) spesso su sollecitazione dei cittadini residenti (che, con il parcheggio a pagamento, vengono in pratica ad acquisire una servitu' di fatto, aumentando il valore del proprio immobile), sia quanto ai criteri di determinazione del ticket, variabili non solo da citta' a citta', ma altresi' per la stessa citta', a seconda delle zone e delle ore. In pratica e' la commercializzazione di quel bene demaniale, d'uso generale immediato e gratuito, che e' la strada, del quale il codice prevede l'inalienabilita' (art. 822 c.c.) e l'incommerciabilita'. Non va sottaciuta la circostanza che la stessa autorita' delegata, resasi conto del vuoto normativo in ordine ai criteri e principi direttivi di cui trattasi, ha cercato, a suo modo, di porvi rimedio, stabilendo nel codice della strada, (d.P.R. n. 85/1992, art. 7, lett. f), di demandare al Ministro dei lavori pubblici, di concerto con la Presidenza del Consiglio, il compito di stabilire le direttive in ordine alle deliberazioni delle giunte comunali delle aree destinate a parcheggio, nonche' le condizioni e tariffe: tale soluzione non sana l'illegittimita' rilevata, anzi ne costituisce un ulteriore aggravamento. Invero l'articolo 76 Cost. stabilisce una riserva di legge in materia disponendo che i principi e i criteri direttivi, relativi alla materia delegata, devono essere stabiliti solo dal Parlamento e adottati con l'atto formale della legge di delegazione. Nella specie non solo il Parlamento ha omesso nella legge di delegazione di formulare detti principi, ma il Governo, sua sponte e, a sua volta senza neppure averne ricevuto una seppure impossibile delega, ha delegato un suo Ministro all'emanazione di detti criteri. E' evidente la violazione non solo dell'articolo 76 Cost., ma il difetto assoluto di potere del Ministro dei lavori pubblici in materia, realizzandosi in tal modo quella forma piu' grave di incompetenza del soggetto denominata «straripamento di potere». A completamento della situazione giova ricordare che la legge 22 marzo 2001, n. 85, di delega al Governo per la revisione del nuovo codice della strada, pur prevedendo all'articolo 2, numero 7, lett. o), la facolta' del Governo di rivedere la disciplina del parcheggio nei centri abitati, nulla dice riguardo ai principi e ai criteri direttivi di tale disciplina. 2. - Violazione articolo 16 della Costituzione. A norma dell'articolo 16 Cost. «Ogni cittadino puo' circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo la limitazione che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanita' e sicurezza ...». Nella nostra Costituzione pertanto la liberta' di circolazione e' sottoposta alla seguente tutela: 1) riserva di legge («salvo le limitazioni che la legge stabilisce ...»); 2) possibilita' di limitazione circoscritta a motivi di sanita' e sicurezza. L'articolo 16 Cost. risulta violato in ordine ai motivi con i quali si possa giustificare la limitazione di cui trattasi: a norma dell'articolo 16 essi possono essere costituiti solo da motivi di sanita' e sicurezza. Nella specie, la legge n. 190/1991 non indica alcuna motivazione in ordine ai criteri delle aree da sottoporre a vincolo, come gia' visto a proposito dell'articolo 76 Cost., lasciando in tale campo assoluta liberta' all'Esecutivo. In merito va ricordato che l'ambito dell'articolo 16 Cost. non puo' essere circoscritto alla liberta' della circolazione delle persone come pedoni, escludendo da tale ambito e dalla relativa tutela i mezzi di circolazione. Una simile interpretazione dell'art. 16 sarebbe priva di fondamento logico, letterale e storico e sarebbe certo al di la' della realta'. L'uomo, quale essere ragionevole, si e' dato da sempre dei mezzi che l'hanno aiutato (cavallo, carro, cicli, auto, ecc.) nella circolazione moltiplicando gli effetti dello sforzo muscolare. L'uso di tali mezzi e' divenuto indispensabile man mano che si sono estese le citta' e moltiplicati i rapporti; l'avvento dell'auto ha poi annullato le distanze intensificando i rapporti di lavoro e i traffici, i rapporti sociali. Sarebbe impensabile mantenere l'attuale livello di sviluppo senza l'ausilio di tali mezzi di circolazione: incidere sulla liberta' di circolazione dei mezzi e' come agire sulla liberta' di circolazione delle persone. Se la tutela della circolazione fosse limitata alla tutela della persona fisica del pedone, il Costituente non avrebbe avuto necessita' di curare, accanto all'articolo 13 Cost. (liberta' della persona), l'articolo 16 (liberta' di circolazione) essendo la liberta' di circolazione della persona fisica - pedone gia' compresa nell'articolo 13 Cost. Una tutela della circolazione limitata ai pedoni sarebbe una garanzia cosi' fuori del tempo da considerarsi irridente e irrisoria, ove si pensi all'enorme estensione delle metropoli, alle grandi distanze per raggiungere posti di lavoro e agli intensi rapporti interpersonali che caratterizzano la nostra epoca, nonche' alle insufficienze croniche, mai superate dei mezzi pubblici di trasporto. Garantire la liberta' di circolazione senza garantire contestualmente la possibilita' di usare mezzi idonei alla stessa e' contraddittorio, giacche' non puo' aversi circolazione adeguata senza mezzi idonei; una circolazione solamente pedonale o riservata ai mezzi pubblici (notoriamente insufficienti) paralizzerebbe la vita economica e sociale. Pertanto, le limitazioni di cui all'articolo 16 Cost. devono essere riferite anche ai mezzi di trasporto, sia quanto alla riserva di legge sia quanto alle motivazioni che possono essere solo di sanita' e di sicurezza. Nella legge di delega n. 190/1991, come sopra ricordato, non vi e' alcuna limitazione o indicazione sui motivi che possono legittimare il parcheggio a pagamento ne' sui principi e criteri direttivi della scelta delle aree da sottoporre a vincolo. Tutto cio' non solo costituisce violazione dell'articolo 76 Cost., ma altresi' dell'articolo 16: ai sensi dell'art. 16 Cost. la materia puo' essere disciplinata solo con legge formale, almeno quanto ai principi e criteri direttivi, e non rimessa alla discrezione del Ministro dei lavori pubblici, come avvenuto con la delega ex articolo 7, lettera f) del codice della strada. Anche quanto ai motivi, sono in realta' inesistenti le ragioni di sicurezza e/o sanita' previste dalla Costituzione: se invero il pericolo per la sicurezza o sanita' fosse dato dall'occupazione dell'area con il parcheggio, tale occupazione - e quindi il pericolo - rimane, come sopra accennato, anche se l'area viene occupata dietro pagamento, anziche' essere gratuita, nessun vantaggio ne segue alla sanita' e alla sicurezza pubblica dal pagamento. Neppure puo' ritenersi che diminuisca il flusso delle auto, posto che non diminuisce il numero dei posti occupabili per il parcheggio. E' di tutta evidenza che il ricorso a motivazioni di sicurezza e/o di sanita' o di buon uso della strada e' del tutto pretestuoso e di comodo, ed evidenzia cosi' la irragionevolezza del provvedimento. Tutto cio' trova conferma nelle stesse delibere degli enti locali (vedi delibera Comune di Roma 1° dicembre 1995 ove puo' leggersi «la tariffazione del posto privato costituisce l'elemento strategicamente piu' forte per l'indirizzo della domanda di trasporto verso i vettori collettivi»), confermando in tal modo l'inesistenza di motivi di sicurezza e sanita' e la rispondenza del provvedimento a motivi di politica dei trasporti, ove vengono fatte valere motivazioni (scoraggiare l'uso dell'auto privata) non previste, anzi in contrasto con la Costituzione, in una situazione ove, data la gia' notoria insufficienza dei trasporti pubblici, incidere nel trasporto privato significa privare il cittadino di un fondamentale diritto, spettantegli non solo uti cives, ma altresi' quale uomo, costituendo il diritto alla circolazione uno dei fondamentali diritti dell'uomo (vedi articolo 13 Dichiarazione diritti dell'uomo 12 dicembre 1948; art. 12 Patto internazionale dei diritti civili e politici - New York 1978; art. 2 Convenzione europea sui diritti dell'uomo - Roma 4 novembre 1950). In realta', nella specie, prendendosi a pretesto il buon uso della strada, si tende a raggiungere scopi non previsti dalla legge e in contrasto con le liberta' costituzionali. L'onere cosi' imposto agli utenti della strada da', in realta', vita ad un istituto nullo, perche' privo di causa giuridica: esso non e' per la legge ne' un'imposta, ne' una tassa, ne' un contributo, non avendo nessuna di tale qualificazione: ne' puo' essere ritenuto prezzo pubblico, essendo inesistente la custodia, del cui servizio dovrebbe essere il corrispettivo: in piu' vi e' la considerazione che la strada, quale bene demaniale, e' stata gia' costruita con il danaro dei cittadini, i quali sono, cosi', nuovamente chiamati a pagare, per quello stesso bene, il cui uso dovrebbe essere gratuito, dovendo il relativo costo essere coperto con le imposte, essendo la strada un servizio a utilita' generale e indivisibile. 3. - Violazione articolo 3 della Costituzione. Se poi si volesse sostenere che il parcometro a pagamento costituisca un mezzo per scoraggiare il mezzo del veicolo, non puo' non evidenziarsi la illegittimita' costituzionale che ne deriva, per violazione del principio di uguaglianza dei cittadini, senza distinzioni legate alle condizioni personali e sociali, nonche' al principio di imparzialita' dell'azione amministrativa di cui all'articolo 97 Cost. In verita' nell'accesso ad un servizio pubblico talmente essenziale e generale quale la strada, al punto che essa, per la sua intrinseca destinazione all'uso immediato e diretto dei cittadini e' dalla legge annoverata esplicitamente tra i beni demaniali (art. 822 c.c.), inalienabili e incommerciabili, viene operata una grave discriminazione, privilegiando chi paga il ticket e cioe' chi ha maggiori possibilita' economiche. Tale preferenza, accordata a chi ha tali possibilita' nell'accesso a detto servizio pubblico, viene a realizzarsi, in realta', sulla base delle condizioni economiche personali dell'utente: a norma dell'articolo 3 Cost., tale criterio non puo' essere assunto quale metro discriminatorio, violandosi il principio di uguaglianza di trattamento garantito dalla Costituzione. E' evidente la differenza di trattamento che ne consegue tra chi e' in grado di pagare il ticket (che per una giornata di lavoro raggiunge il livello minimo notevole di 8/10 euro circa) a fronte di chi non abbia tali possibilita'. Al primo e' concesso, in conseguenza delle sue condizioni economiche, di usufruire della strada e delle relative possibilita' di parcheggio; al secondo tale possibilita' viene negata in forza di una norma che gli impone un onere sproporzionato alle proprie possibilita'. Tale rilievo risulta poi in tutta la sua gravita' ove si rifletta che la Costituzione all'articolo 3, secondo comma, recita: «E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica, sociale del Paese». Se si riflette che l'automobile e' oggi, data l'estensione delle citta', il pendolarismo, la cronica inefficienza e/o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto, il mezzo ordinario per recarsi al lavoro, ne segue che i lavoratori e i meno abbienti, che dovrebbero essere quelli meglio tutelati dallo Stato, sono invece quelli piu' colpiti e discriminati: basti pensare che la retribuzione media di un impiegato e' di 1.200 euro circa mensili, il ticket in media e' in un euro l'ora. Per 8 ore giornaliere per 25 giorni mensili, il costo e' di circa 200 euro, cioe' circa un sesto dello stipendio, il che non puo' essere ritenuto equo e conforme al principio della capacita' contributiva, cui dovrebbe ispirarsi ogni prestazione patrimoniale, richiesta autoritativamente, ai sensi dell'articolo 53 Cost. 4. - Violazione articolo 23 della Costituzione. Va altresi' evidenziato che la tariffazione del parcometro non trova nella legge n. 490/1991 di delegazione alcun criterio di determinazione, lasciandosi tutto al mero arbitrio dell'Esecutivo, in palese violazione dell'articolo 23 Cost.: ne' migliore sorta e' toccata sul punto alla legge n. 85/2001 di delega per la revisione del nuovo codice della strada. In merito la Corte costituzionale ha da tempo sancito il principio che «il carattere impositorio della prestazione non e' escluso per il solo fatto che la richiesta del servizio dipenda dalla volonta' del privato: ed invero tutte le volte in cui un servizio, in considerazione di una sua particolare rilevanza, venga riservato alla mano pubblica e l'uso di esso sia da considerarsi essenziale ai bisogni della vita, e' d'uopo riconoscere che la determinazione autoritaria delle tariffe deve assimilarsi nella realta' ad una vera e propria imposizione patrimoniale. Se e' vero che il cittadino e' libero di stipulare o no un contratto, e' altrettanto vero che questa liberta' si riduce alla possibilita' di scegliere fra la rinunzia di un bisogno essenziale e l'accettazione di condizioni e di obblighi unilateralmente e autoritariamente prefissati. Si tratta insomma di una liberta' formale, perche' la scelta nel primo senso comporta il sacrificio di interesse assai rilevante. Si deve quindi ritenere che quando si tratta di un servizio essenziale (e nessuno puo' dubitare che tale sia quello del parcheggio sulle strade urbane), la determinazione delle tariffe non possa essere rimessa all'arbitrio delle autorita', ma debba essere assistita da quelle garanzie che la Costituzione ha voluto assicurare attraverso la riserva di legge (art. 23 Cost.)», (Corte, costituzionale 9 aprile 1963, n. 72), con la indicazione, almeno, dei criteri idonei a delimitare la discrezionalita' della pubblica ammiistrazione, per cio' che attiene sia al quantum che ai soggetti passivi (vedi Corte costituzionale n. 210/1971; idem n. 67/1973; idem n. 93/1963) al fine di escludere che la discrezionalita' si trasformi in arbitrio. Nella specie la legge n. 190/1991 non contiene nessun criterio non solo quanto alle zone da sottoporre al vincolo come sopra gia' ricordato, ma neppure in ordine ai criteri per la tariffazione, neppure quanto ai limiti minimi e massimi: sotto tale profilo si ritiene sussistano fondati dubbi di costituzionalita' (v. C. cost. n. 36 del 27 giugno 1953; idem n. 2 del 30 gennaio 1962; idem n. 70/1960; idem n. 65/1962; idem n. 210/1971; idem n. 257/1982).
P. Q. M. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 2, comma 1, lettera f) della legge di delega n. 190/1991 e dell'articolo 7, comma 1, lettera f) del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in relazione agli articoli 76, 3, 16, 23 della Costituzione nella parte in cui viene delegata la disciplina della facolta' dell'ente proprietario della strada di subordinare il parcheggio e la sosta dei veicoli al pagamento di una somma, senza la previa determinazione con la legge di delega dei principi e criteri direttivi sia in ordine alle zone da sottoporre a vincolo sia in ordine alla tariffazione, impedendo altresi' ai cittadini di fruire in condizioni di parita' del bene demaniale della strada, ma discriminando gli stessi in base alle condizioni economiche; Rimette le eccezioni di incostituzionalita' sopra indicate alla Corte cotituzionale al fine della relativa decisione; a tal fine dispone che, previa notificazione della presente ordinanza alle parti in causa, al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' la sua comunicazione al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica, da effettuarsi a cura della cancelleria, la stessa sia trasmessa alla Corte costituzionale a cura della stessa cancelleria unitamente agli atti di causa e alla prova delle notificazioni e comunicazioni previste dall'articolo 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Roma, addi' 28 ottobre 2003 Il giudice di pace: Claudio 04C0558