N. 429 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 febbraio 2004

Ordinanza  emessa  il  18  febbraio  2004  dal  giudice  di  pace  di
Castellammare  di  Stabia nel procedimento civile vertente tra Romano
Rosaria e Comune di Castellammare di Stabia

Circolazione  stradale  - Infrazioni al codice della strada - Ricorso
  al  giudice di pace avverso il verbale di accertamento - Condizioni
  di  ammissibilita'  -  Onere per il ricorrente di versare presso la
  cancelleria  una  somma  pari alla meta' del massimo edittale della
  sanzione  inflitta dall'organo accertatore - Possibilita' che detta
  somma  sia assegnata all'Amministrazione e prelevata (in tutto o in
  parte)  in  caso  di rigetto del ricorso - Compressione del diritto
  alla  tutela  giurisdizionale  -  Lesione  dei  diritti di azione e
  difesa  -  Discriminazione  in  danno  dei soggetti meno abbienti -
  Contrasto  con i principi del contraddittorio e della parita' delle
  parti in giudizio - Irragionevolezza.
- Codice  della  strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. [385, recte] 285),
  art. 204-bis,  commi 3  e  5, come modificato dalla legge 1° agosto
  2003, n. 214, di conversione del d.l. 27 giugno 2003, n. 151.
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111.
(GU n.21 del 26-5-2004 )
                         IL GIUDICE DI PACE

    Letti  gli atti, per sciogliere la riserva, del giudizio iscritto
al  N.R.G. 3804/03, proposto da Romano Rosaria in danno del comune di
Castellammare di Stabia rileva;
    Con ricorso depositato il 3 ottobre 2003 la sig.ra Romano Rosaria
adiva  l'intestato ufficio giudiziario per sentir annullare i verbali
di   accertamento   e   contestazione   n. 11436A,  11698A  e  12465A
rispettivamente  dell'8 maggio 2003, 10 maggio 2003 e 11 maggio 2003,
notificati il 23 agosto 2003, 22 agosto 2003 e 22 agosto 2003 in base
ai  quali personale degli ausiliari del traffico avevano accertato la
violazione  dell'art. 157/6 del c.d.s. di Euro 41,35 cadauno a carico
dell'auto  tg.  NAD12083  di  sua  proprieta', per aver sostato senza
esporre il titolo di pagamento.
    Deduceva che l'auto era munita di permesso per soggetto portatore
di  handicap,  che produceva, quale era il marito Scarselli Alberto e
che  tale  permesso  era  ben  visibile  sul  cruscotto.  Con memoria
aggiuntiva  eccepiva  la  illegittimita' dei verbali redatti dai c.d.
ausiliari del traffico in quanto non abilitati dalla legge.
    La   ricorrente  pero'  ometteva  di  depositare,  unitamente  al
ricorso,  ai fini della sua ammissibilita', una somma pari alla meta'
del  massimo  edittale  prevista  per  le violazioni contestatele, ai
sensi  dell'art. 204-bis  del  d.lgs.  30  aprile 1992 n. 385 (Codice
della  strada),  come  novellato dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 di
conversione del d.l. 27 giugno 2003 n. 151.
    Si  costituiva  il comune di Castellammare di Stabia che eccepiva
preliminarmente  a  inammissibilita'  dell'opposizione  per  l'omesso
versamento  della  cauzione.  Nel  merito eccepiva che autorizzazione
alla sosta per portatore di handicap non puo' estendersi alle aree di
sosta a pagamento.
    Va preliminarmente affrontata la questione della inammissibilita'
della opposizione.
    Il mancato deposito delle somme - che con circolare del 13 agosto
2003  il  Ministero  della  giustizia,  nell'interpretare la legge ha
indicato  effettuarsi  nelle  forme  del  deposito giudiziario presso
l'Ente  Poste S.p.a. richiamando il r.d. 10 marzo 1910 n. 149 - viene
sanzionato  intatti  con  il provvedimento di inammissibilita' che il
giudice  dovrebbe  pronunciare  ai  sensi  dell'art. 23  della  legge
n. 689/1981;
    Questo   giudice,  di  ufficio,  dubita  della  costituzionalita'
dell'art. 204-bis   in   relazione   agli   artt. 24,  3,  111  della
Costituzione.
    Ed  invero  l'art. 204-bis  del  d.lgs.  30 aprile 1992 n. 385, a
seguito  delle modifiche apportate in sede di conversione del d.l. 27
giugno 2003 n. 151 con la legge 1° agosto 2003 n. 214 (pubblicata sul
supplemento ordinario n. 133/L della Gazzetta Ufficiale del 12 agosto
2003  n. 186),  recita  al  capo  3  che:  «all'atto del deposito del
ricorso,  il ricorrente deve versare presso a cancelleria del giudice
di  pace,  a  pena di inammissibilita', una somma pari alla meta' del
massimo  edittale  della  sanzione  inflitta dall'organo accertatore.
Detta  somma,  in  caso di accoglimento del ricorso, e' restituita al
ricorrente».
    L'art. 204-bis recita al capo 5) «in caso di rigetto del ricorso,
il giudice di pace, nella determinazione dell'importo della sanzione,
assegna,  con sentenza immediatamente eseguibile, all'amministrazione
cui   appartiene   l'organo   accertatore,   la   somma  determinata,
autorizzandone  il prelievo dalla cauzione prestata dal ricorrente in
caso di sua capienza».
    Al  capo 2, l'art. 204-bis del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 385, come
novellato,  dispone tra l'altro che il ricorso e' proposto secondo il
procedimento  fissato  dall'art. 23  della  medesima legge n. 689 del
1981...»
    Il  comma  primo dell'art. 23 della legge n. 689/1981 dispone che
«il  giudice, se il ricorso e' proposto oltre il termine previsto dal
primo  comma  dell'art. 22  (gia' trenta ed ora sessanta giorni della
contestazione  a  seguito  della  modifica  del  capo 1 del novellato
art. 204-bis del c.d.s.) ne dichiara l'inammissibilita' con ordinanza
ricorribile   in  Cassazione».  «Se  il  ricorso  e'  tempestivamente
proposto,  il  giudice  fissa  l'udienza  di comparizione con decreto
steso in calce al ricorso...»
    Avendo  l'art. 204-bis come novellato. introdotto un nuovo motivo
di   inammissibilita'  del  ricorso,  ne  conseguirebbe  la  relativa
declaratoria di ufficio.
    Una  tale interpretazione che, ripetesi, imporrebbe al giudice ai
sensi  dell'art. 204-bis  novellato  in  combinato  all'art. 23 primo
comma  della  legge  n. 689/1981, di dichiarare sic et simpliciter la
inammissibilita'  del ricorso in opposizione, appare pero' lesiva del
fondamentale  principio  del  contraddittorio,  quale  insopprimibile
strumento  di  garanzia e di attuazione del diritto costituzionale di
difesa,  attuato  in campo processualistico dell'art. 101 del c.p.c.;
di tal che si e' imposto di fissare comunque e previamente, l'udienza
di  comparizione  delle  parti  in  modo da consentire alle stesse di
contraddire  anche  su questioni che il giudice ritiene, ex art. 183,
terzo   comma   c.p.c.,   richiamato   nel  rito  innanzi  al  g.d.p.
dall'art. 311  c.p.c.,  «rilevabile  di  ufficio  delle  qual ritiene
opportuna la trattazione».
    Questione  quale  appunto  quella  di  valutare se il diritto del
cittadino  di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti, sia
adeguatamente  tutelato  dalla vigente disposizione dell'art. 204-bis
dovendo  l'ordinamento  giuridico evitare ostacoli che si frappongono
al  processo che, in sostanza poi, comportano una lesione del diritto
costituzionalmente garantito dall'art. 24 della costituzione.
    Il  ricorrente non ha provveduto al deposito della somma a mo' di
cauzione prevista dalla legge per cui ne deriverebbe una pronuncia di
inammissibilita' del ricorso.
    Si  pone,  pertanto,  questo  giudice, d'ufficio, la questione di
costituzionalita'   dell'art. 204-bis,   capo  3)  e  capo  5),  come
novellato, in relazione all'art. 24 della costituzione nella parte in
cui fa obbligo al ricorrente di versare nella cancelleria del giudice
di  pace,  a  pena di inammissibilita', una somma pari alla meta' del
massimo edittale della sanzione inflitta dall'organo accertatore.
    Con l'introduzione della norma denunciata che prevede l'onere del
versamento  della cauzione a pena di inammissibilita' del ricorso, il
legislatore  ha  introdotto uno strumento di compressione del diritto
alla tutela giurisdizionale, garantito dalla costituzione.
    A  tale  norma puo' riconoscersi il triste primato di rintrodurre
atavici   oneri   o   condizionamenti  per  il  ricorso  alla  tutela
giurisdizionale.
    Sul  punto va rilevato che sia un piu' accorto legislatore che la
stessa  Corte costituzionale a partire da vari decenni or sono e sino
ad oggi, hanno eliminato, sia con provvedimenti legislativi e sia con
pronunce  di  illegittimita'  costituzionale, ogni onere od ostacolo,
sia  fiscale  che  patrimoniale,  che potesse condizionare il ricorso
alla tutela giurisdizionale.
    In  merito ai primi, e' il caso di ricordare, infatti, che con la
legge  18  ottobre  1977  n. 793  furono  abrogati  l'art. 364 c.p.c.
(deposito   per   il   caso   di   soccombenza  previsto  a  pena  di
inammissibilita'  per  il  ricorso in Cassazione); l'art. 381 c.p.c.;
nonche'  l'art. 651  c.p.c.  (deposito  per  il  caso  di soccombenza
previsto  a pena di inammissibilita' per proporre opposizione tardiva
al  decreto  ingiuntivo  o  contro  il  decreto  pronunciato  a norma
dell'art. 642,  primo  comma, c.p.c.) ed ancora da ultimo con il d.l.
11  marzo  2002 n. 28 - convertito, con modificazione, dalla legge 10
maggio  2002  n. 91,  portante  modifica  all'art. 9  della  legge 23
dicembre  1999  n. 48  -  che con l'art. 1-1 ha sostituito il comma 3
dell'art. 2  eliminando la sanzione di irricevibilita' posta a carico
della  parte che per prima si costituiva in giudizio e non versava il
contributo  unificato  di  iscrizione a ruolo della causa, cosi' come
con  il  medesimo  art. 1-3  ha soppresso il comma quinto dell'art. 9
della  legge n. 48/1999 che pure prevedeva la dichiarazione, da parte
del  giudice,  della improcedibilita' della domanda nel caso in cui a
parte,  in caso di modifica della domanda che ne ammontava il valore,
avesse  omesso  di  farne  espressa  dichiarazione  e di integrare il
pagamento del contributo unificato.
    In  merito alle seconde, e' opportuno richiamare a sentenza della
Corte  costituzionale  del  29  novembre  1960  n. 67  che  dichiaro'
costituzionalmente  illegittimo  l'art. 98 c.p.c.. in forza del quale
il giudice poteva disporre con ordinanza che l'attore, non ammesso al
gratuito  patrocino,  prestasse cauzione per il rimborso delle spese,
quando  vi  era  timore  che  l'eventuale  condanna  potesse  restare
inseguita,   sanzionando   l'inadempimento   con  la  estinzione  del
processo.  Nella  vigenza  dell'(abrogato)  art. 98 c.p.c. intervenne
anche la Suprema Corte di cassazione che con la sentenza del 4 luglio
1952  n. 1999  ebbe  modo di porre in rilievo che giammai la cauzione
prevista  dall'art. 98  c.p.c. potesse essere disposta «a garanzia di
eventuali ragioni creditorie per il quale scopo puo' essere richiesto
ed  autorizzato sequestro conservativo ove ricorrano i presupposti di
fatto  e  di diritto indispensabili per la concessione di tale misura
cautelare».
    E' opportuno, altresi', richiamare la sentenza n. 21/1961 con cui
la  Corte costituzionale aboli' la c.d. clausola del solve et repete,
vale  a  dire  l'obbligo  di  pagare,  comunque,  i tributi richiesti
dall'amministrazione finanziaria per poter agire in giudizio, proprio
perche' andava a comprimere la tutela giurisdizionale.
    In  tali  sensi  la  Consulta,  nella  continua  affermazione del
principio  costituzionale  garantito dall'art. 24 della costituzione,
e'  continuamente intervenuta ed all'uopo si richiamano ancora, e tra
le  altre,  sentenza  del  7  dicembre  1964 n. 100 con cui dichiaro'
illegittimita'  costituzionale  degli artt. 77, 78, 79 e 80 del regio
decreto  30  dicembre  1923  n. 3270,  contenente la legge tributaria
sulle  successioni,  nella parte in cui dispongono che le persone ivi
indicate,  quando  fosse  scaduto  il  termine per il pagamento della
tassa o quel termine scadesse nel corso del procedimento, non possono
agire   in   giudizio   o   proseguirlo  senza  aver  dato  la  prova
dell'avvenuto pagamento, della ottenuta dilazione o della esenzione e
nella  parte  in  cui  sanzionano,  con  l'obbligo  di  corrispondere
l'importo  delle  tasse  e  delle  soprattasse,  la  inosservanza  di
richiedere la prova suddetta;
    ed   ancora  le  sentenze  n. 45/1960;  n. 113/1963;  n. 91/1964;
n. 157/1969;  n. 61/1970  e  da  ultimo  la  n. 333/2001  con  cui la
Consulta  ha  dichiarato  l'illegittimita' costituzionale dell'art. 7
della  legge 9 dicembre 1998 n. 431 (Discipline delle locazioni e del
rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo).
    Il  versamento  della somma pari alla meta' del massimo edittale,
richiesta  dall'art. 204-bis,  costituisce  un  onere  che  tende  al
soddisfacimento  di  interessi  del  tutto  estranei  alle  finalita'
processuali   e  non  certamente  un  onere  imposto  allo  scopo  di
assicurare  al  processo  uno  svolgimento  meglio  conforme alla sua
funzione  ed  alle  sue  esigenze,  che  va  individuata in quella di
consentire  una  pronuncia  in  merito sui motivi di doglianza che il
cittadino muove ad un verbale redatto dagli agenti accertatori.
    In  forza, invece, della denunziata norma, al cittadino, a cui il
legislatore,   con   l'introduzione   dell'art. 22-bis   della  legge
n. 689/1981  aveva  consentito di ricorrere ad un giudice (appunto il
giudice  di  pace)  che  sentisse  piu'  vicino  alle proprie istanze
superando  il  formalismo  processuale  che  caratterizza  invece  il
procedimento   innanzi   al  tribunale,  viene  frapposto  un  grosso
impedimento costituito dal versamento della somma corrispondente alla
meta'  del  massimo della somma inflittagli, tale da apparire essere,
ed  e,  una  deflazione, alla tutela giurisdizionale, confermandogli,
peraltro,   l'odioso   convincimento   (che   invece  va  recisamente
rifiutato)  che  la giurisdizione appartiene allo Stato - apparato e,
quindi,  a  porre  i  giudici  tra  «i governanti» in contrapposto al
cittadino  «governato»  sicche'  possa  avere ulteriore, ed anch'esso
odioso,  convincimento  che  non  vi sia differenza funzionale ovvero
distinzione   effettiva  della  giurisdizione  dalle  altre  potesta'
sovrane dell'ordinamento e, in particolare, dell'amministrazione.
    La  questione  quindi  che,  di  ufficio  si  solleva, non appare
manifestamente infondata.
    La  norma  denunciata  si  pone infatti in contrasto con il primo
comma dell'art. 24 della costituzione che riconosce a tutti il potere
di  agire  in  giudizio  a  tutela  dei  diritti  e  degli  interessi
legittimi, nonche' al capoverso seguente che afferma essere la difesa
un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
    Si  pone  in contrasto, altresi', con l'art. 3 della costituzione
in  quanto  di fatto limita il diritto di azione in giudizio del meno
abbiente, generando quindi un discrimine tra il ricco e il povero con
la conseguenza che a quest'ultimo non sarebbe consentito ottenere una
(presumibilmente, per esso ricorrente, positiva) pronuncia sul merito
delle  proposte doglianze, atteso la inammissibilita' del ricorso per
il non eseguito versamento.
    Si pone, infine, in contrasto con l'art. 3 della costituzione che
al   comma   secondo   dispone   che  ogni  processo  si  svolge  nel
contraddittorio  tra  le  parti, in condizioni di parita', davanti al
giudice terzo ed imparziale.
    Il  contrasto  con  tale  ultima  disposizione,  evidenziato gia'
innanzi   laddove   si   rilevava   essere   opportuno   recidere  il
convincimento  che  la  giurisdizione appartiene allo Stato-apparato,
emerge  altresi'  dalla  considerazione  che  al  ricorrente e' fatto
obbligo  di  effettuare  il  versamento  a titolo di cauzione, la cui
somma  il  giudice  ai  sensi  del  capo  5) dell'art. 204-bis c.d.s.
assegna  immediatamente  all'amministrazione  in  caso di rigetto del
ricorso,    senza    prevedere    un    egual   deposito   a   carico
dell'amministrazione  per  l'eventuale rimborso di spese a favore del
ricorrente in caso di accoglimento del ricorso.
    Anzi  in  tale  evenienza il ricorrente - creditore subira' anche
gli effetti dell'art. 14 del 31 dicembre 1996 n. 669 convertito nella
legge  28  febbraio  1997  n. 30  come modificato dall'art. 146 della
legge   n. 388/2000,  dettato  in  tema  di  esecuzione  forzata  nei
confronti  delle  pubbliche  amministrazioni,  in  forza del quale il
creditore  non  ha  diritto  di  procedere  ad esecuzione forzata nei
confronti delle pubbliche amministrazioni prima del decorso di giorni
centoventi dalla notificazione del titolo esecutivo.
    E  non  potra'  non  rilevarsi  altresi' a irragionevolezza della
norma  denunciata  laddove  determina  l'importo della cauzione nella
meta'  del massimo edittale in rapporto a quanto previsto dal capo 7)
dello  stesso  art. 204-bis  ove e' disposto che nella determinazione
della  sanzione  il  giudice  di pace puo' applicare una sanzione non
inferiore  al minimo edittale stabilito dalla legge per la violazione
accertata  e,  quindi, una somma ben minore rispetto a quella pretesa
per la cauzione, pari alla meta' del massimo edittale.
    Da  quanto sopra detto poiche' appare evidente un contrasto fra a
norma  dell'art. 204-bis del c.d.s., come novellato e agli art. 24, 3
e 111 della costituzione e, poiche' la decisione di tale eccezione di
illegittimita' costituzionale appare rilevante per la definizione del
presente  giudizio  e  non  appare  manifestamente  infondata, devesi
sospendere  il  presente  giudizio  ed ordinare la trasmissione degli
atti  alla Corte costituzionale perche' venga sottoposta al suo esame
tale questione, nonche' provvedere agli altri incombenti di legge.
                              P. Q. M.
    Visti  gli  art. 295  c.p.c.,  1  della  legge  costituzionale  9
febbraio  1948  n. 1  e  23  della legge costituzionale 11 marzo 1953
n. 87   ordina   l'immediata   rimessione   degli   atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisione  della  questione  di legittimita'
costituzionale,   sollevata   di   ufficio,   relativa   al  disposto
dell'art. 204-bis  comma  3)  e  5) del d.lgs. 30 aprile 1992 n. 385,
come  novellato  dalla legge 1° agosto 2003 n. 214 di conversione del
d.l.  27 giugno 2003 n. 151 che si assume costituire violazione degli
artt. 24, 3 e 111 della Costituzione;
    Ordina  che  a  cura  della cancelleria la presente ordinanza sia
notificata  alle  parti  in  causa,  al  Presidente dei Consiglio dei
ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
    Sospende il giudizio in corso.
        Castellammare di Stabia, addi' 16 febbraio 2004
                          Il giudice: Somma
04C0593