N. 416 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 settembre 2003
Ordinanza del 22 settembre 2003 (pervenuta alla Corte costituzionale il 13 aprile 2004) emessa dal g.i.p. del tribunale di Prato nel procedimento penale a carico di Sunday Abuedefie Straniero - Espulsione amministrativa - Reato di trattenimento, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento, entro il termine di cinque giorni, impartito dal questore - Arresto obbligatorio in flagranza - Incongruita' della normativa censurata - Carenza del requisito della necessita' ed urgenza per l'adozione da parte della polizia giudiziaria di provvedimenti provvisori destinati ad incidere sulla liberta' personale. - D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 14, comma 5-quinquies, aggiunto dall'art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189. - Costituzione, artt. 2, 3 e 13, comma terzo.(GU n.21 del 26-5-2004 )
IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva di cui all'udienza del 18 settembre 2003, nell'ambito del procedimento indicato in epigrafe, a carico di Sunday Abuedefie, meglio identificato in atti; indagato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, cosi' come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, in quanto, senza giustificato motivo, si tratteneva nel territorio dello Stato in violazione dell'ordine di espulsione impartitogli dal Questore di Brindisi in data 18 agosto 2003, commesso in Prato, il 31 agosto 2003. Ha emesso la seguente ordinanza. Il sedicente Sunday Abuedefie e' stato tratto in arresto da personale della Questura di Prato in data 31 agosto 2003 in relazione al reato previsto dalla norma sopra citata. Il pubblico ministero, dopo aver disposto la liberazione dell'indagato ai sensi dell'art. 121 disp. att. c.p.p. (ritenendo che non si dovesse ne' si potesse richiedere l'applicazione di una misura cautelare, tenuto conto dei limiti edittali della pena prevista per il reato in questione), ha richiesto la convalida dell'arresto in data 3 settembre 2003. Considerato dunque che la vicenda esaminata e' riconducibile alla fattispecie di reato contestata dal p.m., deve essere valutata la questione della legittimita' costituzionale della norma che ha imposto l'arresto in flagranza, sulla cui convalida il giudice e' adesso chiamato a decidere; tale questione, del resto, e' stata proposta dallo stesso difensore. L'art. 14, comma 5-quinquies della legge citata dispone infatti che, per le condotte previste dai commi 5-ter e 5-quater, sia obbligatorio l'arresto del responsabile in flagranza di reato. Tale disciplina, applicabile al caso di specie e rilevante ai fini della decisione sulla convalida dell'arresto - giacche', difettando la norma di copertura, l'operata restrizione della liberta' personale sarebbe sfornita di titolo giuridico e non potrebbe superare il vaglio di questo giudice - effettivamente non si sottrae al dubbio di legittimita' costituzionale, in relazione ai parametri costituzionali e per le ragioni che seguono. 1. - Violazione dell'art. 13, comma 3 Cost. La possibilita' di derogare alla regola generale dettata dal secondo comma dell'art. 13, che impone il preventivo intervento dell'autorita' giudiziaria in materia di restrizione della liberta' personale, si collega, alla stregua dell'art. 13, comma 3 Cost., alla verifica della sussistenza di «casi eccezionali di necessita' e urgenza». Gli estremi della necessita' e dell'urgenza, secondo le indicazioni della Corte costituzionale, possono essere valutati come sussistenti in relazione all'esigenza di acquisizione e di conservazione delle prove (Corte cost. 3/1972; 79/1982) nonche' all'assoggettabilita' dell'arrestato a giudizio direttissimo (Corte cost. 126/1972; 173/1971), finalita' tutte perseguibili attraverso l'immediato intervento dell'autorita' di polizia in temporanea vece dell'autorita' giudiziaria. Tali esigenze sono, per un verso, insussistenti, per altro verso, legate ad un quadro normativo radicalmente mutato. Non sono, in effetti, ragionevolmente configurabili esigenze probatorie, in relazione al fatto illecito commesso dallo straniero che nonostante l'espulsione sia rientrato nel territorio dello Stato, destinate ad essere soddisfatte nel breve lasso di tempo che deve intercorrere tra l'arresto e l'immediata liberazione imposta dall'art. 121 disp. att c.p.p. Quanto alla connessione tra arresto e giudizio direttissimo, va rilevato che sino all'entrata in vigore del nuovo c.p.p., l'ipotesi normale era quella del giudizio direttissimo nei confronti di imputato in vinculis (art. 502 c.p.p. previgente). Cio' era tanto vero che il primo comma dell'art. 502 prevedeva che, qualora il tribunale non fosse attualmente impegnato in udienza penale, il Procuratore della Repubblica disponesse perche' l'arresto fosse mantenuto. Con l'introduzione del terzo comma dell'art. 502 c.p.p. 1930, ad opera dell'art. 17 della legge 12 agosto 1982, n. 532, che prevedeva l'applicabilita' del giudizio direttissimo anche al caso in cui l'arrestato, dopo essere stato presentato all'udienza, fosse stato liberato ai sensi dell'art. 263-ter, il sistema non venne completamente scardinato, in quanto, come reso palese dalla lettera della norma, comunque era necessario che l'imputato fosse stato presentato all'udienza prima della liberazione ad opera del tribunale della liberta'. Soltanto nei casi, definiti atipici, di giudizio direttissimo previsti dalle leggi speciali, l'imputato non era in stato di arresto. In definitiva, esisteva ordinariamente uno stretto collegamento tra arresto e giudizio direttissimo. Il vigente codice di rito ha scisso i due momenti, imponendo al p.m, pur in presenza dei presupposti per procedere al giudizio direttissimo, di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato o del fermato, quando ritiene di non dovere richiedere l'applicazione di misure coercitive (art. 121 disp. att. c.p.p.). Non casualmente, con previsione innovativa, l'art. 450, comma 2 c.p.p. contempla espressamente la possibilita' di celebrare il giudizio direttissimo nei confronti dell'imputato libero. In astratto, nulla esclude, s'intende, che il legislatore, in specifici settori, possa reintrodurre un arresto strumentale alla celebrazione di un giudizio direttissimo, altrimenti difficilmente realizzabile nei confronti di soggetti che, ove non ristretti, potrebbero agevolmente far perdere le proprie tracce. Ma tale obiettivo, ove pure intuibile nelle intenzioni del legislatore che ha emanato le norme in esame, non si e' tradotto in atto, in quanto le innovazioni normative del 2002, non hanno alterato la struttura portante del codice di procedura penale: infatti il p.m., al quale l'esecuzione dell'arresto va comunicata immediatamente (art. 386, comma 1 c.p.p.) e a disposizione del quale l'arrestato deve essere posto al piu' presto e comunque non oltre le ventiquattro ore (art. 386, comma 3 c.p.p.), ha l'obbligo di disporre l'immediata liberazione. Ne consegue che, solo disattendendo il chiaro precetto normativo dell'art. 121 disp. att. c.p.p. e' possibile celebrare un giudizio direttissimo nei confronti di un imputato per il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter della legge 30 luglio 2002, n. 189, ristretto nella propria liberta'. Se cosi' e', deve escludersi che la misura dell'arresto sia sorretta dal nesso di strumentalita' rispetto alla celebrazione del giudizio direttissimo. Le considerazioni sovra esposte rivelano, inoltre, che la misura dell'arresto non e' funzionale neppure all'esecuzione di una nuova espulsione prevista dall'art. 14, comma 5-ter legge citata. Tale conclusione si fonda sulla mancata previsione di qualunque meccanismo di coordinamento fra le iniziative dell'autorita' amministrativa chiamata a disporre e a dare attuazione all'espulsione e l'autorita' giudiziaria, investita non solo del giudizio sulla convalida dell'arresto ma, prima, anche del dovere di porre immediatamente in liberta' l'arrestato nei confronti del quale non sia, come nella specie, possibile richiedere fondatamente l'applicazione di misure coercitive. Va aggiunto che, essendo assente nella struttura normativa, l'indicato coordinamento non puo' nemmeno realizzarsi, di fatto, attraverso la mancata adozione del provvedimento imposto dall'art. 121 disp. att. c.p.p. sino al giudizio di convalida, in quanto cio' si tradurrebbe nell'ingiustificata disapplicazione di una norma vigente posta a presidio di un fondamentale diritto di liberta'. Ne' e' ragionevolinente pensabile che, nel brevissimo lasso di tempo imposto al p.m. per porre in liberta' l'arrestato, possano essere adottati i provvedimenti con i quali si dispone che quest'ultimo sia accompagnato immediatamente alla frontiera o sia trattenuto presso un centro di permanenza. Difetta, pertanto, in radice il requisito della necessita' dell'arresto rispetto a qualunque obiettivo di rilevanza pubblicistica tale da giustificare la sia pur temporalmente limitata restrizione della liberta' personale. Del resto proprio il limite di pena previsto, inidoneo a fondare l'adozione di qualunque misura coercitiva ai sensi dell'art. 280 c.p.p., dimostra infatti il limitato rilievo che, nell'intendimento del legislatore, il fatto di per se' considerato riveste in termini di tutela della collettivita' (e, infatti, solo la reiterazione della condotta giustifica il ben piu' elevato limite di pena di cui all'art. 14, comma 5-quater, legge 30 luglio 2002, n. 189). 2. -Violazione degli artt. 2 e 3 della Cost. La normativa contestata appare finalizzata a conseguire l'effettiva espulsione dello straniero dal territorio italiano: e' del tutto incongrua la previsione di un meccanismo repressivo dotato di sanzione penale, giacche' lo stesso obiettivo sarebbe stato raggiungibile utilizzando il solo strumento amministrativo, quindi senza far ricorso alla privazione della liberta' personale, sia pure per un periodo brevissimo.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 5-quinquies della legge 30 luglio 2002, n. 189, in relazione agli artt. 2, 3 e 13, comma 3, Cost. Dispone la sospensione del presente procedimento e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Dispone, altresi', che a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Prato, addi' 22 settembre 2003. Il giudice per le indagini preliminari: Fedelino 04C0580